Euridice in5 da stampa - Federico Benedetti, Homepage

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Federico Benedetti
Federico Benedetti
Euridice
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Federico Benedetti
PROEMIO
Nella grande città straniera di cui si parlerà molto
nelle pagine che seguono, ci sono vissuto anch’io. Il
mio non era un esilio più o meno volontario, come
per il ragazzo che ho scelto di designare come « il
nostro giovane eroe ». Io non avevo niente da
dimostrare né a me stesso né agli altri. Il mio fu un
lungo sonno, voglia di dormire, di fermare la ruota.
Fu proprio lui a risvegliarmene : come si fa a dormire
accanto ad un vulcano ?
Lo conobbi lì, nella grande città straniera. I tratti scavati
dalle notti in bianco, dal fumo e dall’alcool – tipici
accessori-, era un signore delle tenebre, e quando
entrava in una delle bettole del quartiere di artisti
naufraghi e canaglie dove viveva –e in cui lo
accompagnavo malvolentieri, io pavido tipo normale-,
tutti gli stringevano la mano amichevolmente ; a tutti
aveva detto un giorno una parola di conforto, in quella
filosofia amara e umana che diffondeva nella sera.
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Inquieto e disperato, pessimista senza scampo ; eppure,
a differenza di tanta gente irrequieta ed insoddisfatta, lui
non si abbandonava ad una depressione oziosa e molle.
Era un vulcano : ribolliva dentro, e ciò che buttava fuori
–musica, teatro, chiacchiere- era forse un’infima parte
del calderone.
La storia che segue me l’ha raccontata lui, un pezzetto
alla volta, trascinandomi nei bar che chiudevano ad uno
ad uno, fino all’alba gelida, in cui lui adorava calare le
braghe al centro di una piazza e pisciare recitando
Rimbaud. Poi mi portava a casa sua e mi faceva
ascoltare Gluck, suo compagno di ogni mattina prima di
coricarsi : « Che farò senza Euridice ? ».
Ho talvolta avuto il sospetto che fosse un po’ mitomane,
e che la sua Euridice non fosse mai esistita ; correva
dietro a quell’amore sognato inventandosi una vita che
non aveva avuto, ed in ciò approfittando del fatto che
nella grande città straniera nessuno poteva smentirlo :
lui veniva da lontano. Del resto, diceva sempre che era
partito per inventarsi un altro lui, perché quello di laggiù
non gli stava simpatico.
Un giorno scomparve nella notte, e nessuno lo vide più.
Io ho sempre sperato che fosse tornato a casa, fra le
braccia di Euridice.
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I
A sedici anni volle l'amore. Ma proprio il grande amore,
tutti i manometri al massimo. Il sesso sognato, corpi
orgasmi grida. E la passione, quella dei poeti e degli
artisti. Insomma volle una dea, una musa.
E questa sua immensa ambizione fece sorridere la sua
piccola città per qualche tempo, fino a quando, stanco,
decise di andarsene, lasciando lì tutto, ninfa e amore.
Ripicca d'incompreso. Collera da bambino viziato.
Lacrime di rabbia. Tante.
Gli ci vollero anni -una vita, quasi- ad imparare che quel
sentimento che pareva ridicolo in quella piana nebbiosa
portava nomi provvisti altrove di una certa nobiltà: sete
di assoluto per esempio, ed altri ancora. Espressioni che
trovò poi nei romanzi, in corrispondenze e diari dei
grandi creatori; personaggi di cui da ragazzo aveva
spesso solo sentito parlare, e che poi erano diventati gli
amici delle notti interminabili trascorse a sognare la
vita; e a costruirla, piano piano.
Forse se lo inventò quell'amore; e quale amore non si
inventa? Volle che il suo amore fosse lei: meno
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intraprendente meno porca -anzi porca per niente- delle
altre che in quegli anni di rivoluzione sessuale aveva
incontrato. Ma con quelle lui non aveva combinato
niente; non sapeva niente, e forse non gli interessava
neanche tanto. Lui cercava l'amore. L'amore gli avrebbe
infuso quel coraggio di cui mancava per affrontare i
propri desideri così imperiosi così violenti.
Attraversare insieme le fiamme dell'inferno; la sua
Euridice avrebbe resistito, sarebbero stati forti,
bellissimi, e l'energia della loro età giovane li avrebbe
protetti contro ogni minaccia. Questa la magnifica
illusione che nutrì i lunghi pomeriggi passati a farle la
corte.
Fu bello come un sogno bello. Desiderare; esprimere
quel desiderare con il candore intero di cui solo i
bambini sono capaci. E trovarsi di fronte il riscontro
dell'amore, del medesimo amore che si ha in sé. Tanto
bello che gli sembrò naturale, come pare ovvia la forma
di un'opera d'arte che non si potrebbe immaginare
altrimenti, in cui non si percepisce alcun travaglio
alcuno studio, tanto la bellezza sembra scaturire da sé;
come il sorgere del sole, come lo svilupparsi armonioso
di un albero, di un neonato. La vita con i suoi lordi
grappoli di delusioni gli doveva mostrare che quella
storia lì non si sarebbe riprodotta mai più: donne facili e
innamorate sarebbero cadute senza sforzo tra le sue
braccia, e lui le avrebbe collezionate col distacco di chi
guarda la propria esistenza come uno spettacolo
divertente ma senza interesse. Un bimbo non sa che
ogni istante che sta vivendo é unico e irripetibile, e che
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sarà perso per sempre l'indomani. Questa ignoranza é
certamente ciò che ci permette di giungere incolumi alla
vita adulta. Senza di essa, porremmo forse fine alla
nostra esistenza al primo sintomo di crescita.
Anche Euridice era una bambina, o in ogni caso lo era
stata fino a poco prima. Da quanto tempo aveva riposto
le bambole in cantina? Mesi, settimane? Lui non se ne
curava; Euridice era per lui la musa di quella libertà di
spirito e di corpo che si rivendicava con tanta veemenza
in quegli anni.
Fu quindi un amore di discorsi all'inizio. Tante
intenzioni dichiarate, tante frasi programmatiche,
premesse confuse di piaceri prossimi e sconosciuti.
Lei era naturalmente femminista, con i toni e gli
accessori del caso; e per lui questo significava
altrettanto naturalmente che presto avrebbero fatto
l'amore; e ciò in virtù di quegli slogan secondo i quali le
donne dovevano riprendersi il diritto al piacere fisico di
cui gli uomini le avevano a lungo private. E lui era
pronto, solidale e militante, a darle tutto il piacere che le
spettava, riequilibrando così eroicamente secoli
d'ingiustizia sessuale. Ogni altra interpretazione di quei
bellicosi slogan gli era totalmente estranea, fiducioso in
un futuro imminente che vedeva denso di erotismo
rivoluzionario.
Fu abitato da una passione religiosa per il corpo di
Euridice. Quel corpo acerbo che leggeva attraverso i
vestiti, lo voleva toccare ed esplorare all'infinito;
sarebbe stato per lui il laboratorio della vita, il
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cannocchiale attraverso il quale avrebbe visto e capito
l'universo.
Ma come spiegarlo a quella bimba di sedici anni? E lui
stesso così inesperto così maldestro, come indovinare
come inventare il rito di quella religione non rivelata?
Lì i discorsi non gli erano più di nessun aiuto; lì
bisognava essere un uomo. Ma lui non lo era ancora, e il
sacerdozio della passione d'amore imponeva una liturgia
di cui non sapeva niente. In quanto alla sacerdotessa,
non era nemmeno alle porte del tempio.
Così pervaso di una mistica sete di assoluto, il primo
bacio fu ovviamente drammatico e laborioso. Di ragazze
ne aveva baciate altre, e malgrado alcuni problemi di
coordinazione per evitare di cozzare i denti, nel
complesso era sempre venuto a capo delle difficoltà
tecniche dell'operazione. Ricavandone anche una certa
soddisfazione, che l'aveva sempre fatto sentire fiero di
essere come gli altri coetanei; e di potere, come loro,
prendere un'aria finemente esperta quando si parlava
della cosa. Aveva un giorno anche toccato e baciato le
poppe di quell'Arianna di cui poi non trovò il filo, così
lei l'aveva lasciato, stanca di tanta indecisione; ed era
partita per approdi più solidi.
Fin dalla più giovane età aveva avuto peraltro
l'occasione di assistere a conferenze di piccoli geografi
della vagina, spesso corredate da inquietanti mappe
tracciate sulla sabbia con bastoncini da gelato. E a
quelle non aveva proprio capito niente, ricavandone così
un misto di desiderio di approfondire personalmente le
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proprie conoscenze ed al tempo stesso di paura di
capitare un giorno in una regione così oscura e
inospitale.
Ma questo nuovo amore era l'universo stesso, e con
Euridice non ci sarebbero stati mezzi termini, né
pericolose esitazioni: bocca seno e vagina, il corpo
intero senza scalo, Colombo parte per le Indie e già che
c'é scopre l'America e cambia la faccia del mondo.
Scelse una tipica domenica d'inverno, di quelle in cui i
genitori, abitualmente davanti alla televisione tutto il
fine settimana, se ne vanno misteriosamente. Lui
sospettò spesso che lo facessero apposta, di tanto in
tanto, per permettere ai figli di diventare grandi e di
invitare le fidanzate.
Dopo un complesso cabotaggio per i corridoi di casa, a
intrecciare mani ed oscure allusioni -come al solitoall'amore libero, riuscì a pilotarla su un letto -il suo,
quello da bambino con ancora gli orsacchiotti che sua
madre ogni mattina disponeva accuratamente
sull'imbottita. Nonostante la sua inesperienza, Euridice
doveva immaginare che quello sarebbe stato il momento
del bacio, ma probabilmente era contenta di affrontare
quella prova importante con il suo « ragazzo ». Mai si
sarebbe aspettata che dietro quelle soffici ed innocenti
labbra di bimbo si celasse quella libido bislacca che fu
poi all'origine di tutto. Di tutto il bene e di tutto il male
che capitarono ad entrambi negli anni che seguirono.
La bocca, la lingua; poi una minima pressione del corpo
per ritrovarsi distesi, e la mano sotto la gonna, la mano
che va a frugare tra complessi indumenti intimi, a
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cercare di slacciare bottoncini, a passare sotto elastici;
uno slalom che richiede abilità e determinazione, con
una rapidità che colga alla sprovvista e raggiri ogni
possibile resistenza. Un lavoro da commando, o da
prestigiatore.
Non fu né l'uno né l'altro, ed il gioco di prestigio venne
patetico. Euridice sopportò qualche istante le sue
esplorazioni, poi s'irrigidì dalla testa ai piedi e si rialzò
senza dire una parola. Preso da un capogiro, terrorizzato
alla vista del suo tempio dell'amore che minacciava di
crollare, cercava disperatamente qualcosa da dire; ed
affogando in quella nebbia spessa sentì uscire dalla
propria bocca una frase goffa e banale, ma della cui
sincerità si sentì spesso fiero, ripensandoci tanti anni
dopo, così lontano da Euridice ed ancora di più dalla
dolcezza di quei baci giovani.
« Ma tu lo sai che se faccio questo é perché ti amo? »
In quel giro di parole era racchiuso tutto il groviglio di
sentimenti che si agitavano in lui. L'amore prima di
tutto, la prima vera dichiarazione, la prima volta che
usava il verbo « amare ». Gli pareva indispensabile,
nella sua solennità, a giustificare quella voracità quella
fame del corpo di lei che i suoi gesti avevano rivelato. E
proprio la necessità di giustificare il proprio desiderio
era già ammettere di essere pronto alla rinuncia, alla
capitolazione, a rendere le armi. Quella perifrasi
faticosa celava l'idea che il desiderio fosse qualcosa di
grave e cupo, che solo la sacralità dell'amore poteva
rendere accettabile. Che il suo giovane appetito potesse
dunque essere « inaccettabile »; ed il corrisponderlo non
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necessariamente un piacere, ma un atto morale
compiuto in nome dell'Amor Sacro.
Insomma un casino, ed Euridice, che aveva
semplicemente avuto paura, una paura innocente da
ragazzina, non pretendeva delle scuse così complicate, e
tantomeno una rinuncia. Del resto, lei stessa non era
sicura che quella paura fosse stata del tutto sgradevole.
Aveva sentito una valanga d'amore e di passione caderle
addosso. C'era qualcosa di bello, in quella sensazione
del tutto imprevista e sconosciuta. Ma tutto era successo
così in fretta che non le era stato dato il tempo di
desiderare a sua volta. E prima ancora che lei potesse
dire una parola -o pensarla- su ciò che aveva provato,
lui aveva già detto tutto, pronunciato e poi abiurato le
formule astruse di quel suo culto esoterico.
Restarono così, tristi e stupefatti, in una muta
contemplazione reciproca; ed in quell'osservarsi di
nascosto, con timore e con amore, tenendosi per mano
senza osare guardarsi, entrarono insieme, avanzando in
punta di piedi, in ciò che dovevano chiamare, con
politico rispetto, la vita sessuale.
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II
Nonna Aldina. Un nome così non s'inventa. Portava,
nonna, quel nomicino da bimba, e la faccina liscia e
paffuta che aveva nella culla l'aveva poi conservata così,
lungo quel secolo di tragedie e di guerre; le stesse che
avevano riempito gli altri di rughe, lei no. Forse perché
aveva attraversato la vita con un pigro fatalismo che le
aveva permesso di avvelenare placidamente l'esistenza
altrui, sganciando intorno a sé dolci e innocenti
cattiverie; subito da lei dimenticate, come assorbite dal
suo angelico sorriso.
Diabolicamente possessiva con l'unica figlia,
pazientemente ostile col genero, Aldina era riuscita ad
imporsi come un'indispensabile icona al centro della
famiglia. Alla morte del marito, lo aveva pianto con
gran fracasso dopo avergli con amore reso la vita
impossibile -vita che il nonno aveva bruciato nei filtri di
innumerevoli sigarette, sua grande consolazione. Poi si
era piazzata lì a casa loro, splendidamente depressa e
naturalmente incapace di ritornare all'antico domicilio
coniugale. Lì era il suo posto: non era lei l'adorata
mamma della sua unica figlia, e l'insostituibile nonna
dei bambini? E soprattutto, dettaglio martellato con
noncurante ma puntuale precisione, non era coi
sudatissimi risparmi suoi e del povero marito che era
stata comprata la casa della figlia? Povera bimba, non
era neanche stata capace di trovarsi un marito coi soldi,
nonostante gli sforzi intrapresi dai genitori -liceo
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