la FIlIazIonE E l`aDozIonE

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la FIlIazIonE E l`aDozIonE
Capitolo V
LA FILIAZIONE E L’ADOZIONE
Sommario: 1. La filiazione: profili generali. – 2. I diritti e i doveri dei figli. – 3. La potestà dei genitori e
l’usufrutto legale sui beni dei figli. – 4. La filiazione legittima. – 4.1. Azione di reclamo della legittimità.
– 4.2. Azione di contestazione della legittimità. – 4.3. Azione per il disconoscimento della paternità. – 5.
La filiazione naturale dopo la riforma. – 5.1. Riconoscimento del figlio generato al di fuori del matrimonio. – 5.2. Dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturale. – 5.3. L’abrogazione dell’istituto della legittimazione del figlio naturale. – 6. La filiazione adottiva: l’adozione dei maggiorenni. – 6.1.
Affidamento e adozione dei minori. – 7. La nuova tutela”rafforzata” dei diritti dei figli agli alimenti e
al mantenimento. – 8. La fecondazione artificiale (l. 40/2004).
1. La filiazione: profili generali
Dal punto di vista giuridico, il termine filiazione conosce due significati:
1) il primo è la filiazione-fatto, che indica l’atto di procreazione mediante il quale i genitori, con il loro contributo genetico e funzionale, provvedono alla fecondazione
dalla quale discende un nuovo soggetto (e si tratta della c.d. “filiazione di sangue”);
2) il secondo è la filiazione-rapporto, alla cui costituzione di norma presiede la filiazionefatto, e che si riferisce al rapporto giuridico che si instaura tra due soggetti definiti
come genitore e figlio.
La posizione di figlio costituisce uno stato familiare, alla quale sono ricollegati tanto dei diritti ed obblighi nei confronti del genitore, quanto il
riconoscimento pubblico della posizione filiale.
La riforma del diritto di famiglia, intervenuta in Italia nel 1975 ad opera della L.
n. 151, ha, tuttavia, operato una quasi totale equiparazione tra filiazione legittima e
filiazione naturale, attenuando le disparità di trattamento in ossequio ad una piena attuazione del dettato costituzionale di cui all’art. 30, in virtù del quale “la legge assicura ai
figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale compatibile con i diritti dei membri
della famiglia legittima.”
La legge 10 dicembre 2012, n. 219 (disposizioni in materia di riconoscimento dei
figli naturali) ha apportato una sostanziale modifica della disciplina della filiazione che
configura un nuovo assetto giuridico dei rapporti familiari e si propone l’obiettivo di
assicurare l’equiparazione tra figli legittimi e naturali, completando il lungo cammino
iniziato già con la riforma del diritto di famiglia.
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È stata finalmente formulata una nozione univoca sia di filiazione, sia di parentela,
consentendo anche al figlio nato fuori dal matrimonio e al figlio adottivo (escludendo la
sola ipotesi di adozione del maggiorenne) di potere far riferimento a tutti i membri della
famiglia del genitore naturale o adottante (rispetto ai quali acquistano anche i diritti successori); in buona sostanza con la riforma tutti i figli acquistano lo stesso stato giuridico
e hanno diritto di crescere in famiglia e mantenere rapporti significativi con i parenti,
indipendentemente dal fatto che siano o meno nati in costanza di matrimonio.
La legge 219/2012, all’art.11 ha altresì previsto che, nel codice civile, le parole: «figli
legittimi» e «figli naturali», ovunque ricorrono, sono sostituite dalla seguente: «figli».
Il rapporto di filiazione non trova necessariamente il suo fondamento nella dimensione biologica. In particolare, nella filiazione adottiva il legame giuridico di
filiazione è stabilito dall’intervento del giudice, in assenza dell’atto di procreazione. Esso
trova il suo fondamento in un atto di volontà, con cui un soggetto riconosce lo status di
figlio ( adottivo se si tratta di adozione di persone maggiori di età) ad un altro soggetto
che non è stato da lui procreato.
La legge 10 dicembre 2012, n. 219 contiene invece una delega al governo per la revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione: in particolare prevede che il Governo adotti entro dodici
mesi dalla data di entrata in vigore della legge uno o più decreti legislativi di modifica delle disposizioni vigenti in materia di filiazione e di dichiarazione dello stato di adottabilità, per eliminare ogni
discriminazione tra i figli, anche adottivi, nel rispetto dell’art. 30 della Costituzione, osservando oltre
ai principi di cui ai nuovi articoli 315 e 315 bis del Codice civile, alcuni principi e criteri direttivi
dettagliatamente indicati nel testo di legge.
Tra le deleghe più significative vanno senz’altro menzionate quelle relative al libro I del codice civile
ed in particolare alla disciplina del possesso di stato e della prova della filiazione (che dovranno essere
ridefinite prevedendo che la filiazione fuori dal matrimonio possa essere accertata giudizialmente con
ogni mezzo idoneo), alla presunzione di paternità del marito (che dovrà essere estesa rispetto ai figli comunque nati o concepiti durante il matrimonio), alle azioni relative al riconoscimento o al disconoscimento
dei figli (in particolare è prevista da un lato l’estensione del principio dell’inammissibilità del riconoscimento di cui all’art. 253 c.c. a tutte le ipotesi in cui il riconoscimento medesimo è in contrasto con
lo stato di figlio riconosciuto o giudizialmente dichiarato, e dall’altro la modificazione della disciplina
dell’impugnazione del riconoscimento con la limitazione dell’imprescrittibilità dell’azione solo per il
figlio e con l’introduzione di un termine di decadenza per l’esercizio dell’azione da parte degli altri
legittimati), alla legittimazione degli ascendenti a far valere il diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minori, ai presupposti per lo stato di adottabilità (in particolare la nozione di abbandono
morale e materiale dei figli dovrà essere specificata con riguardo alla provata irrecuperabilità delle
capacità genitoriali in un tempo ragionevole da parte dei genitori, fermo restando che le condizioni
di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo
all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia), alla unificazione delle disposizioni che disciplinano i diritti e i doveri dei genitori nei confronti dei figli nati nel matrimonio e dei figli nati fuori
del matrimonio (delineando la nozione di responsabilità genitoriale quale aspetto dell’esercizio della
potestà genitoriale). È inoltre previsto l’adeguamento della disciplina relativa all’inserimento del figlio
riconosciuto nella famiglia dell’uno o dell’altro genitore al principio dell’unificazione dello stato di figlio,
demandando esclusivamente al giudice la valutazione di compatibilità di cui all’art. 30, co. 3, Cost.
Tra le novità più importanti è anche da segnalare l’accoglimento del principio di discernimento del figlio
minore di età con il conseguente corollario di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano.
Si tratta di una misura che tiene conto della prassi normativa internazionale che ha trovato pieno
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riconoscimento nella Convenzione di New York del 1989 e nella Carta di Nizza, in virtù delle quali il
minore capace di discernimento deve essere coinvolto e sentito nelle scelte di vita che lo riguardano.
Tale partecipazione potrà essere molto ampia mediante la manifestazione del consenso dell’interessato
oppure più ristretta con il semplice ascolto, ma si tratta di un importante principio che all’estero ha
trovato attuazione già da molto tempo.
Non mancano d’altro canto deleghe relative al libro II del Codice civile, volte a garantire l’adeguamento della disciplina delle successioni e delle donazioni al principio di unicità dello stato di figlio,
prevedendo anche riguardo ai giudizi pendenti, una disciplina che assicuri la produzione degli effetti
successori riguardo ai parenti anche per gli aventi causa del figlio naturale premorto o deceduto nelle
more del riconoscimento e conseguente estensione delle azioni di petizione di cui agli articoli 533
e ss. c.c.
2. I diritti e i doveri dei figli
La legge ricollega alla qualità personale di figlio una molteplicità di diritti e doveri,
che prescindono dalla formale attribuzione dello stato.
I principali diritti che il figlio acquista fin dalla nascita nei confronti dei genitori
sono quelli:
a) al mantenimento;
b) all’assistenza morale;
c) all’educazione ed istruzione secondo le proprie capacità, inclinazioni naturali ed aspirazioni (arg. ex artt. 147, 261, 279 c.c.).
Con riferimento ai diritti all’educazione ed istruzione merita osservare che la prestazione dei relativi
mezzi economici rientra nell’obbligo di mantenimento e permane anche oltre la maggiore età, finché
il figlio non sia in grado di realizzare la propria autonomia economica.
I genitori sono obbligati in solido al mantenimento del figlio, di talché questi potrà
agire nei confronti di ciascun genitore per l’intero; con riferimento ai rapporti interni,
invece, opera la disposizione di cui all’art. 148 c.c. a tenore della quale i genitori contribuiscono agli obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e
secondo la loro rispettiva capacità di lavoro.
Altro diritto fondamentale del figlio è quello di essere identificato con
un cognome, che nell’ipotesi di filiazione legittima, conformemente alla tradizione,
è quello del padre. Qualora si tratti di filiazione naturale, il figlio assume il cognome
del genitore che per primo lo ha riconosciuto, ma se il riconoscimento è effettuato
contemporaneamente da entrambi i genitori, assume ex lege quello del padre. Se, infine,
la filiazione nei confronti del padre sia accertata successivamente al riconoscimento da
parte della madre, il figlio può, se vuole, assumere il cognome del padre con possibilità
di aggiungerlo o sostituirlo a quello della madre.
Alla posizione di figlio non sono riconnesse soltanto posizioni giuridiche soggettive
attive, ma anche dei doveri.
Per effetto della legge 10 dicembre 2012, n. 219, di riforma della filiazione, è
stato novellato l’art. 315 c.c. che adesso, sotto la rubrica,”stato giuridico della filiazione”,
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dispone che”tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico”, e introdotto nel Codice civile
l’art. 315 bis che, rubricato”diritti e doveri del figlio”, prevede che il figlio ha diritto di
essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle
sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni. Il figlio ha diritto di
crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti. Il figlio minore
che abbia compiuto gli anni dodici, o anche di età inferiore ove capace di discernimento,
ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. Il figlio
deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie
sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa.
3. La potestà dei genitori e l’usufrutto legale sui beni dei figli
I figli sono soggetti alla potestà dei genitori sino all’età maggiore o all’emancipazione (art. 316 c.c.).
La titolarità della potestà spetta ad entrambi i genitori, ma nell’ipotesi di filiazione
naturale risultante nei confronti di uno solo, essa spetta esclusivamente a quest’ultimo.
La titolarità della potestà va distinta dall’esercizio della stessa.
L’esercizio della potestà spetta di regola ai genitori titolari della potestà, ma può
accadere che esso sia attribuito esclusivamente ad uno di essi (c.d.“esercizio esclusivo della potestà”); in questo caso, l’altro genitore non ne perde la titolarità (arg. ex art. 317, co. 2, c.c.).
Al di fuori dei casi di esercizio esclusivo, la potestà deve essere esercitata di comune
accordo da entrambi i genitori (art. 316, co. 2, c.c.). Qualora si verifichi un contrasto su
questioni di particolare importanza ciascuno dei genitori può ricorrere senza formalità
al tribunale dei minori indicando i provvedimenti che ritiene più idonei; il giudice, sentiti i genitori ed il figlio (se ultraquattordicenne), suggerisce le soluzioni che ritiene più
idonee (che non necessariamente debbono coincidere con quelle indicate dai genitori)
(art. 316, co. 3 e 5, c.c.).
Infine, nell’ipotesi in cui sussista un incombente pericolo di un grave pregiudizio per il figlio, la legge, con una disposizione di dubbia legittimità costituzionale,
attribuisce al solo padre il potere di adottare i provvedimenti urgenti e indifferibili (art.
316, co. 4, c.c.).
I genitori esercenti la potestà rappresentano i figli (anche nascituri) in tutti gli
atti civili e ne amministrano i beni:
– gli atti di ordinaria amministrazione possono essere compiuti disgiuntamente da ciascun genitore, eccezion fatta per i contratti con i quali si concedono o si acquistano
diritti personali di godimento (art. 320, co. 1, c.c.); in caso di disaccordo è possibile
l’intervento del giudice secondo le modalità sopra illustrate;
– gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione possono invece essere compiuti solo in caso
di necessità o utilità evidente per il figlio, previa autorizzazione del giudice tutelare
(art. 320, co. 3, c.c.). Qualora sorga un conflitto d’interesse tra genitori e figlio soggetto alla potestà, ovvero tra figli soggetti alla stessa potestà, o, ancora, nell’ipotesi
in cui i genitori non possano o non vogliano compiere atti eccedenti l’ordinaria
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amministrazione nell’interesse del figlio, è previsto l’intervento del giudice tutelare
tramite la nomina di un curatore speciale (art. 320, co. 4; art. 321 c.c.).
Gli atti compiuti in violazione delle norme esposte, sono annullabili su istanza dei
genitori esercenti la potestà, del figlio o dei suoi eredi o aventi causa (art. 322 c.c.).
Ai genitori (o al genitore) che abbiano l’esercizio della potestà, spetta l’usufrutto
legale sui beni dei figli minori (art. 324, co. 1; art. 327 c.c.) eccezion fattasi per quelli
specificamente indicati al co. 3 dell’art. 324 c.c.
In particolare non sono oggetto dell’usufrutto legale:
1) i beni acquisiti dal figlio con i proventi del proprio lavoro;
2) i beni lasciati o donati al figlio per intraprendere una carriera, un arte o una professione;
3) i beni lasciati o donati al figlio a condizione che i genitori esercenti la potestà o uno
di essi non ne abbiano l’usufrutto, salva però in quest’ultimo caso l’ipotesi in cui i
beni spettino al figlio a titolo di legittima non operando in tale ipotesi la predetta
condizione;
4) i beni pervenuti al figlio per eredità, legato o donazione e accettati nell’interesse del
figlio contro la volontà dei genitori esercenti la potestà (se, però, uno dei genitori era
favorevole all’accettazione, l’usufrutto legale spetta esclusivamente a lui).
4. La filiazione legittima
La filiazione legittima (non si dimentichi che, per effetto della legge 10 dicembre
2012, n. 219, è venuta meno la distinzione tra figlio legittimo e naturale, cosicché si deve
parlare semplicemente di figlio) si ha quando ricorrono quattro presupposti:
1) un matrimonio valido o putativo tra i genitori;
2) un figlio partorito dalla donna sposata,
3) e generato dal marito;
4) l concepimento avvenuto in costanza di matrimonio.
I primi due presupposti non comportano difficoltà di prova, mentre per accertare
che il figlio è stato concepito dal marito e in costanza di matrimonio, il legislatore interviene con la disciplina delle presunzioni (artt. 231, 232 co. 1 e 233 c.c.).
L’art. 231 c.c. rubricato”paternità del marito” contiene la c.d. “presunzione di paternità”,
prescrivendo che “il marito è padre del figlio concepito durante il matrimonio”.
L’art. 232 c.c., al co. 1, fissa, invece, la presunzione di concepimento durante il matrimonio in base alla quale “si presume concepito durante il matrimonio il figlio nato quando
sono trascorsi centottanta giorni dalla celebrazione del matrimonio e non sono ancora trascorsi
trecento giorni dalla data dell’annullamento, dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili
del matrimonio”.
Si tratta di una presunzione assoluta diretta ad impedire nei confronti di chi sia
nato entro i limiti previsti dalla norma ogni contestazione circa lo status di figlio legittimo (per effetto della legge 10 dicembre 2012, n. 219, è venuta meno la distinzione tra
figlio legittimo e naturale, cosicché si deve parlare semplicemente di figlio).
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Tale status si prova con l’atto di nascita, che è il titolo dello stato, e cioè l’elemento necessario per l’accertamento ufficiale della qualifica di figlio; quando manca l’atto di nascita, la
prova della filiazione può essere fornita mediante il c.d.“possesso di stato”, protratto nel tempo.
Il possesso di stato risulta da una serie di fatti che, nel loro complesso, dimostrano la relazione
di filiazione e di parentela fra una persona e la famiglia a cui essa pretende di appartenere.
4.1. Azione di reclamo della legittimità
L’azione di reclamo della legittimità, consente, a chi ne è privo, di acquistare lo status di figlio legittimo (per effetto della legge 10 dicembre 2012, n. 219, è
venuta meno la distinzione tra figlio legittimo e naturale, cosicché si deve parlare semplicemente di figlio), non risultante dall’atto di nascita (art. 249 co. 1 c.c.).
L’azione di reclamo è ipotizzabile non solo quando manchi l’atto di nascita, ma
anche quando da tale atto risultino genitori diversi da quelli effettivi, ovvero risulti una
nascita da genitori ignoti, o ancora risulti che il figlio sia stato riconosciuto da uno o
da entrambi i genitori:
– legittimato attivo è il figlio; nel caso in cui egli non l’abbia promossa e sia morto in età
minore o nei cinque anni dopo aver raggiunto la maggiore età, l’azione può, tuttavia,
essere promossa dai suoi discendenti;
– legittimati passivi sono entrambi i genitori e in loro mancanza i loro eredi.
L’azione di reclamo è imprescrittibile riguardo al figlio.
4.2. Azione di contestazione della legittimità
Quando si intenda rimuovere lo status di figlio legittimo (per effetto della legge
10 dicembre 2012, n. 219, è venuta meno la distinzione tra figlio legittimo e naturale,
cosicché si deve parlare semplicemente di figlio) risultante dall’atto di nascita, si ricorre
all’azione di contestazione della legittimità.
Le ipotesi in cui è ammessa l’azione di contestazione della legittimità (a seguito della
riforma non più stabiliti specificamente dall’art. 248 c.c.) sono:
a) la supposizione di parto, che si verifica quando nei registri dello stato civile viene fatta
figurare una madre diversa da quella che ha effettivamente partorito;
b) la sostituzione di neonato;
c) la mancanza del vincolo matrimoniale tra i genitori.
La legittimazione attiva spetta a chiunque vi abbia interesse (art. 248 c.c.) e nel
giudizio devono essere chiamati entrambi i genitori. Inoltre, essendo il rapporto di
filiazione l’oggetto del giudizio di contestazione, anche il figlio, in qualità di parte del
rapporto, è legittimato all’azione ex art. 248 c.c.
4.3. Azione per il disconoscimento della paternità
L’azione per il disconoscimento della paternità riguarda i casi in cui il
marito della donna che ha partorito, menzionato nell’atto di nascita come
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padre del bambino, non sia tale nella realtà. Si tratta, dunque, di un’azione che
mira a rimuovere lo stato di figlio legittimo (per effetto della legge 10 dicembre 2012,
n. 219, è venuta meno la distinzione tra figlio legittimo e naturale, cosicché si deve
parlare semplicemente di figlio), attraverso il superamento della presunzione legale di
paternità.
Ai sensi dell’art. 235 c.c. l’azione per il disconoscimento della paternità del figlio
(quando siano decorsi 180 giorni dalla celebrazione del matrimonio) è consentita:
1) quando nel periodo compreso tra il trecentesimo e il centottantesimo giorno prima della nascita, i coniugi non hanno coabitato. La non coabitazione deve essere
interpretata come mancanza di rapporti fisici. E ciò significa che, essa comprende,
anche, quelle ipotesi in cui i coniugi, ad es., hanno condiviso un alloggio, vissuto
nella stessa città o, comunque, abbiano avuto possibilità di incontrarsi, ma, particolari
circostanze di luogo e di tempo, nonché, condizioni personali e soggettive, rendano
improbabile il verificarsi di rapporti intimi (art. 235, co. 1, n. 1, c.c.).
2) quando nel periodo predetto il marito era impotente, riferendosi la norma sia all’impossibilità del soggetto di avere rapporti sessuali (impotentia coeundi) sia a quella di
generare (impotentia generandi) (art. 235, co. 1, n. 2, c.c.).
3) quando, nel periodo predetto, la moglie ha commesso adulterio o ha tenuto celata al
marito la propria gravidanza e la nascita del figlio (art. 235, co. 1, n. 3, c.c.).
Ai fini del disconoscimento della paternità, non è tuttavia sufficiente la ricorrenza
di uno dei tre presupposti sopra indicati, che rilevano esclusivamente ai fini dell’ammissibilità dell’azione: occorre, infatti, provare in giudizio che il figlio non è stato
concepito dal presunto padre.
5. La filiazione naturale dopo la riforma
La filiazione naturale si riferisce ai figli nati o concepiti al di fuori del
matrimonio.
Il legislatore del 1975, recependo quelle tendenze dottrinali e giurisprudenziali,
nell’ambito delle quali gran parte ha avuto la giurisprudenza costituzionale, ha ridimensionato le differenze esistenti tra il trattamento riservato ai figli naturali e quello relativo
ai figli legittimi; opera completata dalla legge 10 dicembre 2012, n. 219.
5.1. Riconoscimento del figlio generato al di fuori del matrimonio
Il riconoscimento del figlio (definito, prima della legge 10 dicembre 2012, n.
219 che ha fatto venir meno la distinzione tra figli legittimi e naturali, come naturale)
consiste nell’attestazione formale, proveniente dal genitore, di avere generato
un’altra persona al di fuori del matrimonio.
Col riconoscimento il figlio acquista lo status di figlio nei confronti di chi lo ha riconosciuto (art. 258, co. 1, c.c.). Da tale status deriva che il genitore che ha riconosciuto
il figlio assume nei confronti di questo gli stessi diritti e doveri che ha rispetto ai figli
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nati in costanza di matrimonio (art. 261 c.c.) ed esercita la potestà su di lui. Inoltre, il
figlio acquista il cognome del genitore che lo ha riconosciuto per primo, o se è stato
riconosciuto da entrambi i genitori, quello del padre.
Il riconoscimento è fatto nell’atto di nascita, oppure con un’apposita dichiarazione
posteriore alla nascita o al concepimento, davanti all’ufficiale dello stato civile, o in un atto
pubblico o in un testamento, qualunque sia la forma di questo (art. 254, co. 1, c.c.). Prima
dell’abrogazione del relativo procedimento (ad opera della legge 219/2012), la domanda di
legittimazione di un figlio naturale presentata al giudice, o la dichiarazione della volontà di
legittimarlo espressa dal genitore in un atto pubblico o in un testamento, importava riconoscimento, anche se la legittimazione non avesse avuto luogo (art. 254, co. 1, c.c.).
Si tratta di un atto di diritto familiare personale, unilaterale, irrevocabile
(art. 256 c.c.) e puro (art. 257 c.c.) che può essere compiuto, tanto congiuntamente
quanto separatamente, dalla madre e dal padre, anche se già uniti in matrimonio con
altra persona all’epoca del concepimento (art. 250 c.c., a seguito della nuova formulazione derivante dalla legge 10 dicembre 2012, n. 219).
Quanto al procedimento, occorre segnalare che, per effetto della di riforma in
materia di riconoscimento dei figli (un tempo naturali) è stato novellato:
a) si è proceduto all’abbassamento della soglia di età oltre la quale è richiesto l’assenso
del minore ai fini del riconoscimento (portata da sedici a quattordici anni);
b) è stata data una specifica regolamentazione processuale dell’azione di riconoscimento, maggiormente dettagliata specie in relazione alle ipotesi di opposizione del
genitore che per primo abbia riconosciuto il figlio, all’esito della quale il giudice,
con la sentenza che tiene luogo del consenso mancante, dovrà assumere i provvedimenti opportuni in relazione all’affidamento e al mantenimento del minore ai sensi
dell’art. 315-bis c.c. e al suo cognome ai sensi dell’art. 262 c.c.;
c) è stato ammesso il riconoscimento del figlio da parte di genitori infrasedicenni, ove il
giudice li autorizzi valutate le circostanze e avuto riguardo all’interesse del figlio.
Altra importante novità apportata dalla legge 10 dicembre 2012, n. 291 è contenuta
nella nuova formulazione dell’art. 251 c.c. che consente, previa autorizzazione giudiziale che
tenga conto dell’interesse del figlio e della necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio,
il riconoscimento dei c.d. “figli incestuosi” – ossia di quei figli generati da genitori tra i quali
sussista un vincolo di parentela (in linea retta all’infinito o in linea collaterale fino al secondo
grado) o di affinità fino al secondo grado – , abrogando il tradizionale divieto.
Il riconoscimento formalmente valido può essere impugnato:
a) per difetto di veridicità (art. 263 c.c.);
b) per violenza (265 c.c.);
c) nell’ipotesi di interdizione giudiziale di colui che lo effettua (266 c.c.).
5.2. Dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturale
Il figlio (definito, prima della legge 10 dicembre 2012, n. 219 che ha fatto venir
meno la distinzione tra figli legittimi e naturali, come naturale) può conseguire l’ac-