Dizionario delle Scienze Fisiche Treccani: La sezione d`urto
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Dizionario delle Scienze Fisiche Treccani: La sezione d`urto
Sezione d’urto F. Cordero G. Ruocco 26 ottobre 1992 Sezione d’urto Grandezza riferita ad un processo di collisione o diffusione di un fascio di particelle o di un’onda piana su di un bersaglio. Tale grandezza è il rapporto tra il flusso uscente del fascio o dell’onda e quello entrante, in funzione della sua direzione ed energia finali. La s. di diffusione è la grandezza che si misura in un esperimento di diffrazione o di diffusione anelastica di radiazione elettromagnetica (raggi X, luce, . . . ), neutroni od altre particelle da parte di un campione di cui si vuole studiare la struttura e la dinamica atomica. (Vedi anche: Sezione d’urto di collisione; Neutroni, diffrazione dei; Neutroni, diffusione anelastica dei; Raggi X, diffrazione dei; Raggi X, diffusione dei) Indice 1. Introduzione. 2. Definizione ed espressione della sezione d’urto differenziale di diffusione. 3. Calcolo della sezione d’urto differenziale di diffusione. 3a. 3b. 3c. 3d. Diffusione di neutroni termici. Diffusione di raggi X. Diffusione di elettroni Diffusione della luce. 4. Conclusioni. 4a. Considerazioni generali. 4b. Sezione d’urto elastica ed anelastica. 4c. Sezione d’urto coerente e incoerente. 1 1 Introduzione Il caso più semplice in cui si introduce il concetto di s. è quello di un fascio di luce intercettato da un corpo solido che la assorbe; se il fronte d’onda è piano, le dimensioni trasversali del corpo sono molto maggiori della lunghezza d’onda della luce λ e si trascura la diffrazione ai bordi, allora il corpo proietta un’ombra la cui superficie è pari alla sezione trasversale del corpo stesso (s. di assorbimento). Nel caso in cui la luce (o più in generale un fascio di particelle) venga intercettato da un mezzo non assorbente (o comunque poco assorbente) si osserva il fenomeno della diffusione. Ciò avviene quando il bersaglio risulta non omogeneo su distanze paragonabili a λ, e l’interferenza tra le onde diversamente diffuse dalle varie zone del bersaglio fa sı̀ che l’onda incidente venga diffusa anche in altre direzioni. Se λ è confrontabile con le distanze interatomiche (cosa che si verifica quando il fascio incidente e’ composto da neutroni termici o raggi X) si ha interferenza tra le onde diffuse dai singoli atomi o molecole costituenti il bersaglio. Se parte del fascio incidente è deviata in altre direzioni, il fascio trasmesso in avanti risulta attenuato e, come generalizzazione del concetto di s. di assorbimento, si introduce la s. di diffusione come una misura dell’”ombra” prodotta dal corpo. La s. di diffusione risulta uguale alla sezione trasversale di un corpo totalmente assorbente che produrrebbe una attenuazione del fascio trasmesso in avanti pari a quella che si verifica per diffusione. Dal momento che gli atomi o molecole costituenti il bersaglio non sono fermi ma posseggono una propria dinamica, il fascio potrà anche essere diffuso con energia (e quindi lunghezza d’onda) diversa da quella incidente. Si introduce quindi il concetto di s. differenziale parziale di diffusione che ci dice quanta parte del fascio incidente è diffusa ad un dato angolo e con una data energia (lunghezza d’onda). L’integrale su tutti gli angoli e su tutte le energie della s. differenziale parziale è pari alla s., perciò anche detta s. integrata o s. totale. Le componenti del fascio diffuso che hanno lunghezza d’onda uguale a quella incidente si dicono diffuse elasticamente, viceversa si dicono componenti anelastiche quelle con lunghezza d’onda diversa da λ. Quando la rivelazione dell’onda diffusa non è risolta in energia oppure quando si ha ragione di credere che la diffusione sia totalmente elastica si parla di diffrazione piuttosto che di diffusione. In esperimenti di diffrazione si ottengono informazioni sulla struttura del bersaglio (es. diffrazione di Bragg). Quando viceversa la rivelazione è risolta in energia si parla di diffusione anelastica o, con l’equivalente termine inglese, di scattering. E’ anche usato il termine spettroscopia per indicare fenomeni e/o esperimenti di diffusione anelastica, ma con tale termine si indicano anche i fenomeni di assorbimento e più in generale qualunque esperimento in cui si misuri l’intensità dell’onda risolta in energia. In esperimenti di diffusione anelastica si hanno informazioni sulla dinamica microscopica del bersaglio. Non esiste comunque una netta distinzione tra diffrazione e scattering, dato che in entrambi i casi si tratta dell’interferenza tra onde diffuse dagli atomi costituenti il bersaglio. Se la lunghezza d’onda del fascio incidente è sufficientemente corta, allora le particelle del fascio interagiscono con le singole particelle elementari costituenti gli atomi del bersaglio e si parla di fenomeni di collisione (vedi s. di collisione). 2 2 Definizione ed espressione della sezione d’urto differenziale di diffusione. La geometria di un esperimento di diffusione è mostrata in fig. 1. Un flusso di particelle di massa m con impulso h̄k ed energia E incide su un bersaglio; tale fascio equivale ad un’onda piana di lunghezza d’onda λ = 2π/k che si propaga nella direzione k̂ con densità di corrente j = ρv, ρ essendo la densità di particelle e v la loro velocità. Un rivelatore di superficie dS posto nella direzione r̂ ad una distanza r dal bersaglio conta il numero di particelle che vengono diffuse nell’angolo solido dΩ = dS/r2 . Trattiamo inizialmente il caso elastico in cui l’interazione è indipendente dal tempo. La s. differenziale di diffusione è allora definita come il rapporto fra il numero di particelle rivelate nell’unità di tempo nell’angolo solido dΩ e la densità di flusso j delle particelle incidenti, diviso per dΩ: ∂σ j 0 (r̂)r2 = ∂Ω j (1) dove j 0 (r̂)dS è il flusso di particelle sul rivelatore. L’unità di misura della s. in fisica della materia è il barn (1 barn = 10−28 m2 ). La trattazione seguente si sviluppa nell’ambito della teoria della risposta lineare per la validita’ della quale si suppone che l’entita’ della energia di interazione tra l’onda incidente ed il bersaglio sia piccola rispetto alle energie dei sistemi noninteragenti. Nel caso in cui l’onda incidente sia radiazione elettromagnetica, l’ampiezza ψ(r) di questa onda in interazione con il bersaglio soddisfa l’equazione: (∇2 + k 2 )ψ(r) = φ(r)ψ(r) (2) dove il potenziale ridotto φ(r) rappresenta l’interazione onda-bersaglio. Per un fascio di particelle viceversa l’ampiezza dell’onda ψ(r) è soluzione dell’equazione di Schroedinger h −h̄2 ∇2 2m i + V (r) − E ψ(r) = 0 (3) V (r) essendo l’energia di interazione col bersaglio e E = h̄2 k 2 /(2m) l’energia cinetica delle particelle costituenti il fascio incidente in regioni di spazio lontane dal bersaglio, dove V (r) ≈ 0; la (3) equivale alla (2) se definiamo φ(r) = (2m/h̄2 )V (r). Nota la funzione ψ(r), si possono ricavare le densità di corrente da sostituire nell’eq. (1), che sono date da: j(r) = Re{< ψ|p̂/m|ψ >} (4) dove p̂ = −ih̄∇ è l’operatore impulso. Per l’onda incidente risulta j = h̄k/m. A distanze grandi rispetto alle dimensioni del bersaglio la ψ può essere scritta in una forma che ricorda il principio di Huygens (v. ???): 0 eik r f (k̂, k̂0 ) (5) r Il primo termine della (5) è l’onda incidente, la maggior parte della quale passa indisturbata attraverso il bersaglio a causa della ipotizzata debolezza dell’interazione. Il secondo termine della (5) è un’onda sferica diffusa dal bersaglio posto in r = 0, la cui ampiezza è modulata dall’ampiezza di diffusione f (k̂, k̂0 ), che è la grandezza da determinare. Sostituendo la (5) nella (4) otteniamo: ψ(r) = eik·r + j 0 (r) = h̄k 0 |f (k̂, k̂0 )|2 m r2 3 (6) da cui k0 ∂σ = |f (k̂, k̂0 )|2 (7) ∂Ω k Per calcolare l’ampiezza di diffusione bisogna risolvere la (2). Questa può essere considerata un’equazione differenziale non omogenea per la ψ con termine noto uguale a ψφ e può quindi essere risolta con il metodo di Green secondo cui: Z ψ(r) = e ik·r + d3 r0 G(r − r0 )ψ(r0 )φ(r̄0 ) (8) Il primo termine è la soluzione dell’equazione omogenea (cioè con φ = 0), mentre la G(r) è la funzione di Green, che soddisfa (∇2 + k 2 )G(r) = δ(r), (9) δ(r) essendo la funzione di Dirac, ed è quindi un’onda sferica G(r) = − 1 eikr . 4π r (10) La (8) è una equazione integrale per la ψ e può essere risolta con una tecnica perturbativa se il secondo termine è piccolo: Z ψ (n) (r) = eik·r + d3 r0 G(r − r0 )ψ (n−1) (r0 )φ(r0 ) (11) La (11) è la cosiddetta serie di Born, che può essere calcolata iterativamente a partire da ψ (0) (r) = eik·r . Fermandosi al termine con n = 1 si ha l’approssimazione di Born, anche detta approssimazione di diffusione singola. Con questa approssimazione si trascura cioè l’eventualità che parte dell’onda sia diffusa più volte da parti diverse del bersaglio. Sostituendo la (10) nella (11) con n = 1 si ottiene la ψ in approssimazione di Born: 0 ψ (1) (r) = e ik·r 1 eik r − 4π r Z 0 0 0 d3 r0 e−ik ·r φ(r0 )eik·r (12) Nella (12) si è fatta l’ipotesi che il bersaglio, e quindi la regione di integrazione di r0 , sia molto più piccola di r e quindi k|r − r0 | ≈ k 0 r − k0 · r0 . La (12) può essere espressa in forma più compatta definendo lo stato di onda piana < r|k >= eik·r e notando che l’integrale è l’elemento di matrice < k0 |φ|k > di φ fra le due onde piane |k > e |k0 >, che coincide con la trasformata spaziale di Fourier di φ(r) calcolata in q = k−k0 , φ̃(q). Confrontando con la (5) si ottiene l’espressione dell’ampiezza di diffusione elastica 1 1 < k0 |φ|k >= − φ̃(q) (13) f (k̂, k̂0 ) = − 4π 4π e della s. elastica 1 1 dσ = | < k0 |φ|k > |2 = |φ̃(q)|2 (14) 2 dΩ (4π) (4π)2 Nel caso anelastico si definisce la s. differenziale parziale, che è il numero di particelle con energia compresa fra E 0 e E 0 + dE 0 rivelate nell’angolo solido dΩ nell’unità di tempo, diviso per la densità del flusso incidente, e può essere espressa come P (k, i → k0 , f ) d2 n ∂2σ = 0 ∂Ω∂E j dΩdE 0 4 (15) dove P (k, i → k0 , f ) è la probabilità per unità di tempo che l’onda incidente k venga diffusa in k0 con energia E 0 , facendo passare il bersaglio dallo stato i a quello f ; dn/dE 0 è la densità degli stati dell’onda uscente. Per calcolare quest’ultima supponiamo che l’esperimento avvenga in un volume V0 ; il numero di stati di onda piana è dn = V0 (2π)−3 d3 k 0 = V0 (2π)−3 k 02 dk 0 dΩ da cui, ricordando che E 0 = h̄k 02 /2m, segue d2 n V0 mk 0 . = dΩdE 0 (2π)3 h̄2 (16) La P (k, i → k0 , f ) può essere calcolata al primo ordine della teoria delle perturbazioni dipendenti dal tempo (regola d’oro di Fermi) come P (k, i → k0 , f ) = 2π | < ψk0 , f |V̂ (r, {R})|ψk , i > |2 δ(E + Ei − Ef ) h̄ (17) Si è supposto che l’hamiltoniana totale possa essere separata come Ĥtot = Ĥ({R}) + T̂ (r) + V̂ (r, {R}), dove Ĥ è l’hamiltoniana del bersaglio, {R} indicando l’insieme delle coordinate delle particelle che lo costituiscono. Gli autostati |j > di Ĥ hanno energia Ej e formano un sistema ortonormale e completo: X < i|j >= δij , |j >< j| = 1̂ . (18) j −1/2 La T̂ è l’energia cinetica dell’onda libera le cui autofunzioni |ψk >= V0 |k > sono onde piane normalizzate a 1 nel volume V0 in cui si svolge l’esperimento. Infine V̂ (r, {R}) è l’energia di interazione onda-bersaglio. La funzione di Dirac nella (17) esprime la conservazione dell’energia, E essendo l’energia ceduta dal fascio al bersaglio. Mettendo insieme le (15)-(17) e ricordando che la densità di flusso incidente è h̄k/mV , si ottiene ³ m ´2 k 0 d2 σ = | < k0 , f |V̂ (r, {R}|k, i > |2 δ(E + Ei − Ef ) dΩdE 2πh̄2 k (19) Il bersaglio si trova in equilibrio termico e quindi il suo stato microscopico i non è noto o controllabile, cosı̀ come non lo è quello finale; quindi, per ottenere la probabilità che l’onda k venga diffusa in k0 bisogna eseguire una media termica sugli stati iniziali i e una somma su quelli finali f . Ricordando che la probabilità di uno stato i è data dalla distribuzione di Boltzmann, e−Ei /kT , e usando la relazione δ(E) = Z +∞ dt −∞ 2πh̄ E e−i h̄ t (20) si trasforma la (19) in d2 σ 1 k0 = dΩdE (4π)2 k Z +∞ dt −∞ 2πh̄ E e−i h̄ t X e−Ei /kT < i|φ̃∗ (q)|f >< f |e+i Ef h̄ t Ei φ̃(q)e−i h̄ t |i > . i,f (21) Usando la relazione di completezza (18) e applicando la rappresentazione di Heisenberg di Ĥ Ĥ un operatore, Â(t) = e+i h̄ t Âe−i h̄ t , all’operatore φ̃(q) (contenente le coordinate atomiche del bersaglio su cui agisce l’hamiltoniana Ĥ) si ottiene finalmente ∂2σ 1 k0 = ∂Ω∂E (4π)2 k Z +∞ dt −∞ 2πh̄ E e−i h̄ t < φ̃∗ (q, 0)φ̃(q, t) > (22) dove la media termica e configurazionale sul bersaglio è indicata con < ... >, ed E è l’energia ceduta dal fascio al bersaglio. La (22) generalizza la (14) al caso non elastico. 5 3 Calcolo della sezione d’urto differenziale di diffusione. 3a. Diffusione di neutroni termici. I neutroni termici (con energie quindi dell’ordine dei decimi di elettronvolt) hanno lunghezze d’onda confrontabili con le distanze interatomiche (λ ≈ 10−8 cm); questi interagiscono con i nuclei del bersaglio mediante l’interazione forte, il cui raggio di azione è dell’ordine di ≈ 10−13 cm, molto minore della lunghezza d’onda del neutrone. Il potenziale ridotto φ è quindi approssimabile come: φ(r, t) = 4π X ³ ´ bi δ r − Ri (t) (23) i dove Ri (t) indica la posizione instantanea dell’i-esimo nucleo atomico e le lunghezze di diffusione bi sono grandezze caratteristiche del tipo di nucleo e dell’orientazione relativa degli spin del nucleo e del neutrone incidente. La trasformata di Fourier della (23) è: X bi eiq·Ri (t) (24) dt −iEt/h̄ X e < bi∗ bj e−iq·Ri (0) eiq·Rj (t) > 2πh̄ ij (25) φ̃(q, t) = 4π i e la (22) diviene: k0 ∂2σ = ∂Ω∂E k Z 3b. Diffusione di raggi X I raggi X vengono diffusi principalmente dagli elettroni del bersaglio. Se ρi (r) è la densità degli elettroni intorno all’atomo i-esimo, allora nell’approssimazione classica di diffusione elastica di Thomson il potenziale ridotto φ è dato da (in unità di Gauss): φ(r, t) = 4π ´ X ³ e2 sin(θ) ρ r − R (t) i i mc2 i (26) dove θ è l’angolo formato tra la direzione del campo elettrico dell’onda incidente e la direzione di propagazione dell’onda diffusa. La trasformata di Fourier spaziale della (26) è: X e2 φ̃(q, t) = 4π 2 sin(θ) ρ̃i (q)eiq·Ri (t) (27) mc i dove Z ρ̃i (q) = d3 reiq·r ρi (r) (28) è il fattore di struttura atomico, e non dipende dalla direzione di q ma solo dal suo modulo finchè la distribuzione di carica intorno ad ogni atomo è a simmetria sferica. Questo fattore 6 è una funzione decrescente di q ed il suo valore per q = 0 è una funzione crescente del numero atomico. L’espressione della s. nel caso anelastico è: ∂2σ e2 k0 = ( 2 )2 (n̂ · n̂0 )2 ∂Ω∂E mc k Z dt −iEt/h̄ X e < ρ̃∗i (q)ρ̃j (q)e−iq·Ri (0) eiq·Rj (t) > 2πh̄ ij (29) dove sin(θ) è sostituito da n̂ · n̂0 , n̂ e n̂0 essendo le direzioni dei campi elettrici dell’onda incidente e diffusa. 3c. Diffusione di elettroni. Nel caso della diffusione di elettroni l’accoppiamento col sistema avviene tramite il potenziale Coulombiano V (r, t). Siano ρei (r, t) e ρni (r) le densità di carica degli elettroni e del nucleo dell’atomo i-esimo, allora V (r, t) soddisfa l’equazione di Poisson: ∇2 V (r, t) = −4πe2 X [ρei (r − Ri (t)) − ρni (r − Ri (t))] (30) i dove e è la carica dell’elettrone. Facendo la trasformata di Fourier spaziale della (30) si ottiene |q|2 Ṽ (q, t) = 4πe2 X [ρ̃ei (q) − ρ̃ni (q)]eiq·Ri (t) (31) i e passando quindi al potenziale ridotto: φ̃(q, t) = 2m 2m 4πe2 X e V (q, t) = [ρ̃i (q) − ρ̃ni (q)]eiq·Ri (t) h̄2 h̄2 |q|2 i (32) Ricordando che la carica Ze del nucleo è concentrata su dimensioni molto più piccole della lunghezza d’onda del fascio incidente e ipotizzando densità di carica elettronica a simmetria sferica otteniamo ∂2σ k0 = ∂Ω∂E k Z dt −iEt/h̄ X e < fi∗ (q)fj (q)e−iq·Ri (0) eiq·Rj (t) > 2πh̄ ij (33) avendo definito 2me2 (Z − ρ̃ei (q)) (34) q2 h̄2 Poichè l’interazione coulombiana tra onda incidente e sistema non è debole, l’approssimazione di Born e quindi la (33) non sono una buona approssimazione. fi (q) = 3d. Diffusione della luce. Nel caso in cui il fascio incidente sia composta da radiazione elettromagnetica di grande lunghezza d’onda (luce visibile) la trattazione della interazione non e’ piu’ analizzabile nell’ambito della teoria della risposta lineare. I fenomeni di diffusione della luce sono infatti descritti dalla interazione al secondo ordine tra il campo di radiazione e le cariche componenti il bersaglio (essendo l’interazione al primo ordine responsabile dei fenomeni di 7 emissione ed assorbimento della radiazione). E’ stato pero dimostrato (Born 1954) che la diffusione della luce puo’ essere ricondotta ad un fenomeno di interazione al primo ordine se si assume come potenziale (ridotto) di interazione radiazione-materia il termine: φ(r, t) = k k 0 X n · Πi (t) · n0 δ(r − Ri (t)) (35) i dove Πi (t) e’ il tensore di polarizzabilita’ effettiva associato all’atomo (o molecola) iesimo, il cui baricentro e ’ in Ri (t), e n, n0 sono i versori di polarizzazione della radiazione incidente ed uscente. Il fatto che il potenziale di interazione dipenda da k e k 0 (caratteristiche dell’esperimento che si sta’ conducendo) e’ conseguenza del fatto che questo e’ un potenziale ”effettivo”, ricavato dalla corretta trattazione al secondo ordine del processo di interazione radiazionemateria. La trasformata di Fourier del potenziale ridotto effettivo diviene allora: φ̃(q, t) = k k 0 X n · Πi (t) · n0 eiq·Ri (t) (36) i e la sezione d’urto di diffusione della luce risulta: ∂2σ = (k 0 )3 k ∂Ω∂E 4 Z dt −iEt/h̄ X e < n·Πi (0)·n0 2πh̄ ij n·Πj (t)·n0 e−iq·Ri (0) eiq·Rj (t) > (37) Conclusioni 4a. Considerazioni generali. Possiamo osservare che in tutti i casi trattati la sezione d’urto di diffusione è scritta nella forma k0 ∂2σ = ∂Ω∂E k Z dt −iEt/h̄ X e < A∗i (0)Aj (t)e−iq·Ri (0) eiq·Rj (t) > 2πh̄ ij (38) dove Ai (t) è una grandezza associata all’i-esimo atomo (o molecola) con le dimensioni di una lunghezza, e perciò anche detta lunghezza di diffusione. Tale grandezza può o meno dipendere dal tempo ed è caratteristica del particolare tipo di onda incidente. • Neutroni : Ai (t) = bi La lunghezza di scatterig in questo caso non dipende dal tempo nè dai valori delle lunghezze d’onda delle onde incidenti e diffuse. E’ solo una funzione del tipo di nucleo in questione e del suo stato di spin. • Raggi X : Ai (t) = (e2 /mc2 )(n̂ · n̂0 )ρ̃i (q) In questo caso la lunghezza di scattering è ancora indipendente dal tempo ed è pari al prodotto del raggio classico dell’elettrone (e2 /mc2 ), per un fattore di polarizzazione (n̂ · n̂0 ) e per una funzione adimensionale ρ̃i (q) che dipende dal valore del l’impulso scambiato dall’onda con il sistema ed è caratteristica del numero atomico dell’atomo bersaglio. 8 • Elettroni : Ai (t) = 2h̄2 /me2 (Z − ρ̃i (q))/(ao q)2 Anche in questo caso la lunghezza di scattering indipendente dal tempo ed è pari al prodotto di una lunghezza caratteristica (il raggio di Bohr ao = h̄2 /me2 in questo caso) per una funzione adimensionale con struttura simile a quella dei raggi X, che dipende dal valore del l’impulso scambiato dall’onda con il sistema ed è caratteristica del numero atomico dell’atomo bersaglio. • Luce : Ai (t) = k k 0 n̂ · Πi (t) · n̂0 In questo caso, a differenza dei casi precedenti, la lunghezza di diffusione è data, oltre dal prodotto k k 0 , dalla proiezione del tensore di polarizzabilità atomica (o molecolare) effettiva sulle componenti dei campi elettrici dell’onda incidente e diffusa. Il tensore Πi (t) è una caratteristica dell’atomo in esame ed è esso stesso una funzione del tempo. 4b. Sezione d’urto elastica ed anelastica. Le onde diffuse dal bersaglio senza variazione di energia (e quindi di lunghezza d’onda), formano la componente elastica. Si definisce s. di diffusione elastica quella parte della s. di diffusione che si ottiene ponendo E = 0 nella (38): Z h ∂σ i ∂Ω el = dt X < A∗i (0)Aj (t)e−iq·Ri (0) eiq·Rj (t) > 2πh̄ ij (39) Un’altra grandezza che spesso è introdotta, è la s. di diffusione integrata in energia: h ∂σ i ∂Ω int Z = dE X ∂2σ ≈ < A∗i (0)Aj (0)e−iq·Ri (0) eiq·Rj (0) > ∂Ω∂E ij (40) Anche tale grandezza è funzione del solo angolo di osservazione, ma non va confusa con la s. di diffusione elastica. Si parla invece di sezione d’urto totale quando l’integrazione avviene su tutte le energie e su tutti gli angoli: Z h i σ tot = dEdΩ ∂2σ ∂Ω∂E (41) 4c. Sezione d’urto coerente ed incoerente. Se gli atomi del bersaglio hanno diverse lunghezze di diffusione Ai , pur essendo della stessa specie (ad es. Ai può dipendere dall’orientazione dello spin nucleare rispetto allo spin del neutrone incidente) allora si possono separare le Ai in: Ai =< A > +ai con < A >= N 1 X Ai N i=1 (42) (43) Le deviazioni ai dalla media < A > sono scorrelate rispetto alle posizioni degli N atomi, per cui < ai >= 0 e < a∗i aj >= δij < |a|2 >, e si può separare la (38) in: h ∂2σ i h ∂2σ i ∂2σ = + ∂Ω∂E ∂Ω∂E coe ∂Ω∂E inc 9 (44) con h ∂2σ i ∂Ω∂E e coe h ∂2σ i ∂Ω∂E inc k0 k Z = k0 k Z = X dt −iEt/h̄ e | < A > |2 < eiq·Ri (0) eiq·Rj (t) > 2πh̄ ij (45) X dt −iEt/h̄ e < |a|2 > < eiq·Ri (0) eiq·Ri (t) > . 2πh̄ i (46) La (45) contiene la funzione di correlazione e quindi l’interferenza di tutte le coppie di atomi e quindi dà informazioni sulla struttura (es. diffrazione di Bragg) e dinamica collettiva (es. fononi) del sistema. Questo tipo di diffusione è detto coerente essendo dovuto all’interferenza delle onde diffuse allo stesso modo da tutti gli atomi. La (46) è invece dovuta alle deviazioni casuali delle lunghezze di diffusione dalla media e si chiama s. incoerente; poichè contiene la funzione di correlazione di ogni particella con sè stessa a tempi diversi, ci dà informazioni sulla dinamica di singola particella (es. diffusività). 5 Bibliografia. W. Marshall, S.W. Lovesey, Theory of Thermal Neutron Scattering Clarendon Press, Oxford, 1971. J.M. Cowley, Diffraction Physics North-Holland, Amsterdam, 1975. M.Born, K.Huang, Dynamical theory of crystall lattices Clarendon Press, Oxford, 1954. 10