L`ombra e la grazia» Simone Weil Recensione a cura di

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L`ombra e la grazia» Simone Weil Recensione a cura di
«L’ombra e la grazia»
Simone Weil
Recensione a cura di Alessandra Amato *
L’ombra e la grazia è una raccolta di pensieri, aforismi e meditazioni di Simone Weil. L’Autrice,
nata a Parigi nel 1909, si impegnò a favore della libertà, intesa sia in senso spirituale che come
liberazione dal lavoro manuale. Nei suoi scritti vive un profondo “senso universale” illuminato da
una luce che trae origine dall’assoluto, dalla certezza che soltanto l’amore sovrannaturale sia libero
e naturale. Tutto il resto appartiene alla parte oscura della materia, come la pesantezza dei corpi che
si contrappone alla lievità della grazia. Questi i punti essenziali dell’Opera: conoscere la volontà di
Dio attraverso la sua assenza, accettare la croce, fare silenzio in se stessi, partecipare alla sofferenza
del prossimo, amare Dio attraverso il dolore, cogliere l’infinita misericordia dietro il velo delle cose.
Tali sono i vertici morali e teologici che Simone Weil raggiunge anche a costo dello strazio, della
sconfitta. Il lettore è costretto ad un dondolio continuo tra intuizioni del sovrannaturale e
comprensione della pesantezza materiale e della necessità, tra grazia e pesanteur. Il punto di
equilibrio è quel luogo in cui i contrari si toccano, in cui la sventura diventa il luogo di esperienza
della grazia e lo svuotamento di sé diventa lo spazio di accoglienza di tale grazia. L’Autrice infatti
scrive: “Per aver la forza di contemplare la sventura quando si è sventurati, occorre il pane
sovrannaturale. [...] Istanti di sosta, di contemplazione, d’intuizione pura, di vuoto mentale, di
accettazione del vuoto morale. Sono questi istanti a renderci capaci di sovrannaturale. Chi sopporta
per un momento il vuoto, o riceve il pane sovrannaturale o cade. Terribile rischio, ma è necessario
correrlo; e persino, per un momento, senza speranza. [...] Non bisogna cercare il vuoto; non
bisogna neppure fuggirlo. [...] È necessario farsi una rappresentazione del mondo in cui ci sia del
vuoto, perché il mondo abbia bisogno di Dio.” Un altro punto cruciale sta nel contrasto-equilibrio
tra necessità e obbedienza. Su questo la Weil scrive: “«Avevo fame e mi avete soccorso» Ma
quando, Signore? Non lo sapevano. Non bisogna saperlo.” La necessità è il velo di Dio. Bisogna
volere che l’io scompaia in modo tale che il Cristo si serva della nostra anima e del nostro corpo
per soccorrere il prossimo. Il giusto rapporto con Dio è, infatti, l’amore nella contemplazione e la
schiavitù nell’azione. Lo schiavo non si muove verso il prossimo per Dio, ma è spinto “da Dio
verso il prossimo come la freccia è spinta dall’arciere verso il bersaglio”. L’atteggiamento corretto
dunque è quello di chi è attento alla soluzione che viene dall’alto. Così ogni creatura giunta alla
perfetta obbedienza costituisce un modo singolare, unico, insostituibile di presenza, di conoscenza
e di operazione di Dio nel mondo. Un altro capitolo importante è quello che raccoglie i pensieri di
Simone Weil sul tema dell’attenzione. Secondo l’Autrice, l’attenzione assolutamente pura è la
preghiera. L’Io infatti vi scompare cosicché la capacità di scacciare una volta per tutte un pensiero
è la porta dell’eternità, “l’infinito in un istante”. Dal momento che si ha nell’anima un punto di
eternità, non rimane che preservarlo, perché cresca da sé, come un seme. “Bisogna mantenergli
intorno una guardia armata, immobile; e nutrirla con la contemplazione dei numeri, dei rapporti
fissi e rigorosi. Si nutre l’immutabile che è nell’anima con la contemplazione dell’immutabile che è
nel corpo”. La ginnastica dell’attenzione è lo studio. Ogni esercizio scolastico deve essere una
rifrazione di vita spirituale. E ci vuole un metodo. Un certo modo di studiare infatti (e non
qualsiasi modo) costituisce una ginnastica dell’attenzione capace a renderla più adatta alla
preghiera. Occorre un metodo anche per cercare di comprendere le immagini, i simboli. “Non
cercare di interpretarli, ma guardarli fin quando ne sgorghi la luce”. L’attenzione è uno sguardo e
non un attaccamento e il metodo di esercizio dell’intelligenza consiste nel guardare. E così solo
l’intelligenza riconosce la preminenza dell’amore poiché da esso è illuminata. Questa è l’esperienza
della fede. Le ultime pagine sembrano essere l’eco dell’esperienza in fabbrica che l’Autrice volle
fare per conoscere più da vicino la condizione operaia. Ed è proprio con queste immagini in mente
che scrive che la schiavitù è il lavoro senza luce di eternità, senza poesia, senza religione. È
necessario che la luce eterna dia una ragione di vivere e di lavorare, ma anche una pienezza tale che
dispensi dal cercare quella ragione. In mancanza di ciò, gli unici stimoli sono la costrizione, che
implica l’oppressione del popolo, e il guadagno, che implica la corruzione. I lavoratori invece
hanno bisogno di poesia più che di pane, bisogno di una luce di eternità di cui solo la religione può
essere la fonte. La privazione di quella poesia implica tutte le forme di demoralizzazione. “Non la
religione, ma la rivoluzione è l’oppio dei popoli”.
* Presidente femminile del Gruppo «Vittorio Bachelet» de La Sapienza - Roma
--Bibliografia essenziale delle Opere di Simone Weil tradotte in italiano:
Attesa di Dio, a cura di J.-M. Perrin, Milano 1999.
L’amore di Dio, a cura di G. Bissaca e A.Cattabiani, Roma 1979.
La condizione operaia, a cura di F. Fortini, Milano 1990.
La prima radice: preludio ad una dichiarazione dei doveri verso l’essere umano, a cura di F. Fortini,
Milano 1990.
L’ombra e la grazia, a cura di G. Hourdin e F. Fortini. Milano 2002.
Quaderni, a cura di G. Gaeta, Milano, Vol.1 1982; Vol.2 1985; Vol.3 1988; Vol.4 1993.