Articolo completo - Dionysus ex Machina
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Articolo completo - Dionysus ex Machina
Angela Maria Andrisano – Paolo Fabbri (a cura di), La favola di Orfeo. Letteratura, immagine, performance, UnifePress, Ferrara 2009, pp. 255, € 15, ISBN 978-88-96463-01-7 (a cura di Pierandrea De Lorenzo) Angela Maria Andrisano e Paolo Fabbri hanno scelto per questa raccolta di saggi un titolo di innegabile fascino: parlare di “favola di Orfeo”, nel senso in cui già Poliziano si valse di fabula, significa considerare il mito non solo nella sua accezione antropologicofilosofica, ma soprattutto come fonte e modello di nuove suggestioni immaginative. Il sottotitolo “letteratura, immagine, performance”, definisce i limiti dell’indagine critica: ogni contributo prende in esame una precisa testimonianza, una traccia del mito rilevabile in un’opera letteraria o artistica. I saggi, che affrontano problematiche comprese fra il mondo antico e il Novecento, sono divisi in tre macrosezioni: la prima, “Letteratura”, raccoglie gli interventi che si occupano dei riflessi del mito di Orfeo nella tradizione letteraria dell’antica Grecia; i saggi della seconda sezione, “Immagine”, affrontano il tema dell’iconografia orfica in ambiti artistici diversi; nell’ultima sezione, “Performance”, i contributi sono dedicati ad opere teatrali, cinematografiche e coreutiche incentrate sul mito del cantore tracio. Spetta al saggio di apertura della prima sezione (Alessandro Iannucci, Il citaredo degli Argonauti. Orfeo cantore e la poetica dell’incanto, pp. 11-22) affrontare un tema complesso ma ineludibile: i modi della trasformazione di Orfeo personaggio letterario, che da cantore tradizionale diviene eroe misterico, centro di una dottrina escatologica e dei culti religiosi da essa derivati. Come ci ricorda l’autore, col sostegno di numerosi e puntuali riscontri testuali, nelle attestazioni più antiche il tratto distintivo di Orfeo era soprattutto il potere del canto e la sua straordinaria capacità persuasiva: il cantore era dunque essenzialmente l’emblema di questo ruolo paradigmatico della parola poetica, scevra da ogni componente oltremondana. Senza dubbio resta ancora molto da chiarire circa i modi della sua progressiva trasformazione, che sarebbe avvenuta inizialmente a livello di ricezione culturale del mito, e che solo in maniera velata avrebbe lasciato traccia nei testi più antichi. Ma Iannucci fa cenno ad un primo importante elemento di raccordo fra la tradizione letteraria (o per meglio dire “narrativa”) del mito e quella dottrinale e misterica: la parola di Orfeo è in grado di incantare, quindi il canto è anche magia, sortilegio e inganno. Dionysus ex machina luglio 2010 1 La favola di Orfeo Pierandrea De Lorenzo Con il saggio di Leonardo Fiorentini (Orfeo in un frammento del commediografo Alessi (Alex. fr. 140, 5 K.-A.), pp. 23-29) passiamo ad un’epoca successiva a quella delle testimonianze discusse da Iannucci. La segnalazione dell’autore è di notevole interesse: nell’unico frammento superstite del Lino, opera del commediografo greco Alessi, Orfeo viene visto come “autore” presente nella ricca biblioteca di Lino, a fianco di Museo, Esiodo e Omero. Ciò non sorprende, dal momento che si credeva da tempo che Orfeo fosse autore di una serie di componimenti poetici. Anche se la frammentarietà del testo non consente ampie considerazioni su questa commedia “di mezzo”, Fiorentini avanza l’ipotesi, affascinante quanto audace, secondo cui Alessi avrebbe attribuito anche alla semplice menzione del nome di Orfeo un peso comico e dunque una precisa valenza drammaturgica. Giovanni Zago (Influssi peripatetici sulla rappresentazione di Orfeo e Anfione in Orazio, Ars poetica 391-401, pp. 31-34) affronta il ruolo di Orfeo nel testo oraziano. Il discorso dell’autore si sposta, rispetto ai contributi che abbiamo visto sin qui, su un piano più propriamente filosofico: Orfeo e Anfione sono presentati da Orazio come poeti “sapienti” e “civilizzatori”: la loro sapientia, infatti, consiste eminentemente nel creare civiltà. Questa visione storico-razionalistica induce a credere che Orazio abbia subito l’influsso della dottrina aristotelico-peripatetica, evidente proprio nell’evoluzione in questa direzione del concetto di sophia. Uno dei saggi di maggiore interesse dell’intera raccolta è senza dubbio Il mito di Orfeo tra poesia e prosa. Citazioni e riscritture in Luciano di Samosata (Imagines, Adversus indoctum), pp. 35-57, di Angela Maria Andrisano, intervento con cui si chiude la sezione “Letteratura”. Con notevole lucidità ed eleganza, l’autrice si sofferma sul polimorfismo della figura di Orfeo che assume via via valenze diverse, a volte antitetiche, ma sempre ricche di implicazioni sia filosofiche che retoriche. Se il libello Adversus indoctum presenta una riscrittura delle vicende mitologiche che offre la possibilità a Luciano di affidarsi a nuove possibilità espressive, il breve dialogo Imagines segna un netto e importante ridimensionamento del mito di Orfeo, che diviene una sorta di “fondo” metaforico su cui l’autore può adagiare le sue teorie estetiche: Orfeo è evocato come termine di paragone nell’elogio delle virtù di una donna, Pantea, la quale mostra di avere qualità canore ben superiori a chi era sempre stato considerato il musico e poeta per eccellenza. Si assiste quindi ad una vera e propria smitizzazione di Orfeo, ormai emblema di un’arte antica superata dalle nuove potenzialità e concrete realizzazioni di un’arte moderna e rinnovata. Con la sezione “Immagine” l’orizzonte temporale si dilata. Stefano Bruni (Per una preistoria di Orfeo in Etruria, pp. 61-77), prendendo avvio da alcune pitture vascolari etrusche del VII secolo a.C. che rappresentano cantori dalle incerte fisionomie, indaga gli aspetti organologici dei più antichi strumenti a corda dall’Etruria e riflette sugli influssi della pratica musicale greca sulle antiche popolazioni tirreniche. Dionysus ex machina luglio 2010 2 La favola di Orfeo Pierandrea De Lorenzo Con il contributo di Ada Patrizia Fiorillo, Classicismo e mitologia nelle esperienze artistiche tra gli anni Trenta e Quaranta: la figura di Orfeo, pp. 79-98, l’ambito artistico e cronologico preso in esame cambia totalmente. La studiosa, dopo una premessa utile a ricordare i vari aspetti del classicismo pittorico all’indomani della Grande Guerra, censisce e contestualizza l’elemento orfico nelle opere figurative degli anni Trenta e Quaranta del Novecento italiano ed europeo. Ciò su cui Fiorillo vuole porre l’accento è la forza primigenia che traspare in molte di queste opere (si tratta di capolavori di Corrado Cagli, Mirko, Afro Basaldella), all’insegna dell’anticlassicismo e di una profonda tensione immaginativa. L’intervento di Franco Longoni, Orfeo a fumetti, pp. 99-120, è tra i più appassionati e godibili dell’intero volume. Il titolo di questo studio non deve trarre in inganno, inducendo il lettore a considerarlo di argomento in qualche modo frivolo: l’analisi che Longoni fa del noto Poema a fumetti di Dino Buzzati (1969) è approfondita, circostanziata, e si apre ad ampie riflessioni che toccano vari aspetti della cultura italiana nei decenni centrali del secolo scorso. L’autore evidenzia due elementi pregnanti dell’opera di Buzzati, a partire dalla definizione del personaggio: “Orfi” è solo un cantante (più che “cantore”, vista l’ambientazione pop che fa da sfondo alle vicende), che trascina e commuove con la sua voce, non quindi l’eroe di una dimensione ultramondana che alluda ai culti misterici orfici. Se tanto potente è la forza del suo canto, la domanda che si pone Buzzati è: che cosa e come cantava questo prodigioso Orfi? Un altro elemento opportunamente evidenziato da Longoni è il nuovo effetto del suo canto, non più utile ad ammansire e a piegare le forze della natura, ma atto a risvegliare nelle anime quelle pulsioni umane totalmente assenti nell’“ade” buzzatiano. Il saggio di Alberto Boschi, Nel regno delle ombre. Rivisitazioni cinematografiche del mito di Orfeo da Cocteau al musical contemporaneo, pp. 121-47, chiude la sezione “Immagine”. Quello di Boschi è un rigoroso ed esaustivo censimento delle rivisitazioni filmiche del mito di Orfeo, ma anche di quelle opere cinematografiche che ne riprendono solo alcuni elementi narrativi. Ciò che emerge è senza dubbio la tendenza, diremmo tutta novecentesca, ad una decontestualizzazione del mito greco, che sarà ambientato nelle più varie location e spesso subirà un accentuato processo di attualizzazione. Proprio sulla decontestualizzazione del mito, questa volta in ambito teatrale, si interroga Alessandro Roccatagliati nel suo saggio Orfeo, Calzabigi e Gluck nelle spire del “teatro di regia”, pp. 157-87, incluso nella sezione “Performance”. L’autore commenta i vari allestimenti scenografici delle ultime rappresentazioni dell’Orfeo gluckiano. Le riflessioni di Roccatagliati, di ampio respiro teorico, vertono su quanto una regia fortemente incisiva e modernizzante possa creare una frattura, talvolta insanabile, tra la dimensione rappresentativa, legata alla contingenza di una determinata scelta registica, e quella musicale originale dell’opera. Dionysus ex machina luglio 2010 3 La favola di Orfeo Pierandrea De Lorenzo Delle varie riletture del mito nel teatro musicale si occupa invece Paolo Fabbri, La metamorfosi di Orfeo, pp. 151-56. La sua è una rassegna dei melodrammi che nel corso del Seicento e del Settecento hanno messo in scena il celebre cantore tracio, a cominciare dalla nota Euridice di Peri e Caccini rappresentata a Firenze nel 1600; rassegna dalla quale emerge quanto il mito sia stato soggetto a trasformazioni di ogni sorta, a volte così spregiudicate da rendere Orfeo un personaggio assai lontano dall’antica fisionomia, pur proteiforme, tramandata dai testi greci. Il notevole saggio di Daniele Seragnoli, La danza di Orfeo. Cocteau, Grotowski e altre storie, pp. 189-212, prende in esame l’Orphée di Cocteau messo in scena nel 1926 con la regia di Pitoëff e lo confronta con l’opera di Jerzy Grotowski del 1959. Seragnoli, dopo aver fornito un quadro esaustivo della cultura letteraria e cinematografica in cui prende forma l’idea di Cocteau, si concentra sul carattere anti-razionalistico dell’Orfeo del grande drammaturgo francese, ripreso poi da Grotowki, che ne accentuerà la componente misterica e iniziatica. Un volume dedicato alle varie forme di comunicazione artistica non poteva trascurare la danza, una delle tre arti sceniche fondamentali nel mondo antico. L’ultimo contributo, Il mito di Orfeo tra Jean Cocteau e Lindsay Kemp, pp. 213-28, di Anna Colafiglio, approfondisce dunque alcuni aspetti della Onnagata o il canto di Orfeo (A Ghost story, 1991) del coreografo e attore britannico Lindsay Kemp e della sua rilettura del mito. L’identificazione fra l’artista Kemp e il personaggio Orfeo è una scelta programmatica fondamentale, e non a caso nel titolo dello spettacolo campeggia la parola “onnagata”, che allude appunto ad un teatro di immedesimazione. Questa Favola di Orfeo si presenta dunque come un volume volutamente frammentario, aperto alle suggestioni di interessi disciplinari e approcci metodologici diversi, ed è proprio in questa eterogeneità dei contenuti che risiede, a mio modesto avviso, uno dei suoi punti di forza. Ci troviamo di fronte a un approccio critico aperto alle più varie sollecitazioni, di modo che aree di indagine molto diverse e distanti tra loro sono messe in condizione di comunicare, talvolta sconfinare le une nelle altre, offrendo così una pluralità di prospettive di grande fascino: «ma è facile ritenere che la storia non sia finita qui e che le arti tutte continuino a dialogare con la enigmatica figura mitologica, non senza riflettere sulla sua ricezione lungo l’arco di molti secoli» (p. 8). Dionysus ex machina luglio 2010 4