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ANNO XII NUMERO 302 - PAG 2 Lettere rubate E una no. Gentile psicologa si lamenta per violazione del rapporto medico-paziente in “Vanity lui&lei” Gentile signora, sono l’originale destinataria della lettera “rubata” a Vanity Fair con la quale lei apre la sua rubrica sul Foglio del 15 dicembre scorso. Come forse saprà, visto DA ANNALENA che attinge alla “mia” paginetta , io faccio la psicologa. Per me tenere una rubrica “del cuore” è una cosa molto seria. Nel senso che provo a mettercelo un po’ di cuore, e a tenere in gran conto il cuore di chi mi scrive. (Questo non mi impedisce di strapazzare, se occorre, lettrici e lettori, di sorridere e, nel mio piccolo, provare a far sorridere). (…) E dunque perdoni l’ingenuità con cui mi permetto di farle sapere quanto mi è dispiaciuto il suo “furto”, quanto mi ha indignato il sarcasmo gratuito della sua risposta a una signora che non le aveva mai scritto. (…) Non m’è riuscito di trovar traccia di rispetto nel trattamento che quella lettera ha subito nella sua rubrica, traboccante di brillante ma facile, molto facile sbeffeggiamento. Mi tocca sperare che l’autrice di quella lettera non sia tra i lettori del suo giornale, tra i quali peraltro mi annovero. Se scrivere da professionista è questo, mi lasci dire che sono proprio fiera di essere una dilettante. Allo sbaraglio se crede. Saluti Irene Bernardini (lettera al Foglio) Purtroppo ho dovuto tagliare l’unica lettera arrivata a questa rubrica. Gentile dottoressa, non volevo violare il sacro tempio psicanalitico di “Vanity lui & lei (ma anche lui & lui, lei & lei)”, ed ero certa che nella Fiera delle Vanità fosse inclusa un po’ d’allegria. Non si indigni, è un gioco: invidia palese per le poste del cuore altrui e amorosi perfidi consigli. Buon Natale. Tardona ’75 Da sette mesi la Francia è governata da un direttore di casting. C. Laborde (lettera al Nouvel Observateur) Come fate a dire che la cultura francese è morta? Forse perché non viene venduta nei paesi dove la cultura è monetizzabile? Grazie a Dio! Questo è ciò che ci rende unici! Noi francesi viviamo in un mondo culturale molto diverso da quello americano, perciò prima di giudicarci, per favore fate i compiti. Imparate il francese, leggete i nostri libri e la nostra stampa culturale, andate a vedere i nostri film (…). Hélène Bablon, Paris (lettera a Time) E guardate la nuova fidanzata del Presidente. La Francia è in grande spolvero, perché Nicolas Sarkozy è riuscito a fare tutto: abbracciare il massimo della trasgressione moderna (Carla Bruni, sogno erotico-chic mondiale – e anche notevole simbolo culturale: tutti i filosofi parigini suoi ex hanno finalmente deciso di rassegnarsi all’abbandono e ricominciare a lavorare), ma anche il massimo della tradizione conservatrice (la madre di Carla Bruni, futura suocera invadente, sempre addosso: a Disneyworld nel tunnel di Peter Pan, ai giardini di Versailles fra le querce, a Roma in aereo, a Roma dal Papa, a Roma al ristorante, con e soprattutto senza Carla). Un genio del male. Se a questo punto le psicologhe del Nouvel Obs e di Time si dovessero infuriare, Buon Natale lo stesso. Dear Mariella, mi sono fidanzato con una donna bella, sensibile e intelligente, che sarebbe una compagna perfetta, eccetto per un particolare: sono incappato nel suo diario e mi sono molto turbato nel leggere di una vacanza in cui è stata con tre uomini: due in due giorni consecutivi e uno nel bagno di un nightclub. E’ successo qualche anno fa e oggi lei è, per tutto il mondo, una donna responsabile e talvolta conservatrice. Da quel che ho capito dal diario, la mia ragazza ha avuto un bel po’ di one night stands nel passato. Io adesso sono sospettoso e temo che un giorno possa di nuovo emergere quello spirito cattivo. Non penso che potrò fidarmi mai del tutto di lei. Sono sconvolto dal fatto che una donna così adorabile possa aver avuto una tale tendenza alla promiscuità (…). Anonimo (lettera all’Observer) Caro signore, di sicuro lei non governerà mai la Francia. Sarkozy non sbircerebbe nella borsetta di Carla Bruni per trovarvi l’elenco telefonico internazionale dove sono annotati in rigoroso ordine alfabetico i nomi dei suoi ex amanti. Certo, il Presidente non ha settimane da perdere, deve mandare avanti un paese. Ma lei è pazzo (psicologa dell’Observer, Buon Natale): non si leggono i diari, non si rubano i cellulari per controllare i messaggi (ricevuti e inviati) mentre le fidanzate fanno la doccia, non si entra a tradimento nella casella di posta, non si ascoltano le telefonate nascondendosi negli armadi, non si fruga nelle giacche. Qualche remoto bagno di nightclub si trova sempre, soprattutto nelle tasche di adorabili conservatrici. IL FOGLIO QUOTIDIANO SABATO 22 DICEMBRE 2007 H A D L E Y A R K E S , C O N S U L E N T E D I B U S H S U L L’ A B O R T O , A P P O G G I A L A M O R A T O R I A “Facciamo come Lincoln con gli schiavi: liberiamo i non nati” Roma. In quello straordinario paese legalista che è l’America, dominato da una visione terapeutica della nascita e della morte, in cui ogni anno un milione di esseri umani viene abortito nell’oblio, quaranta milioni in tre decenni di negazionismo biologista, il 18 aprile 2007 la Corte suprema ha messo al bando la più terribile forma di infanticidio, l’aborto “a nascita parziale”. Per la prima volta dal 1973, una forma di aborto è stata vietata su tutto il territorio americano. La battaglia era stata iniziata da un pugno di senatori democratici guidati dal grande e compianto Daniel Patrick Moynihan, padrino del movimento neoconservatore. In piena corrente positivista, Moynihan scioccò il paese con la descrizione di questa tecnica. “Il medico porta le gambe fuori dell’utero e provoca il parto. Poi effettua un’incisione alla base del cranio, attraverso cui fa passare la punta di un paio di forbici e un catetere, attraverso cui viene aspirato il cervello”. Docente di Istituzioni americane all’Amherst College, Hadley Arkes il 5 agosto 2002 si trovava alle spalle del presidente Bush alla firma del Born Alive Infant Protection Act, la storica legge federale che obbliga i medici a salvare la vita dei nuovi nati so- pravvissuti a un aborto. Una legge pensata e scritta da Arkes, il filosofo ebreo di Chicago, allievo di Leo Strauss, che ha rivoluzionato gli studi sul diritto naturale con “First Things”, che ha dato il nome alla celebre rivista diretta da R.J. Neuhaus. Arkes è un pioniere della giurisprudenza contraria alla Roe vs. Wade, la sentenza che nel 1973 ha riconosciuto come costituzionale il diritto a interrompere la gravidanza. Arkes sostiene l’idea di moratoria lanciata dal Foglio: “E’ una piacevolissima sorpresa che un giornale europeo e laico lanci una moratoria contro l’aborto di massa. Dobbiamo iniziare a parlare su come fermare questo massacro degli innocenti. Dal 1973 a oggi, sono state cancellate due intere generazioni di esseri umani. Ciò che mi sorprende sempre è l’ironia con la quale i liberal accolgono la cifra di 40 milioni di americani che non hanno mai visto la luce. La Roe vs. Wade ha garantito il diritto di decidere quale vita è degna di essere vissuta e quale no”. I diritti naturali, in cima ai quali vi è il diritto alla vita, originano dall’essere umano in sé, al di là di razza, sesso, invalidità, colore della pelle o patrimonio genetico. “Questa tradizione è stata scritta da uno dei Pa- dri fondatori, James Wilson, nella sua famosa lezione di diritto del 1790: ‘Nella contemplazione della legge, la vita umana, dal suo inizio alla fine, è protetta dalla legge’. Wilson ripeteva che ‘la sovranità deve fondarsi sull’uomo’. Un disaccordo non annulla la verità. Durante la schiavitù, abbiamo imparato quanto sia grave dividere gli esseri umani in categorie. Oggi alcune vite possono essere portate via in qualunque momento senza bisogno di dare una giustificazione”. Fu Abraham Lincoln a sostenere che “dando la libertà dello schiavo, assicuriamo la nostra libertà”. “Garantendo le più elementari protezioni alla vita umana, rendiamo più sicuro il terreno dei diritti di tutti, dei nati e dei non nati” continua Arkes. “La vita di una famiglia americana del Midwest non era minacciata dai nazisti, ma hanno mandato lo stesso i loro figli a combattere. La storia dell’America è la storia di questa dedizione alla causa della vita”. Su quale base morale giustifichiamo la sottomissione della vita del non nato? “E’ questa la domanda alla quale siamo chiamati a rispondere. Il mondo morale non si identifica con le decisioni dei legislatori. Se possiamo alterare la definizione di ‘uomo’ a nostra utilità, come ha dimo- strato il Ventesimo secolo, se la natura non fornisce alcuna definizione dell’essere umano che siamo chiamati a rispettare, rimuoviamo il terreno su cui si fondano i diritti naturali”. I nazisti hanno ucciso alcuni parenti di Arkes, i nonni nella Russia occupata dai nazisti e da parte di sua moglie alcuni non sono usciti dal lager di Theresienstadt. “Visto che la mia famiglia ha perso numerosi membri durante l’Olocausto, posso rivendicare una certa libertà nel rispondere a coloro che oggi censurano ogni paragone con l’esperienza nazista. Non dobbiamo vergognarci a parlare dell’aborto come di un olocausto del nostro tempo”. Ronald Reagan, che introdusse il tema della sofferenza del non nato e bloccò i fondi alla ricerca sui feti abortiti, istituì il National sanctity of human life day con questa motivazione: “Il futuro della nazione dipende dalla protezione degli innocenti”. Parole rievocate da Bush mentre firmava la legge sull’aborto a nascita parziale. Parole ancora più antiche che troviamo scolpite nella Dichiarazione d’Indipendenza, il più bel manifesto d’antropologia moderna: la legge non deve oscurare la vita, ha il compito di proteggerla. Giulio Meotti I PARERI DI MONACO, CECCANTI, MERLO E MAGISTRELLI Cattolici adulti, tiepidi e diffidenti sulla moratoria per gli aborti Roma. La proposta di una moratoria per l’aborto che segua quella per le esecuzioni capitali votata dall’Onu è stata lanciata martedì scorso dalle pagine di questo giornale, insieme con l’invito a cominciare, in concreto, a realizzarla a partire dal sostegno al movimento per la vita e ai suoi centri che ogni anno consentono a tante donne di non rassegnarsi all’eliminazione del bambino che aspettano. Quell’idea di moratoria simbolica, culturale, morale ma degna di tradursi in fatti, ha suscitato l’approvazione netta degli esponenti dell’associazionismo cattolico interpellati ieri dal Foglio. Il mondo dei cattolici democratici, dei “cattolici adulti” di prodiana memoria, reagisce invece a quella proposta con molti distinguo e qualche diffidenza. E’ il caso di Franco Monaco, oggi deputato del Partito democratico dopo aver presieduto dal 1986 al 1992, chiamato dal cardinal Martini, l’Azione cattolica ambrosiana. Monaco dice al Foglio che, a suo avviso, vanno “distinti tre livelli di giudizio. Non ho esitazioni nel giudicare l’aborto come la soppressione di una vita umana e, sul piano eticoculturale la provocazione di Ferrara può essere utile, costringe a interrogarsi e a riflet- tere. Mi rendo conto anche che, della provocazione, fa parte la connessione impropria con la pena di morte. Trattasi però di cose affatto diverse: una donna che abortisce non è assimilabile al boia di stato. Infine, sul piano politico-legislativo, non sarebbe saggio aprire una lacerante querelle intorno all’idea di mettere mano alla legge 194. La comunità ha il dovere di disciplinare con equilibrio anche ciò che personalmente giudico un male morale, un dramma personale e sociale che non può essere cancellato per decreto”. Un’approvazione condizionata è quella espressa da Stefano Ceccanti, costituzionalista di punta del Partito democratico con un’esperienza come presidente della Federazione degli universitari cattolici dal 1984 al 1987. Ceccanti confessa però “di non capire bene che cosa si intenda concretamente per ‘moratoria sull’aborto’. Nel caso della pena di morte lo stato può decidere pienamente di non applicarla o di sopprimerla: se esso decide così la pena di morte è sospesa o eliminata. Nel caso invece dell’aborto esso preesiste a qualsiasi decisione dello stato. Quest’ultimo può allora adottare varie decisioni, ma esse comunque non sospendo- no né sopprimono di per sé l’aborto. Le nostre leggi non considerano l’aborto un diritto né lo equiparano ad altri mezzi per il controllo delle nascite. Si limitano a non punire coloro che lo praticano nei casi indicati dalla legge, consentendo l’obiezione di coscienza di chi interviene nella procedura, e affermano soprattutto una volontà di prevenzione. Ma – conclude Ceccanti – se per moratoria si vuol alludere al fatto che la prevenzione non è sufficientemente valorizzata nei fatti e che ad essa va sensibilmente incrementata penso che sia un’attenzione ampiamente condivisibile”. Giorgio Merlo, deputato e fautore di una presenza organizzata dei cattolici democratici nel Partito democratico, dice invece al Foglio che “azzardare un parallelo tra pena di morte e aborto può essere una provocazione intelligente e interessante. Lo prendo come un sasso nello stagno che costringe a riflettere sul problema dell’aborto, a non darlo per risolto e scontato. Personalmente sono tra coloro che considerano un bene l’esistenza della legge 194, e non dimenticano che è uscita vittoriosa da un referendum popolare. Anche se, certo, tutto si può migliorare: le leggi non sono immutabili, sono il frutto del loro tempo. Da cattolico, e da cattolico democratico, penso però che la provocazione di Ferrara sia uno stimolo a riflettere”. Marina Magistrelli, senatrice del Partito democratico proveniente dalla Margherita, nonché prodiana della primissima ora, in passato è stata dirigente dell’Azione cattolica. Nel commentare l’idea di moratoria sugli aborti parte dalla considerazione che “l’aborto è un male, un fatto negativo, e questo mi pare scontato. Ma riconosco che, dal punto di vista della convivenza civile, bisogna tener conto di una pluralità di concezioni etiche. Uno stato laico disciplina un fenomeno diffuso, e l’aborto lo è stato e lo è. Mi chiedo allora come mai oggi si senta il bisogno di aprire questa disputa. Riconosco che per certi versi può essere anche utile, perché è sempre utile tenere desta l’attenzione su questi temi. E allora va bene, se ne parli, si riapra un dibattito etico, culturale e scientifico. Ma in questo caso specifico colgo un po’ di malizia politica da parte di chi propone la moratoria, l’intento di aprire contraddizioni all’interno dei poli. Sia chiaro: parlare di malizia, in politica, è un complimento”. PROGETTI BIPAR TISAN DI MORATORIE QUOTIDIANE Così nella rossa Emilia spiegano alle donne che si può anche non abortire Roma. Arriva dalla rossa Emilia Romagna un importante esempio di collaborazione tra movimenti pro life di ispirazione cattolica e il mondo laico degli ospedali e della sanità sul tema dell’aborto e dell’applicazione della legge 194. Lo racconta al Foglio Antonella Diegoli, presidente per l’Emilia Romagna di di Federvita, sigla che raccoglie cinquanta tra movimenti di volontariato, servizi, centri e case d’accoglienza sparsi sul territorio. Per quanto riguarda l’aborto, Carpi e Forlì sono due esempi illuminanti di come si possa utilizzare la legge per non rassegnarsi all’ineluttabilità dell’aborto. Lì sono nati due progetti, diversi per forma e procedure ma simili per i contenuti: l’idea è quella di formare medici, ostetrici, infermieri e assistenti sociali che hanno a che fare con le donne che vogliono abortire “affinché sia attuata quella parte della legge 194 che in trent’anni non è mai stata considerata, e cioè la prevenzione dell’aborto”, dice Diegoli. Con questa prospettiva, a Carpi è nato “un tavolo operativo a cui siedono operatori ospedalieri, la commissione Pari opportunità e i consultori pubblici e privati da una parte, e l’associazione Gio- vanni XXIII e il Servizio di accoglienza alla vita come rappresentanti del mondo prolife”. Il progetto, “Scegliere di scegliere”, è stato voluto dal primario di ginecologia di Carpi, il professor Masellis. Senza forzare le rispettive idee di partenza, si è cercato di capire quale sia il problema di fondo: “La domanda a cui bisogna rispondere è come aiutare in concreto le donne che vorrebbero abortire, non quale sia il metodo abortivo da utilizzare. Nella mia esperienza ho visto come non obiettori e abortisti siano convenuti con obiettori e antiabortisti, al di là dell’essere ‘laici’ o cattolici, sul fatto che si deve rispondere al grido di dolore che una donna in quella situazione ha nel cuore. Da qui si può costruire”, afferma Antonella Diegoli. I numeri le danno ragione: a Forlì, dove è stato stipulato un vero e proprio protocollo di collaborazione tra operatori, consultori e movimenti, “in pochi mesi l’undici per cento delle donne che aveva già ottenuto il certificato per abortire ha deciso di tenere il figlio. Se questo protocollo fosse applicato in tutta la regione, verrebbero salvati oltre mille bambini all’anno solo in Emilia Romagna. E molti di più sareb- bero se la scelta per la vita fosse via via incentivata”. Come funziona questa “rete” di aiuto? “Quando una donna si rivolge al medico o all’ospedale, le viene segnalata la possibilità di parlare con esperti che le spiegano che ci sono alternative all’aborto”. Cosa che molte nemmeno sanno. “Una ricerca relativa agli ultimi anni ha dimostrato che il quaranta per cento delle donne che hanno abortito a Modena non sapeva che esistessero alternative a quella scelta. Se poi teniamo conto che la maggior parte delle decisoni sono prese per problemi economici, capiamo che c’è qualcosa che non va: la legge dice che quella economica non può essere una motivazione, la donna deve poter essere aiutata”. Questo è quanto esperti e assistenti sociali provano a trasmettere. “Succede – aggiunge Diegoli – che alcune donne decidano di tenere il bambino nel momento in cui si rendono conto che c’è qualcuno che le ascolta, che condivide la loro fatica, che è disponibile ad ascoltarle e aiutarle durante e dopo la gravidanza”. A muovere questi progetti, spiega ancora Antonella Diegoli, “da parte dell’operatore pubblico è la volontà di applicare davvero e fino in fondo la legge. Per decenni, però, posizioni ideologiche hanno impedito di costruire questa rete di aiuto”. Anni fa, a Bologna era stato firmato un protocollo simile a quelli di Carpi e Forlì, ma alcune femministe si opposero e occuparono, nude, la sede della regione. Il progetto non partì. Cosa è cambiato? “Credo che oggi non ci sia più nessuno che pensi all’aborto come un bene per la donna. Conosco tanti medici non obiettori, non cattolici, che a un certo punto smettono di praticare aborti perché, parole loro, ‘non ce la fanno più’. Per quanto riguarda le donne, la possibilità di sapere che se tengono il figlio non saranno da sole, dà loro una speranza inimmaginabile”. Un dato a sostegno di questa tesi è il numero sempre più elevato di donne che ricorrono alla psicoterapia perché non si perdonano di avere abortito. “La legge è chiara – conclude Diegoli – una volta ottenuto il certificato, prima dell’operazione bisogna far passare un certo periodo in cui la donna abbia il tempo di pensare a cosa sta per fare”. Quello è il momento in cui dare sostegno e informazioni alla donna perché la scelta sia reale e non imposta dall’indifferenza. Piero Vietti TEODEM, NEODEM E LA PROVVIDENZA Caro Polito, c’è una teologia della storia che ci sorprende continuamente Al direttore - Il dibattito politico di questi ultimi giorni si è interrogato spesso sul tema della laicità, per cercare di comprendere come possano convivere autonomia personale e appartenenza politica. Due sono i nodi critici: il rapporto tra un parlamentare e il suo partito e il rapporto tra chiesa e stato. Polito sul Foglio di ieri ha posto però un problema ancor più difficile, che ha poco a che vedere con la politica e le sue leggi. Si è interrogato sul rapporto dell’uomo con la Provvidenza, anche in merito a possibili interventi dello Spirito Santo, e sul rapporto tra preghiera e libertà personale. Il senatore ricorda infatti che per venire a capo di un disegno di legge che non mi sentivo di condividere, dopo una faticosa e inefficace negoziazione, avevo pregato e sperato che lo Spirito Santo scendesse sulla aula del Senato. Dopo aver cercato di parlare con tutti, non sapevo che altro fare. Polito si chiede in che modo la preghiera possa influire sugli eventi e sulle persone, senza far loro violenza. La norma, che non condividevo e per cui non ho votato la fiducia, non è decaduta per il mio dissenso, ma per il pasticcio di una formulazione che contiene riferimenti erronei. Nessuno sa chi ha formulato in quel modo l’emendamento, né chi lo ha inserito materialmente nel disegno di legge. Il presidente Napolitano in ogni caso si è rifiutato di firmare una legge mal documentata. Come tanti altri, neppure io sono in grado di capire cosa sia realmente accaduto negli uffici quel giorno, chi abbia materialmente battuto l’emendamento, chi lo abbia approvato e fatto inserire nel ddl. Posso solo rallegrarmi che quella formulazione non sia passata e come credente posso confermare la mia convinzio- ne sul valore della preghiera. Quando desideriamo intensamente qualcosa, mettiamo in gioco tutti i mezzi a nostra disposizione e lo facciamo con grinta e con determinazione. E’ la dimensione laica del nostro impegno umano e professionale, che ci spinge a non lasciare nulla di intentato. Concentriamo la nostra professionalità, le nostre qualità umane, la nostra sensibilità verso problemi che toccano realtà e persone in difficoltà: il contrasto alla povertà, le ingiustizie, il dolore e la malattia, ma anche l’amore alla ricerca, l’interesse per le nuove generazioni, la promozione della famiglia, la tutela della vita, ecc. E la politica offre mille occasioni per combattere questa guerra di pace e di solidarietà, in scienza e coscienza: tutti insieme, laici e cattolici, credenti e non credenti. Ma il credente guarda anche oltre, cerca l’aiuto soprannaturale della Grazia, legato alla misericordia di Dio, se vuole può rivolgersi a Dio con la preghiera e in piena libertà. Dio rispetta la libertà dell’uomo, tanto da incoraggiarci a chiedere le cose di cui abbiamo bisogno: con umiltà, con fede, con una certa insistenza. E’ la prima forma di preghiera che si insegna ai bambini, quella a cui tutti ricorriamo nei momenti di bisogno, sperando nella misericordia del Signore, ma sapendo che non c’è nessun automatismo. Dio non si lascia condizionare, ma può venirci incontro se crede che ciò che chiediamo sia bene per noi e per gli altri. Solo che i tempi di Dio sono molto diversi dai nostri e la sua interpretazione di ciò che è bene non sempre collima con la nostra. Però ci hanno insegnato che in un modo o nell’altro la preghiera è sempre efficace e per questo abitualmente ci provo, senza pretese. Qualche volta va bene, anche se non si capisce né cosa sia successo né come sia successo. Semplicemente è accaduto. La storia, penso a quella del 900, è piena di eventi la cui dinamica sfugge alla nostra comprensione: c’è una teologia della storia che ci sorprende e ci spiazza continuamente. E questo è tutto caro Polito, ti invito solo a provarci, soprattutto quando sperimenti che da solo non ce la fai, provaci anche se pensi di non avere abbastanza fede: questo è l’anno della Speranza. Paola Binetti, senatrice del Pd Vite parallele Ike che fece molti errori e ne portò a suo modo la croce, George che ne fece uno notevole e se ne scusò Ike Turner Nacque il 5 novembre 1931. Nacque Izear Luster Turner, a Clarksdale, città del blues nel delta del Mississippi. Cominciò a otto anni come dj in una radio locale. Imparò a suonare il piano, girò intorno ai maestri del blues del momento. Si racconta che collaborò alla prima incisione in assoluto di un pezzo di rock’n’roll, poi si dedicò alla chitarra. Organizzò un suo show con diversi cantanti. Una si chiamava Anna Mae Bullock. Ike le propose di chiamarsi Tina, divorziò dalla prima moglie, la sposò. I coniugi Turner, Ike and Tina, produssero una serie di album di R&B, girarono gli stati del sud con un loro spettacolo. Il successo pompò l’io di Ike, lo assecondò nella passione per la cocaina, gli arroventò il carattere. Lo si diceva manesco, Tina nascondeva i lividi sotto il trucco, Ike giustificava la violenza con il trasporto sentimentale. Tumultuosi, i concerti proseguirono. Nel settembre del 1966 il successo divenne mondiale quando i Rolling Stones li invitarono ad accompagnarli in un tour trionfale nel Regno Unito. La loro versione R&B di famosi pezzi rock, tra cui “Come Together” dei Beatles, divennero successi inconsueti. Tra liti e baruffe la ditta e il matrimonio durarono fino al luglio del 1976. Due anni dopo il divorzio fu formalizzato. Ike abbandonò le tournée, si dedicò al suo studio di incisione di Los Angeles. Quando si rimise in pista con una nuova band scoprì che Tina aveva portato via con sé molto dell’entusiasmo dei fan. Nel 1980 andò in fiamme lo studio di registrazione, mentre Ike incominciava una lunga teoria di incidenti con la legge legati all’uso delle droghe. Nel 1990 finì in prigione per quattro anni per guida sotto gli effetti della cocaina. La condanna gli costò il posto nella Hall of Fame del Rock and Roll. Quando fu rimesso in libertà dichiarò di essersi levato la scimmia dalle spalle, ammise di avere speso in cocaina più di undici milioni di dollari. Una biografia e un film di Tina non lo aiutò a rinverdire la sua immagine. Ma poiché in ogni storia un cattivo deve pur esserci, accettò la croce per quarantacinquemila dollari. Poi, parafrasando un celebre libro pubblicò “Le confessioni di Ike Turner”, rimise insieme una band di un qualche successo, vinse un Grammy per il miglior disco di blues tradizionale. E’ morto martedì 12 dicembre. George Webb Nacque nella notte di Natale del 1929. Nacque a Kakamega, in Kenia. Imparò lo swahili, studiò letteratura a Cambridge. Nel 1954 tornò in Kenya. Impiegato nel servizio civile percorse a cavallo la regione di frontiera con l’Etiopia, compilò un dizionario della lingua boran. Organizzò gare atletiche con i detenuti della prigione locale, imparò a liberarsi da leoni aggressivi e dalle iene con il veleno. Divenne amico per la vita del celebre viaggiatore Wilfred Thesiger. In un rapporto dichiarò che Yomo Kenyatta non era un uomo adatto a governare il paese. Dopo dieci anni di governo di Kenyatta ammise sportivamente il suo errore. Arruolato nei servizi segreti britannici operò in Thailandia contro i guerriglieri comunisti. In Ghana tormentò con scherzi fantasiosi la legazione russa. Durante la chiassosa stagione degli amori di certi rospi locali, ne fece raccogliere ceste, per lanciarli nel giardino dell’ambasciata sovietica in modo che i compagni non potessero prendere sonno. Curò una celebre edizione critica dei diari di Rudyard Kipling. E’ morto a settantasette anni. PREGHIERA di Camillo Langone Ho saputo che domani pomeriggio, a partire dalle 16, in viale Ceccarini a Riccione si snoderà il presepe vivente che vedrà protagonisti i bambini di una scuola. Bene, se nel mio cuore c’è posto per una lapide questa reca la scritta “Viale Ceccarini”. Per un numero di anni che saggiamente manterrò segreto ci ho bevuto tutti i Negroni che ci potevo bere, diciamo così. Un bel giorno mi sono alzato dalla sedia, ho lasciato i soldi del conto sul tavolino del Blue Bar e senza voltarmi indietro sono andato a prendere il treno. Da quel preciso momento il famoso viale ha esercitato su di me lo stesso richiamo di un museo civico archeologico, o di una cena coi vecchi compagni di classe. Invece quando ho saputo del presepe vivente ho desiderato tornarci, magari con un bambino che fosse mio figlio. Liberato dal passato, ho potuto immaginarmi un futuro. Potenza del Natale di Nostro Signore Gesù Cristo. PICCOLA POSTA di Adriano Sofri Nel breve periodo siamo tutti morti.