COEXIST eight different kind of fantastic art

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COEXIST eight different kind of fantastic art
COEXIST
eight different kind of fantastic art
di Ivan Quaroni
È una consuetudine ritenere che l’Arte Fantastica sia una forma di escapismo, il
prodotto di un istinto che affiora in periodi caratterizzati da crisi economiche e forti
tensioni sociali, insomma, che si tratti di una sorta di valvola di sfogo, di una risposta
emotiva al disagio generato dal mutamento delle condizioni di vita degli individui.
A conclusioni analoghe era giunto lo storico dell’arte lituano Jurgis Baltrušaitis, il
quale nel celebre saggio Il Medioevo Fantastico, affermava che “quando questa
stabilità viene alterata, quando le metamorfosi delle forme e dello spirito scatenano
la fantasia e l’immaginazione, ecco che ritroviamo il mostro e la bestia”1. Per
Baltrušaitis, l’arte fantastica era correlata all’affiorare di pulsioni irrazionali, che si
esprimevano, formalmente, attraverso l’adulterazione dei valori classici di equilibrio
e armonia.
L’incubo, l’allucinazione, il sogno, l’utopia, il magico e il meraviglioso sono
elementi tipici della rappresentazione fantastica, anche se non sono necessariamente
il prodotto di un disinteresse nei confronti dell’esperienza quotidiana.
Italo Calvino scriveva, infatti, che esistono due tipi di genere fantastico, quello
visionario, che include i sottogeneri della fantascienza, dell’horror e della narrativa
gotica e che contiene elementi sovrannaturali, e quello mentale che, invece, usa il
soprannaturale come metafora per indagare la dimensione interiore e psicologica.
Ma l’arte fantastica può anche essere considerata come il riflesso di una coscienza
allargata, capace di estendersi oltre i confini della realtà fenomenologica, verso la
dimensione ineffabile dell’esistenza.
René Magritte sosteneva che la mente ama l’ignoto e le immagini il cui significato è
sconosciuto, poiché il significato della mente stessa è sconosciuto. In tal senso, come
afferma lo scrittore e regista Alejandro Jodorowsky, l’immaginazione attiva può
diventare “la chiave di una visione più ampia”, che permette di “pensare e sentire
partendo da prospettive diverse”2. Albert Einstein la considerava addirittura più
importante della conoscenza perché, diceva, “la conoscenza è limitata,
l’immaginazione abbraccia il mondo, stimolando il progresso, facendo nascere
1
Jurgis Baltrušaitis, Il Medioevo Fantastico. Antichità ed esoterismi nell’arte gotica, Adelphi,
2002, Milano.
2
Alejandro Jodorowsky, Psicomagia. Una terapia panica, Feltrinelli, 2003, Milano.
l’evoluzione”3. Se accettiamo il punto di vista di Einstein, siamo indotti a considerare
l’arte fantastica come l’espressione di una pulsione fondamentale dell’individuo.
Tutto ciò che esiste al mondo, infatti, – idee, forme, strutture, oggetti –, è stato
necessariamente prima immaginato e poi creato. L’immaginazione e la fantasia sono
facoltà che contribuiscono al progresso della specie e che, allo stesso tempo, ci
avvicinano all’atto divino della creazione. Giorgio De Chirico affermava che “per
essere veramente immortale un’opera d’arte deve uscire completamente dai limiti
dell’umano: in essa il buon senso e la logica mancheranno del tutto. In tal modo
l’opera si avvicinerà al sogno e anche alla mentalità infantile”4.
L’arte fantastica non può, dunque, essere considerata unicamente come l’effetto di
una reazione al clima di crisi che stiamo attraversando. Semmai, è la testimonianza di
una mai sopita vitalità creativa e di una tenace volontà di reinterpretazione e, quindi
anche di “riscrittura” del mondo conosciuto.
Coexist è un progetto che raccoglie le opere di otto artisti italiani nell’intento di
sintetizzare uno spaccato del ricco e variegato campo dell’iconografia fantastica nella
pittura contemporanea italiana.
Come nel Realismo Magico di matrice letteraria sudamericana, la pittura di Carlo
Cofano descrive la realtà come un campo d’improvvise epifanie, un luogo che
potenzialmente può aprirsi alla rivelazione di nuovi mondi attraverso squarci
luministici e accensioni cromatiche. Oggetto dei suoi dipinti sono scenari naturali o
spaccati urbani, spesso popolati da presenze sottili ed esseri ultradimensionali che
suggeriscono l’esistenza di una realtà parallela, celata tra le pieghe del vissuto
quotidiano. Cofano predilige ambientazioni notturne e silenti paesaggi metafisici per
inscenare il racconto di una rivelazione interiore. Il suo è un viaggio metafisico (e
pittorico) che si configura come un processo di progressiva illuminazione. Processo
in cui l’arista parte da uno scuro fondo acrilico, metafora dell’informe e
dell’indifferenziato, per scolpire, attraverso la luce iridescente dell’olio, forme e
figure di chiara evidenza. È un modus operandi che ricalca il percorso di affinamento
della coscienza individuale, in una sorta di crescendo emotivo e immaginifico che
affonda le radici nella sensibilità artistica del Mediterraneo.
Parte, invece, da un approccio mimetico, di matrice iperrealista, Jara Marzulli, ma
con obiettivi che scartano la mera fedeltà al dato ottico, per prediligere un racconto
metonimico e simbolico. L’artista lavora di concerto con le sue modelle per allestire
set fotografici suggestivi, capaci di cogliere la magia del momentum. C’è quindi una
fase preparatoria, in cui viene definito il soggetto iconografico, ed una fase
3
“Imagination is more important than knowledge. For knowledge is limited, whereas imagination
embraces the entire world, stimulating progress, giving birth to evolution”, citato in: George
Sylvester Viereck, What Life Means to Einstein, The Saturday Evening Post, 26 ottobre 1929.
4
Giorgio De Chirico, Il senso del presagio, in Metafisica, a cura di Esther Coen, Electa Mondadori,
2003, Milano.
prettamente pittorica, in cui l’artista filtra il dato realistico attraverso la
trasfigurazione simbolica. Il corpo umano, con la sua pastosa fragranza organica, è il
protagonista assoluto della rappresentazione, lo strumento duttile e sensibile di un
racconto insieme estatico e carnale. Marzulli sospende i soggetti in una dimensione
liquida, indefinita, per focalizzare l’attenzione dello spettatore tanto sull’espressività
anatomica e gestuale, quanto sugli accostamenti semantici. Mentre gli sguardi e i
gesti alludono, infatti, a una condizione di estatico rapimento e di mistico incanto, gli
elementi naturali, come i fiori e le api, ci riportano alla dimensione prosaica e
tangibile dell’esistenza. E proprio questo continuo slittamento tra il corpo e l’anima,
questo scivolamento tra l’epidermide e lo spirito, costituisce l’elemento vivificante
delle fantasie dell’artista.
Sospeso tra mondo fenomenico e noumenico è anche il lavoro di Anna Caruso, che
evidenzia i punti di snodo e contatto tra la cultura materialista occidentale e la
religione e il folclore tradizionali. L’artista usa il linguaggio della metamorfosi e della
trasfigurazione per descrivere la coesistenza all’interno dell’individuo di due aspetti
apparentemente contrapposti, quello razionale e quello istintuale, rispettivamente
simbolizzati dalla forma umana e da quella animale. Invece che creare compatti ibridi
antropo-zoomorfi, Anna Caruso costruisce figure eteree, prismatiche, in cui
convivono, quasi impercettibilmente, l’uomo e la bestia. “Mi servo di una tecnica
pittorica ad acrilico su tela priva di preparazione”, racconta l’artista, “che mi
consente di giustapporre il colore senza eccessive sfumature e di poter lavorare con
stratificazioni di trasparenze”. Attraverso questo espediente ottico, che costringe
l’osservatore a una continua messa a fuoco dello sguardo nel tentativo di decifrare la
cangiante mutevolezza delle forme, l’artista riesce, pur senza rinunciare alla
narrazione, a creare una pittura liminare, ambiguamente sospesa tra astrazione e
figurazione.
Massimo Quarta interroga il presente sullo schermo deformato del fantastico,
trasferendo l’esperienza sensibile in un universo di pura invenzione, popolato da
umanoidi privi di fisionomia. Il Farbomondo di Massimo Quarta è un meta-luogo,
attraversato da forme ellittiche e circolari, da anelli orbitanti e portali
ultradimensionali che disegnano psichedeliche texture cromatiche. Tutti gli abitanti di
questa dimensione immaginifica, i farbonauti e le loro controparti femminili (le
farboline), sono connotati dalla presenza, al centro del volto, di una grande cavità
orale, una specie d’incavo labiale o di connettore organico che potrebbe servire per
caricare o scaricare ogni genere d’informazione, ma che è evidentemente anche una
potente metafora sessuale. Massimo Quarta è forse, tra quelli qui presentati, l’artista
più schiettamente chimerico, impegnato com’è nella definizione di un’utopica
dimensione parallela, un luogo morbido e accogliente, che egli definisce “non
contaminato da immagini mediatiche” e dove, infine, le meraviglie del possibile
diventano tangibili eventualità.
Di origine prepotentemente mediatica sono, invece, le opere dipinte da Tiziano Soro,
spesso ispirate all’immaginario dell’advertising americano degli anni Cinquanta, ma
reinterpretato alla luce di una sensibilità che coglie nel segno pulito e nella sintesi
grafica i segni dello zeitgeist contemporaneo. Procedendo per livelli, ognuno dei quali
contraddistinto da un diverso stile pittorico - dalla figura realistica in primo piano,
spesso affiancata da geometrie sintetiche, giù fino ai complessi pattern sullo sfondo –
l’artista mette a punto un’originale sigla stilistica di sicuro impatto visivo. La sua è,
infatti, una pittura che Duchamp non esiterebbe a definire “retinica”, per l’appeal
schiettamente ottico, ma che tuttavia induce l’osservatore a interrogarsi sulla natura
ambigua delle immagini. L’artista proietta sulle tele figure decontestualizzate, che
producono un effetto straniante, proprio perché sono sganciate dal contesto originario
e trasformate in topoi autonomi, privi di ogni riferimento ambientale. Nel suo caso,
più che di vera e propria arte fantastica, si può parlare di una sorta di decostruttivismo
pop, che usa le immagini come lemmi di un enigmatico cifrario pittorico.
Una pittura pop, di chiara ascendenza illustrativa, è quella di Vania Elettra Tam,
che usa l’autoritratto come pretestuoso leit motive per indagare tic e ossessioni del
femminino contemporaneo. L’artista ritrae i suoi alter ego impegnati in banali azioni
quotidiane, come truccarsi, farsi il bagno o cucinare, proiettando sulle mura
domestiche ombre fantastiche, che non collimano con i gesti e le movenze reali dei
protagonisti. Pescando a piene mani nella tradizione delle fiabe europee e delle
filastrocche popolari, Vania Elettra Tam costruisce una narrazione ironica, che scorre
parallelamente alle vicende rappresentate in primo piano, come una sorta d’ipertesto
visivo. La sua è, dunque, una figurazione che mescola mimesi realistica e
trasfigurazione fantastica, disseminando le immagini di dettagli indiziari, che
suggeriscono una chiave d’interpretazione. È il caso dell’opera “Lacrime di
coccodrillo” dove, accanto alla figura della protagonista, compare un piccolo
foglietto con la sequenza numerica di Fibonacci, un modello matematico usato per
descrivere i ritmi di crescita e di riproduzione naturali.
Pittore di misteriose vedute arcadiche è Nicola Caredda, artista sardo che reinventa
la natura, miscelando la capricciosa lezione dei grilli gotici con le atmosfere languide
ed estenuate del simbolismo. L’artista dipinge con puntigliosa acribia e incredibile
attenzione per i dettagli, boschi e giardini disseminati di rovine, di are e plinti
provenienti da un passato indefinito, sospeso tra classicismo e post-modernità.
Sono paesaggi notturni, silenti angoli di una vegetazione addomesticata dalla mano
dell’uomo e sovente percorsa da bizzarre creature zoomorfe ed enigmatiche
apparizioni. La pittura di Nicola Caredda, debitrice tanto delle inquiete visioni di
Salvator Rosa quanto delle sinistre atmosfere di Böcklin, segue la traccia di una
rinata sensibilità decadente, che unisce alla neogotica propensione verso le
ambientazioni spettrali un certo gusto lezioso di marca lowbrow. Con i suoi parchi
sovrastati da cieli plumbei e illuminati dalla flebile luce lunare, Caredda riesce a
ridare corpo e sostanza a quella natura, permeata di “corrispondenze”, che il poeta
Baudelaire immaginava come un “tempio, ove colonne viventi, lasciano talvolta
sfuggire confuse parole”5.
5
Charles Baudelaire, Corrispondenze, in I Fiori del Male, a cura di G. Raboni, Einaudi, 2006,
Torino.
All’immaginazione alchemica e alle arcane suggestioni del folclore e delle credenze
popolari attinge la pittura di El Gato Chimney, artista che, archiviate le precedenti
esperienze di ambito street art, è riuscito a elaborare un linguaggio più complesso e
personale, attraverso il quale si propone di indagare la dimensione insondabile e
ineffabile dell’esistenza. I suoi dipinti più recenti, caratterizzati da un’atmosfera cupa
e da una maggiore riduzione cromatica rispetto al passato, raffigurano una realtà
metafisica ambivalente, perennemente sospesa tra luce e ombra, tra esteriorità e
interiorità, dove si fondono aperture paesaggistiche e interni claustrofobici. L’artista
insiste sull’apparente dualismo dell’uomo non solo attraverso la presenza simultanea
di ambienti contrapposti, i quali sembrano slittare l’uno nell’altro all’interno di una
stessa immagine, ma anche tramite l’evocazione di un clima da culto iniziatico e
propiziatorio. Non è un caso che, al centro delle sue opere, appaia spesso
un’imperscrutabile figura di sacerdote, intento a celebrare gli oscuri rituali di una
religione sconosciuta. L’arte di El Gato Chimney dimostra di aver appreso (e
superato) la lezione Surrealista, nel momento in cui inventa una sorta di
personalissimo folclore, che fa da corredo a una pittura ricca e sontuosa, carica di
simboli magici e prodigiose apparizioni.