commiato del padre giovanni scalese - Istituto Paritario Bianchi dei

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commiato del padre giovanni scalese - Istituto Paritario Bianchi dei
COMMIATO DEL PADRE GIOVANNI SCALESE
Napoli, Chiesa di Santa Maria di Montesanto, 21 novembre 2014
«Desiderio desideravi hoc Pascha manducare vobiscum» (Lc 22:14). Ho desiderato tanto
celebrare con voi questa Eucaristia prima di partire, perché penso che sia il modo migliore
di salutarci: riuniti tutti insieme — confratelli, docenti, alunni, famiglie — intorno all’altare,
o meglio intorno a Colui che dà senso alla nostra vita, Colui che ci ha salvati e per il quale
viviamo.
Anche Gesù, prima di lasciare i suoi discepoli, volle consumare con loro l’ultima cena. Non
fu solo per salutarli, ma anche per spiegare il senso della sua vita, il senso di tutto ciò che
aveva detto e fatto durante gli anni trascorsi insieme con loro, e per lasciare loro le sue
ultime volontà, una specie di testamento spirituale.
Non ho la pretesa di equipararmi a Gesù, anche perché le situazioni sono assai diverse; ma
penso che sia giusto, prima di partire, spiegarvi con semplicità il senso di quanto sta
avvenendo e lasciarvi qualche raccomandazione.
Non credo sia un caso che questa celebrazione avvenga oggi, 21 novembre, il giorno in cui la
Chiesa commemora la presentazione di Maria al tempio. Nei vangeli non se ne parla, ma la
tradizione della Chiesa, attestata questa volta dai vangeli apocrifi, ha sempre creduto che la
Madonna, fin da bambina si sia consacrata totalmente a Dio, divenendo così strumento di
cui Lui si è servito per realizzare l’opera della redenzione. Ebbene, il decreto con cui sono
stato nominato Superiore della Missione afghana riporta la data del 4 novembre, il giorno in
cui, trentanove anni fa, anch’io mi consacravo al Signore con la professione religiosa,
ponendomi a sua completa disposizione per la realizzazione del suo piano di salvezza. Quel
giorno emisi i tre voti di castità, povertà e obbedienza, promettendo di sottomettermi alle
decisioni dei Superiori, considerate quale espressione della volontà di Dio su di me.
Quando, più di un anno fa, il Padre Generale mi chiedeva la disponibilità per questa
missione, affidata da oltre ottant’anni alla nostra Congregazione, come potevo dire di no?
Quando poi è arrivata la nomina, questa volta non dal Superiore generale, ma dalla Santa
Sede, cioè dal Papa, potevo tirarmi indietro? Non era forse questa la prova che Dio stesso
voleva ciò? Abbiamo sentito Gesù nel vangelo: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?
Ecco mia madre e i miei fratelli. Perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli,
egli è per me fratello, sorella e madre» (Mt 12:48-50). Noi che ci consideriamo fratelli di
Cristo, soprattutto noi religiosi che lo abbiamo professato pubblicamente, non saremmo tali
se non facessimo poi la volontà di Dio, che si manifesta a noi attraverso le decisioni dei
legittimi Superiori.
Qualcuno mi ha chiesto se sono contento; qualcun altro se sono preoccupato. Mah, è
difficile descrivere il mio stato d’animo in questo momento. Certo, sarei ipocrita se negassi
qualsiasi preoccupazione. La situazione che mi attende non è delle più rosee; i pericoli ci
sono e ne veniamo quotidianamente informati dai mezzi di comunicazione. Ma parto con
fiducia. Innanzi tutto perché le situazioni possono cambiare, non sempre in peggio; qualche
volta anche in meglio. Secondo, perché non vado di mia iniziativa, ma nel nome del Signore;
e questo mi dà tanta forza: «Tutto posso in colui che mi dà la forza» (Fil 4:13). Proprio ieri
un ex-alunno di Firenze ha postato su Facebook questo commento: «Omnia possibilia sunt
credenti». È una frase evangelica, che significa: «Tutto è possibile per chi crede» (Mc 9:23).
Infine perché nella mia vita ho sempre fatto l’esperienza della protezione divina. Ormai ho
sessant’anni: in questi anni ho incontrato tante difficoltà, che talvolta apparivano
insormontabili. Eppure non mi è mai mancato l’aiuto di Dio. È ovvio che questo non esclude
l’eventualità che a un certo punto Dio ci possa chiedere anche il sacrificio supremo; non
possiamo non metterlo nel conto. Ma, se questa dovesse essere la volontà di Dio, stare a
Kabul o a Napoli, non cambierebbe molto. Mi impressionò molto la frase scritta da uno dei
monaci trappisti di Tibhirine in Algeria, che furono trucidati nel 1996: «Siamo qui per
adorare Dio, pregare e rendere gloria al Signore. Sicché per noi vivere o morire è la stessa
cosa».
A questo punto vorrei ringraziarvi per avermi accolto calorosamente fra voi fin dal mio
primo arrivo, ormai quattro anni fa; per avermi accettato così come sono, con i miei limiti e
i miei difetti; per avermi aiutato non poco in questi anni nello svolgimento dell’incarico che
mi era stato affidato; per avermi fatto oggetto di tante manifestazioni d’affetto, soprattutto
in questi giorni. Grazie infinite!
Da parte mia posso dirvi che mi sono trovato bene in mezzo a voi. Non appena arrivai, nel
2010, mi accorsi che l’ambiente del Bianchi era ancora un ambiente “sano”: una scuola
seria, con docenti professionalmente preparati e ragazzi educati e impegnati nel loro sforzo
di crescita culturale e umana. Mi dispiace ora lasciarvi; ma vi posso assicurare che vi
porterò con me nel mio ricordo, nel mio cuore e nella mia preghiera. Probabilmente, con
alcuni avremo la possibilità di incontrarci di nuovo; ma è ovvio che poi ognuno andrà per la
sua strada. Ed è giusto che sia così. Ma in ogni caso, il tempo trascorso insieme non sarà
stato inutile: è stata l’occasione di un arricchimento reciproco; qualcosa che rimane ed entra
a far parte della nostra personalità.
Me ne vado tranquillo, perché, come scrivevo nella mia ultima circolare, so di lasciarvi in
mani sicure. Concelebrano con me i miei confratelli, fra cui il nuovo Rettore, Padre Mauro
Espen e il nuovo Economo, Padre Aldo Tell. È qui presente anche il nuovo Coordinatore
didattico, il Prof. Renato Campanelli. Tutte persone di esperienza, che sapranno condurre
l’Istituto nel migliore dei modi. A loro il mio sincero augurio di buon lavoro.
Un’ultima parola a voi, ragazzi. Mi raccomando di crescere sani e forti, sotto tutti i punti di
vista, fisico morale e spirituale. Diventate delle persone di carattere, con una vostra
personalità ben definita, non come le canne sbattute dal vento. Approfittate di questi anni,
che avete la fortuna di trascorrere al Bianchi, per farvi una cultura robusta: è un patrimonio
che nessun potrà togliervi. I soldi possono anche venir meno, ma la cultura non ve la potrà
rubare mai nessuno. Diventate dei buoni cristiani: la fede è il tesoro più grande che
possediamo; ci è stato trasmesso dai nostri padri, dobbiamo a nostra volta passarlo ai nostri
figli. E infine rimanete sempre uniti a questo Istituto, che vi sta aiutando a crescere,
sperando che anche i vostri figli possano un giorno frequentarlo.
E soprattutto rimaniamo sempre uniti nel Signore, che ha fatto di noi una sola famiglia
diffusa su tutta la terra: non fa differenza vivere a Napoli o a Kabul. Ricordatevi di me nelle
vostre preghiere. Dio vi benedica e la Madonna vi accompagni!