I corpi intermedi tra passato e futuro
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I corpi intermedi tra passato e futuro
I corpi intermedi tra passato e futuro Indice Premessa I corpi intermedi nella Dottrina Sociale della Chiesa La crisi dei corpi intermedi – cause e riflessi economico sociali La crisi economica come crisi di fiducia Convivere con le contraddizioni, alla ricerca delle soluzioni possibili La crisi economica – le lezioni La crisi economica – le letture fuorvianti I limiti della politica: tra false promesse e nuovi fabbisogni di intervento sociale Quali prospettive per le rappresentanze sociali Rappresentare il lavoro significa anche riconoscerlo Il mutamento della dialettica sociale Istituzioni – politica e rappresentanze sociali: la governabilità difficile Il ruolo delle Associazioni del lavoro di ispirazione cattolica: un’alleanza per le riforme I CORPI INTERMEDI TRA PASSATO E FUTURO Premessa Nella definizione di corpi intermedi viene compreso l’insieme di organizzazioni di rappresentanza, associazioni, movimenti di opinione e partiti che esprimono valori e interessi nell’ambito sociale e politico, mobilitano adesioni e consenso, per farlo esprimere in particolare nell’ambito delle istituzioni o nelle relazioni sociali. Nei paesi democratici sono stati protagonisti del rinnovamento economico e sociale, contribuendo con la loro azione a migliorare la capacità di risposta delle istituzioni rispetto alle domande delle persone e dei gruppi sociali. In questo ambito i corpi intermedi rivendicano, mediano, agiscono, presidiano, attivano i canali di partecipazione dando vita a quel pluralismo di opinioni e di scelte che caratterizza le moderne democrazie. La capacità dei corpi intermedi di esercitare la responsabilità sociale è fondamentale per garantire la coesione sociale nelle comunità nazionali e locali e la governabilità delle società complesse. Le società moderne sono proiettate verso il futuro, aperte all’innovazione, desiderose di nuove opportunità di crescita e di maggior benessere. Sono processi che comportano anche fratture per le componenti tradizionali presenti nella società stessa e rischi per le persone coinvolte nei cambiamenti. E’ l’azione dei corpi intermedi che storicamente, attraverso la progressiva conquista di diritti civili, politici e sociali, ha dato vita alle forme evolute della democrazia, dello stato e della società assicurando la crescita dei redditi, l’erogazione di beni collettivi e di prestazioni sociali che sono risultati fondamentali per la coesione sociale nell’ambito delle 2 economie di mercato. Contribuendo anche e soprattutto, alla regolazione dei rapporti sociali tra le classi, attraverso il loro reciproco riconoscimento, ed a diffondere l’esercizio dei diritti e dei doveri che formano la coscienza civile. Per questi motivi l’evoluzione dei corpi intermedi è profondamente connessa con le trasformazioni del mondo del lavoro, delle classi sociali, della produzione e della redistribuzione del reddito prodotto. Nel corso del XIX e del XX secolo il ruolo e la funzione dei corpi è stata oggetto di profonde diatribe, e di conflitti drammatici che sono sfociati anche nelle dittature fascista, nazista e sovietica. La funzione libera ed autonoma dei corpi intermedi è stata contrastata nel tentativo di ridurla alla mera organizzazione del dissenso, per finalità primariamente politiche, o ad un’articolazione dello stato corporativo autoritario. Così come, sul versante liberale, è stata ostacolata la formazione delle organizzazioni sindacali accusate di falsare gli esiti meritocratici del mercato e la libertà di scelta delle persone. Nell’ambito di quest’evoluzione trova un posto di rilievo l’orientamento assunto dalla Dottrina Sociale della Chiesa, a partire dalla Rerum Novarum del 1893 di Leone XIII. Uno sforzo costante, proseguito da numerose Encicliche Papali rivolto ad aggiornare la lettura dei valori cristiani, e della tradizione, per rispondere alla spinta modernizzatrice, ed alle sue contraddizioni connesse alla industrializzazione dell’economia. Sono documenti che hanno fornito analisi e indirizzi per le attività delle organizzazioni sociali e politiche di ispirazione cattolica. Un’evoluzione complessa non priva di contraddizioni e di momenti di attesa. Ma che ha segnato profondamente, e non solo nell’ambito del mondo cattolico, il modo di concepire il ruolo dei corpi intermedi. Nella Dottrina Sociale della Chiesa lo sviluppo economico, la proprietà e la libera iniziativa delle persone nell’ambito dei mercati aperti, sono elementi positivi e parte della vocazione 3 dell’uomo verso il quale, come recita la Bibbia, viene “consegnata la terra per coltivarla e custodirla”. Libertà economica, in quanto espressione dei talenti e dei doni ricevuti, che deve essere doverosamente protesa primariamente a generare il bene comune, ed a contribuire allo sviluppo integrale delle persone. In questo senso diventa necessario, sempre e in ogni condizione, privilegiare i fini dell’azione economica e non essere indifferenti verso le modalità ritenute necessarie per perseguirli qualora non rispettose della persona umana Una visione inclusiva del mercato, dialettica rispetto alla versione liberale che vede nella selezione darwiniana operata dalla competizione tra le imprese, la condizione per generare sviluppo e benessere individuale e collettivo. E pertanto orientata all’esigenza di generare opportunità per tutte le persone e per l’insieme delle comunità, a partire da un’equa redistribuzione della ricchezza prodotta. La Dottrina Sociale della Chiesa assegna un’importanza fondamentale al valore delle relazioni tra persone, tra soggetti collettivi. E’ soprattutto la responsabilità individuale e sociale a creare le condizioni favorevoli per il perseguimento del bene comune. Lontana dagli approcci ideologici che lo ritengono conseguenza delle mutazioni strutturali delle strutture produttive operate dal mercato, ovvero il frutto della dialettica antagonistica tra capitale e lavoro. Letture che attribuiscono un ruolo dominante ai cambiamenti derivanti dai processi strutturali anonimi ed all’interno dei quali il ruolo delle persone e delle relazioni diventa del tutto marginale. Diversamente le rappresentanze sociali e politiche, in autonomia e nel reciproco riconoscimento, possono diventare con la mediazione sociale, e con lo spirito di servizio delle istituzioni verso gli interessi generali, generatrici del bene comune. 4 Autonomia del sociale dalla politica, sussidiarietà tra persone, famiglia, corpi intermedi ed istituzioni, valore della mediazione sociale, sono oggi espressioni ampiamente condivise anche negli ambiti politici e sociali storicamente ostili, come quelli liberali e socialisti. Sono indicatori della solidità degli orientamenti della Dottrina Sociale della Chiesa comprovata dal ruolo rilevante avuto dall’associazionismo di ispirazione cattolica nell’affermare la democrazia nel nostro Paese nel secondo dopoguerra. Un ruolo fondamentale anche per contrastare i rischi di derive autoritarie e sovversive che non sono mancati nella nostra storia recente. E’ bene e corretto ricordare che questo processo è stato dialettico anche all’interno del mondo cattolico, tra innovazione e conservazione della tradizione, tra spinte confessionalistiche e laiche, tra la visione corporativa e quella pluralistica della rappresentanza. Risolto nel tempo in favore di una visione laica ed aconfessionale delle rappresentanze sociali e politiche espresse dal mondo cattolico e che ha consentito loro di aggregare consenso anche nel mondo dei non credenti. Mentre è aumentata la legittimazione culturale e sociale del ruolo dei corpi intermedi, nell’’ultimo ventennio, paradossalmente si è verificato un progressivo indebolimento della loro azione nei Paesi sviluppati. 5 La “crisi dei corpi intermedi” – le cause e riflessioni economico sociali Nell’attuale fase storica si sta verificando un tendenziale declino del ruolo dei corpi intermedi. Esso non deriva da ostacoli di natura politica, ma soprattutto dall’evoluzione delle strutture produttive e del mercato del lavoro, nell’ambito del processo di globalizzazione dell’economia. Per cinque motivi principali. Il primo legato alla progressiva individualizzazione dei percorsi lavorativi riscontrabile nella diversificazione delle forme del lavoro e dei rapporti di lavoro, nella rapida obsolescenza delle professioni, nella destrutturazione e delocalizzazione delle imprese e dell’organizzazione del lavoro. Un secondo derivante dalla crescente sovraterritorialità delle scelte allocative della finanza e degli investimenti mentre nel contempo, anche per queste ragioni, diminuisce il potere degli Stati nazionali. Democrazia, politica e rappresentanza sociale, e cioè gli attori della regolazione soffrono un effetto di spiazzamento che penalizza il diritto rispetto al mercato. I riflessi più diretti si intravedono, ed è il terzo motivo, nella relativa incapacità della regolazione politica e sociale nell’affrontare le dinamiche dei rischi emergenti. Alcuni di essi presentano caratteristiche globali, nel caso del depauperamento delle risorse ambientali e nella diffusione incontrollata dei conflitti bellici e del terrorismo. Nel contempo si è verificata una trasformazione dei rischi sociali. Aumentano quelli derivanti dalle transizioni lavorative, per i costi di investimento delle famiglie verso i figli e per le cure dei non autosufficienti (e quelli più in generale legati all’invecchiamento demografico), per la crescente mobilità delle persone. I rischi possono essere reali, potenziali o percepiti. Diffusi o personalizzati. 6 Certamente è diminuita la consapevolezza di poterli affrontare facendo leva sulle dinamiche collettive e sul ruolo degli Stati. Alla crescente complessità dei problemi e dei fabbisogni di sicurezza delle persone, le Istituzioni tendono a rispondere con la semplificazione dell’offerta politica. Particolarmente evidente nella ricerca di un rapporto massmediatico tra leader e popolo. E’ un andamento che comprime gli spazi e la capacità di risposte autonome delle rappresentanze sociali e trasforma i partiti politici in organizzazioni funzionali alla mobilitazione del consenso elettorale, a discapito del ruolo di selezione e promozione della classe dirigente. Specularmente l’orientamento delle persone si fa più aperto ed articolato in relazione alle specifiche condizioni di lavoro, di reddito, dell’essere contribuenti e consumatori. Si formano opinioni “situazionali” in relazione a fatti e contingenze, e si sgretolano progressivamente le tradizionali identità ed il senso di appartenenza alle organizzazioni politiche e sociali. Su questi aspetti dedicheremo, in seguito, una riflessione specifica. Sono le problematiche indotte dalla cosiddetta fase “postmoderna” dello sviluppo, intesa come processo di velocizzazione e destrutturazione dello spazio (luoghi di produzione e consumo, aumento degli attori e dei protagonisti del sistema finanziario e produttivo) e del tempo (velocità delle decisioni e del trattamento delle informazioni, mobilità dei fattori e rapidità degli adattamenti). La globalizzazione ha allargato gli spazi del mercato. Tutto fa mercato ed è nel mercato che finanza, capitali, tecnologie, merci, lavoro si incontrano e si condizionano a vicenda. Ma nella realtà si tratta di almeno tre mercati: quello della finanza, quello degli investimenti fisici, intesi come tecnologica e merci, e quello del lavoro. Sono mercati che si muovono con logiche e velocità diverse. La finanza sviluppa le proprie scelte in tempo reale valutando le convenienze su scala globale. La prevalenza di esse è orientata verso ulteriori prodotti finanziari 7 progressivamente distanti dall’economia reale. L’allocazione degli investimenti delle imprese è condizionata dalle attrattività dei territori e quindi soggetta alle condizioni ambientali, culturali, normative dei territori stessi. L’adeguamento del mercato del lavoro è assai più lento, perché l’adattamento delle persone in termini di competenze, mobilità, è molto più lento e dipende anche dalla qualità delle politiche del lavoro, dai costi del lavoro, dal livello dei salari che sono rapportati ai costi della vita e/o dei mercati del lavoro locali. Se i tempi e le modalità di evoluzione di questi mercati sono diverse è inevitabile che si formino dei modelli autoreferenziati di comportamento. Nel mondo finanziario il movimento dei capitali è superiore 50-100 volte le esigenze di investimento fisico e commerciale, e diventa del tutto ovvio che buona parte degli investimenti finanziari vengano destinati verso altri investimenti finanziari, oppure per l’acquisto di assets e materie prime creando una domanda artificiale che alimenta a speculazione. L’attuale crisi economica è stata preceduta, infatti, da tre bolle speculative: sui beni alimentari, petroliferi e immobiliari che hanno provocato pesanti squilibri nella distribuzione del reddito sia all’interno dei Paesi sviluppati che tra le diverse aree del mondo. Quella alimentare si calcola abbia messo a rischio di sopravvivenza oltre venti milioni di persone. In realtà sono solo le persone, che dovrebbero essere nel contempo il motore ed il fine dello sviluppo, a supportare i rischi, i costi ed i tempi dei cambiamenti provocati dalle scelte della finanza e degli imprenditori. E’ in questo modo che si è affermato il primato del mercato rispetto alle finalità primarie dello sviluppo reale. La deregolazione del movimento dei capitali ha favorito la competizione tra le diverse aree economiche per attrarre,con sgravi fiscali e con altri provvedimenti, investimenti finanziari. Gli interventi finalizzati a favorire la coesione sociale, viceversa, sono stati considerati un costo da contenere con la finalità di favorire la competitività delle imprese. 8 In effetti, ad essere incrinata è stata la sovranità fiscale degli Stati in quanto esposti ai movimenti del capitale finanziario alla ricerca dei migliori rendimenti. I tempi e gli orizzonti delle scelte si sono accorciati non solo per le scelte dei consumatori, ma soprattutto per garantire i rendimenti delle azioni e del risparmio, attraverso scelte che privilegiano il breve periodo, anche a discapito dei valori patrimoniali delle aziende. Altrettanto, per queste ed altre ragioni, il mercato si è rivelato incapace di stimare gli effetti indesiderati delle azioni dei competitori. Siano essi il riflesso ambientale dei comportamenti imprenditoriali scorretti, di speculazioni, di conflitti sociali. Oppure di quelli bellici, la cui intensità locale è aumentata dalla fine della cosiddetta “Guerra fredda”. Questi aspetti richiederebbero una capacità delle nazioni e, aggiungo, delle democrazie di produrre sistemi di regolazione collettivi più validi. In realtà è capitato l’opposto. Si sono indeboliti gli stati, i partiti, le rappresentanze sociali, la cui azione si è rivelata palesemente inadeguata nel contrastare alcuni effetti degenerativi della globalizzazione. E la stessa deregolazione è stata assunta come ideologia positiva da parte di alcune componenti politiche. Nel contempo la velocità del cambiamento economico ha mutato le aspettative e le percezioni delle persone e la loro domanda di sicurezza. La professionalità deve essere sempre aggiornata, il lavoro è mobile, l’aumento della vita media prospetta, oltre ai vantaggi, diversi problemi per la tenuta degli interventi pubblici previdenziali sanitari ed assistenziali. Tutto diventa più veloce e ci fa sentire inadeguati nel reggere i cambiamenti. Per questo parliamo oggi non solo dei rischi reali, ma anche e soprattutto di quelli percepiti, che generano un’ansia da cambiamento. Pensiamo persino di stare peggio di trent’anni fa, quando la vita era più dura e la sicurezza personale meno protetta. Sollecitati a rispondere individualmente verso questi fabbisogni, abbiamo svalutato il ruolo degli investimenti collettivi. Chiediamo di essere aiutati a stare nel 9 mercato, ma trascuriamo il fatto che un sistema aperto sopravvive se ha buone infrastrutture, se forma adeguatamente le persone, se le famiglie fanno figli e investono su di loro, se l’ambiente non viene deturpato, se il rispetto stesso delle regole è un valore condiviso e praticato. La crisi economica come crisi di fiducia Gli argomenti utilizzati spiegano molte delle cause dell’attuale grave crisi economica internazionale. Una crisi di fiducia, è stato detto, ed è un concetto che è utile approfondire anche per completare la riflessione sul ruolo dei corpi intermedi. La fiducia nelle economie di mercato è il prodotto combinato di due comportamenti. Il primo deriva dalla fiducia riposta nel funzionamento dei sistemi esperti. Nessuno di noi, nemmeno le persone più informate, conosce le condizioni che consentono il funzionamento dei prodotti o dei servizi che acquistiamo oppure il rispetto delle regole ambientali o sociali da parte dei produttori. Semplicemente ci fidiamo del fatto che le competenze delle imprese e delle persone nella produzione e nei servizi e l’azione degli apparati di controllo, garantiscano i risultati attesi. Sarà compito del mercato penalizzare i prodotti che risultano meno efficaci e delle autorità garantire il rispetto delle regole. Ma questa premessa non sempre trova conferma nei sistemi autoreferenziati. Essi devono, per ragion d’essere, tranquillizzare i clienti ed i consumatori anche quando le cose vanno male. In questo caso dovrebbero essere, i controlli pubblici e le autorità che hanno compiti di supervisione, a garantire la correttezza dei comportamenti. Sempre che abbiano il potere e la possibilità di farlo, che i potenziali controllati non siano in grado di agire fuori dal territorio di loro competenza, che gli organismi di controllo interno alle imprese non siano collusi con la gestione delle stesse. 10 Nel caso della crisi finanziaria globale è successo proprio questo. Finanze forti, autoreferenziate e collusive, e debolezza dei poteri di controllo, a partire dalla funzione degli Stati nazionali, hanno generato il rischio di un fallimento a catena dei sistemi finanziari. L’altro aspetto della fiducia si sviluppa nell’ambito dei sistemi relazionali conosciuti. A partire dalla percezione che le persone hanno di sè e degli altri, dalla conoscenza dei canali di accesso al lavoro, al consumo, alle prestazioni sociali, e dalla solidità delle reti familiari e comunitarie. La fiducia, nel primo ambito, dipende dal rispetto e dal funzionamento delle regole. Nel secondo è favorita dal grado di coesione sociale. Nella prima fattispecie è perseguibile con approcci astratti (ideali di giustizia, equità, diritti), nella seconda attraverso l’incremento delle conoscenze e delle relazioni. L’asse della fiducia serve al mercato per garantire che le opportunità offerte alle persone siano superiori ai rischi prodotti dalla selezione competitiva ed è, pertanto, condizione fondante per il funzionamento del mercato. Ovvero è evidente, nell’attualità come lo è stato nella storia, come un eccesso nello squilibrio della distribuzione del potere e del reddito possa diventare la causa delle crisi economiche cicliche. Ma è altrettanto indubbio che la fiducia nel funzionamento del mercato sia oggi precaria e che la crisi dei corpi intermedi abbia riflessi rilevanti sulla crisi della fiducia, perché essi svolgono un compito fondamentale nel generare i canali di partecipazione e di accesso delle persone verso beni collettivi. In sintesi, possiamo affermare che la crisi economica, intesa anche come crisi di fiducia, sia stata il prodotto di tre fattori non governabili dal mercato: l’incapacità degli operatori di prevedere gli effetti indesiderati delle proprie azioni, la debolezza dei sistemi di regolazione 11 istituzionali e sociali, la scarsa valorizzazione dei beni collettivi indispensabili per far funzionare il mercato stesso. Convivere con le contraddizioni, alla ricerca delle soluzioni possibili La drammatica crisi economica ha rimesso in gioco il ruolo degli Stati nazionali. Essi hanno svolto un ruolo di garanzia di ultima istanza per i risparmiatori. Con azioni coordinate che hanno evitato il tracollo del sistema finanziario. E per stimolare la domanda di prodotti con effetti che, al momento, si sono rivelati meno efficaci. Ma siamo lontani, in entrambi i casi, dall’aver individuato sedi e modalità d’intervento in grado di rimediare strutturalmente i problemi che hanno generato la crisi. Sostituire in campo economico, finanziario, monetario e di sostegno alla domanda mondiale il ruolo degli Stati Uniti con autorità e modalità multilaterali non sarà affatto semplice. Per attenerci agli ambiti di riflessione oggetto della presente relazione, è necessario rilevare che le soluzioni devono anche fare i conti con alcune contraddizioni strutturali del cosiddetto “mercato globale”. Una prima è legata al rapporto tra risparmio e consumo. I fondamenti dell’economia moderna richiamano all’esigenza di garantire lo sviluppo attraverso l’accumulazione di risparmi e di investimenti. Ma la spinta culturale al consumismo è diventata essa stessa condizione della crescita economica. Essa stimola, viceversa, a forzare gli acquisti. In molti Paesi sviluppati, a partire dagli USA, l’indebitamento di persone e delle famiglie è diventato una delle cause della crisi finanziaria globale. Come costruire uno sviluppo sostenibile tra queste spinte contrapposte? La domanda è pertinente perché attiene al futuro dei Paesi sviluppati che hanno difficoltà ad accettare 12 tassi di crescita stagnanti o comunque contenuti a fronte dell’esigenza di rendere sostenibile l’afflusso economico e sociale e delle popolazioni dei Paesi emergenti. Ed ancora. La centralità delle risorse umane come presupposto per lo sviluppo delle imprese è riconosciuta in tutti gli studi economici e sociali. Le imprese, in effetti, hanno bisogno di persone preparate, ma nel contempo non sono in grado di investire adeguatamente in questa direzione se non in una logica di breve periodo ed a costi sostenibili per le esigenze di competizione. L’incremento delle competenze delle persone e la qualità di un mercato del lavoro sono il prodotto di un intervento sistemico entro il quale interagiscono gli investimenti pubblici, quelli delle famiglie e quelli delle imprese. Trascurare questa evidenza significa minare uno dei fondamenti dello sviluppo economico. Infine, il processo democratico deve conciliare spinte contrapposte tra le aspettative di crescita dei redditi e di sicurezza sociale, espresse dai cittadini elettori, e i fabbisogni di flessibilità del sistema produttivo che destabilizzano le condizioni professionali, i tempi di lavoro, la stessa continuità dei rapporti di lavoro. La differenziazione degli interessi tra produttori e consumatori sono una delle caratteristiche del conflitto sociale nella società postmoderna. E’ un conflitto non lineare perché ognuno di noi si trova, in situazioni diverse, a rivestire la parte del produttore e del consumatore. Nella fase dell’industrializzazione economica il conflitto era essenzialmente ridotto a quello tra capitale e lavoro. La forza dei sindacati era fonte di emancipazione dei lavoratori e, nel contempo, di progresso sociale. Mentre nell’attualità l’eccesso di tutele corporative può anche determinare un trasferimento dei rischi e dei costi della flessibilità verso i settori deboli del mercato del lavoro. 13 Non di rado il costo dei privilegi, si scarica sui contribuenti e sui consumatori. Queste contraddizioni sono, e rimarranno per molto tempo, una caratteristica della società post- moderna. Il futuro delle forze politiche e sociali e la loro legittimazione, dipende molto dalla capacità di trovare risposte ragionevoli ad esse. La crisi economica – le lezioni La crisi economica offre nel contempo la possibilità di imparare alcune “lezioni” e di utilizzarle proficuamente nel futuro. Insegna che la fiducia è un bene prezioso. Essa non può essere il frutto di sistemi anonimi ed impersonali, quanto della ricerca di regole condivise e di relazioni positive che possono essere raggiunte soprattutto con il rafforzamento del processo democratico e della coesione sociale. Le regole sono espressione dei valori e delle aspirazioni di giustizia. La coesione sociale si realizza se si diffonde la responsabilità sociale ed il reciproco rispetto tra ruoli e persone. Questo fa sì che differenti condizioni di reddito, ed i rischi connessi allo sviluppo economico abbiano la ragionevole possibilità di essere accettati nella misura in cui i benefici della crescita in termini di opportunità e di reddito siano resi disponibili per l’insieme della collettività. Lo sviluppo economico e le società aperte, per funzionare, necessitano di avere istituzioni solide e sistemi di garanzia di ultima istanza. Anche queste non sono un risultato astratto, ma il prodotto della democrazia e della partecipazione delle persone alle decisioni. Le istituzioni possono, e devono, essere aggiornate, richiedere un decentramento delle competenze o evolvere in ambiti di cooperazione internazionale. Ma i vuoti ed i limiti delle istituzioni, diversamente da quanto sostenuto dalla vulgata intellettuale che è stata prevalente nell’ultimo trentennio, non possano essere suppliti dal mercato. 14 La libertà economica, e le strategie individuali, sono una componente fondamentale dello sviluppo economico sociale. Ma l’efficacia dell’azione delle persone dipende anche dalla solidità delle reti di relazione tra persone ed attori, e degli interventi di tutela verso i rischi. La produzione di beni collettivi accessibili, sia quelli pubblici espressi in infrastrutture, formazione ed interventi rivolti alla protezione ed alla sicurezza delle persone, sia quelli prodotti nella comunità da famiglie e associazioni e che trovano la loro espressione in ambiti non solo economici ma soprattutto in quelli relazionali, sono una condizione indispensabile per il successo delle strategie individuali. Questo fabbisogno di beni collettivi deve essere riconosciuto come un valore, mentre prevale la tendenza di ritenere che il frutto delle nostre azioni dipenda essenzialmente dai nostri meriti individuali. La crisi economica - le letture fuorvianti La globalizzazione è un processo destinato ad ampliarsi, non a ridimensionarsi. Dalla crisi si potrà uscire con un aumento degli attori istituzionali ed economici, perché essa dipenderà dalla capacità di sviluppo locale delle economie emergenti. E’ auspicabile che questo venga accompagnato da nuovi ambiti di regolazione e di cooperazione internazionale, ed altrettanto che non si verifichi un rallentamento nelle aperture commerciali (il protezionismo rappresenterebbe un aggravamento del male e non la sua cura) ed un ritorno ad una territorialità autoreferenziale. Queste spinte evidenziano anche l’esigenza di dare corpo a programmi che sviluppino azioni solidali a livello globale. I processi di innovazione che hanno caratterizzato le trasformazioni economiche, produttive, occupazionali e sociali presentano caratteristiche strutturali. Essi sono soprattutto il derivato dell’introduzione di nuove tecnologie, di cambiamenti organizzativi sistemici e della possibilità di allocare e combinare i fattori della produzione in ambiti 15 extraterritoriali. E non, come spesso si è ritenuto, il frutto delle innovazioni normative riguardanti i rapporti di lavoro. Come sottolineato, è assai probabile che dalla crisi si esca con un aumento della pluralità dei contesti e degli attori protagonisti dell’economia mondiale e che, pertanto, queste caratteristiche strutturali vengano ulteriormente accentuate dal protagonismo più forte dei Paesi emergenti, in particolare di Cina ed India. La flessibilità del capitale, dell’organizzazione del lavoro e del mercato del lavoro sono esigenze strutturali dell’economia e della società postindustriale. Tanto meno è pensabile che si riproponga un ritorno dello Stato nella gestione delle attività economiche e produttive. Le garanzie di ultima istanza offerte dai governi al sistema finanziario, al fine di evitare una catena di fallimenti, non prefigurano la riproposizione del capitalismo di stato come modello efficiente di gestione della produzione e dei servizi, soprattutto nelle economie che hanno raggiunto un alto livello di sviluppo. Altra cosa è ripensare le forme della ridistribuzione del reddito, delle prestazioni sociali e del coinvolgimento dei vari attori e interessi che interagiscono nelle attività economiche e produttive. Questo secondo ambito richiede davvero un ripensamento di alcune politiche, o non politiche, praticate nell’ultimo ventennio. I limiti della politica: tra false promesse e nuovi fabbisogni di intervento sociale Abbiamo già sottolineato come il paradosso di una politica “costretta” a fare continue promesse per soddisfare le aspettative degli elettori, si scontri con l’impossibilità di mantenerle per l’indebolimento del ruolo degli Stati nazionali e per i vincoli crescenti nell’uso delle risorse pubbliche disponibili. Risorse, per definizione, limitate, ed in gran parte già presidiate dai percettori delle prestazioni sociali in essere e dalle spese per 16 sostenere gli apparati pubblici. Mentre un loro ampliamento, tramite prelievi fiscali, rischia di penalizzare la produzione ed i consumi. La sovrabbondanza di richieste di interventi pubblici deriva, soprattutto, dal fabbisogno crescente di sicurezza delle persone, che viene accentuato dall’instabilità delle economie globalizzate e dagli effetti dell’iperconsumismo. Effetti che vanno letti anche come timore di perdere i livelli di reddito e di status acquisiti. Una domanda che ha perso i tradizionali canali di veicolazione, e cioè le identità partitiche e sociali derivanti dal sentirsi parte di un ceto o di una classe, per incanalarsi nella formazione di opinioni “su specifiche situazioni e verso singoli problemi” da parte dei cittadini. Catturare l’opinione pubblica diventa l’oggetto dell’interesse primario della politica e l’uso sistematico dei sondaggi di opinione ne è l’esempio più manifesto. Da questo scaturisce la deriva massmediatica, leaderista e, non di rado, populista della politica. Non sono gli orizzonti di lungo periodo ad orientarla, quanto la capacità quotidiana di recepire gli umori dell’elettorato. Ma ogni decisione non può che scaturire da un’analisi delle cause e dalla valutazione delle conseguenze delle scelte che vengono intraprese. La qualità della politica non deriva dal soddisfare le aspettative, ma nel produrre esiti corretti. Ed anche perché l’acquisizione di nuovi diritti comporta l’esercizio di doveri. Il costo di ogni intervento richiede un finanziamento ed è pertanto doveroso che debba essere vagliato con criteri di equità e di salvaguardia dell’interesse generale. Questo modo di intendere la governabilità coincide con l’esigenza di diffondere la responsabilità sociale delle persone e dei corpi intermedi che vengono chiamati a ricercare un’equilibrata contemperazione tra i vari interessi economici e sociali. E’ questo il significato primario della mediazione sociale. 17 Succede invece che quest’ultima sia considerata di sovente un problema ed un inutile intoppo per gli interventi delle istituzioni, uniche responsabili delle decisioni che hanno riflessi collettivi. La politica, e le istituzioni stesse, vengono pertanto sovraccaricate di aspettative che non sono in grado di soddisfare. Non ci si deve meravigliare se da questo corto circuito, e dalla frustrazione collettiva che ne deriva, scaturisca una reazione negativa dei cittadini verso la politica ed i politici. Il diffuso moralismo (tutti i politici sono corrotti) ovvero l’assuefazione alla degenerazione etico valoriale della politica ne sono le manifestazioni evidenti. Ma la società postmoderna ha bisogno di politica. E di riforme delle istituzioni. Affrontare i nuovi rischi, quelli globali, come le degenerazioni ambientali e le nuove forme dei conflitti bellici, oppure i problemi derivanti dalla crescente mobilità delle persone, dei capitali e delle merci, richiede elevati livelli di cooperazione internazionale. Sul versante micro il diffondersi dei cosiddetti rischi di transizione di tipo lavorativo professionale, connessi alla flessibilità del lavoro, oppure le nuove frontiere della salute legate alla disponibilità di tecnologie che offrono prospettive positive per evitare le malattie legate all’invecchiamento delle persone, richiedono strategie personalizzate, una diffusa consapevolezza delle persone, la valorizzazione di beni e servizi collettivi. Per beni collettivi, non solo quelli prodotti dalle pubbliche istituzioni, intendiamo gli interventi e gli investimenti che favoriscono la formazione delle persone, il loro aggiornamento professionale, la previdenza e la sanità complementari, l’assistenza verso le persone indigenti, l’accoglienza degli immigrati. E i beni colelttivi non possono che essere il prodotto di azioni sociali condivise. E’ un errore, oggi più che mai, ridurre i fattori di successo economico e sociale di una comunità alle strategie rivolte a migliorare la competizione delle singole imprese. 18 Altrettanto concorre la capacità di cooperare tra imprese con diverse finalità, soggetti collettivi e persone che interagiscono a diversi livelli nelle organizzazioni del lavoro, sulle forme degli investimenti, nella qualificazione dei consumi. Valorizzare le persone, la capacità di investimento economico, sociale ed affettivo delle famiglie e delle comunità locali, coinvolgere i lavoratori nelle scelte delle imprese sono processi che hanno ritorni nel medio-lungo periodo, ma che rendono efficiente e solidale un sistema economico produttivo. Una visione della “governabilità”, e della politica, che valorizza la sussidiarietà. Ma è bene non illudersi, essa dovrà convivere e trovare equilibri possibili con la dimensione leaderistica e massmediatica della politica, che trova il suo punto di forza nell’esigenza degli elettori di avere risposte comprensibili ed immediate. Un equilibrio difficile, ma perseguibile, se si afferma una visione moderata della politica, sobria e rispettosa del pluralismo, dei ruoli e delle opinioni diverse. Quali prospettive per le rappresentanze sociali Quanto sopra dipenderà molto anche del ruolo che sapranno svolgere le rappresentanze sociali. Questa definizione è indubbiamente molto larga. Annovera le forme associative del mondo del lavoro, del volontariato, le associazioni di ispirazione religiosa, le organizzazioni dei servizi in forma stabile o per scopi temporali delimitati. Limiteremo la nostra riflessione alla specificità delle rappresentanze del mondo del lavoro. Ricordavano come, per oltre un secolo la crescita del loro ruolo, soprattutto di quelle sindacali, sia coincisa con le idee di progresso, di crescita del benessere, dell’ emancipazione dei lavoratori e della società nel suo insieme. Allo stato attuale queste coincidenze sono molto problematiche, quantomeno nei paesi sviluppati. 19 Ciò non dipende solo dai fattori economico strutturali che abbiamo in precedenza evidenziato, ma anche dal come le rappresentanze interpretano il lavoro ed il modo di rappresentarlo. In particolare la rappresentanza collettiva ha una difficoltà intrinseca a riconoscere le nuove forme del lavoro, ed ad accettare la crescente personalizzazione delle scelte e dei comportamenti delle persone, che caratterizzano l’attuale evoluzione dell’organizzazione produttiva del mercato del lavoro. L’organizzazione collettiva, ed il primato degli interessi collettivi rispetto a quelli individuali, nascono dalla storica evidenza che le asimmetrie di potere tra datori di lavoro e lavoratori subordinati potevano essere rimediabili con la capacità di mobilitazione degli interessi collettivi dei lavoratori intesi in senso ampio e massificato. Da questo è derivata la funzione dominante che ha assunto il diritto del lavoro, le forme dello sciopero,le norme che hanno regolato i rapporti di lavoro, l’oggettiva tendenza a privilegiare la forma del lavoro subordinato stabile. Per questi motivi la flessibilità del lavoro, così come l’evoluzione delle organizzazioni del lavoro basate su forti relazioni interne tra reti d’imprese e di persone, nonché l’avvento di nuove forme di prestazioni lavorative che prevedono un forte coinvolgimento individuale delle persone, sono state percepite ed osteggiate perché comportavano un indebolimento dell’azione collettiva. Negli ultimi trent’anni il decentramento delle produzioni, il subappalto, le nuove forme dei rapporti di lavoro si sono affermati per la forza trasformatrice del mercato. Le relazioni sindacali con grande difficoltà, e con strategie difensive di contenimento, hanno cercato di porre un argine a questi cambiamenti, soprattutto laddove essi presentavano rischi eccessivi per le persone coinvolte. 20 Ma l’elevata personalizzazione delle scelte e dei comportamenti non riserva solo problemi perché è anche la condizione per ampliare l’accesso a nuove opportunità, per avere a disposizione più informazioni e per sviluppare compiutamente le potenzialità delle persone stesse. Tutto ciò non far venir meno il bisogno di esprimere identità collettive associative (nelle professioni, nell’azienda, nelle comunità) perché l’autentica espressione della individualità avviene soprattutto nel sistema delle relazioni. Come abbiamo già sottolineato il mercato ha bisogno di beni collettivi per funzionare. Siano essi investimenti in infrastrutture, formazione e ricerca, oppure capacità di favorire la conciliazione tra la famiglia e il lavoro, l’accoglienza di persone provenienti da altri Paesi, una tutela ragionevole per i lavoratori che perdono il lavoro, una buona distribuzione del reddito prodotto. Questi investimenti, se così li possiamo definire, sono il prodotto dei valori condivisi e, inevitabilmente della mediazione sociale tra gli interessi. Dal ruolo che possono in tal senso svolgere i corpi intermedi, per veicolare queste esigenze delle persone e della collettività può scaturire una funzione inclusiva del mercato. Funzione altrettanto importante quanto quella, esaltata, della concorrenza finalizzata ad espandere la vendita di prodotti e servizi a prezzi inferiori. Anche l’accettazione dell’economia aperta è il prodotto di valori, come ad esempio: la libertà individuale, il rispetto del privato, fare bene il proprio mestiere, rispettare la legalità. Valori che sono parte fondamentale e irrinunciabili della modernità, ma di per sé incapaci di produrre bene comune soprattutto se si riconosce che le stesse libertà individuali sono anche il prodotto delle relazioni e degli investimenti collettivi. E’ la mediazione sociale, che può individuare i punti di equilibrio e di convergenza tra le esigenze di garantire l’espressione individuale e di salvaguardare le ricadute sociali dei comportamenti. Essa deve promuovere la crescita integrale delle persone, la valorizzazione 21 delle differenze e, nel contempo, gli interventi finalizzati a tutelare ed ad includere i soggetti più deboli. E’ necessario ricordare, sempre, che la velocità dei cambiamenti ha effetti asimmetrici tra finanza, produzione reale, persone (ed ambiente). E’ compito della società occuparsi soprattutto che non siano le persone a pagare in modo abnorme i costi del cambiamento. Ad esempio, facendo evolvere l’ accesso alla conoscenza a livelli sempre più ampi, dando pari dignità alle diverse forme del rapporto di lavoro, rafforzando i servizi di orientamento al lavoro, sviluppando sostegni al reddito delimitati nel tempo, ma accessibili a tutti, per affrontare i rischi di perdita del lavoro che si sono moltiplicati. Concorrendo alla formazione delle decisioni in ambito pubblico, con la regolazione contrattuale, con la promozione dei servizi. Lo stesso tema della partecipazione dei lavoratori, con la diminuzione del numero delle medio-grandi imprese, deve essere rideclinato nelle forme di partecipazione collettiva da attivare attraverso fondi di azionariato comuni, ovvero con Enti bilaterali di emanazione contrattuale rivolti a sostenere la promozione della formazione, dell’orientamento, dell’integrazione dei sostegni al reddito e di prestazioni di previdenza, sanità, assistenza complementari. E ancora, come non sottolineare l’inadeguatezza del nostro stato sociale nell’affrontare le dinamiche dell’invecchiamento della popolazione, del calo della natalità, l’evidente difficoltà delle famiglie nel sostenere gli investimenti sociali per la crescita dei figli e della cura dei non autosufficienti. Temi che pongono il problema di ripensare la questione sociale in Italia non delimitandola, alla evoluzione dei rapporti di lavoro ma, quanto meno, identificando la vera emergenza 22 sociale nel crescente impoverimento economico, sociale e relazionale di numerose famiglie italiane. Rappresentare il lavoro significa anche riconoscerlo Sembra un’affermazione scontata, ma così non è. Associazioni ed organizzazioni del lavoro hanno fasi di crescita e di consolidamento. Durante la fase nascente i movimenti sociali cercano di rappresentare le novità. Una volta consolidata la rappresentanza, prevale la difesa degli interessi ed emergono inevitabilmente delle tendenze conservatrici. Queste non sono necessariamente negative, soprattutto se le organizzazioni hanno la capacità di comprendere le novità e di autoriformarsi al proprio interno. Questa dialettica è ben visibile nel ruolo svolto dalle organizzazioni del lavoro nella fase postindustriale. Non sto parlando solo dei sindacati, ma anche delle organizzazioni del mondo imprenditoriale, degli ordini professionali, delle associazioni di mestiere. La resistenza al cambiamento, in genere, si manifesta in due modalità. Una rivolta a salvaguardare l’identità. Essa tende a trascurare, perché minano l’identità, le innovazioni emergenti nel mondo produttivo e sociale. La seconda si manifesta nel tentativo di trasferire i rischi ed i costi del cambiamento verso altri segmenti delle imprese e del mercato del lavoro. Sono fenomeni molto visibili nell’attualità. Molte dimensioni del lavoro sono sconosciute (il rapporto sottopagato, le partite IVA, i clandestini) o semplicemente trascurate (i lavori che non si vogliono più fare, i mestieri che vengono meno nel ricambio generazionale del mercato del lavoro). Altrettanto evidente come i rischi derivanti dall'aumento della competizione in vari campi, e le esigenze di maggiore flessibilità, si riflettano nel mercato sulle fasce delle imprese e del lavoro meno protette. 23 Il fenomeno dei cosiddetti “insider e outsider” non è certo solo italiano e non è generato solamente dall’azione delle rappresentanze. Ma è indubbio che il loro comportamento concorre a radicalizzare o attenuare queste contraddizioni e che, in Italia, il dualismo del mercato del lavoro tra protetti e non protetti sia particolarmente elevato. Riconoscere il lavoro nelle sue varie espressioni è dunque condizione per un rinnovato ruolo dei corpi intermedi nel mondo del lavoro e per riprodurre indentità tra rappresentati e rappresentanti. Il mutamento della dialettica sociale La dialettica tra capitale lavoro, nella versione interclassista ovvero in quella antagonista, ha dominato per oltre un secolo e mezzo le dinamiche politiche sociali. Alla sua evoluzione era connaturata l’idea stessa di progresso, di crescita dei diritti e delle conquiste sociali. Evidente che tutto questo non corrisponde più alla realtà. La contemperazione degli interessi espressi nell’ambito lavorativo deve fare i conti con vissuti personali alquanto diversificati. Le persone sono nel contempo lavoratori, consumatori, contribuenti, partecipi di una vita familiare originale e di una comunità. Si confrontano con dinamiche di rischio e di sicurezza altrettanto personalizzate. Queste novità hanno influenzato la dialettica tra istituzioni, partiti e movimenti sociali perché ogni dimensione cerca di interagire in modo originale, e con specifici interessi, nell’evoluzione dei fatti sociali, mettendo anche in crisi una visione autoreferenziale dell’autonomia dei singoli corpi intermedi. Le rappresentanze del mondo del lavoro sono pertanto chiamate ad uno sforzo di contemperazione e di mediazione che va oltre il reciproco riconoscimento di ruolo tra capitale e lavoro. Problema, tra l’altro, ancora non del tutto risolto in Italia dove 24 sopravvive, sia pur ridimensionata, ancora una componente politica, ma soprattutto sindacale, ideologica e antagonista. Deve tener conto, infatti, dei riflessi delle proprie azioni sui cittadini (vedi il tema del rispetto dei diritti delle persone nell’ambito degli scioperi nei servizi) delle implicazioni ambientali della produzione, delle ricadute che la regolazione rigida dei rapporti di lavoro può provocare impedendo l’accesso ad un lavoro dignitoso da parte dei disoccupati. Oppure delle implicazioni che possono avere le mancate riforme delle prestazioni sociali verso le nuove generazioni e le famiglie. La loro azione, pertanto, non deve essere motivata solo in ragione della rappresentanza degli “interessi” ,ma soprattutto essere baricentrata sui valori che aiutano ad individuare le priorità degli interventi ed a valutare le ricadute sociali delle decisioni che si intendono assumere. E’ così che si esercita la responsabilità sociale. Ed è questo tipo di mediazione sociale a dare vigore alla società civile. Solo essa può consentire di dare risposte diffuse, e dal basso, alla dimensione complessa dei problemi. La questione sociale, quindi, non si esprime “solo” nelle dinamiche della regolazione del rapporto tra capitale e lavoro. Essa contribuisce a far crescere il reddito, ad orientarne la redistribuzione in modo equo tra produttori. Rimane importante condizione per garantire, attualizzandole, le prestazioni sociali finalizzate a fronteggiare i rischi derivanti dalle malattie, dagli infortuni, dalla disoccupazione e dalla vecchiaia. Ma oggi la questione sociale è rappresentata soprattutto dalla crescita della povertà non sempre, e non solo, dovuta alla mancanza di lavoro o dalla sua precarietà (il che porrebbe, ad esempio, la domanda se sia meglio un tasso di occupazione più elevato con maggiore lavoro a termine oppure più contenuto sia pure con una forte prevalenza di tempi indeterminati). Le caratteristiche della popolazione anziana e dei nuclei familiari, la difficoltà di includere gli immigrati, la povertà di beni relazionali e di cura non disponibili per centinaia di migliaia 25 di persone, il sopruso e l’illegalità che domina in molti territori rappresentano le nuove questioni sociali . A loro volta esse si intersecano con la questione del lavoro, soprattutto se viene focalizzata sulla priorità di inserire al lavoro i soggetti che hanno difficoltà a trovarlo. Affrontarle richiede il rispetto delle specificità, dei nuclei familiari, delle persone, delle condizioni che generano le povertà. E’ difficile negare che la deriva del welfare italiano, essenzialmente derivante dai suoi assetti individualistici e corporativi, trovi origine anche nell’incapacità della politica e delle associazioni del mondo del lavoro nell’affrontare le nuove dimensioni della questione sociale. Istituzioni – politica e rappresentanze sociali la governabilità difficile Dovremo convivere nel futuro con quella, che potremmo definire “la dialettica della governabilità”. Tra l’esigenza dei partiti di evolversi verso forme organizzative snelle, leaderistiche, massmediatiche, finalizzate soprattutto alla competizione elettorale, ed il fabbisogno di risposte quotidiane che debbono invece offrire le organizzazioni sociali. Nell’ambito istituzionale la capacità di condizionare le politiche economiche, in buona parte determinate da fattori e attori esogeni e poco condizionabili dall’azione dei singoli governi nazionali, porta all’esigenza di rafforzare l’azione dei poteri esecutivi rispetto ai parlamenti. D’altro canto, queste tendenze, condizionano e non di rado sterilizzano le possibilità delle rappresentanze sociali di influenzare le scelte degli esecutivi verso le decisioni che direttamente o indirettamente, le riguardano. Non di rado, per queste ragioni, la mediazione sociale è ritenuta un costo soprattutto quando l’azione sindacale, oppure quella dei movimenti ambientalistici o delle forze 26 spontanee che si mobilitano su specifici interessi professionali o localistici, assumono connotati corporativi ed egoistici poco accettati dall’opinione pubblica. Raramente il radicalismo ideologico, nelle società postindustriali, tende a corrispondere realmente alle esigenze di dare voce agli strati più deboli della popolazione. Mentre, più semplicemente i movimenti organizzati sono in grado di difendere gli interessi costituiti a danno di coloro che non hanno rappresentanza. Per queste ragioni diventa comprensibile il declino delle sinistre politiche che si sta verificando in molti paesi Europei, sia per le componenti radicali che in quelle socialdemocratiche. Perché il loro radicamento sociale storico, e ciò i gruppi di interesse consolidati, è percepito come fonte di problemi, non di opportunità. La dialettica interna a queste componenti porta ad indebolire la forza complessiva delle sinistre politiche perché, pur con le debite differenze esistenti tra riformisti e radicali, hanno difficoltà a fuoriuscire da una politica ridotta ad interpretare le dinamiche sociali come il prodotto dei conflitti tra capitale e lavoro, che lo stato debba esercitare una funzione dominante nell’azione regolativa e redistributiva, e che la politica stessa, pertanto, debba mantenere il suo primato rispetto all’azione sociale. Ma la ricerca del bene comune, inteso come capacità di coniugare nei contesti specifici le condizioni che favoriscano lo sviluppo economico, con le opportunità di crescita integrale delle persone, non può che essere il frutto dell’azione sussidiaria. E non di un’astratta visione ideologica da imporre alle persone. In questo ambito sono le persone, le famiglie, le comunità locali, i corpi intermedi, le istituzioni che in modo dialettico, nel reciproco riconoscimento, che concorrono a perseguire l’interesse collettivo. 27 Le istituzioni pubbliche non vengono concepite come dominio, ma come argine verso i comportamenti che ostacolano il bene comune, come garanzia di ultima istanza per la sicurezza sociale e delle persone, come condizione per cooperare in ambito internazionale. Sono i valori storicamente espressi nella Dottrina Sociale della Chiesa e che trovano nella recente Enciclica di Benedetto XVI “La Caritas in Veritate” una straordinaria attualizzazione. Nell’ultimo ventennio si è riproposta, con modalità aggiornate, l’idea che i cambiamenti che influenzano il nostro divenire siano conseguenza di processi anonimi ed in particolare dei vincoli derivanti dal mercato e dalle esigenze di competizione delle imprese e dei territori. In questo ambito, per definizione competitivo, il valore delle relazioni tra persone, soggetti collettivi, istituzioni viene ridotto a manifestazione di testimonianze tanto apprezzabili, quanto inefficaci. Quando invece è dimostrabile, anche nelle analisi economiche e sociali, comprese quelle che riguardano la finanza, l’evoluzione delle forme d’impresa e dell’organizzazione del lavoro, quanto sia vero il contrario. E, come già sottolineato, possa essere cooperazione tra imprese, attori collettivi, e persone a parte offrire un contributo fondamentale per lo sviluppo equo e sostenibile. Il ruolo delle rappresentanze sociali può svilupparsi soprattutto in quattro ambiti tra loro complementari: La contrattazione collettiva con la finalità di regolare i rapporti di lavoro, la crescita professionale e l’equa retribuzione dei lavoratori. La priorità visibile è quella di avviare una nuova stagione dei diritti del lavoro basata sull’adozione dello “Statuto dei lavori” all’interno dei quali le diverse forme dei rapporti di lavoro siano riconosciute e tutelate equamente. Veicolando la partecipazione dei lavoratori nelle 28 Sullo sviluppo dei servizi dedicati ad orientare al lavoro ed all’adeguamento delle competenze dei lavoratori; Nel definire prestazioni sociali integrative in campo pensionistico, assistenziale, sanitario, di sostegno al reddito, nel costruire il consenso sociale verso decisioni che riguardano l’assetto produttivo ed occupazionale e le politiche di welfare. Con la dimensione internazionale dell’azione sociale che si deve sviluppare sia nelle forme della rivendicazione universale dei diritti delle persone, che per definizione richiede la graduale adozione di regole che siano in grado di evitare lo sfruttamento dei lavoratori e delle popolazioni, sia favorendo gli interventi che favoriscono dal basso la crescita delle comunità che sono ancora prive di igiene, di generi alimentari di prima necessità, di adeguata formazione per le persone. Questa dimensione, nonostante l’affermazione dei programmi di microcredito e degli interventi finanziati con donazioni, è ancora altamente sottovalutata. Eppure potrebbe essere una fonte straordinaria per mobilitare risorse e trasferire know-how e competenze disponibili, e magari inutilizzate come nel caso di molti pensionati desiderosi di rimanere attivi. Il ruolo delle Associazioni del lavoro di ispirazione cattolica – un’alleanza per le riforme Le rappresentanze sociali, che storicamente si sono ispirate alla Dottrina Sociale della Chiesa, hanno oggettivamente un’occasione unica per contribuire al rinnovamento della nostra nazione. 29 Il ruolo indubbiamente rilevante svolto dalla sinistra politica e sindacale in Italia si è progressivamente indebolito e sono maturate le condizioni per operare scelte più coraggiose sui temi della partecipazione dei lavoratori, del decentramento delle relazioni sindacali e degli interventi verso le famiglie. Tuttavia sarebbe riduttivo pensare che i ritardi delle politiche del lavoro e di quelle sociali in Italia siano solamente dovuti alla capacità di veto che hanno avuto da alcune componenti del mondo del lavoro. L’unità d’azione tra le rappresentanze del mondo imprenditoriale, sindacale e della cooperazione, ha contribuito in molti ambiti a condividere valori e progettualità ma ciò non è bastato ad introdurre gli elementi di discontinuità in grado di recuperare alcuni gravi ritardi nelle politiche del lavoro ed in quelle sociali. E’ indubbio che nella comunità italiana si siano innestati nel tessuto sociale elementi degenerativi che, sommati agli storici e irrisolti squilibri territoriali, rischiano di minare la già precaria coesione sociale. Evidente il paradosso tra il ruolo economico – sociale svolto dalle famiglie e la debolezza delle politiche rivolte a sostenerlo. Come abbiamo già avuto modo di sottolineare in altre occasioni (vedi il convegno del Forum delle persone e delle Associazioni di ispirazione cattolica nel Mondo del Lavoro su “Lavoro e famiglia”) questo scollamento sta producendo gravi danni sociali sul fronte della formazione delle nuove famiglie, su quello della natalità, nel degrado dei servizi alle persone, nella difficoltà di conciliare il lavoro con la famiglia soprattutto per le donne. La qualificazione dei servizi alla persona è in molti grandi paesi sviluppati occasione di lavoro e di ripensamento delle politiche sociali. In Italia dilaga il lavoro sommerso e l’occupazione precaria è sottopagata. 30 Cos’ pure è evidente il rischio che la crisi economica depauperi un patrimonio economico e occupazionale costituito dalla rilevanza delle piccole imprese con riflessi sui rischi di impoverimento delle famiglie a basso reddito. Lo stato di abbandono e di illegalità in molti territori del Mezzogiorno anziché ridursi tende ad ampliarsi. Ogni azione riformatrice non può che fare i conti con questi problemi. E l’associazionismo cattolico non può limitarsi a rivendicare l’indubbio merito di aver contribuito a contenere i rischi autoritari per la nostra democrazia, che erano evidenti nel dopoguerra, ovvero di aver affermato i valori dell’autonomia del sociale e del pluralismo economico. Valori oggi generalmente condivisi ma che devono necessariamente essere aggiornati nell’attualità. Evidente come i problemi economico-sociali italiani siano anche il prodotto di un inadeguato sforzo riformatore della cosiddetta “concertazione sociale” che ha contribuito negli anni ’90 a contenere i rischi degenerativi dell’inflazione e del debito pubblico, ma che non è stata in grado di segnare una discontinuità nelle politiche sociali. Esiste il rischio molto serio che le potenzialità ancora esistenti nel nostro Paese e le indubbie eccellenze che emergono in ogni campo rimangano espressione di minoranze non in grado di influenzare le scelte coraggiose e necessarie. Per questi motivi il tema delle affermazioni dei valori, dei progetti condivisi e delle alleanze sociali deve vedere in prima fila l’associazionismo di ispirazione cattolica del mondo del lavoro. E per questi motivi abbiamo dato vita al Forum delle persone e delle Associazioni di ispirazione cattolica nel Mondo del Lavoro nella forma di una aggregazione laica che si propone, nel contempo, di aggiornare analisi e progetti nell’ambito della appartenenza al mondo ecclesiale al quale ci ispiriamo, ma con l’ambizione di attivare convergenze più 31 ampie in grado di influenzare il processo riformatore in Italia. Questa responsabilità è nostra e impegna laicamente noi stessi. Su questo si fonda l’essere classe dirigente, nel sapere che è nostro dovere coniugare i valori e cioè, il senso della nostra missione, con le competenze che rendono concreto e visibile il ruolo di servizio verso i lavoratori e i cittadini, che rimane lo scopo primario delle nostre associazioni. 32