la vita (e la morte) impossibile di calore, terrorista rosso-nero

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la vita (e la morte) impossibile di calore, terrorista rosso-nero
storie
romanzi criminali
La vita (e la morte) impossibile
di Calore, terrorista rosso-nero
Storia dell’ex militante di Ordine Nuovo, ucciso a picconate
La censura
che vale solo
per i poveri
di Andrea Colombo
L’
hanno ammazzato a
picconate. Chi se ne
intende per mestiere
sostiene che ammazzatine del genere conseguano di
solito più a un violento impulso
estemporaneo che non a un premeditato piano. Sergio Calore è
morto così, in un casolare dalle
parti di Guidonia. Non è un delitto di quelli che incantino l’attenzione del pubblico, tant’è che
passati i primi giorni non se ne è
parlato più. Forse perché Calore,
per la stragrande maggioranza
degli italiani, era un nome sconosciuto. Uno dei tanti pentiti che
qualche volta finiscono per fare
una brutta fine, e pace all’anima
loro.
Invece la vita di Sergio Calore,
classe 1952, è stata di quelle che
uno sceneggiatore avrebbe avuto remore a inventarsela, per timore di apparire poco realistico.
Impossibile, si sarebbe detto, che
nel percorso di una sola persona
finiscano per confluire tante sanguinose vicende e mai chiariti
intrighi. Un ragazzo di provincia,
nato e cresciuto a Tivoli, politicamente battezzato dal locale circolo Drieu La Rochelle. Uno dei
tanti neofascisti dell’epoca, però
più intelligente e acculturato di
molti altri, di certo un bel po’ più
inquieto.
A metà anni ’70 è uno dei giovani
emergenti di Ordine nuovo, un
pargolo di Paolo Signorelli, quel
professore romano che si è fatto
una decina d’anni di carcere a
buffo ma nessuno se ne ricorda
perché tanto era fascista e quindi ben gli è stato. Più ancora che
di Signorelli, però, Calore sente il
richiamo di Pierluigi “Lillo” Concutelli, il “soldato politico” che ha
deciso di prendere la armi contro
lo Stato e che non nasconde l’intenzione di fare, da destra, come le
Brigate rosse. I ragazzini di Tivoli
guidati da Calore gli forniscono il
necessario supporto logistico.
Lillo di armi non si limita a parlare. Le usa. Uccide il pm Vittorio
Occorsio, poi passa a preparare
un rocambolesco attentato contro
il capo dell’antiterrorismo Vigna,
stavolta con l’attiva collaborazione del giovane Sergio. Lo arrestano proprio alla vigilia del colpaccio, il 13 febbraio 1977, tradito
non si sa da chi. C’è chi a tutt’oggi
sospetta proprio di Calore.
Preso Concutelli, il ragazzo di Tivoli torna all’ovile, da Signorelli,
e proprio sua è l’idea di dar vita
a un nuovo gruppo con giornale
incluso. Nasce così “Costruiamo
l’azione” e Calore si trova fianco a fianco con i vecchi volponi
dell’eversione nera, tra i quali
spicca Aldo Semerari. È un criminologo di chiara e meritata fama
(non per modo di dire: i suoi studi
fanno testo ancora oggi), ma è anche uno sciroccato che si è fatto
venire in mente un’idea fra le più
improbabili. Perché perdere tempo a mettere in piedi gruppi armati di estrema destra quando la
manovalanza è già lì bella e pronta? Basta rivolgersi ai delinquenti
comuni, che con mitra e rivoltelle
ci sanno fare. Le conoscenze giuste, il professore, ce le ha tutte:
è lui che distribuisce ai banditi
romani e napoletani i certificati
psichiatrici che gli permettono di
uscire dal carcere ogni volta che li
pizzicano. È un gioco pericoloso,
più di quanto il criminologo non
immagini. Di lì a pochi anni, per
punirlo di aver facilitato la vita
con le sue perizie anche ai cutoliani, gli Ammaturo lo faranno
ritrovare al centro di Ottaviano,
paese natale di don Raffaele, col
corpo da una parte e la testa da
tutt’altra.
Però non è che i generali costruttori d’azione conoscessero soltanto canaglie conclamate. Intrattenevano rapporti stretti anche con
Licio Gelli e con qualche spione
di carriera. Incaricarono di tenere
detti rapporti due tra i più giovani
e promettenti adepti, Paolo Aleandri e, appunto, Calore. Perché
mai, tra parentesi, il turpe legame
col grande incappucciato sia stato
Col tritolo, l’Mrp ci dà sotto di
brutto. Un attentato via l’altro,
tutti a scopo dimostrativo e accompagnati da volantini che sembrano presi di peso dalle redazioni
rosse, pieni di incitazioni alla lotta
contro il fascismo, l’imperialismo
e il padronato.
Con l’ultimo attentato, quello del
20 maggio ’79 di fronte alla sede
del Csm in piazza Indipendenza,
si rischia la mattanza. Il timer non
scatta, secondo qualche perito per
caso, stando ai bombaroli perché
bloccato apposta. Detto timer,
in ogni caso, è costruito con una
sveglia Rhula proveniente dalla
partita con cui erano stati preparati gli ordigni della campagna
del ’69, quella culminata con la
strage del 12 dicembre. Impossibile credere che quella sveglia, a
modo suo così eloquente, sia stata
adoperata a caso: è davvero possibile che la bomba non dovesse
esplodere ma solo essere ritrovata,
per far pervenire a chi di dovere il
messaggio.
Dopo le bombe, Calore finisce in
prigione per qualche settimana
Leandri, colpevole solo di portare
un loden come Arcangeli.
poi rinfacciato a Valerio Fioravanti, che non lo ha mai visto in
vita sua, e non a quelli che lo andavano periodicamente a trovare
in albergo, resta un mistero.
Il rapporto tra vecchi e giovani,
all’interno di Costruiamo l’azione, si guasta rapidamente. Un
po’ perché i più giovani scalpitano per agire di fatto oltre che di
nome, e un po’ perché Calore insiste sempre più sul fronte comune con i rossi. Dura da un pezzo,
nell’estrema destra, questa storia
dell’alleanza rosso-nera contro il
sistema. Il primo a lanciarla, alla
fine dei ’60, era stato addirittura
Franco Freda, il nazistone. Ne
parlano in molti, ma intendono
cose diverse. Ci sono quelli che
mirano all’infiltrazione provocatoria, quelli che disponendo di
stellette autoconferitesi ma non
di truppa farneticano sulla possibilità di “strumentalizzare” gli
estremisti di sinistra. Ci sono pure
quelli che ci credono, e Calore è
uno di loro.
e si ritrova in cella, oltre che con
Signorelli, con Valerio Fioravanti. Nasce lì un’amicizia di cui l’ex
ordinovista si ricorderà qualche
mese dopo, in dicembre, quando,
uscito di galera, deciderà di eliminare Giorgio Arcangeli. È un
avvocato di estrema destra, che
Calore sospetta di essersi venduto non solo Concutelli ma anche
la nappista Anna Maria Mantini,
uccisa dalla polizia. Omicidio bipartisan. Per l’occasione, chiama
in causa Fioravanti, che ha fama
di essere un tipo freddo. Prima gli
chiede di rubare la macchina per
l’attentato, poi di partecipare al
colpo.
Il 17 dicembre ’79 partono in
quattro per la prevista esecuzione.
Non ci fosse di mezzo la tragedia,
sarebbe un attentato da pochade.
L’unico a conoscere la vittima è
Calore, che però si tiene a distanza per non essere riconosciuto. Il
terrorista che deve aprire il fuoco
è giù di vista. Alla guida c’è un ragazzino di appena 16 anni. Quando arriva un tipo che somiglia al
bersaglio, Fioravanti, nel dubbio,
lo chiama: «Avvocato». Quello si
volta e il commando spara. Mancando il bersaglio. Spara anche
Fioravanti, e non sbaglia il colpo.
Sbagliata, in compenso, è la vittima. Un povero passante, Antonio
massacratore, in mezzo testimone
autorevole ai danni dei Nar per la
strage di Bologna. Freda in persona gli avrebbe confidato di aver
fatto piazzare la bomba di piazza
Fontana, sia pur senza prevedere
la strage.
L’operazione è subito bollata dai
fascisti in prigione come ponticello verso il pentimento propriamente detto, o infamia che dir si
voglia. Non hanno torto. A metà
strada Izzo e Calore mollano Fioravanti, si pentono e partono dritti
per Palliano, il carcere di minima
sicurezza dove maschi e femmine
coabitano. È qui che Calore incontra la donna che diventerà sua
moglie, Emilia Libèra, grande
pentita delle Br nonché ex compagna dell’uomo che le Br, con
oltre duemila denunce, le ha di
fatto chiuse, Antonio Savasta. È
anzi la prima causa del pentimento di Savasta, crollato di fronte
all’interrogatorio ruvido, tanto da
essere definito da molti “tortura”,
cui era sottoposta la ragazza.
Sembrava essercene abbastanza
per riempire una vita intera. E
infatti Calore e Libèra escono dal
carcere, si sposano, si sottraggono
al chiasso e al furore della storia.
Diventano due anonimi coniugi
non più giovanissimi. Fino a quei
colpi di piccone.
Si vanta di amicizie con i brigatisti, assicura di aver preso parte
all’assalto contro la Dc di piazza
Nicosia. Organizza un gruppo
clandestino che battezza con una
sigla volutamente ambigua, Movimento rivoluzionario popolare.
Per improrogabili ragioni di spazio stavolta la pagina dei Pirati
non esce. Riprenderà dal prossimo numero.
Il gruppo se ne va con due macchine. A Fioravanti va liscia. Gli
altri tre vengono fermati e arrestati. L’unico ad abbozzare una
resistenza è il ragazzino alla guida. In questura, però, sarà lui a
crollare piangendo. Debolezza
di un attimo. In carcere Antonio
D’Inzillo ritroverà tutta la sua
scorza, diventerà amico di un boss
della Magliana, Marcello Colafigli, prenderà parte alle guerra tra
fazioni della banda e alla fine sarà
nel commando che uccide Enrico
De Pedis, “Renatino”.
Fioravanti ritroverà Calore qualche anno dopo, in carcere, e si avventurerà su una strada accidentata: il tentativo di fare chiarezza
sugli attentati del decennio precedente. Calore ne deve sapere qualcosa, per via di quei detonatori
che portano su scritto “strategia
della tensione” più chiaro che se
fosse il marchio di fabbrica. Giura
di saperne molto anche Angelo
Izzo, ex massacratore e futuro ri-
di athos gualazzi
A
ntonio Catricalà, presidente dell’Autorità garante della concorrenza
e del mercato, ha perfettamente ragione quando dice:
«La neutralità della rete è un tabù
che ostacola la creazione dell’Ngn
(Next generation network)» (come
riporta Reppublica di qualche
giorno fa), almeno come la intendono i “padroni del vapore”. Ha
detto qualcosa di simile qualcuno
negli anni ’20/30: «....gli ebrei
ostacolano lo sviluppo della razza
ariana e la creazione della Grande
Germania...». Certo l’ha detto in
tedesco e non in inglese ma il senso
è quello: abolire l’eguaglianza per
prevaricare, per depredare, per il
profitto. Non basta che tutti i cittadini abbiano pagato le infrastrutture, dobbiamo far sì che qualcuno le
possa sfruttare a proprio beneficio
secondo il concetto che se c’è uno
che si arricchisce gli altri ne godono i benefici... di riflesso. C’è un
sacco di gente soddisfatta… per
riflesso. Paghiamo già tariffe fra
le più alte d’Europa, non basta, è
necessario spremere ulteriormente
e naturalmente i meno abbienti,
quelli che non possono scaricare
su nessuno, quelli che non possono
aumentare i prezzi per avere una
banda larga più “larga”. Certo il
privato è più efficiente, può contare su contratti a progetto, un’infinità di precari, contratti a termine
e….. quando il limone è spremuto
si butta, il privato reinveste il profitto, magari in un altro paese dove
può spremere ancor di più la mano
d’opera mentre il pubblico è un po’
più vincolato ad un interesse collettivo, non può speculare sul costo
del lavoro.
Essendo in democrazia vorrei che
la maggioranza bulgara che sarà
spremuta e tacitata ne fosse cosciente e si facesse sentire per evitare che ancora una volta l’Italia
si distingua per la lungimiranza:
la prima nazione al mondo che rinuncia alla neutralità della rete. In
altre nazioni c’è la censura, vero,
ma vale per tutti, da noi varrebbe
solo per chi non può accedere alla
rete, non può permetterselo finanziariamente. Altro che combattere
il “digital divide”, qui vale il “divide et impera”.
La pressione dall’industria è comprensibile, molto meno dall’antitrust, la condivisione è sicuramente
malvista da quella industria che
specula sui brevetti, da quell’industria che utilizza il 90 % per
la pubblicità e il restante per la
ricerca e tutto il resto, ma sicuramente ci si aspetterebbe che le istituzioni, principalmente quelle di
“garanzia” che sono o dovrebbero
essere i bastioni a difesa dei diritti
della stragrande maggioranza della
popolazione, facessero il proprio
dovere e non l’interesse delle solite
lobby parassite.
Smettiamo di rincorrere il profitto a scapito della condivisione, è
contro l’interesse della collettività,
appoggiamo fortemente l’iniziativa
trasversale parlamentare di abolire
l’articolo 7 della legge Pisanu per
un WiFi libero e condivisibile.
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