Dall`Editto di Milano ad oggi, 1700 anni di libertà religiosa

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Dall`Editto di Milano ad oggi, 1700 anni di libertà religiosa
Dall’Editto di Milano ad oggi, 1700
anni di libertà religiosa
Millesettecento anni sono tanti, per non dire tantissimi. Il “festeggiato”,
di cui ricorre questo anniversario davvero ragguardevole, è un atto
giuridico, l’editto di Milano.
Si tratta di un provvedimento assunto nel febbraio 313 d.C. dagli imperatori
Costantino e Licinio per porre fine alla persecuzione dei cristiani e
garantire a tutti gli abitanti dell’impero la libertà di praticare il proprio
culto, di un atto di pacificazione che costituisce l’inizio di una svolta
epocale nel modo di impostare i rapporti tra la comunità politica e le
religioni che ha segnato la storia della nostra civiltà occidentale.
L’Editto di Milano contiene in modo germinale i presupposti quasi ontologici
di un diritto ecclesiastico, diritto che concerne i rapporti tra Stato e
religioni, dai più diversi contenuti, giustificando le più contraddittorie
prassi di governo degli Stati e della Chiesa. Dal punto di vista giuridico si
parla impropriamente di un editto: esso è piuttosto una convenzione tra i due
imperatori che contiene il riconoscimento esplicito ed immediato del ruolo
pubblico delle religioni, si passa dal riconoscimento del solo principio di
tolleranza sancito dall’editto di Galerio del 311 a quello della libertà
religiosa.
La dimensione istituzionale della Chiesa ed il suo diritto esprimono un’altra
dimensione pubblica della religione: caduta la tensione profetica e
apocalittica della Chiesa dei primi secoli, si cerca di raggiungere un
compromesso per conciliare i principi di diritto divino con quello umano e si
vuole con il corso del tempo evitare che l’autorità politica mini l’autonomia
della Chiesa.
Il diritto affermato da Costantino non è solo un diritto di libertà
religiosa, è un diritto di coscienza, si riconosce alla ragione e alla
volontà di ciascun uomo la facoltà di occuparsi delle cose divine secondo la
propria preferenza, ciò significa che tutti gli abitanti dell’impero sono
legittimati a professare qualsiasi religione. L’uso nel testo dei termini
setta e religione sta a rappresentare il fatto che il riconoscimento della
libertà religiosa è esteso a tutte le sette cristiane, a prescindere dalle
loro divisioni interne.
Questo principio si instaura in un periodo di travagliata transizione
dall’impero pagano a quello cristiano ma non è limitato ai soli cristiani,
coinvolge tutti ed è rivoluzionario rispetto alla concezione giuridica romana
dove i culti pagani costituiscono la religio che unisce la civitas alle
rispettive divinità ed in cui il forte contrasto tra impero romano e comunità
cristiane non è circoscrivibile alla contrapposizione tra politeismo e
monoteismo. Con questo provvedimento ciascuna religione presente nell’impero
raggiunge la stessa condizione giuridica di religio licita, tutti gli
abitanti dell’impero sono legittimati a professare liberamente qualsiasi
religione idonea ad assicurare alla respublica la benevolenza divina.
Nell’editto di Milano non si deplora pertanto l’abbandono della tradizione
ancestrale ma si riconosce il diritto di scegliere la religione che si vuole
e non si punisce chi rinnega la fede atavica. Questo provvedimento non è
comunque da confondere con l’editto di Tessalonica di Teodosio del 380 con il
quale la religione cristiana è proclamata religione ufficiale dell’Impero.
Il modello di Chiesa costantiniano è stato inoltre recepito nel Medioevo: si
afferma il principio di dualità tra Chiesa ed Impero, tra una realtà mistica
e una dimensione pubblica, ritenuta quest’ultima di competenza imperiale,
compreso l’intervento dell’imperatore in questioni teologiche qualora
avessero minacciato l’unità dell’impero. Le attribuzioni divine che
progressivamente Costantino sovrappone alla funzione episcopale accentuano il
carattere autocratico nel nuovo assetto costantiniano segnando l’avvio della
fase ierocratica-cesaropapista, sottolineato dal titolo di “vicario di Dio”,
titolo che rimane prerogativa dei sovrani laici fino a Papa Innocenzo III.
Un’ulteriore conseguenza dell’editto di Milano è stato quello di porre la
base della libertas Ecclesiae, principio fondamentale emerso nella relazione
tra la Chiesa e i crescenti poteri locali dei Comuni nel periodo del Basso
Medioevo tra fine XII e inizio XIV secolo, precisato come complesso di
prerogative in capo alle istituzioni ecclesiastiche, ai beni della Chiesa e
soprattutto ai chierici. Questo principio, il cui radicamento si ha a partire
dalla Riforma Gregoriana, crea contrasti tra Chiesa e Comuni ed è ribadito
dalla “Constitutio in basilica Beati Petri” dell’imperatore Federico II in
cui si afferma l’obbligo di cassare tutti gli statuti comunali contrari alla
libertas Ecclesiae. In relazione agli statuti comunali emerge da un lato la
recezione delle prerogative della Chiesa e dall’altro la difesa di queste da
parte della Chiesa contro disposizioni statutarie che vi andavano contro: a
volte i Comuni si accordano con la Chiesa per espungere le norme controverse,
in altri casi la libertas Ecclesiae costituisce un limite esplicito alla
legislazione dei Comuni affermato nello statuto stesso.
Il principio della libertas Ecclesiae riaffiora in epoca recente nella
dichiarazione “Dignitatis Humanae” del 1965 del Concilio Vaticano II laddove
si afferma che “la libertà della Chiesa è principio fondamentale nelle
relazioni fra la Chiesa e i poteri pubblici e tutto l’ordinamento giuridico
della società civile” ma la maggiore conseguenza che dall’editto di Milano
giunge fino a noi consiste nel riconoscimento della libertà e del pluralismo
religiosi, oggi più che mai in primo piano nella nostra società secolarizzata
e pluralista.
Senza dubbio quella della libertà religiosa è una tematica molto complessa:
per affrontarla bisogna partire dal suo fondamento costituzionale, dall’art.
19 cost. in cui si afferma che «Tutti hanno diritto di professare liberamente
la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di
farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché
non si tratti di riti contrari al buon costume».
Emerge come unico limite a questo diritto soggettivo assoluto quello della
non contrarietà dei riti al buon costume: ciò significa che lo Stato non può
ingerirsi nei principi dottrinali ma al massimo sulla sola manifestazione
esterna della religione. Il richiamo ad un concetto elastico come quello del
buon costume rinvia a quei precetti che impongono determinati comportamenti
nella vita sociale di relazione, la cui inosservanza comporta una violazione
della sfera e del pudore sessuale.
Dal punto di vista del diritto costituzionale la religione può essere
considerata una species del genus “morali” o “culture” o “dottrine
comprensive”, espressione quest’ultima che rinvia alle persone fisiche che
condividono e promuovono una determinata dottrina proponendo modelli generali
di convivenza ispirati a opzioni di valore reciprocamente irriducibili,
improntati a fini non negoziabili. In questa accezione non c’è differenza tra
religioni e dottrine comprensive in senso lato: si tratta di visioni del
mondo portate da concreti gruppi di uomini che, qui e ora, sostengono di
parlare o in nome di un Dio o in nome di culture a loro volta elaborate
riflessivamente da parte di altri uomini e a cui, indipendentemente dalla
loro matrice religiosa o secolare, deve essere riconosciuta pari dignità nel
discorso pubblico. Poiché lo scopo della costituzione è quello di garantire
la pacifica convivenza tra gli individui, essa può essere configurata come
una risposta all’esigenza di pacificazione tra gruppi potenzialmente
conflittuali e pertanto si può concludere che non ci sarebbe bisogno di una
costituzione in assenza di religioni, morali o culture presupposte.
La questione della libertà religiosa si pone anche sul piano del diritto
internazionale: l’art. 9 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei
Diritti dell’Uomo (CEDU) sulla libertà di pensiero, di coscienza e di
religione afferma che «ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di
coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare
religione o credo, così come la libertà di manifestare la propria religione o
il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato,
mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti.
La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può
essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla
legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla
pubblica sicurezza, alla protezione dell’ordine, della salute o della morale
pubblica, o alla protezione dei diritti e della libertà altrui».
L’atteggiamento che la Corte Edu adotta nell’affrontare i casi connessi alla
libertà religiosa consiste nel vagliare se le limitazioni poste dallo Stato
siano stabilite con norme generali per una ragione oggettiva, se hanno come
scopo la tutela di un interesse pubblico egualmente rilevante e se
costituiscano misure necessarie e proporzionate secondo i parametri di una
società democratica. Da questo modus operandi la seconda sezione della Corte
si è discostata nella sentenza del 3 Novembre 2009 del caso Lautsi c. Italia
quando, procedendo ad una valutazione astratta, ha affermato che l’affissione
del crocifisso nelle scuole pubbliche italiane costituisca un’ingerenza
negativa sulla libera formazione del pensiero religioso degli studenti. Il
fatto che in questa sua decisione la Corte si sia allontanata dalla prassi ha
portato ad un revirement da parte della Grande Chambre che, analizzando in
concreto l’organizzazione del sistema scolastico italiano, ha ritenuto che la
violazione della libertà religiosa fosse scongiurata.
La libertà religiosa contiene al suo interno una serie coessenziale di
diritti di tra cui la libertà di coscienza e i diritti di appartenere e di
recedere da una confessione religiosa, di mantenere la riservatezza e di
manifestare l’appartenenza alla confessione religiosa, di fare propaganda e
proselitismo, di esercitare il culto in privato e in pubblico e di
comportarsi secondo i precetti del proprio credo.
L’esercizio di questi diritti crea molte difficoltà, soprattutto se le
religioni provengono da contesti culturali profondamente diversi da quello
occidentale e portano con sé usi, tradizioni, culture che possono entrare in
conflitto con il nostro orizzonte categoriale. Per fare qualche esempio si
può pensare all’uso del velo nelle scuole che ha scatenato una dura reazione
in Francia la quale lo ha vietato insieme con tutti gli altri segni religiosi
ostentativi, mentre in Italia parte della giurisprudenza ha affermato la
legittimità di indossare il pugnale della confessione sikh in luoghi pubblici
purché in presenza di una certificazione di appartenenza emessa dalla
confessione religiosa. Già da questi due casi emergono due modi di intendere
la laicità profondamente diversi, quella forte, paradigma francese, che
afferma un principio di equidistanza tra Stato e religioni, relegate alla
sfera privata delle persone, mentre nella sfera pubblica tutti si comportano
secondo il diritto dello Stato, senza deroga alcuna, e quella debole, cui si
ispira l’Italia, che riconosce rilevanza pubblica alle religioni e in cui lo
Stato si fa carico di sostenere la realizzazione degli interessi religiosi
delle persone.
In conclusione si può affermare come sia vero che la strada percorsa dalla
libertà religiosa in questi millesettecento anni sia stata lunga e proficua,
a tratti irta ed insidiosa, ma è altrettanto vero che oggi si aprono delle
sfide inedite cui il diritto ecclesiastico dovrà saper far fronte aprendosi a
nuovi fenomeni e a nuove dimensioni categoriali. Se riuscirà ad affrontare e
a vincere con successo queste sfide, nel rispetto della sensibilità religiosa
di ciascuno, potremo godere i benefici di una convivenza integrata e pacifica
di tutte le religioni, e ancora una volta l’insegnamento di Costantino non
sarà stato vano.
DAVIDE DIMODUGNO
Note:
L’articolo prende spunto dal seminario “Da Costantino a oggi: la libera
convivenza delle religioni” organizzato dalla scuola di dottorato in scienze
umane e sociali del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli
Studi di Torino in occasione del 1700° anniversario dell’Editto di Milano
tenutosi il 24 Ottobre 2013 presso il Campus Luigi Einaudi di Torino. In
particolare si fa riferimento agli interventi della prima sessione del
seminario, intitolata “La convivenza tra religioni nella storia del diritto”,
presieduta da Rinaldo Bertolino (Università degli Studi di Torino), che ha
visto gli interventi di Giorgio Barone Adesi (Università Magna Graecia di
Catanzaro), Paolo Heritier, Valerio Gigliotti, Michele Rosboch e Ilenia Massa
Pinto (Università degli Studi di Torino).
Per un approfondimento sui temi del diritto ecclesiastico si segnala il
manuale di C. Cardia, “Principi di diritto ecclesiastico. Tradizione europea
legislazione italiana”, Giappichelli, Torino, 2010.
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