Il valore dell`ospitalità
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Il valore dell`ospitalità
il valore dell’ospitalità e le pratiche dell’accoglienza nella società globalizzata Per gli antichi Greci l’ospitalità era un diritto-dovere voluto dagli dei e, pertanto, il rispetto dovuto all’ospite aveva un carattere sacro. Ulisse, archetipo dell’ospitalità (da hospes = straniero, forestiero; cfr. pure hostis), è stato accolto da Calipso, da Nausicaa, dal re Alcinoo e dal suo popolo, e, con inganno, pure da Polifemo, ma gli dei hanno punito il Ciclope poiché è venuto meno al suo dovere di ospitalità (viene quasi da parafrasare: Chi non rispetta l’ospite diventa cieco)1. Un esempio ancora più concreto e universale di accoglienza e ospitalità è quello tramandatoci dalla vita quotidiana a Roma, a cominciare dal I sec. d. C. Il Pantheon è il simbolo della vocazione al cosmopolitismo culturale e religioso, che comincia con l’Ellenismo e verrà diffuso dalle principali tre correnti filosofiche che avranno maggior credito. “Fecisti patriam diversis gentibus unam”, dirà, nel suo De reditu, Rutilio Namaziano, per indicare la straordinaria disponibilità di Roma all’accoglienza, che, purtroppo, sarà anche una delle tante cause del suo decadere.2 Altri popoli antichi hanno fatto dell’ospitalità un valore fondativo della propria civiltà e dell’identità etnica e culturale: la regina Didone, spodestata dal fratello Pigmalione, è ospitata dal re Iarba su un terreno vasto quanto poteva contenere una pelle di bue, là dove sorgerà Cartagine; Enea, ospite di re Latino, darà origine a tutta la progenie di Roma. Oggi sembra che il diritto all’ospitalità sia determinato più dalle necessità dell’ospitante che dal riconoscimento dell’ospite. La società globalizzata, costituita sullo scambio veloce di interessi economici, d’informazione e di comunicazione, ha spostato l’attenzione sul valore quantitativo dello scambio, pertanto anche l’emigrante è in funzione di tale valore puramente materiale. L’ospite inquietante, di Umberto Galimberti3, avalla un certo orientamento pessimistico degli analisti sociali. Si parla, a pie’ sospinto per i giovani, di crisi di valori, di mancanza di certezze, di smarrimento di punti di riferimento, di una scuola che non forma e di rifugio nell’unica certezza che ha, forse, scalfito tutte le altre: la tecnica associata al consumismo. Che cosa consumano i giovani? Sicuramente – si risponde – due cose: risorse economiche e la propria vita. L’ospite inquietante alberga dentro ciascuno di noi, a mo’ di Fanciullino di pascoliana memoria, e devasta tutto il devastabile. Se la situazione fosse veramente questa appena descritta, bisognerebbe dar ragione a chi parla di “tramonto della cultura e della civiltà occidentale”. La scuola non può permettersi ciò. Negli anni venti Spengler aveva motivi ben diversi per siffatte affermazioni. Guai se oggi fosse così: dopo il tramonto ci aspettano le tenebre della notte e la notte è lunga da passare. Si è, invece, convinti che la scuola deve creare, presentare e offrire i punti di riferimento e trovare le opportunità per far conoscere i valori autentici che sono universalmente riconosciuti e prescritti dalla stragrande maggioranza delle società delle nazioni. I giovani così formati sarebbero rassicurati in reali certezze e una di queste sarebbe il riconoscimento dell’altro. La Filosofia della crisi, così era definito da Enrico Castelli l’Esistenzialismo, già aveva messo in guardia dal pericolo della tecnica fine a sé stessa, perché non fa riconoscere l’altro, nel senso che il prossimo diventa mezzo per gli interessi individuali. L’interesse deve consistere nell’accezione più autentica del termine stesso, inteso cone inter – esse, cioè come essere tra gli altri e con gli altri. Già Aristotele e Kant hanno detto molto in merito, anche se poco ascoltati. Non lasciamoci prendere dal vento della xenofobia e includiamo l’altro nel nostro sistema. Non occorrono leggi speciali, che hanno sempre portato a suddivisioni e a razzismo, ma basta rispettare le leggi del paese ospitante, come diceva già Cartesio nei principi della morale provvisoria. Se esiste un popolo che, lungo la storia è sempre stato considerato ospite (indesiderato), questo è il popolo ebraico e s’intende parlare di tempi non sospetti, quando cioè, deportato in Egitto, il Faraone aveva ordinato alle levatrici delle donne ebraiche di far morire tutti i nascituri di sesso maschile, così è scritto nel I capitolo dell’Esodo. Successivamente la diaspora, che non è stata una deportazione, ha reso il popolo ebreo ospite presso tutti gli altri popoli europei. La Shoha, 1 “E il mal te pur coglier dovea. Malvagio!/ Che la carne cenar nelle tue case/ Non temevi degli ospiti. Vendetta / Però Giove ne prese e gli altri numi”. Omero, ODISSEA, libro IX, vv, 475-480. 2 Sicuramente la causa della caduta dell’Impero Romano è stata più l’incapacità a controllare un territorio così vasto e a governare tanti popoli diversi. 3 Il titolo del saggio è mutuato dalla definizione che Nietzsche dà del nichilismo: “… il più inquietante degli ospiti”. argomento questo molto sentito e caro al compianto professore e collega Franco Di Michele, è l’espressione più alta di come non dovrebbero essere l’ospitalità e l’accoglienza. La civiltà europea si fonda su valori condivisi di riconoscimento della natura del diritto, anche se il diritto germanico (= barbarico) era di quanto più antiromano potesse esistere, perché non codificato e costruito sull’oralità e sulla tradizione. Il diritto romano, raccolto da Giustiniano, era scritto e riconosceva l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Con il Medioevo tutto ciò era scomparso e si è dovuto aspettare la Rivoluzione Francese per passare dal suddito al cittadino (= persona giuridica dotata di diritti e di doveri). La Storia ha alternato periodi di legalità, accoglienza e inclusiione a periodi di protezionismo di certi interessi di classe con conseguente esclusione. La sociologia, oggi, evidenzia, i cambiamenti e le trasformazioni includendo nel nostro esclusivo mondo la necessità di ospitare popoli diversi, la cui diversità dovrebbe fungere da garante della nostra stessa identità nazionale, culturale, occidentale. Altro che tramonto dell’occidente! Far riflettere su questi argomenti è compito della scuola e la borsa di studio “prof. Franco Di Michele” è una di queste tante opportunità. Michele Ciliberti