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n. 9 - gennaio 2007 (dimensione 327 Kb, formato
chiarezza
lettera ai meridionali
NUOVA SERIE - N. 9
PERIODICO FONDATO DA LUIGI GULLO NEL 1955
Sì, è colpa nostra. Fino a quando
Ma non tutto
ROSSANA RUSCA
PAOLO POSTERARO
All’articolo di fondo dello scorso numero sono seguite numerose polemiche e
lettere di protesta, tra cui quella che pubblichiamo. Desidero, quindi, fare una precisazione. Definendo i meridionali i soli
responsabili della tragica situazione in cui
si trova il nostro Sud, non intendevo affatto negare l’esistenza di una Questione meridionale che, anzi, sono convinto sia oggi
più grave di ieri.
Ciò che intendevo dire era ben altro e
un po’ di storia mi aiuterà a spiegarmi in
modo più chiaro. La Questione meridionale è sorta insieme allo Stato italiano, essendo stata originata, come è noto, dall’atteggiamento da conquistatori che i Piemontesi hanno avuto nel portare a compimento l’Unità del Paese, cui è seguita l’adozione di una serie di provvedimenti economici che hanno distrutto la già debolissima economia del Mezzogiorno. Ma, tuttavia, non si deve cadere nell’errore di ritenere che il Sud stesse meglio prima: il regime borbonico, oltre a caratterizzarsi per
la spietata repressione degli oppositori e
per l’assenza di ogni libertà, è stato, infatti, il primo responsabile dell’arretratezza
delle nostre regioni. Nel 1860 il Regno delle
Due Sicilie era, già da tempo e forse irreparabilmente, il più povero degli Stati preunitari. Quindi, non capisco come ancora
oggi, dopo circa 150 anni, ci possa essere
qualcuno che rimpiange il sanguinario e
spergiuro re Ferdinando.
Con il fascismo, protettore degli interessi dei proprietari terrieri, classe sociale
parassitaria e conservatrice, le cose non
sono certo migliorate. Sorta l’Italia repubblicana, però, dopo un primissimo periodo in cui lo Stato ha speso ogni energia
per ricostruire le fabbriche del Nord, sono
intervenute grandi novità. Dai primi anni
Cinquanta, infatti, l’attenzione verso il Meridione è stata costante ed ha portato ai
grandi aiuti, finanziari e non solo, disposti per l’economia del Sud. È a questo punto che è intervenuta la responsabilità dei
meridionali, che non hanno voluto o non
hanno saputo cogliere le occasioni, fornite
dalla politica degli interventi straordinari,
per riprendersi e rilanciare la loro economia. Tutto è servito solo a produrre la nefasta cultura dell’assistenzialismo.
La Questione meridionale è una problematica di grande complessità e necessiterebbe, per essere correttamente illustrata, di ben altri spazi, che Chiarezza non
consente: tuttavia, mi auguro che questi
brevi cenni possano essere stati utili a comprendere come oggi non si possano addossare ad altri responsabilità che sono solo
nostre.
* * *
I meridionali, e in quest’ultimo periodo i Calabresi in particolar modo, vengono molto spesso accusati di essere i responsabili del dilagare della criminalità organizzata, cioè di essere partigiani della mafia, come ha recentemente sostenuto anche
Nicola Zitara. Tuttavia, sono convinto che
ciò non corrisponda a verità. In una società povera, dove intere famiglie combattono quotidianamente finanche con problemi alimentari, non credo ci si possa aspettare che, senza il concreto aiuto dello Stato, ci siano molti disposti a resistere alle
lusinghe o alle minacce della criminalità
organizzata. Il rispetto della legge e dei
principi così detti irrinunciabili lo si potrà pretendere anche da chi dalla vita non
ha avuto nulla solo quando le istituzioni
garantiranno un’effettiva difesa contro le
organizzazioni criminali. Oggi, purtroppo,
non è così.
Fare tutto il possibile, e di più, per
allungare la vita di un malato. Fino a
quando? La scienza e la conoscenza della terapia intensiva e della rianimazione che si avvalgono di tecnologie sempre più avanzate, la chemioterapia, la
radioterapia, la chirurgia oncologica che
hanno raggiunto traguardi insperati solo
dieci anni fa, hanno dilatato di molto la
speranza di vita. Ma proprio per questo
ci si è trovati di fronte a problematiche
ed interrogativi prima sconosciuti.
Accanimento terapeutico. Sembra
una contraddizione in termini: una terapia che si accanisce contro il malato.
Eppure di questo, a volte, si tratta. È su
questo che, a mio avviso, è necessario
aprire ampi dibattiti. È necessario informare, spiegare, discutere il più possibile. Prima dell’eutanasia. Molto spesso,
se si evitano accanimenti terapeutici,
non si arriva alle situazioni drammatiche ove ci si deve porre il problema dell’eutanasia. È molto difficile dire: “no,
non ce nulla da fare”, piuttosto che “proviamo” o “non si sa mai”. Eppure è quel
“no” la terapia giusta.
È difficile, drammatico, dolorosissimo dire ad un padre o ad una madre che
nulla si può fare per quel loro figlio immobile attaccato a macchine e presidi,
che magari poco prima scorazzava felice su una moto; oppure dire ad un figlio
che il più grande gesto di amore è lasciare morire il padre o la madre, dire
che il tumore ha invaso così tanto che
nessuna terapia può guarirlo o migliorarlo. Sono sentenze. E toccano al medico. Non è facile, anzi è difficilissimo.
E presuppone un’etica, una morale,
un’integrità professionale ed una conoscenza notevolissima, tali da suscitare
totale fiducia.
Non è facile, a volte, scegliere la terapia “minima” di fronte ad un coma, quando si pensa, ad esempio, che durante gli
ultimi venti anni 5 gradi di coma (sono
17 secondo la scala di Pittsburg) sono
passati da irreversibili a reversibili, grazie alle conquiste della terapia intensiva.
Non è facile, ma a volte è l’unica terapia.
Su questi argomenti è perciò vitale
aprire dibattiti sempre più ampi. Perché
è solo spiegando, informando, solo facendo tornare in auge la compassione (la
condivisione) fra malato e medico che
si può fare accettare quel “no”.
C’è un limite e su quel limite, sulle
finalità terapeutiche, sulla terapia del dolore, sulle cure palliative, sull’umanizzazione dell’ospedale, sull’ospedale a
casa, su tutto ciò bisogna discutere prioritativamente. Solo dopo si dovranno
affrontare il testamento biologico e l’eutanasia. Solo quando ci saremo dati una
risposta alla domanda “fino a quando?”
Quando il giornale era già in composizione, abbiamo letto con rammarico alcune dichiarazioni di Nicola Adamo, vicepresidente della regione, il quale, per attaccare Giacomo Mancini jr., non ha trovato di meglio che ripescare gli insulti a
suo tempo rivolti da Giorgio Pisanò nei
confronti dell’illustre nonno del giovane
parlamentare cosentino. Non vorremmo
dare al modesto episodio una valenza eccessiva: ma è davvero triste che un esponente di spicco della sinistra calabrese
pensi di ricorrere, per sostenere i suoi
deboli argomenti, al volgare armamentario dialettico di un giornalista repubblichino dalla fama quanto meno assai dubbia.
GENNAIO 2007
Breve storia della ’ndrangheta
STEFANO DODARO
– TERZA PUNTATA –
Resta, quindi, incerta l’origine
della ’ndrangheta. E’ certo, invece,
il motivo per cui dagli anni ’60 inizia un’ascesa ed un rafforzamento di
questa organizzazione, tale da portarla ad una forza economica e militare che non ha ormai uguali. Ovviamente si fanno in questa sede solo
brevi cenni.
Gli anni ’60 sono gli anni del
boom economico. Il Governo decide di completare l’autostrada del
Sole, realizzando l’A3 Salerno-Reggio Calabria. La costruzione di questa importante opera pubblica porta
ad una enorme crescita economica
dei gruppi mafiosi calabresi; crescita favorita, paradossalmente, dai
gruppi imprenditoriali del Nord. Le
imprese vincitrici degli appalti, infatti, forse impaurite dalle notizie
provenienti dalla Calabria dell’esistenza di pericolose bande, prima
ancora di aprire i cantieri, cercarono di prendere contatto con i boss
del Sud, a cui proposero un vero e
proprio patcum sceleris: pagamento della “mazzetta” in cambio di di
protezione; successiva assunzione di
’ndranghetisti come guardiani; infine subappalto dei lavori di
sbancamento e di trasporto del materiale inerte, nonché forniture di
materiale di varia natura, a cominciare dal pietrisco e dalla sabbia.
Avvenne in questo periodo il sorgere della c.d. mafia imprenditrice,
secondo la felice espressione di Pino
Arlacchi.
Sempre negli anni ’60 la Calabria
diventa il centro di smistamento delle sigarette di contrabbando. Le coste siciliane, tradizionali posti di sbarco, diventarono insicure per una accorta ed efficace azione di repressione da parte della Guardia di Finanza. Il traffico venne dirottato allora
sulle coste calabresi, molto più “sicure” per la criminalità organizzata.
Gli anni ’70 sono, invece, gli anni
dei sequestri di persona. Solo pochi
dati: dal 1969 al 1989 in Italia ci sono
stati 620 casi di sequestro di persona a scopo di estorsione. Di questi
ben 114 nella sola Calabria, ma il
dato va moltiplicato; infatti negli
anni ’80 si realizzò un altro fatto: i
sequestri venivano effettuati da bande che poi cedevano alle ’ndrine
operanti nell’Aspromonte la gestione del sequestro. O, peggio, alcune
’ndrine acquistavano le persone sequestrate e si occupavano di ottenere il riscatto.
I soldi accumulati dalle ’ndrine
vennero, quindi, investiti nel traffico internazionale di stupefacenti,
per il quale, oggi, la ’ndrangheta è
l’organizzazione di riferimento in
tutt’Europa.
Ma qui finisce la storia ed inizia
la cronaca...
Un lettore ci scrive
Sul black out
Caro Direttore,
le scrivo per sottoporle una breve riflessione sull’articolo di fondo, pubblicato
a sua firma, nel numero novembre-dicembre 2006.
Il titolo “La colpa è solo nostra” inquadra in modo definitivo la responsabilità per la obiettiva difficoltà di lavorare ed investire nel Sud. Credo di concordare con lei e certo trovo davvero assai antiche le posizioni di storici o intellettuali che, ancora, vedono il Mezzogiorno come bersaglio di un governo
centrale sordo e disinteressato al suo
sviluppo. Ma credo altresì – e questa
volta senza dubbi – che per completezza di verità, nel suo scritto, avrebbe dovuto far cenno alla “Questione Meridionale” che di certo non è un’invenzione
speculativa ma una verità storica e che,
lungi dal voler rappresentare un elemento giustificativo, è, comunque, un dato
di fatto incontrovertibile che ha tristemente segnato l’assetto e la storia economico-sociale della nostra Terra. Credo, caro Direttore, che così avrebbe avuto più completezza il suo bell’articolo ed
avrebbe anche reso un dovuto omaggio
alle verità storiche ed alle tante battaglie combattute da Fausto Gullo.
P.G.P.
Sgomenti e molto impauriti
per la morte della sedicenne Federica, come, crediamo, la maggior parte dei cittadini, abbiamo
intervistato un primario anestesista-rianimatore.
D: Professore, è possibile che
si possa andare in coma grave e
morire perchè si interrompe la
corrente?
R: No, se si interrompe la corrente l’anestesista scollega il respiratore automatico e ventila il
paziente manualmente. Peraltro,
ciò si fa nella prima fase dell’anestesia (induzione) e nell’ultima prima di procedere all’estubazione. È una manovra consueta e banale.
D: Quindi?
R: Quindi ci si domanda: è
stata fatta questa manovra immediatamente, ossia entro il tempo
utile per evitare l’anossia? O cos’altro è successo?
chiarezza
GENNAIO 2007
Brevi note tra beni culturali, arte e libri
Un film
che fa discutere
Alessandra Giovannoni a Roma.
MARCO GIOVANNINI
La Penisola del tesoro
Il mistero semplice della bellezza
FRANCESCA BOTTARI
Roma, Galleria Il Segno, 16 gennaio-13 marzo 2007 – Via Capo le Case, 4 – tel. 06.6791387
10.30-13.00 – 17.00-19.30
Chiuso lunedì mattina, sabato pomeriggio,
domenica
Catalogo Il Cigno GG edizioni
Interrompiamo ancora il nostro
racconto sugli sviluppi della coscienza di tutela del patrimonio culturale, dedicando qualche nota a una
mostra romana. In realtà, la Capitale eredita l’esposizione da Palermo,
che a essa riservava, lo scorso dicembre, l’illustre Loggiato di San Bartolomeo. I quadri di Alessandra
Giovannoni, artista romana conosciuta e amata internazionalmente,
dal 16 gennaio al 13 marzo sono appesi nelle sale della Galleria Il Segno, che da anni guarda con interesse al suo lavoro.
Ci teniamo a segnalare la mostra
della Giovannoni, giacché siamo
convinti che si tratti di uno dei linguaggi più originali, autentici e interessanti che il panorama italiano
oggi può offrire. Ma c’è di più, e un
più non da poco.
La pittura di Alessandra
Giovannoni non è solo rigorosa e intensa, ma è anche – semplicemente
– bella. Bella a guardarsi, bella a godersi negli spazi espositivi e museali che la espongono e tra gli ambienti che hanno la fortuna di ospitarla.
Della bellezza è difficile parlare,
ai nostri tempi. Ma davanti ai quadri della Giovannoni si deve. Alessandra spalanca scenari, apre mondi amati e conosciuti, ma che solo la
misteriosa forza dell’arte sa svelare.
La sua stesura è semplice e antica.
La pittrice lavora su tavole o tele
ampie a orizzontali, con tecniche
miste, tra acquerelli, oli e acrilici.
Nulla di sperimentale, di nuovo, ma
le tracce di una tradizione senza tempo che dal Rinascimento di
Masaccio e Piero, assorbe l’azzurro
dei veneti e i chiarori abbaglianti di
Tiepolo, fino a cogliere il nitore geometrico dei vedutisti. E poi procede
su su verso il Novecento, assimilando le figure di Sironi, i bianchi e i
grigi di Morandi, le morbide masse
del Picasso classicista.
Le dimensioni su cui opera sono
spesso titaniche: i lavori raggiungono sovente tra i due e i tre metri di
larghezza. È piccola, Alessandra, fragile e sottile come un giunco. Ma
come una medium d’altri tempi,
come una Sibilla dolce e sorridente,
aggredisce le vaste campiture con il
vigore di un eroe omerico, con
l’energia di un atleta. I colori accesi,
carichi di luce, diventano, sotto l’intervento delle sue mani sicure, orizzonti cittadini, piazze, parchi, fontane e spiagge. Ci aggiriamo tra le
sale arredate dai suoi quadri e ci sentiamo a casa nostra, la dimora di quel
“museo diffuso” tutto italiano, del
patrimonio e della bellezza rintracciabili ovunque. Alessandra la rappresenta, quella bellezza diffusa, la
mette in scena con semplicità e modestia. Ci si sente bene, passeggian-
do tra le opere della Giovannoni,
poiché sono luminose e cariche di
colori, perché raccontano delle città
e dei bei paesaggi italiani, del sole e
dei luoghi della nostra Terra. E lo
fanno senza intellettualismi, ma –
invece - con l’intelletto stesso e con
il cuore, oltre che con la sapienza
antica degli artisti, depositari dei
segreti della natura.
Come nei quadri di Eduard
Manet, l’ultimo grande classico dell’età contemporanea, il soggetto è
solo un motivo del dipingere. E tutta la realtà ha diritto ad essere rappresentata, poiché la forza
trasformativa dell’arte sa cosa fare di
essa.
La Giovannoni vive e lavora a
Roma, e soprattutto della città è incantevole narratrice. Ecco, in mostra,
il Pincio divenuto un deserto bianco e azzurro, con pochi passanti ridotti a ombre e sul fondo il profilo
solenne dei tetti e delle cupole. E poi
la grande serie di piazze del
Quirinale, aperte fino a sottrarre loro
le dimensioni reali e farle apparire
smisurate, fino a spingere l’osservatore ai piedi dei Dioscuri, come un
bambino che gioca a nascondino e,
da dietro la fontana, controlla le
mosse dei compagni di scorribande.
Tre sagome di uomini seduti assumono, nel chiarore caldo e metafisico di una piazza del Quirinale inondata di sole, i contorni misteriosi dei
Magi in viaggio. Una Resurrezione
laica è sintetizzata nel candore del
sarcofago antico e strigilato che, simbolo del collezionismo classicista
del Seicento romano, accoglie i visitatori al Museo Borghese.
Il paesaggio, i monumenti, le figure, il sole e la luce: un repertorio
semplice, quello della Giovannoni,
osservato da occhi saggi e generosi
e restituito in una forma abbagliante e misteriosa che rapisce.
chiarezza
Direzione e Amministrazione:
Associazione culturale Luigi Gullo
COSENZA - Via Fratelli Cervi, 31
www.assoculturalegullo.it
Per informazioni: tel. 06 36300769
E-mail: [email protected]
Direttore responsabile:
WALTER PELLEGRINI
Direttore:
PAOLO POSTERARO
Spedizione in abb. post. - Gr. III - P.I. 70%
Aut. Direzione provinciale Poste Cosenza
Aut. del Tribunale di Cosenza n. 426
Via De Rada, 67/c - 87100 Cosenza
Tel. 0984 795065 - Fax 0984 792672
Sito internet: www.pellegrinieditore.it
E-mail: [email protected]
L’uomo del mese
Giambattista Della Porta
RAFFAELE SIRRI
Una leggenda metropolitana di
Hollywood vuole che anni fa Mel Gibson,
spaventato dall’idea di dover dirigere un
film, si sia rivolto a un vecchio collega che
aveva già effettuato con successo la transizione da attore a regista: Clint Eastwood.
Ecco il consiglio: “semplicità. Taglia tutto
quello che è ridondante e inutile”.
È una storia vera. Il seguito dice che se
il minimalista Clint ha vinto due Oscar (1992
per Gli spietati e 2005 per Million dollar
baby) anche Gibson ne ha vinto uno
(Braveheart 1996).
Erano nati entrambi come attori d’azione seriali: Clint pistolero Senza Nome nel
ciclo spaghetti di Sergio Leone e poi ispettore Callaghan senza limiti non a caso definito
“dirty”; Mel avventuriero postcivilizzato nel
ciclo australiano di Mad Max, e poliziotto
svelto nella serie Arma letale. Maci e taciturni, facevano cantare muscoli e pistole più che
voce e senimenti. Ma da allora Eastwood è
diventato un regista fine, complesso, pieno
di sfumature, smettendo addiritttura di essere considerato conservatore e reazionario. Ha
appena firmato un doppio film commovente
e antimilitarista (Flags of our fathers e Lettere da Iwo Jima), che viaggia in rotta di collisione con l’America guerrafondaia di Bush;
tanto è vero che il secondo, un apologo alla
Akira Kurosawa, è dalla parte dei Nemici,
parlato in giapponese coi sottotitoli, e prima
di ottenere la giusta nomination all’oscar, ne
aveva strappata una ai Golden Globes bizzarramente incluso fra i migliori film dell’anno
in lingua straniera.
Fra questi c’era anche Apocalypto, (assente invece nelle nomination degli oscar)
che è recitato in yucateco, la lingua perduta
dei Maya. Non può non ricordare La passione di Cristo, recitata in aramaico e latino,
che aveva commosso mezzo mondo e indignato l’altra metà: giudicato dai credenti un
capolavoro e dagli atei un film dell’orrore.
Stavolta Gibson ha affrontato uno dei grandi misteri della storia, la fine della civiltà
Maya. E lo ha fatto con la sua generosa perizia cinematografica ma anche con la sua limitata sottigliezza. Aveva in mente un definitivo apologo filosofico: le civiltà prima di
esplodere implodono. I Maya sono stati
spazzati via da corruzione e sete di potere
non dall’arrivo dell’uomo bianco, semplice
coincidenza temporale; per cui attenzione
America del guerrafondaio Bush (e due!) i
Maya potreste essere voi.
Invece ha firmato un buon film d’azione che lascia lo spettatore col cuore in gola
per due ore e passa. Un videogame frenetico e adrenalico girato con la Genesis, una
rivoluzionaria macchina da presa digitale
che aumenta la velocità delle immagini. E
quindi le polemiche sulla violenza sembrano stavolta francamente oziose: paragonato
ai videogame dei nostri figli, in cui i morti
ammazzati servono a far salire il punteggio,
anche la più efferata decapitazione Maya
viene ridotta a quello che è: un semplice pretesto narrativo, oltretutto corroborato dalla
storia.
Uscendo dal cinema, dopo aver visto un
film di Gibson (che pure mi era piaciuto ma
che avrei immediatamente dimenticato)
pensavo che Eastwood è proprio un grande
regista.
Dopo un anno…
Il prossimo mese di febbraio la
nuova serie di Chiarezza compirà
il suo primo anno di vita.
L’Associazione culturale Luigi
Gullo, nella sua qualità di editore,
coglie l’occasione per ringraziare
tutti i collaboratori, la Casa editrice Pellegrini, i tanti lettori e, in particolar modo, i generosi sostenitori: Giuseppe Carratelli, Ernesto
D’Ippolito, Stefano Dodaro, Carlo e
Marisa Fragomeni, Michele Perri,
Giuseppe Policicchio, Maria Giovanna ed Emilia Ricci, Maria Concetta Tassone e Rocco Tripodi per
il Movimento Meridionale Calabria.
Giambattista della Porta, autore di una
ventina di trattati scientifici e di numerose opere teatrali, nacque a Napoli nel 1535
(ed ivi morì nel 1615). Senonchè qualcuno ha voluto rivendicare a Vico Equense
l’onore di aver dato i natali a questo straordinario personaggio, esibendo argomentazioni non molto convincenti. È vero però
che la famiglia della Porta possedesse dei
poderi a Vico Equense e che Giambattista
si fosse costruita una bella e grande villa a
Pagognano, che è una contrada di Vico.
Salvatore di Giacomo in un passo di Napoli, figure e paesi (1909), descrive questa
villa con molta simpatia, aggiungendo però
il rammarico che ora fosse abitata da
stallieri e zappaterra. Per sgombrare questo sconcio, i Vicani dei nostri giorni hanno pensato bene di farne una trattoria. E
quanto a don Salvatore di Giacomo è probabile che avrebbe preferito che fosse rimasta a stallieri e zappaterra.
Chi era Giambattista della Porta. Era un
grande scienziato, onnisciente, che dedicò trattati a molte e varie discipline, dalla
botanica alla medicina, dalla matematica
all’astronomia, dall’ottica alla crittografia,
dalla fisiognomica alla scienza delle fortificazioni ecc. La sua opera più famosa è la
Magia naturalis, stampata e ristampata in
uno sterminato numero di edizioni, tradotta in molte lingue, ovunque ricercata, presente in tutte le biblioteche del mondo e a
vario titolo ancora oggi consultata. “Magia
naturalis” vuol dire meraviglia o miracolo
della natura. E difatti il titolo originario
dell’opera era Magiae naturalis sive de
miraculis rerum naturalium libri: un titolo che però, nell’opinione popolare, non
smentiva, anzi confermava la fama di mago
che l’autore si era guadagnata.
Scienziato e inventore: gli si attribuiscono varie invenzioni, tra cui la camera
oscura e, con qualche dubbio, il cannocchiale. Per la sua molteplice attività di
scienziato, il giovane Federico Cesi, nel
1610, lo chiamò a far parte dell’Accademia dei Lincei, allora fondata.
Scienziato, inventore, commediografo.
Non era raro, nella sua età che scienziati
coltivassero le lettere (Galileo, p. es., era
un finissimo letterato), e che uomini d’armi si dedicassero al culto della poesia. Ma
il caso della Porta è in certo senso particolare per quantità, tenuto conto che oltre alla
ventina di trattati scientifici, ci sono pervenute, sotto il suo nome, 3 tragedie e 14
commedie (ma i contemporanei gliene attribuivano 28), tutte edite più volte e spesso recitate (qualcuna anche ai nostri giorni), interessanti per un loro rinnovato
plautismo, piegato intellettualmente alle
esigenze dei tempi nuovi e di una lingua
che ha modificato i suoi valori allusivi.
Nei nostri tempi la presenza del della
Porta, come scienziato e come commediografo si è molto illanguidita. A parte il fatto che in nessun settore della sua attività
ha toccato vertici universalmente innovativi, da alcuni studiosi è stato considerato
più uno spettatore della nuova scienza rinascimentale che un attore. I suoi trattati,
si dice, sarebbero più legati alla rassegna e
alla descrizione di tipo medievale, che non
alla metodologia matematizzante del Rinascimento (diciamo di Leonardo e di
Galileo). Come commediografo, poi, lo si è
arbitrariamente immesso nella marea di
drammaturghi asserviti alla maniera
classicistica.
Ma queste considerazioni negative
sono state ultimamente contestate, se non
proprio rovesciate. E comunque è in corso
la pubblicazione in edizione critica di tutte le opere di della Porta, a cura di una
Commissone nazionale formata da storici
della scienza, linguisti, cinquecentisti.
Recentemente, all’Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici, sono stati presentati i primi undici volumi pubblicati.
Per Chiarezza non è richiesto alcun
abbonamento. Chi lo desidera può effettuare un versamento sul c.c., intestato all’Associazione culturale Luigi
Gullo, n. 872328 cab 16201 abi
05256 cin X, presso la Banca Popolare di Crotone Ag. n. 1 di Cosenza,
via Falcone, 13/23.