Penne e matite contro strapotere di Internet

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Penne e matite contro strapotere di Internet
n59a05
penne e
matite
contro lo strapotere di Internet
di PAOLO
A. PAGANINI
approfondimento e di esplorazione, che
consentono “di organizzare le informazioni non più in maniera sequenziale, ma
su una struttura a reticolo che utilizza collegamenti (link) a pagine (nodi) contenenti
informazioni diverse. Nel caso in cui i nodi
contengano immagini, video, suoni oltre ai
testi scritti, si parlerà di ipertesti multimediali o, come vengono anche chiamati, testi
ipermediali” (“Computer no problem”,
McGraw-Hill Libri Italia, 1997).
L’euforico senso di libertà che ne è
derivato ha portato a una fatale spaccatura, a uno sdegnoso rifiuto della vecchia cultura libresca, reazionaria, conservatrice, nozionistica. I disinvolti risultati, tragici e spensierati, sono sotto
gli occhi di tutti. I più anziani, perplessi
e sfiduciati, ne sono scandalizzati. I giovani ne cavalcano, divertiti, i vantaggi.
Docenti e psicologi, divisi, come sempre, in due scuole di pensiero, o ne analizzano preoccupati le conseguenze o
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a esistono ancora, oggi, diligenti e romantici “amanuensi”, che prendano carta e penna per scrivere una lettera alla
loro innamorata? O tengano un diario?
O stilino rendiconti contabili o verbali
di seduta o bilanci aziendali, nella cerimoniosa armonia del Corsivo Inglese, o
nella semplice maestosità della Scrittura Italiana, o nella delicata morbidezza
dello Stampatello Aldino, o nella rude
eleganza del Rotondo?
L’avvento del computer, della comunicazione informatica, della posta elettronica, delle chat, delle follie cellulariche, delle nevrosi mediali, dei miracolismi palmari, ha cambiato il modo di vivere la scrittura.
La stampa di Gutenberg, più di cinque secoli fa, ha cambiato la Storia, ha
liberato la Cultura, l’ha sottratta al privilegio di pochi, e, mettendo dolorosamente fine anche ai fervorosi capolavori di umili fraticelli, di pazienti copisti,
l’ha fatta uscire dai monasteri, dalle abbazie, dalle biblioteche. E divenne patrimonio di tutti.
Oggi, il computer sembra aver compromesso anche la cultura cartacea e ha
cambiato di nuovo la Storia, modificando il modo e lo spazio dello scrivere,
sovvertendo anche la stessa concezione
di conoscenza. All’autorevole staticità
del libro si contrappongono gli avventurosi tracciati dell’ipertesto: non più
percorsi obbligati e fissati dallo scrittore
nella sequenza di precisi capitoli, ma libertà di percorso, itinerari personali di
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Alcuni preziosi
esemplari della
Waterman
ispirati a
decorazioni
settecentesche
della Russia
Due rinomate
marche di penne:
l’Aurora anni
Trenta e, sotto, la
prestigiosa Mont
Blanc
ne studiano i fermenti, come prodromi
d’una radiosa civiltà. Ma la sensazione
di uno sbando collettivo, di uno svuotamento di valori, di una incontrollabile
anarchia si aggira minacciosa ed inquietante. Anche a voler considerare, con
animo freddo e scientifico, il fenomeno
collettivo della nuova rivoluzione, che
ha scardinato tutti gli antichi canoni,
non si può fare a meno di rimanerne
per lo meno imbarazzati.
La nuova libertà, come prima conseguenza, ha portato a una degenerazione
del linguaggio nei bambini e negli adolescenti. “Il linguaggio è cambiato perché è
cambiato il pensiero”, dice lo psichiatra e
scrittore Vittorino Andreoli (“Io Donna”, supplemento del “Corriere della
Sera” del 25.1.03). “Nel giro di pochi anni
siamo passati dall’astrazione all’azione, dal
concettuale all’iperconcreto, dai periodi
strutturati e complessi al frammento. Si parla poco, ormai, per descrivere o per spiegare
qualcosa. Si parla piuttosto per dare un’indicazione operativa... fatta di frasi coordinate, priva di subordinate..., priva di congiuntivi e condizionali, in un trionfo di
cioè, di come, di insomma, di niente...”
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aturalmente, l’analisi del linguaggio riflette lo stato dello
scrivere, peraltro sempre più compromesso e condizionato dall’uso degli
“SMS” (non si transige: 160 caratteri al
massimo!), che utilizzano nuove e più
sintetiche forme espressive, come le abbreviazioni e gli emoticons, con il risultato di far diventare questo linguaggio
un vero e proprio labirinto, non sempre
facilmente decifrabile (La TIM ha addirittura pubblicato un manualetto, chiamato “Survival Kit”, una specie di dizionarietto di sopravvivenza, per decifrare
emoticons e abbreviazioni). La posta
elettronica, poi, considerata ormai strumento insostituibile per la comunicazione rapida, non solo impone frasi brevi e sintetiche, ma ammette anche gli
errori, in virtù della nuova filosofia, per
la quale non è importante la forma, ma
farsi capire.
Se questa è la realtà, se la tolleranza
(o la correità) della scuola e del ministero della Pubblica Istruzione ne sancisce
il diritto di circolazione, se lo studio dei
classici è diventato un’indigesta e mal
sopportata presenza (molti insegnanti
di italiano raccontano che i loro allievi
non sono più in grado di leggere non
solo Manzoni, ma neppure molti classici del Novecento), se la grammatica è
considerata l’inutile retaggio di una vetero cultura impositiva, se il dizionario
della lingua italiana è visto come un
ammuffito reperto di saccenti parrucconi, non c’è dunque più speranza per
la civiltà della scrittura, per le formule
di rispetto, per i rituali della buona lingua, per l’eleganza delle forme? E saranno relegate nell’angolo dei ricordi le
devote ancelle di un antico stile di vita,
saranno ignominiosamente scacciati i
fedeli e complici custodi di inebrianti
piaceri culturali, umili e insostituibili
compagni di ogni umana conquista intellettuale, di ogni conoscenza: la docile
matita, l’umile cannuccia, la preziosa
stilografica?
N
rapporto corporeo... C’è un fatto, direi, di
affidamento, di fede, cioè nella scrittura si
crede... La scrittura a mano fa fede. La
scrittura a mano rispecchia, non dico la verità, ma una verità, la nostra verità...”
E Giuseppe Galasso, storico dell’età
moderna, pur confessando qualche
scappatella con la videoscrittura (“Corriere del Mezzogiorno”, 15.3.2001),
giura eterna fedeltà al fascino immarcescibile della sua vecchia stilografica,
fonte di “un piacere fisico non paragonabile con nessun altro, penna biro e macchina
per scrivere comprese, la prima perché inanimata, ergo raffreddatrice di emozioni, la
seconda faticosa, per il dispendio d’energie
dovuto alla fatica con i tasti: l’inchiostro è
materia viva, che instaura un processo dialettico con altri due esseri viventi, lo scrivente e il foglio di carta...”
E il semiologo e scrittore Umberto
Eco, il 30 gennaio scorso, a chiusura del
convegno veneziano per i vent’anni del-
La prima pagina
di un manuale di
Scrittura Inglese
e, sotto, alcuni
esempi di
Scrittura Rotonda
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o, non sarà così. Penne e matite
non sono destinate a fine ingloriosa, a vergognose consunzioni, a condanne senza ritorno in cristallizzate celle museali.
Questo confortante pensiero (“la favola bella, che ieri t’illuse, che oggi
m’illude, o Ermione”?), contro tutti i
segni inequivocabili d’un dilagante appiattimento culturale, nell’era di Internet, ebbene ancora illumina e sostiene
la cittadella del libro; ancora infittisce e
rafforza il partito della stilografica; ancora suscita affascinati stupori la vista
del misterioso segno d’una modesta
matita che corre veloce a carpire il pensiero che rapido s’invola.
La scrittura a mano è stata e rimane
strumento insostituibile dell’umana
operosità.
“Per la mia attività propriamente creativa è assolutamente indispensabile la mia
mano, la mia scrittura”, dice il poeta Giovanni Raboni (v. Atti del Convegno sulla Scrittura, “Rivista degli Stenografi”
n.56). “... Le poesie, almeno per me, nascono passeggiando per strada, nascono di notte..., nascono come un fantasma sonoro, che
a poco a poco si riproietta dentro la mente e
prende dei contorni sempre meno vaghi... Se
mi metto davanti a uno schermo di un computer mi paralizzo completamente. Ho bisogno di questo rapporto materiale, di questo
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la Scuola per Librai Umberto ed Elisabetta Mauri, ha voluto ribadire, contro
una presunta, inarrestabile evoluzione
funzionale, legata alla comunicazione
elettronica:
“Il libro? Sarà l’antidoto alla schizofrenia di una cultura sempre più legata a Internet, alla posta elettronica, alle chat-line.
Soltanto attraverso la lettura saremo in grado di filtrare l’infinità di informazioni che
oggi ci arrivano attraverso i nuovi canali.
Soltanto grazie al libro ognuno di noi avrà
gli strumenti per scegliere e per crearsi una
propria identità culturale”.
Queste brevi testimonianze non hanno solo un carattere consolatorio. Aprono un altro entusiasmante capitolo su
una realtà, che mostra una faccia ben diversa da quella ufficiale del “villaggio
globale”. C’è un recupero di antichi sapori. Non è vero che esiste soltanto un
mondo di giovani, persi dietro fantasmici amori virtuali, smarriti nei labirinti
della “rete”, inebetiti dagli smanettamenti di video-game, mentalmente anchilosati nell’atrofia del linguaggio. Anche la cultura ha i suoi ecologisti. E tanti giovani e meno giovani si dedicano al
fascino antico della bella scrittura, stilo
nel taschino, simbolo, blasone di nobiltà
culturale, di impegno morale.
U
Tavola di Script
da «Unità della
scrittura» di
Andrea Innocenzi,
Tipografia Pioda,
Roma 1971
Un altro esempio
di Script da
“La scrittura dei
posteri” di Andrea
Innocenzi,
Tipografia Milillo,
Roma 1991
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n numero sempre maggiore di
persone di ogni età apprezza la
lenta, riposante armonia della scrittura
a mano e di un oggetto mai passato di
moda: la penna stilografica. Strumento
di benessere mentale, essa, nella violenta sopraffazione del caotico marasma
quotidiano, apre inaspettate oasi di
pace spirituale, insperati rifugi di intima tranquillità, rinnovellando estasi indimenticate, armoniose dolcezze musicali, sul pentagramma sonoro di quel
lieve graffio del pennino che scorre sul
foglio. Il gesto di estrarre una penna dal
taschino, è un modo di essere, un modo
di presentarsi, un modo di esprimere la
propria personalità. In alluminio, cromate, in resina o celluloide, d’oro, d’argento, colorate, vezzose o austere, di
penne stilografiche esistono svariati
modelli, di grande nome o di umile lignaggio, di poco prezzo o dal costo più
impegnativo, oggetti del desiderio per
studenti e professionisti della scrittura,
che, ancora oggi, non solo sopravvivono, ma prolificano in un proselitismo
convinto ed entusiasta, non contemplativi esegeti, ma attivi nell’esercizio della
scrittura, al servizio della professione e
della creatività.
N
onostante le tecnolog ie più
avanzate ed esasperate, molti
progetti hanno origine solo dalla penna. Dietro una campagna pubblicitaria,
c’è una penna, che schizza idee e segni
di copy-writer. Ed esistono tuttora botteghe amanuensi, con laboratori alchemici per la fabbricazione di colori ed inchiostri indelebili, dove si spazia dalla
produzione di lettere d’amore alla partecipazione di nozze, ai diplomi e pergamene. E poi ci sono scuole di avviamento alla bella scrittura, istituti di
grafologia, corsi di laurea, rivolti ai più
disparati campi di specializzazione e
alle più disparate applicazioni, dai test
psico-attitudinali alle perizie di parte
per magistrati e avvocati, o in appoggio
di psicologi familiari e di assistenti sociali. In tanto fervore d’interesse (e d’interessi), senza nemmeno entrare alla
lontana nel merito dell’attività neurobiologica del processo grafico e della
sua incisiva importanza nella formazione evolutiva del pensiero, stupisce, turba e scandalizza l’ignavia accidiosa e
colpevole dei vari ministeri della Pubblica Istruzione.
Si ignora, con scientifica determinazione, il peso che dovrebbe assumere,
nella scuola primaria, l’insegnamento
della calligrafia, come tecnica ed educazione della mano (sono pochi a tenere la
penna correttamente) e della mente, anche per evitare gravi storture dorsali e
difetti visivi, dei quali soffrono molti
piccoli, indifesi studenti. La stessa
uniformità di scrittura, base del patrimonio culturale nazionale, è lasciata
alla libera inventiva, spesse volte all’ignoranza, sempre alla scarsa esperienza
degli insegnanti più giovani, ignare di
tecniche e conoscenze calligrafiche.
Nemmeno viene presa in considerazione, a livello di Commissioni ministeriali,
l’ipotesi di una scrittura facile ed omogenea per tutti, come la semplice “scrittura script inclinata”, facile da apprendere, rispetto alla scrittura corsiva inglese,
e facile da leggere, anche perché simile
ai corrispondenti caratteri di stampa (v.
Andrea Innocenzi, “Unità della scrittura” - 1971-; “Stenografia culturale”, n. 4,
gennaio-marzo 1975; “La scrittura dei
posteri”, 1991, ed altri).
Eppure non mancano disinteressati
studiosi, illuminanti dimostrazioni,
esempi di volontaria dedizione. Con la
“scrittura script” sta facendo un’utile,
meritoria esperienza il prof. Gabriele
Turci, nella prima classe della Scuola
Elementare Statale “Aurelio Saffi” di
Forlì. “E’ vero che il corsivo riveste ancora
una magica aureola” ci ha scritto il prof.
Turci. “Che devo dire? Sono in questa classe prima, ho 23 allievi, le cose vanno procedendo bene, la classe ha ampiamente accettato il sistema di scrittura che, per la maggioranza, è già chiaro e pulito...”
Risulterà chiaro e pulito anche per il
Ministero della Pubblica Istruzione? Arriveranno i suoi risultati sul tavolo di
una Commissione competente? Riuscirà, mai, la sua voce a farsi udire dall’indaffaratissimo Ministro?
Vox clamantis in deserto.
Alcuni esempi di
Script a
confronto da
«Stenografia
culturale», lugliosettembre 1988
(n. 58)