Laguna - Michele Sambin
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Laguna - Michele Sambin
Laguna 1971 Super 8; colore; sonoro magnetico; 30’ Michele Sambin n.b. Le schede delle opere sono tratte dalla tesi di Laurea Magistrale in Storia dell'Arte di Lisa Parolo dal titolo «Il linguaggio artistico di Michele Sambin dal film alla video-performance musicale (19681982). Ipotesi per la conservazione, il restauro e la riproposta attuale di Looking for listening (1977)», Università degli Studi di Padova. Il film in questione è un po’ più lungo dei precedenti e la pellicola ci mostra sequenze d’immagini senza nessun ordine narrativo; in questo modo l’artista palesa molto più esplicitamente il ruolo sperimentale del film, un vero e proprio studio del suono, del suo uso e del suo valore in relazione con l’immagine; nel fare ciò è aiutato dalla prima sequenza, ripresa poi numerose volte durante il film, che consiste in un primo piano di una donna. La giovane muove le labbra come se volesse comunicare con lo spettatore, ma dal labiale non escono parole, si sente invece il suono di un clarinetto modificato che sembra essere emesso dalle sue corde vocali. Viene trasformato il rapporto naturale di causa-effetto mettendoci di fronte ad una nuova realtà; siamo spaesati poiché ciò che noi ci aspettiamo non avviene. La prima parte del film (successivamente alla scena della donna che “parla il clarinetto” e che tornerà durante il film fungendo da trait d’union delle varie parti di esso) ci mostra paesaggi naturali ed artificiali, il rumore dei quali è quello “vero” e quotidiano che udiremmo se ci trovassimo lì. Nel susseguirsi delle sequenze, poi, assisteremo ad un vero e proprio sfasamento tra immagine e suono e, successivamente, le immagini mostreranno la contrapposizione tra il verde e azzurro paesaggio della laguna veneziana e le fabbriche della zona industriale, Marghera, che invadono ed inquinano l’ambiente: in quest’ultima sequenza di immagini stride la musica interpretando tanta bellezza e bruttezza, gioia e sgomento di fronte alla realtà. L’ultima parte è significativa, secondo quanto dice lo stesso Sambin, di un altro ruolo che ha il suono nelle sue ricerche e, in realtà, anche nel mondo. Come l’arte anche la musica - ed è palese soprattutto dal XX secolo - è stata avanguardia dei cambiamenti culturali, spesso anticipatrice ma sempre accompagnatrice di nuovi modi di pensare: basti citare il Free Jazz, tanto caro all’artista, che fu promotore delle ribellioni contro le differenze razziali o Woodstock, concerto apice della diffusione della cultura hippie ed espressione di un’epoca di enormi cataclismi sociali. Così, nel film, Sambin palesa anche questo ruolo della musica e lo fa suonando una scena in cui alcuni ragazzi in un gesto di maestosa libertà colorano il bagnasciuga svuotando secchi di colore intorno a loro. Questa sequenza d’immagini rimanda al momento storico-artistico in cui l’artista vive, un miscuglio di arte gestuale e Land Art, ed esprime la necessità di libertà di espressione di quegli anni, alla ricerca dell’utopia di un mondo più colorato, più diversificato ma dove, alla fine, queste differenze si possano sovrapporre, mescolare, per dare altri colori. Dopo aver visto la laguna e le industrie per come si presentano veramente, dopo averne proposta una nuova interpretazione sonora, Sambin gioca ora con l’utopia di un nuovo luogo, che l’uomo modifica rendendolo proprio; come in un’opera di Land Art lo spazio naturale può essere riutilizzato a scopi artistici o creativi e l’importante per il nostro artista sarà allontanarsi dal modello industriale che disumanizza l’ambiente e lo rende inabitabile, grigio, mortifero. Le ultimissime battute del film mostrano gli stessi ragazzi, immersi ancora nell’ambiente lagunare, cimentarsi nella costruzione di alcuni marchingegni scultorei in legno e bulloni; essi, appartengono ad una serie di cui fanno parte anche i Lampadù (1971), e i Dud’acqua (1972) che in alcuni casi assolvono una funzione estetica e ludica; in altri, ne dà notizia un articolo di giornale di quello stesso anno, erano stati ideati da Sambin nell’ambito dei suoi studi all’Università Internazionale dell’Arte e dovevano aiutare l’ossigenazione dell’acqua: grazie al braccio meccanico che si alzava e ribassava le immobili acque lagunari venivano “smosse”.