Di benedetto

Transcript

Di benedetto
www.solovela.net
Articolo pubblicato sulla rivista SoloVela
Mediterraneo e poi l’Atlantico.
Alessandro la chiama sempre “la
piccolina”, la ama e la coccola.
Unica compagna di avventure e
di paure, di gioie e di dolori,
ogni navigatore solitario ha un
rapporto speciale con la barca.
Le attribuisce qualità e sentimenti umani - ed è comprensibile - visto che dal suo benessere
dipende la propria vita. Ma questa volta, vi assicuro, impareremo a
conoscerla bene e ad apprezzarla seguendo il suo diario del viaggio.
Il “nostro” Hobie Cat 20, nonostante l’ambizioso nome ufficiale e
cosmopolita, non solo non ha cabine nè cuccette, ma nemmeno un
riparo dove proteggersi dalle onde e dalla pioggia. Vivremo su un telone sospeso a pochi centimetri dall’acqua. Tutto quanto serve per
vivere e navigare è stipato negli scafi, lunghi meno di sei metri, e
alti circa una quarantina di centimetri, o assicurato qui e là, all’aperto, dentro sacchi impermeabili, casse, reti e altri fantasiosi sistemi; ingegnosi, sì, ma il più delle volte spazzati dalle onde.
Il piccolo Hobie
Cat di soli 6,5
metri senza
cabine ne alcuna
zona coperta,
protagonista
dell’avventura
di Di Benedetto
LA ROTTA
Senza limiti
L’avventura estrema di Alessandro Di Benedetto.
Ha attraversato il Mediterraneo e l’Atlantico da solo a bordo
di “United States of the World II”, un Hobie Cat 20
di Marina Maresca
e andate in barca a vela e amate il mare e l’avventura dovete
leggere il racconto dell’incredibile esperienza di Alessandro Di
Benedetto. Il libro da poco uscito in Italia (“Atlantico senza riparo”, Edizioni Nutrimenti), non solo vi farà planare pericolosamente sulle onde dell’oceano, ma vi terrà col fiato sospeso per tutto
quanto accade nel minuscolo spazio abitato dal protagonista, il telone di quattro metri quadrati a pochi centimetri dall’acqua di un
Hobie Cat 20. E’ a bordo di una barchetta come questa che il navigatore solitario, 33 anni, ha conquistato due anni fa un record assoluto mondiale, la prima traversata dell’Atlantico su catamarano
sportivo, in solitario, e senza alcuna assistenza. Un’impresa che
mette i brividi: su un’ imbarcazione piccola, fragile, inospitale per
S
36 Luglio 2004
navigazioni così lunghe, ha affrontato le stesse avverse condizioni
meteorologiche che nel 2002 hanno rovesciato il trimarano di Steve Ravussin. Di Benedetto con la sua “United States of the World II”
si trovava a 6/700 miglia di distanza da lui. Ma quell’anno è stata
particolarmente dura: soltanto 3 dei 17 modernissimi multiscafi partiti sono riusciti a portare a termine la traversata atlantica lungo la
Route du Rhum, la stessa seguita dal coraggioso Alessandro.
LA BARCA
Con il suo libro fra le mani, sia che siate sul ponte della vostra “banale” barca, sdraiati sul lettino di una spiaggia, o semplicemente
nella poltrona di casa, non potrete che rallegrarvi di essere al caldo
e al sicuro e non in bilico su quella specie di zattera a vela da lui
scelta con coraggio e un po’ d’incoscienza per affrontare prima il
Alessandro salpa il 5 giugno 2001 dalla foce del fiume Magra, vicino La Spezia, e arriva a Las Palmas, Gran Canaria, il 6 luglio. Ma questa, benchè rischiosa e difficile, è solo una tappa di avvicinamento
al salto atlantico verso i Caraibi. Il 3 novembre dell’anno successivo molla gli ormeggi da Las Palmas per arrivare il primo dicembre a
Pointe a Pitre, isola di Guadalupa, Antille francesi.
Taglia cioè la stessa linea d’arrivo della Route du Rhum, regata che
ogni quattro anni parte da Saint-Malo, in Francia, in modo che gli
stessi giudici ufficiali, autorizzati dal WSSRC/ISAF, (World Sailing
Speed Record Council/International Sailing Federation) possano
omologare l’impresa, che non ha precedenti.
A farci provare il brivido dell’avventura non sono tanto le miglia percorse, bensì le piccole grandi sfide vinte nella quotidiana vita di bordo. Sono racconti, spesso agghiaccianti, delle difficoltà, le avarie, i
problemi affrontati e per fortuna risolti. Per esempio, deve perfino
praticarsi un’operazione semichirurgica all’alluce, dopo aver disinfettato i “ferri”, cioè l’aprinodi in acciaio del coltello da vela.
Ma ci godiamo anche la poesia, le fantasie e le emozioni che gli suscitano l’essere solo di fronte alle onde alzate dall’aliseo, gli incontri con tartarughe e squali, balene e pesci palla. Momenti confidati
a un piccolo registratore - fin quando rimane asciutto - poi alla madre o agli amici in brevi dialoghi al telefono satellitare.
Alessandro Di Benedetto
durante la navigazione
UN GRANDE SOGNO
Di Benedetto racconta con semplicità come nasce un avventura così originale e rischiosa. E il bello è che, da quanto scrive e ci confida poi dal vivo, l’impresa affrontata sembra alla portata di Luglio 2004
37
www.solovela.net
Articolo pubblicato sulla rivista SoloVela
SCHEDA
“Atlantico senza riparo!” è il titolo
del libro di Alessandro Di Benedetto,
uscito a giugno, per le Edizioni
Nutrimenti.
Ecco alcune “pillole” tratte
dall’appassionante racconto della
traversata dall’Italia alle Isole Canarie
e poi alle Antille francesi.
CAMBUSA. “La mia cambusa era composta
da diversi chili di frutta fresca, cibi in
scatola di vario tipo, dalle insalate con
tonno alle verdure precucinate, sgombri sott’olio, cracker, muesli, latte condensato, succhi di frutta, gallette di riso, biscotti.
Avevo prestato un’attenzione particolare agli integratori salini
e vitaminici a disposizione sia in forma di compresse che di bevande. Tra gli alimenti avevo incluso anche un mix di pappa reale, miele e propoli e delle barrette energetiche a base di pasta
di mandorle, senza dimenticare la frutta secca (nocciole, fichi,
prugne, albicocche, datteri, ananas, papaya) e quella sciroppata che comprendeva pesche e pere. Infine, qualche barretta di
cioccolato”.
SQUALI & CO. “Mi ero appena disteso sul telo quando, con la coda
dell’occhio, vidi due pinne che fuoriuscivano dall’acqua. Forse si
trattava di una verdesca...”.
“Il catamarano, tra miriadi di Velellae gallegianti come sull’olio
dai riflessi dorati, sembrava una barca madre, un gigante che si
faceva strada in un mondo di esseri minuscoli. Come ne “I viaggi di Gulliver” (Velellae, note come “barchette di San Pietro”, sono un organismo del plancton marino).
“Trascorsi l’intera giornata nella calma riuscendo ad avanzare
soltanto poche miglia. Per fortuna, quasi a consolarmi, la notte incontrai nuovamente i delfini....A loro dedicavo le canzoni
più varie, tamburellandone i motivi sugli scafi come un ancestrale tam tam marino.”.
“Avevo una velocità media sui 7 nodi, con planate sui 10, quando dritto di prua a circa 30 metri vidi una sagoma scura uscire
dall’acqua. Con una veloce conversione di rotta scansai il bestione che non essendosi accorto del mio arrivo sfiorò lo scafo
di dritta passando la sua testa ad angolo retto a meno di due
metri da me. In quel momento vidi sulla parte sommitale del capo un grosso sfiatatoio”.
VENTO. “Il vento è il tuo motore, la spinta, la rabbia, l’acceleratore
dei tuoi istinti. Ma il vento è anche la tua culla, il dolce abbraccio della carezza di una persona cara. E’ ciò che ti fa muovere, agire. E’ come il sangue nelle vene, rigenera il tuo corpo e
ti spinge come un’onda che dolce e impetuosa ti abbraccia e ti
trascina dove da solo non saresti mai arrivato. Il vento per qualcuno è come l’amore”.
38 Luglio 2004
tutti, purchè in buona salute e capaci di portare un catamarano a vela. “Volevo dimostrare”, spiega infatti, “che per intraprendere un viaggio, anche se difficile, i mezzi che si hanno a disposizione assumono un’importanza relativa, di fronte
alla propria determinazione e alla passione, la quale, generando l’idea stessa del viaggio, ci consente di sognare”.
Questa “regata” in solitario per conquistare un record mondiale nasce dall’acquisto sul lago di Garda, attraverso un annuncio, di un Hobie Cat 20 usato. Alle spalle, Alessandro ha
solo l’esperienza di una traversata dell’Atlantico, fatta nel ‘92,
ma in compagnia del padre. Tutt’altra cosa, invece, partire da
solo, e senza scalo.
Scopriremo così come sia stato impegnativo e difficile, dopo
l’acquisto della “piccolina”, attrezzarla, inventarsi posti nuovi dove
caricare viveri e strumenti, capire come proteggersi dal vento e dal
freddo per evitare l’ipotermia. Studiare quali mute usare e confezionare il sacco per dormire.
LE INVENZIONI
Per evadere qualche volta dal microcosmo del telone tra gli scafi
l’armatore si inventa una sorta di sedile in tubo di alluminio su
cui rimanere un po’ sollevato dal pelo dell’acqua, o dal quale sporgersi per compensare lo sbandamento della barca nel caso di vento forte. Altri due tubi li fissa all’esterno degli scafi per riuscire a
Accanto alla bussola
pronto per
Alessandro uno
spuntino vitaminico.
In basso, un
momento della
traversata nel quale
sarebbe stato più
difficile mettersi a
mangiare
raddrizzare da solo la barca nel caso di scuffia. Pensa anche a un
bidone floscio riempito con aria, da inviare in testa d’albero per
evitare il capovolgimento a 180°. Due tubi sono pronti a fare da
albero di fortuna. Le vele sono randa, fiocco e gennaker, più quelle di rispetto. Ma imbarca anche un pannello fotovoltaico, trecce
di fili di rame come parafulmini e due preziose ancore galleggianti
che lo aiuteranno a non indietreggiare con forti venti contrari e
a riposare qualche ora in presenza di onda formata da poppa.
Pensa e ripensa, con determinazione, anzi con ostinazione; trova
originali soluzioni per far fronte alle tante emergenze della navigazione.
Viveri, acqua, attrezzature sono stivati in bidoni e sacchi di tutte
le dimensioni e di tutti i colori, un disordine apparente, un ordine minuzioso raggiunto con studi ed esperimenti. Per esempio,
ognuno degli attrezzi da portare nell’apposita cassetta lo ha
“testato” con la sua bussola da geologo, per verificare che, in
quel minuscolo spazio, non facessero impazzire l’ago magnetico
di bordo.
Ma perché, hai affrontato tutti questi problemi, perché, in realtà,
sei partito?
“Sentivo il bisogno di riavvicinarmi a ciò che la città non poteva
darmi, a qualcosa che, nella sua semplicità, racchiude un mondo
di emozioni senza confini, l’essenza dello spirito di libertà, il desiderio di avventura: il mare”. “Il momento di partire, di andare,
di lasciare gli ormeggi penso che ognuno lo porti con sé, che ogni
persona lo covi dentro”. Ma Alessandro, che in mare ha avuto ore
e ore per meditare, nel libro ci spiega pure come questo viaggio
al limite dell’impossibile affonda le radici nell’amore per la natura, nato nell’infanzia siciliana, e poi dalla voglia di “aprire una
strada nuova, un sentiero tutto mio, una nuova scia”.
Alessandro tira
fuori generi di
conforto da uno
dei preziosi
bidoni.
A destra, l’arrivo
a Guadalupa
SEMIAFFONDAMENTO
Qual è stato, Alessandro, il momento più duro? “La notte della partenza da Puerto de la Luz, a Las Palmas, me la sono vista davvero
brutta per un’intossicazione alimentare che mi ha debilitato, mentre
il vento aumentava fino a 45 nodi”, risponde con semplicità. Gli ha
fatto male una scatoletta di un pasto autoscaldante, che deve aver
sbattuto da qualche parte lasciando entrare dell’aria. Dal sapore si
accorge che qualcosa che non va, ma ormai ne ha già mangiato metà.
Così sono dolori, spasmi allo stomaco, vomito, una nottataccia nella quale, debolissimo, riesce per miracolo a evitare strambate involontarie e la collisione con un mercantile nero e minaccioso che gli
passa vicinissimo. Ancora distrutto dall’intossicazione, ad appena 24
ore dalla partenza da Gran Canaria, si accorge poi di aver imbarcato
almeno cento litri di acqua in ogni scafo. “Ma alla fine, masticando
un po’ di limone per compensare gli acidi perduti, ce l’ho fatta”, racconta, rievocando quello che è stato, in realtà, il semiaffondamento
della “piccolina”. Per salvarla deve affrontare una sfiancante operazione per svuotare gli scafi, infilandovi bidoni vuoti per migliorare il
galleggiamento. E’ costretto a ricorrere perfino a un asciugamano e
una t-shirt a far da guarnizione tra la pompa di sentina e i buchi negli scafi, i cui tappi, evidentemente, non erano stagni.
E noi siamo li’ con lui, bagnati e spossati come lui, a condi- Luglio 2004
39
www.solovela.net
Articolo pubblicato sulla rivista SoloVela
videre l’incubo, a chiederci angosciosamente se si è aperta una falla e dove, in una barca praticamente alla deriva, quasi completamente sott’acqua. Fradici ma felici di averla scampata.
L’elenco delle disavventure, le secche annotazioni sui dolori e le ferite alle mani che bruciano terribilmente col sale, le piaghe ai piedi e
le notti insonni nella muta dove ormai entra acqua, ci fanno partecipare dal vivo alla sua navigazione. Un tuffo al cuore quando ci accorgiamo che si è rotta una sartia e ci assale il terrore di disalberare.
Un capodoglio che soffia vicinissimo, e per un niente non rovescia
la barca, fanno apprezzare ancora di più - ad Alessandro e a noi stessi - i momenti belli e i piaceri piccoli e grandi del mare.
Sia il Mediterraneo che l’Oceano riservano pericoli e problemi. Così
Spesso Alessandro se l’è vista davvero
brutta mentre l’Hobie Cat veniva
travolto e inondato dai frangenti.
In alto, la barca fila veloce
con il gennaker rosso
ci prendiamo orgogliosi i complimenti della Guardia Costiera marocchina, “Vous etes un vrai marin!” (“sei un vero uomo di mare”), e la
sera dopo di quella spagnola, “Estas cuidado! Usted es un vero marinero” (Fai attenzione! Sei un vero marinaio”). Bastano a consolarci d’aver fatto ben cinque tentativi, respinti dalla corrente e dal
vento, prima di riuscire ad attraversare lo stretto di Gibilterra. “Ero
come se stessi correndo su un tapis roulant, non mi muovevo, anzi
in alcuni momenti, quando il vento diveniva meno forte, andavo anche indietro. Era incredibile”.
Onde ancora più alte di questa hanno
accompagnato “United States of the World II”
in lunghissime planate per giorni e giorni
UN SOGNO REALIZZATO
Alessandro ci racconta le planate lunghe 5/600 metri, i delfini e le
stelle, le notti e i giorni passati a cantare. “Strano come anche la
sola vista del plum cake basti a tirar su il morale e a creare una vera e propria contentezza”, osserva. E ci fa capire e vivere che gioia
immensa possa scatenare - in una situazione di estrema continua
tensione - una colazione con latte condensato e muesli, un “lussuoso piatto autoscandante di pollo e riso, il gusto di un dattero o
di una manciata di mandorle, una noce di cocco aperta come una
bottiglia di champagne per festeggiare l’avvistamento della terra.
“Come la vita, anche il mare ha le sue insidie ma è anche pronto a
regalare momenti di felicità”, sostiene il navigatore-geologo-filosofo. E racconta di quel giorno che il catamarano ha superato i 40
gradi di inclinazione, rischiando una scuffia di prua, e lui è riuscito per un pelo a mollare la scotta del gennaker... Ma non è certo
un episodio isolato. Nei giorni peggiori, e non sono pochi, il catamarano a ogni onda veniva sommerso da cascate d’acqua. “Se tardassi un solo secondo in più del normale a sventare il gennaker, la
barca si capovolgerebbe”.
Poi la fortissima emozione degli arrivi. A Gran Canaria gli dà il
benvenuto un elicottero della Real Liga Naval Espanola, i soci dei
club nautici, i giornalisti. Lui indossa una t-shirt preparata per
l’occasione con la scritta: “United States of the World II”, per ribadire, spiega Alessandro, che “i popoli sono molto più vicini delle distanze geografiche che li separano”. “I piedi erano ancora
una volta distrutti, rattrappiti, le mani doloranti ma il morale era
alle stelle. Avevo realizzato un sogno”. “Mi inginocchiai su uno
scafo e baciai la barca”.
Non meno travolgente l’arrivo alla Marina di Pointe a Pitre, quello che segna il record ufficiale. L’accoglienza è calorosa, trionfale, una “passerella magica” ricorda. Dopo essere rimasto legato
alla barca per 28 giorni, respira, grida di gioia, alza le mani al cielo. “E’ come se il catamarano e io stessimo uscendo fuori da un
altro tempo, da un’altra dimensione”. Tutto il porto è investito
dalla musica di Vangelis “1492 the conquest of Paradise”. Alessandro sale sul molo e lo bacia.
Gli chiedono cosa vuol fare per prima cosa, e la risposta è: “una doccia e poi una bella cena”. Anche noi chiudiamo il libro felici di aver
condiviso la bella avventura.
PROGETTI FUTURI
Adesso sogna il Pacifico, ed è alla ricerca di sponsor che lo aiutino a battere un altro record. Ci dice che sta ancora studiando i
particolari dell’impresa e la barca con la quale salperà per questo
altro progetto estremo.
In contatto con un’equipe di medici francesi che studierà le sue
reazioni fisiche e psichiche a tanta fatica e a tanto stress, questa
avventura avrà forse un risvolto scientifico, ma sarà di sicuro nel
segno della pace e della solidarietà. Di Benedetto, infatti, anche
questa volta ci tiene a portare con sé il logo dell’Amref, l’organizzazione no-profit impegnata per gli aiuti medici all’Africa, e un
messaggio di pace per tutto il mondo. Per lui, dice, navigare è anche voglia di disegnare con la scia “un mondo senza confini,
guerre e ingiustizie”.
Luglio 2004
41