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La città invisibile
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«Mi piace vivere alla Cita»
di Emilia Parpagiola
Una insegnante descrive il condominio in cui abita dal 1984 e racconta alcuni aspetti della convivenza tra vicini alla Cita, un quartiere
di Marghera costruito tra gli anni Sessanta e Settanta che periodicamente ha avuto cattiva reputazione ma che da lontano sembra il
castello di Windsor
Il condominio e il quartiere
Dal 1984 abito a Marghera, in un appartamento del condominio Borromini, alla Cita. Vivo volentieri in un quartiere di 2000
abitanti che offre vari servizi: dalla scuola materna alla scuola di danza, dal medico al laboratorio di analisi e alla farmacia, dalle
poste all’ipermercato e a molti negozi di vario tipo. Credo che la stragrande maggioranza dei proprietari dei 300 appartamenti
originariamente privati delle “torri” della Cita condividano questa opinione. Ciò è dimostrato dalla “fedeltà abitativa” dovuta anche
alla felice posizione del quartiere: vicino alla stazione ferroviaria, al centro di Mestre, all’autostrada e alle principali reti stradali del
Veneto, e a Venezia raggiungibile in 10 minuti con il treno, con i frequenti autobus e, fra poco, con il tram.
Il condominio “Borromini” si trova in via Longhena È una delle quattro torri che dominano il quartiere Cita di Marghera. Il quartiere,
progettato in seguito alla convenzione tra Comune e Montecatini del 5 gennaio 1965, si estende nei pressi della stazione ferroviaria,
lato Marghera, nell’area in cui l’imprenditore vicentino Alessandro Cita, nel 1897, aveva fondato una fabbrica per la lavorazione dei
fosfati. È caratterizzato da edifici imponenti, alti mediamente dodici piani, solidi nella struttura e accurati nella costruzione, ben
diversi, quindi dagli edifici costruiti secondo i criteri dell’edilizia economico-popolare. Il committente-proprietario del quartiere, è
stato l’INADEL (Istituto nazionale assistenza dipendenti degli enti locali), ora INPDAP (Istituto nazionale di previdenza dipendenti
delle amministrazioni pubbliche), per cui destinatari degli appartamenti sono stati in prevalenza dipendenti pubblici con larga
rappresentanza del sud Italia.
La toponomastica è omogenea e “impegnativa”; ci sono tre strade: via Longhena, via Palladio e via Massari. I condomini portano
nomi altrettanto importanti: Borromini, Brunelleschi, Sansovino.
Si entra nel quartiere attraverso via Longhena, che avanza con deviazioni a destra e a sinistra, tra due alte quinte: a sinistra il
condominio Brunelleschi e a destra il condominio Sansovino (ciascuno con oltre cento appartamenti): a taluni la strada sembra un
canyon. Dopo circa cento metri, sulla sinistra, si erge la torre Borromini, dove abito. Via Longhena prosegue per altri cento metri
circa e finisce a T su via Palladio che costeggia la bretella della tangenziale. Lungo via Palladio, a sinistra, si alzano le altre tre torri. Le
quattro torri si presentano con i muri esterni a riquadri piastrellati in gres marrone e contornati da costoloni in cemento armato. Le
pareti degli altri edifici sono in mattone faccia a vista.
Il Borromini è stato il primo edificio a essere costruito e venduto “sulla carta” per finanziare la costruzione degli altri edifici. In seguito
furono messi in vendita i condomini Brunelleschi e Sansovino, per un totale di trecento appartamenti sugli ottocento complessivi del
quartiere. I lavori iniziati nel ’65 e furono conclusi nel ’74. La torre ha pianta a croce con i bracci est-ovest più larghi. La parte centrale
costituisce il sito delle due rampe di scale, delle trombe dei due ascensori e dei pianerottoli con le porte di accesso agli appartamenti.
I bracci nord e sud sono occupati, ciascuno, da un appartamento di centodieci mq circa. I bracci est e ovest hanno ciascuno due
appartamenti di ottanta mq circa. Ci sono dodici piani e, fino al decimo, gli appartamenti sono sei per piano e perfettamente
sovrapposti. Oltre il decimo, le altezze dei bracci variano. All’undicesimo piano ci sono tre appartamenti: due sui bracci est e ovest;
un attico sul braccio sud; una terrazza-tetto sul lato nord. Al dodicesimo ci sono due attici sui bracci est e ovest, e una terrazza-tetto
sul braccio sud. Sopra questi due appartamenti ci sono due terrazze condominiali utilizzate per stendere la biancheria.
Il piano terra è strutturato in quattro androni aperti. L’ingresso principale, con la portineria e i campanelli, è sul lato est e dà su
via Longhena; sul lato ovest vi è l’ingresso secondario che si affaccia sul parcheggio con ventuno posti auto e una rastrelliera per
le biciclette. Nei sotterranei di ogni braccio ci sono le cantine, una per appartamento, mentre nel sottosuolo degli spazi tra i bracci
ci sono quattro garage, con dodici box ognuno, coperti da giardini pensili. Il restante scoperto condominiale, anch’esso curato a
giardino, è cintato da siepi. L’insieme dà una sensazione riposante, piacevole e di ordine all’edificio, anche se è inserito in un quartiere
movimentato e chiassoso. Il lato ovest del condominio confina con un vasto parco pubblico con giochi per i bambini e alberi di vario
tipo. Contigue al parco ci sono la scuola statale dell’infanzia “Giovanni Paolo I” e l’asilo nido comunale “Girasole”. Lungo il lato nord
del parco si ergono altre tre torri .
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La città invisibile
«Mi piace vivere alla Cita» di E. Parpagiola
Il quartiere è stato agli onori della cronaca per alcuni anni e per motivi non esaltanti: di fronte al mancato versamento degli affitti,
l’INPDAP ha sospeso le opere di manutenzione (causa ed effetto si possono invertire a seconda delle fonti) innescando una spirale
perversa e degradante. Ora il problema è in via di soluzione con la messa in vendita di tutti gli alloggi pubblici, con qualche sfratto e
con l’ovvio seguito giudiziario, aspetti questi che angosciano le famiglie che non hanno i mezzi per comprarsi una casa.
Gli appartamenti
Gli appartamenti posti in vendita al momento della costruzione sono stati acquistati da persone del ceto medio impiegatizio e
produttivo, e da professionisti. Sul finire degli anni ’70, hanno trovato alloggio in varie “torri” oltre un centinaio di famiglie, senza
casa, collocate dal Comune.
Mio marito e io abbiamo acquistato l’appartamento, sito nel lato nord del “Borromini”, il 13 giugno del 1984. È della categoria A/3
– cl. 3 ed è composto da ingresso, cucina, salone, doppi servizi, tre camere e due terrazze di circa 6 mq ciascuna, senza garage. Il
primo proprietario, trasferitosi a S. Donato Milanese, aveva affittato l’appartamento per qualche anno ad alcuni studenti greci che
frequentavano l’Istituto di Architettura a Venezia; prima che andasse completamente distrutto, l’ha posto in vendita. L’abbiamo
pagato 55.000.000 di lire in contanti più accollo di un mutuo residuo pari a 10.000.000. Dopo qualche mese abbiamo acquistato un
box di 15 mq per 17.000.000.
Ora un appartamento di questa metratura costa circa 200.000 euro, 1.800 euro al mq, e un box si aggira sui 25.000 euro.
Gli appartamenti del “Borromini” sono 65 e, nel 1984, erano ancora occupati in gran parte dagli originari proprietari.
Spese
Nel 1984 le nostre spese condominiali ammontavano a 2.120.000 di lire, quest’anno a 2.366,58 euro. Le voci più importanti sono:
riscaldamento, fornitura dell’acqua calda e fredda e spese per il servizio di portineria (il portinaio cura anche gli spazi verdi
comuni).
Nella primavera-estate del 2001 sono stati eseguiti importanti lavori di manutenzione straordinaria. Gli interventi hanno riguardato
le parti esterne che presentavano evidenti deterioramenti e varie screpolature. Sono state riparate le parti piastrellate e le fessurazioni
di quelle in cemento; è stata fatta l’idropulitura e la ridipintura dei costoloni, dei parapetti e delle fioriere che recintano le terrazze
degli appartamenti e la verniciatura delle ringhiere. Sempre nel 2001, è stata installata un’unica antenna parabolica, a uso di tutti i
condomini onde evitare i “padelloni”. Il regolamento condominiale, infatti, vieta il posizionamento di alcunché che oltrepassi le altezze
dei parapetti delle terrazze. Inoltre stabilisce che eventuali tendaggi esterni siano tutti dello stesso colore, beige. Ciò contribuisce a
dare un aspetto armonico e ordinato al “Borromini”.
Vicini di casa
Quando siamo arrivati nel 1984, c’erano quindici bambini, di nove nuclei familiari. Quattro di essi sono stati miei alunni e ciò ha
favorito relazioni più dirette con le loro famiglie. Gli attuali abitanti del condominio sono tuttora in gran parte quelli originari. Dal
1984 sono cambiati 11 proprietari di cui 7 per trasferimento e 4 per morte.
Da tempo vivono quattro coppie con coniuge di origine straniera. A partire dal 2000, sono arrivati interi nuclei familiari di stranieri
extracomunitari. Attualmente ci sono due appartamenti acquistati da cinesi; due da cittadini del Bangladesh, e quattro affittati a
famiglie provenienti da Romania e Moldavia. Non saprei dire il numero esatto e costante degli inquilini.
La nostra attuale responsabile della portineria è un ex professoressa di francese, moldava, che vive con la famiglia nell’appartamento
di pertinenza. Fa servizio dall’agosto 2005 e ha sostituito il portinaio precedente, uno degli operai romani delle ditte costruttrici che,
come altri, ultimati i lavori, sono rimasti a vivere in quartiere anche perché i regolamenti condominiali prevedevano l’assegnazione
al portinaio di un appartamento di proprietà comune.
I rapporti tra i condomini, nonostante la lunga convivenza, sono rimasti su un piano puramente formale e non sono cambiati nei
confronti dei condomini stranieri.
Per quanto mi riguarda, avevo cercato di instaurare dei rapporti con due famiglie del Bangladesh che coabitavano nello stesso
appartamento, vicino al mio. L’occasione mi era stata data dalla nascita di una bambina. Alla madre, che aveva già un bimbo di due
anni, avevo fatto un piccolo dono per la neonata: gliel’ho dato sulla soglia e la donna è rimasta alquanto sorpresa. Ho conosciuto, poi,
una bambina di circa dieci anni dell’altra famiglia, appena arrivata in Italia con la madre e un fratello. Non sapeva parlare italiano,
ma comunicavamo dal poggiolo con un linguaggio gestuale. Un giorno mi ha fatto vedere dei suoi disegni e il padre, che era con
lei, ha fatto da interprete: la bambina desiderava darmene in dono alcuni. Così, con lui e la madre, la bambina è venuta a casa mia
per portarmeli. Ho ricambiato regalandole un libretto su cui disegnare, dono che ha gradito molto. In seguito sembrava che mi
aspettasse sempre sul poggiolo per salutarmi. La cosa, però, non era ben accettata dalla madre che faceva rientrare la bambina in
casa. All’improvviso non ho più visto né lei, né gli altri bambini, né le madri. Ho saputo dal padre che, per motivi economici erano
stati rimpatriati tutti in Bangladesh. Ora alloggia connazionali. Li vedo talvolta stendere il bucato coperti da un telo che dalla cintola
arriva ai piedi.
È un rischio frequente per gli stranieri che acquistano un appartamento di non riuscire a far fronte alle spese per il mutuo e a quelle
condominiali e, quindi, si vedono costretti a ospitare altre persone per risolvere i problemi economici.
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«Mi piace vivere alla Cita» di E. Parpagiola
Un aspetto che non giova certo ai rapporti sono le loro usanze alimentari: aglio, cipolla e varie spezie, usate in misura per noi
esagerata, lasciano tracce indelebili nella tromba delle scale, negli ascensori e costituiscono un attentato per il nostro stomaco. Siamo
costretti a vivere gran parte della giornata con le finestre chiuse, anche perché gli orari di cucina non corrispondono ai nostri. Era,
invece, molto più gradevole la vista dell’abbigliamento variopinto delle donne, che metteva in rilievo l’armonia e il loro gusto del
colore. Riguardo agli immigrati del Bangladesh, ho notato che solo gli uomini sono disponibili al dialogo, mentre le donne non
hanno nessun tipo di relazione con gli italiani.
L’arrivo di alcuni cinesi, nel 2004, è stato seguito da un paio di settimane di lavori frenetici, di rumori prodotti da martelli, trapani,
seghe e non so da quali altri attrezzi. Presumo che abbiano suddiviso le stanze con tramezzi per ricavare altri vani.
Al di sopra del mio piano, ho individuato alcune persone: c’è un signore anziano che si vede raramente. Una notte, alle tre, camminava
avanti e indietro, nell’androne. Con lui vivono il figlio con moglie e due figlie gemelle di circa quattordici anni e altre persone.
Avevano strane abitudini: lavare a mano, di notte, facendo scorrere l’acqua di continuo e innaffiare le piante facendo tracimare l’acqua
che cadeva nella mia terrazza, spesso appena pulita. Gradualmente le cose sono migliorate.
Nell’appartamento sotto il nostro, abitano padre, madre, figlia con marito e una bimba nata due anni fa. Hanno legami di parentela
con la famiglia cinese che vive sopra al mio piano. Nell’appartamento c’è, poi, un numero imprecisato di altre persone. Ogni tanto
vediamo qualcuno che arriva con le valigie. Il campanello suona in continuazione, anche di notte. Tempo fa, abbiamo protestato per
il via-vai e per i rumori, anche a notte fonda. Avevano trasformato l’appartamento in una sorta di ritrovo, che attirava altri cinesi,
incuranti del regolamento condominiale e delle norme che noi usiamo definire “di civile convivenza”.
L’intervento del portinaio e dell’amministratore hanno riportato un po’ di ordine. Il nostro rapporto con i cinesi è limitato al saluto e a
qualche battuta in ascensore con le ragazzine, le uniche che parlano in italiano. Gli altri sembrano chiusi e hanno una certa difficoltà
di relazione, non si saprebbe dire se per carattere, abitudini o semplicemente perché non si parla la stessa lingua.
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