Il matrimonio omosessuale ci fa problema non per l`omosessuale
Transcript
Il matrimonio omosessuale ci fa problema non per l`omosessuale
Il matrimonio omosessuale ci fa problema non per l'omosessuale, ma per il matrimonio Per accettare il matrimonio omosessuale si deve modificare il significato del matrimonio; anche di quello tra l’uomo e la donna. È una modifica che si sta già facendo strada nei fatti, ma prima di confermarla per legge chiediamoci: è un bene? Bisogna partire dall’ABC se non vogliamo dialogare tra sordi. Chiediamoci anzitutto cosa intendiamo, parlando di “matrimonio”. Due fondamentali modi di vedere si confrontano a proposito del matrimonio e della famiglia. C’è una visione individualistica. Due persone mettono in atto una convivenza su base affettiva e sessuale. Si tratta di una faccenda assolutamente personale. La società non ha alcun diritto di interferire con le loro scelte, che attengono esclusivamente alla sfera privata (se procreare o meno, se continuare la convivenza per tutta la vita o interromperla in tempi più o meno brevi, ecc.). La società ha solo il dovere di prendere atto di questa convivenza e sostenerla. E c’è una visione sociale del matrimonio. Un uomo e una donna mettono in atto una convivenza aperta alla procreazione, assumendosi il compito di allevare, proteggere, educare la prole, impegnandosi per offrire ai figli un ambiente di stabilità materiale ed affettiva. La società riconosce che questo progetto, pur essendo affidato alla responsabilità e alla libertà dei due, è utile al bene comune. Le famiglie, che originano da questo progetto, sono le cellule del corpo sociale, a cui garantiscono la continuità nel tempo. Ad esse vengono perciò destinate “misure economiche” e “altre provvidenze”, allo scopo di agevolare “la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi” (Art. 31 della Costituzione). Si tratta di misure adottate per sostenere dei compiti, non di concessioni erogate in una logica assistenzialistica. Se si adotta la visione sociale, solo una convivenza che abbia certe caratteristiche potrà essere considerata “matrimonio”, e sarà destinataria di specifici benefici in quanto le competono specifici doveri (non solo doveri reciproci tra i membri della convivenza, ma doveri verso la società). Per essere aperto alla procreazione (e ai compiti che ne derivano), il matrimonio sarà necessariamente eterosessuale. Altre convivenze (omo o eterosessuali) restano scelte private, libere e rispettabili, che potranno anche necessitare di specifiche norme giuridiche, ma non c’è motivo di prendere il matrimonio come modello per queste norme. Una lettura della Costituzione Italiana dimostra oltre ogni ragionevole dubbio che il matrimonio vi è considerato in una logica sociale. Tuttavia negli anni si è di fatto diffusa una mentalità conformata piuttosto alla logica individualistica. Neppure la Costituzione è intoccabile. È possibile che la società cambi parere, respinga la visione sociale, e preferisca quella che abbiamo definito visione individualistica del matrimonio (da cui non ci sarebbe motivo di escludere le convivenze omosessuali). Con tutto ciò che ne consegue! Perché, se inquadriamo il matrimonio in una visione individualistica, quale motivo c’è di limitarlo a due contraenti? Perché non tre? O dieci? Che diritto abbiamo di entrare nel merito della relazione (se di natura sessuale o no)? Di questo passo, a forza di allargarne il significato, il matrimonio perde la sua specificità, il suo significato; e sfumano le ragioni per un suo sostegno sociale. Come giustificare le norme che privilegiano i conviventi rispetto ai single? Perché la società dovrebbe destinare risorse a favore di una scelta affettiva, legittima ma privata, quando le risorse sono sempre più scarse? E se la società non dimostra (simbolicamente e concretamente) un interesse per la potenzialità procreativa del matrimonio, perché mai le giovani generazioni dovrebbero porre la procreazione tra i compiti primari dell’esistenza? Sono questioni che già ora emergono, nella nostra civiltà individualista, contrassegnata dall’instabilità familiare e dalla denatalità, con le loro conseguenze, anche economiche, per la società. In tale contesto, la legislazione deve adeguarsi, limitandosi a sancire formalmente questo disinteresse (con atti legislativi che di fatto lo promuovono)? O deve dare segnali che suggeriscano un’inversione di rotta? Il comune di Castenaso (Bo), assegna un contributo per la casa di circa 5000 euro alle coppie di persone sotto i 40 anni che autocertificano un vincolo affettivo. Viene sottolineato che questo contributo è aperto anche alle coppie gay. Ci mancherebbe che fossero escluse, significherebbe discriminarle! Ma allora, perché discriminare le convivenze di più di due persone, le convivenze non affettive, i soggetti superiori a 40 anni e i single? Chi accetta che vada perso il significato sociale del matrimonio, smetta di prendere in giro sé stesso e lo riconosca apertamente. E chi invece lo vuol salvaguardare apra gli occhi. Operiamo pure le nostre scelte, ma facciamolo rendendoci conto di cosa è in gioco. Per favore! Obiezioni e risposte In Italia non si parla di matrimonio omosessuale. Si sta solo proponendo un’istituzione diversa dal matrimonio, per regolamentare le unioni omosessuali e le “unioni di fatto”. Perché una scelta del genere non comprometta il significato che la società attribuisce al matrimonio, dovrebbe trattarsi con evidenza di un’altra cosa. Invece le proposte attuali sono fatte ad imitazione del matrimonio, con un nome diverso. Non si limitano a regolamentare unioni che hanno una valenza privata, prevedono concessioni, analoghe a quelle del matrimonio, che comportano un impegno per la collettività tutta. Siamo onesti! La regolamentazione delle convivenze non matrimoniali con norme specifiche, senza la creazione di una istituzione apposita, è possibilissima, ed è già in gran parte realtà. Ma questa soluzione viene giudicata insufficiente. Perché? Cosa si vuole veramente? Ci sono forze che spingono energicamente per modificare il significato del matrimonio. Le proposte attuali sono un primo passo verso quest’obiettivo. Non è solo una previsione, è già avvenuto recentemente, in Francia per esempio, e ancor più di recente in Gran Bretagna. Ci sono coppie non sposate, che hanno figli, e li accudiscono con amore e sacrificio. Ciò ha certamente valore per la società! Ma non hanno gli stessi diritti delle coppie sposate. Non è così. I diritti previsti dalla Costituzione sono destinati anche a queste coppie, di cui viene riconosciuto il ruolo sociale. L’istituto giuridico del matrimonio serve esattamente a concretizzare questo riconoscimento. Creare un’altra istituzione che ha un nome diverso ma svolge la stessa funzione sarebbe un doppione inutile. Inoltre per tali situazioni sono già previsti molti benefici, anche senza matrimonio, al punto che per certi aspetti risulta più conveniente non essere sposati (pare che non siano rare le coppie sposate che, per ottenere certi vantaggi negati alle coppie sposate, divorziano pur continuando a stare insieme d’amore e d’accordo). I diritti attualmente riconosciuti alle coppie sposate ci sono anche nel caso di coppie senza figli. Fino a pochi decenni fa (certamente all’epoca della scrittura della Costituzione) il matrimonio era, nella mentalità corrente, strettamente associato alla procreazione, e proprio per questo motivo era patrocinato dalla società civile. L’assenza dei figli era di regola dovuta alla situazione biologica, solo in misura irrilevante era il frutto di una scelta. Innegabilmente, oggi la situazione è cambiata, e sempre più nella mentalità comune l’idea del matrimonio si va dissociando dall’idea dei figli. Si tratta di un fatto che va bene così, che la legge può convalidare e promuovere decretando di fatto che le “provvidenze” destinate al matrimonio non c’entrano con il potenziale procreativo della coppia? O si tratta di un problema a cui cercare soluzioni? Anche le persone omosessuali dichiarano in misura crescente un desiderio e una disponibilità alla genitorialità, cioè ad essere generativi. Le norme attuali vietano la procreazione alle coppie omosessuali, non sono loro ad escluderla. Non la legge, ma la realtà dei fatti impedisce ad un rapporto omosessuale di essere generativo. La genitorialità rivendicata per le coppie dello stesso sesso non passa infatti per la relazione tra i due, ma per le tecniche mediche o l’adozione. Alla persona omosessuale non è vietato procreare: se vuole può farlo (con una persona di sesso opposto, come tutti). È la coppia di persone dello stesso sesso che non può generare. Una donna (omosessuale o no) non può essere padre, e un uomo (omosessuale o no) non può essere madre. Non si può negare a un bambino quell’esperienza costitutiva della natura di ogni essere umano, consistente nell’avere un padre e una madre. www.centrofamiglia.info/cdf?id=76