L`idea della riduzione - Metodo. International Studies in
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L`idea della riduzione - Metodo. International Studies in
L’idea della riduzione Le riduzioni di Husserl – e il loro comune senso metodologico Dieter Lohmar Universität zu Köln Husserl Archiv In questo contributo tenterò di esporre le riduzioni husserliane in modo tale che rendere chiaro che seguono tutte un determinato modello metodologico. In tal modo si mostrerà che Husserl non ha soltanto proposto le riduzioni note, ovvero la riduzione trascendentale di Idee I e la riduzione primordiale delle Meditazioni cartesiane, bensì che, oltre a queste, esiste un metodo di riduzione che cronologicamente si trova prima dell’annuncio della riduzione trascendentale. Inoltre emergerà che almeno altre tre operazioni metodologiche, rintracciabili nell’opera tarda di Husserl, hanno lo stesso statuto di una riduzione. La prima questione metodologica è quella relativa al fine della riduzione. In generale si può dire che tutte le riduzioni in Husserl servono all’esame della validità (Rechtsprüfung) di determinate rappresentazioni. Nel contesto metodologico della fenomenologia, l’esame di validità si può riassumere nella seguente domanda: con quale diritto derivante dall’intuizione percepisco ora là un tavolo, un albero o un uomo? 1 Perché mi credo legittimato a percepire lì un albero, ma non una casa? Si è qui tentati di dire: la cosa è molto semplice, io vedo infatti che là c’è un albero e non una casa. Ma per fondare la validità dell’intuizione non bastano l’affermazione presuntuosa di una pretesa di validità o il rimando alla fonte di validità (il “vedere”). Bisogna poter chiedere: perché – di fatto proprio tenendo conto dei minimi singoli dettagli dell’atto di intuizione, della datità intuitiva e dell’intreccio degli elementi di senso di quest’ultima – si può vedere qui un albero e non una casa? 2 Si tratta allora della “validità” che una posizione (Setzung) riceve attraverso la datità intuitiva di ciò che in essa stessa viene posto. Questa linea di ricerca si può ancora sviluppare se, con Husserl, si amplia il concetto di intuizione nel senso di un’intuizione categoriale di stati di cose e di altre forme categoriali. Non è in gioco qui tuttavia soltanto la validità 1 Il concetto di un esame della validità è noto innanzitutto a partire da Kant e indica la riconduzione di determinati principi generali a categorie dell’intelletto. 2 Qui desidero menzionare il prof. Klaus Held e il “Phänomenologisches Kolloquium” da lui condotto per molti anni insieme con il prof. Antonio Aguirre (e successivamente con il prof. H. Hüni) come una delle fonti più importanti della mia formazione fenomenologica e allo stesso tempo ricordare con personale gratitudine e riconoscimento scientifico il lavoro di questo Kolloquium dall’atmosfera libera, sperimentale e ciò nonostante rigorosamente orientata al metodo fenomenologico. Dieter Lohmar 2 dell’intuizione basata sull’intuizione stessa. Si può mostrare che Husserl pensa anche all’esibizione della validità di posizioni che per principio si lasciano esibire solo parzialmente nell’intuizione. Si tratta dell’esibizione della validità nei classici casi problematici della teoria della conoscenza, vale a dire della validità di elementi di senso come il “sostrato permanente di determinazioni (eventualmente mutevoli)”, la rappresentazione di una causalità universale, e ancora dell’infinitezza di tempo e spazio, dell’ipotesi moderna di una struttura matematica della realtà esperibile, la validità dei principi logici, la posizione di altri soggetti per il mondo e così via. Tutti questi elementi di senso non si lasciano esibire, o si lasciano esibire soltanto in piccola parte, nella sensibilità, ciò nonostante appartengono anch’essi al nostro conoscere e pensare. Qui si deve innanzitutto delimitare il concetto fenomenologico dell’esibizione di validità attraverso il ricorso all’intuizione per contrasto col concetto di esame di validità in Kant. In Kant l’esame di validità implica la riconduzione dei concetti utilizzati nella conoscenza ai concetti puri a priori dell’intelletto. Kant orienta il suo concetto di esame di validità alla contrapposizione, propria della questione giuridica, tra quid juris e quid facti. La prima chiede quale base legale sussista per il giudizio giuridico di un determinato caso. La seconda – quid facti – chiede se il caso presente sia effettivamente un caso che ricade sotto la regola giuridica individuata (per es. si tratta di chiarire se sia stato effettivamente un caso di furto). Kant esamina solo la prima questione, in quanto considera i concetti puri dell’intelletto, per così dire, come i principi di validità sommi e a priori che devono essere contenuti in ogni singola regola di validità dedotta. Il quid facti costituisce per Kant una domanda empirica la cui risposta dipende dalla datità intuitiva, ma non può essere chiarita attraverso una deduzione da principi di validità supremi. Si potrebbe ora così delineare la differenza rispetto al concetto husserliano di esame di validità: Kant sottolinea sì che intuizione e concetto devono coincidere nella conoscenza, ma esamina la validità di pretese di conoscenza solo rispetto ai concetti dell’intelletto costitutivi dell’oggettualità e a priori – secondo lui necessariamente contenuti in ogni concetto. Husserl investiga invece prevalentemente il lato dell’intuizione considerandolo egualmente legittimante e, soprattutto, i tratti essenziali dello stile di riempimento di determinate classi di intenzioni. Anche i concetti hanno nell’intuizione la propria origine, e con ciò per principio anche la loro fonte di validità. Tuttavia inizialmente Husserl non affronta ancora in modo particolareggiato la problematica dei concetti fondamentali ultimi. Solo nella tarda fenomenologia genetica egli scopre che anche le funzioni concettuali costitutive dell’oggettualità Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy Vol. 1, n. 1 (2013) 3 L’idea della riduzione (tipi) si lasciano ricondurre all’intuizione e all’esperienza e si lasciano esibire in esse. L’esame della validità di percezioni, conoscenze e rappresentazioni in un campo intuitivamente dato presenta alcuni problemi metodologici. Con le sue riduzioni Husserl ha quindi cercato di risolvere un problema centrale dell’esame di validità. La mia tesi principale è che una riduzione è di volta in volta un metodo che deve ricondurre a un campo di esperienza nel quale la posizione di cui si deve esibire la validità non è (o non è ancora) contenuta.3 L’argomento essenziale per una riduzione è dunque uguale in tutti i casi: solo su un terreno di esperienza così “ridotto” l’esibizione della validità della posizione problematica può procedere senza circolarità. Altrimenti si avrebbe un tipo di petitio principi teoretico-costitutiva. Ciò che tutte le riduzioni hanno in comune è dunque qualcosa di metodologico. Per Husserl si tratta in tutti i casi di stabilire una ricerca della validità e dei limiti della validità di determinate posizioni sul terreno di un campo intuitivo di esperienza. Nel corso dell’esposizione si chiarirà anche perché le riduzioni di Husserl sono così diverse, in quanto il tipo di riduzione dipende dalle posizioni di volta in volta in gioco. Da questo punto di vista si possono elencare una serie di posizioni e mostrare e motivare le relative riduzioni, per così dire tarate su di esse. Si trovano tra di esse anche alcune che finora non sono state comprese come “riduzioni”. Se la nostra tesi si dimostra fondata, allora la riduzione si mostra come un metodo universale utilizzato in tutta la fenomenologia husserliana a partire dalle Ricerche Logiche fino a Esperienza e giudizio secondo un senso metodologico unitario. Husserl esamina almeno le seguenti posizioni: 1. La validità dell’apprensione del contenuto di datità sensibili “in quanto qualcosa di determinato”, per es. in quanto albero. La riduzione relativa è la “riduzione alla componente reale”, che si trova nella Quinta Ricerca Logica (1 ed.). 2. La validità della posizione di qualcosa come “reale”. La riduzione relativa è la riduzione trascendentale delle Idee I. 3. Le idealità della logica e della matematica, in particolare i principi logici. Il metodo di esibizione è qui la riconduzione di questi giudizi 3 Più precisamente si dovrebbe qui dire che ciò che si cerca è un campo di esperienza nel quale la posizione la cui validità è da esaminare deve essere certo contenuta nominalmente, ovvero secondo il nome, in cui però essa non può essere “valida”, ossia non funge in esso normalmente. Essa deve essere piuttosto riconosciuta nella sua pretesa ma non riconosciuta come valida. Questa precisazione è tarata particolarmente sul caso della esibizione di validità della posizione di realtà per mezzo della riduzione trascendentale, nella quale la pretesa di validità della posizione viene riconosciuta come pretesa, ma questa stessa validità non funge in modo normale bensì unicamente come filo conduttore della ricerca dell’esibizione intuitiva di validità. Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy Vol. 1, n. 1 (2013) Dieter Lohmar 4 all’esperienza di oggetti individuali concreti, così come essa viene proposta nella seconda sezione di Logica formale e trascendentale. 4. La posizione di un’altra soggettività. La riduzione relativa è la riduzione primordiale delle Meditazioni cartesiane. 5. Le ipotesi idealizzanti delle scienze della natura. Il metodo di esibizione relativo consiste nel ritorno al mondo della vita prescientifico esposto nella Crisi. 6. Le categorie “logiche” elementari del giudizio come per es. “è” predicativo, “e”, “non” ecc. Il metodo di esibizione è qui la riconduzione di queste categorie logiche alla esperienza ante-predicativa esposta in Esperienza e giudizio. Tra le riduzioni menzionate ci sono tre metodi di ricerca (3, 5, 6) che Husserl non chiama riduzione, bensì “ritorno” o talvolta anche “riconduzione”. Per queste si dovrà mostrare esplicitamente che esse hanno lo stesso senso metodologico delle altre, tre le quali vengono anche così esplicitamente annoverate. Non basta qui riferirsi al senso letterale del latino reducere come “ricondurre”. Naturalmente si dovranno anche addurre ulteriori ragioni del perché Husserl non le chiami riduzioni. Ciò che di metodologico hanno in comune queste sei riduzioni si potrebbe descrivere con una massima generale argomentativo-teoretica: quando argomenti a favore di un’asserzione non puoi utilizzare tale asserzione né esplicitamente né implicitamente, altrimenti si ha un circolo argomentativo. Ora, è chiaro che, anche nel quadro della questione dell’esibizione di validità, una teoria della costituzione non è un’argomentazione, bensì un metodo che deve esibire il tipo corrispondente di datità intuitiva. Tuttavia per l’analisi della costituzione si può formulare a sua volta una massima simile, la quale dice: quando vuoi chiarire l’originaria costituzione intuitiva di un oggetto nel campo d’esperienza intuitivo che poni a fondamento di questa analisi della costituzione non può essere già contenuta (“come valida” o “fungente”) la posizione indagata. Il compimento della riduzione deve servire a evitare un circolo dell’argomentazione, ossia dell’analisi della costituzione. In questo senso Husserl scrive: «ciò che una scienza mette in dubbio non può utilizzarlo come fondamento pre-dato» (Hua II, 33). Si potrebbe a questo punto ovviamente chiedere perché Husserl non abbia formulato lui stesso espressamente questo argomento unitario a favore delle sue riduzioni. Una ragione potrebbe consistere nel fatto che evitare circolarità era per il matematico Husserl una tale ovvietà da non aver bisogno di essere neppure menzionata. Un’altra ragione potrebbe esser che egli stesso non avesse propriamente chiaro questo argomento e che in questo punto centrale in realtà egli abbia agito correttamente nella Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy Vol. 1, n. 1 (2013) L’idea della riduzione 5 prassi, senza che la sua auto-comprensione fosse abbastanza matura per nominarne le ragioni. Vorrei comunque anche far presente i “costi” della mia interpretazione: sebbene Husserl stesso abbia a più riprese chiamato il suo metodo eidetico “riduzione eidetica” (cfr. Hua IX, 284 f., 321 f.), pure essa non è, nell’ottica della mia interpretazione, una riduzione nel senso delle altre riduzioni. Essa non si propone alcuna purificazione astrattiva di un campo di esperienza al fine di esaminare la validità di una posizione su questa base di esperienza. La riduzione eidetica è, nell’interpretazione che qui si propone, senz’altro un metodo irrinunciabile della fenomenologia, ma non una riduzione nel senso più strettamente metodologico. Rimane inoltre da chiarire perché tre varianti della riduzione (n. 3, 5, 6) non vengano da Husserl chiamate riduzione. Ai costi corrispondono tuttavia consistenti guadagni. Il vantaggio della mia interpretazione è una motivazione semplice e intuitiva della riduzione trascendentale e degli altri metodi riduttivi. La motivazione dell’epoché è un enigma discusso sempre di nuovo e che apparentemente non offre una soluzione facile, soprattutto qualora si cerchi un motivo nell’atteggiamento naturale per superare l’atteggiamento naturale stesso. 1 La riduzione alla componente reale La prima delle riduzioni husserliane è poco conosciuta poiché viene presentata nella prima edizione delle Ricerche Logiche e la maggior parte dei passaggi nei quali ciò avviene fu espulsa dalla seconda edizione del 1913.4 Alcuni passaggi nei quali la “riduzione alla componente reale” viene esposta furono addirittura letteralmente “sovrascritti” da rinvii alla riduzione trascendentale (sebbene per lo più con titubanza).5 Risulta chiaro che Husserl fa un passo indietro rispetto alla “riduzione alla componente reale”. L’aver estromesso e “sovrascritto” i passaggi relativi a questa riduzione mostra che la concezione deve essere dichiarata in certa misura non valida. È interessante, però, che Husserl, proprio nella seconda edizione, definisca questo mero ritorno alle componenti reali più volte come una riduzione.6 In tal modo ci si pone il compito di stabilire in cosa consistesse il problema di quella “riduzione alla 4 Su questo tema vedi anche il mio contributo Lohmar, D. (2011): Zur Vorgeschichte der transzendentalen Reduktion in den Logischen Untersuchungen. Die unbekannte ,Reduktion auf den reellen Bestand‘, “Husserl Studies”, 28/1, pp. 1-24. 5 Ad esempio laddove nella prima edizione veniva richiesta la “analisi descrittiva dei vissuti secondo la loro componente reale”, nella seconda edizione si richiede che la fenomenologia “sin dall’inizio e in tutti i passi successivi non [possa fare] la minima asserzione sull’esistenza reale”(Hua XIX/1, 27s.). 6 Husserl la chiama ad esempio una “riduzione all’immanenza reale del vissuto” (Hua XIX, 413 n.*, 2 ed.). Letteralmente si trova poi nella Quinta Ricerca una “riduzione [dell’io] al contenuto afferrabile in modo puramente fenomenologico” (Hua XIX/1, 368:12-14, 2 ed.), la “riduzione al dato in modo puramente fenomenologico” (Hua XIX/368, n.*, 2 ed.) e una “riduzione al fenomenologico” (369: 26-28, 2 ed.). Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy Vol. 1, n. 1 (2013) Dieter Lohmar 6 componente reale”. Il fatto che questa “sovrascrittura” sia avvenuta talvolta anche con rinvii alla riduzione trascendentale sta a indicare una grande vicinanza di fatto tra i due metodi che ancora non è stata indagata in modo sistematico. Inoltre si deve rilevare che la riduzione alla componente reale non venne resa completamente irriconoscibile: essa c’è ancora nella seconda edizione delle Ricerche Logiche! 7 Il metodo del ritorno alle componenti reali è dapprima stato esposto in modo esauriente nella Quinta Ricerca Logica. Le componenti essenziali dell’atto intenzionale (secondo le definizioni delle Ricerche Logiche) sono la materia dell’atto che determina contenutisticamente che tipo di oggetto è inteso e in che modo viene inteso; il secondo momento è la qualità posizionale (reale possibile, dubbio, e così via) e il terzo la pienezza. Il modello fondamentale della costituzione d’oggetto nelle Ricerche Logiche è l’apprensione intenzionale di componenti reali. Ciò che nella sensibilità mi arriva attraverso le sensazioni viene per così dire interpretato come una rappresentazione dell’oggetto. Naturalmente questa è solo una descrizione semplice e iniziale del processo dell’apprensione. Husserl tiene ferma una serie di particolarità del processo dell’apprensione: la possibilità del mutamento d’apprensione, ossia gli stessi componenti reali possono essere appresi una volta come questo oggetto, un’altra volta come un altro oggetto. Egli chiarisce ciò con il noto esempio della marionetta mobile nel panottico che una volta appare come una marionetta mobile e un’altra come persona reale che mi fa l’occhiolino. La seconda caratteristica fondamentale dell’apprensione è la possibilità che diverse componenti reali vengano interpretate come lo stesso oggetto. Questa seconda possibilità si lascia chiarire con un qualunque caso di percezione di cosa, poiché qui abbiamo la stessa cosa, data secondo diverse prospettive – dunque secondo componenti reali completamente diverse –, ma siamo in grado di percepire e di identificare questa cosa come la stessa. Le componenti reali hanno un’importanza decisiva per la validità della determinazione contenutistica dell’apprensione intenzionale. Ma sono anche decisive per il tipo di apprensione che Husserl chiama modo d’apprensione. Quando le componenti reali non permettono un’apprensione intuitiva, allora si può trattare per es. solo di un’apprensione simbolico-signitiva, ovvero di un’apprensione in quanto immagine della cosa intesa, ma non come questa stessa cosa. Inoltre la qualità posizionale dipende a sua volta indirettamente dalle 7 Cfr. in particolare Hua XIX, 413 n.*, che nella seconda edizione rimanda alla “riduzione all’immanenza reale del vissuto”. Illuminante è anche Hua XIX, 368 dove nella seconda edizione viene inserita l’espressione “riduzione dell’io empirico fenomenale al suo contenuto coglibile in modo puramente fenomenologico” dove il “contenuto fenomenologico” è da intendersi nel senso della n.*, Hua XIX, 411 come componente reale del vissuto. Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy Vol. 1, n. 1 (2013) 7 L’idea della riduzione componenti reali, in quanto la validità della posizione “reale” si fonda sulla possibilità dell’apprensione intuitiva. Ma in ultima istanza sono anche le componenti reali che possono rendere legittima o illegittima la determinazione contenutistica di una apprensione. Il che, molto trivialmente, significa: che io possa percepire qualcosa come una betulla o come una persona dipende dalle datità sensibili che mi danno questo oggetto. Le componenti reali sono dunque nella prospettiva metodologica delle Ricerche Logiche il terreno d’esperienza decisivo su cui si può mostrare la validità della determinazione contenutistica dell’apprensione, ossia della materia, la validità della qualità posizionale e la legittimazione di un determinato modo dell’apprensione. La componente reale è il “terreno d’esperienza legittimante” delle posizioni intenzionali. Vediamo pertanto cosa ha portato Husserl nella prima edizione delle Ricerche Logiche a definire la fenomenologia come una “analisi descrittiva dei vissuti secondo la loro componente reale” (Hua XIX, 28). Egli persegue l’idea di un esame della validità dell’apprensione “in quanto qualcosa” sul terreno delle componenti reali della coscienza. Nell’apprensione sono però contenuti i tre elementi materia, qualità e pienezza. Il progetto di un esame della validità dell’apprensione si riferisce primariamente alla materia, ossia “all’in quanto cosa” dell’apprensione e naturalmente anche alla qualità posizionale dell’atto. La pienezza dell’atto intenzionale si fonda più o meno sulle componenti reali e si trova pertanto nelle Ricerche Logiche dalla parte del campo d’esperienza legittimante. Dal punto di vista delle Ricerche Logiche una ricerca sulla validità della materia e della qualità di un atto è limitata tuttavia solo ad un unico singolo atto. L’intuizione dell’intreccio di tutte le posizioni viene elaborata soltanto in Idee I. Nella prima edizione delle Ricerche Logiche domina ancora la rappresentazione statica secondo la quale le posizioni di senso e le pretese ontologiche che queste qualità posizionali sono, possano essere indagate relativamente a un singolo atto. Solo Idee I offre la visione della non-particolarizzabilità di una tale indagine, in quanto l’intenzionalità d’orizzonte mostra che la posizione ontologica “reale” è connessa, nella modalità della intenzione d’orizzonte, a tutte le altre posizioni di realtà. L’esame critico della validità della materia e della qualità posizionale si lascia chiarire al meglio attraverso un esempio che Husserl ha preso in prestito da Locke, ossia quello della “sfera rossa” (cfr. Hua XIX, 82, 197 ff., 359 ff.). Si può pensare semplicemente a una palla da biliardo. Si mostrano così subito le modalità procedurali essenziali del progetto husserliano relativamente all’esame di validità (della “critica”) delle apprensioni intenzionali. Vediamo una sfera rossa, questo significa però anche che vediamo una sfera uniformemente colorata di rosso. Il senso Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy Vol. 1, n. 1 (2013) Dieter Lohmar 8 della percezione contiene dunque l’elemento di senso della colorazione “uniforme”. Ciò che la sensibilità ci offre come intuitivamente riempito non è affatto questa uniformità della colorazione. La sfera che vediamo, infatti, è in un certo punto molto chiara a causa dell’illuminazione. In determinate circostanze nel punto del riflesso il colore rosso non è più riconoscibile. Lo stesso vale per quella zona in ombra dove la sfera poggia sulla base e appare oscurata dalla sua stessa ombra. Se si prendono le componenti reali in un modo così ristretto come “criterio letterale” della validità di una posizione d’oggetto (materia) allora, secondo questo criterio, non potrebbe sussistere alcun oggetto. Ciò si lascia meglio spiegare attraverso il caso elementare di una cosa reale. Quando poniamo una cosa come “reale”, questa posizione di senso non include soltanto che questa cosa sia data “proprio ora”, ma che essa sia data “già prima” e “subito dopo” o eventualmente possa essere data. Entrambi i primi elementi di senso si lasciano ancora comprovare attraverso il criterio dei componenti reali, sebbene per quanto riguarda il “già prima” si debba chiamare in causa la teoria della riduzione. Ma il “subito dopo” della datità di cosa che è co-intesa con la posizione di realtà non si lascia legittimare con i contenuti ora presenti nella coscienza. L’interrogazione giunge qui alla nota domanda gnoseologica sulla legittimazione della posizione di un sostrato permanente di determinazioni (eventualmente mutevoli). Siccome noi, tuttavia, non vogliamo inscrivere né l’elemento di senso della colorazione uniforme né la realtà di questa sfera rossa nell’ambito di mere finzioni ingiustificate, non ci resta palesemente altro che “indebolire” il nostro criterio. Questo non è in alcun modo un ripiegamento pragmatico, bensì un sensato adeguamento a ciò che noi facciamo effettivamente quando percepiamo. Coerentemente con questi criteri moderati e allo stesso tempo di fatto più adeguati per la valutazione della validità degli elementi di una posizione percettiva, le analisi di Idee I stabiliscono dunque che la “motivazione razionale” di posizioni dipende dalla modalità di riempimento che appartiene essenzialmente a una determinata posizione. Questo stile di riempimento (stile d’evidenza) è per es. nel caso delle cose reali una intuizione prospettica sempre nuova che allo stesso tempo sottostà a determinate, ma a loro volta regolate, anomalie, come nel caso di variazioni di illuminazione. È chiaro che la “riduzione alla componente reale” presenta alcuni problemi. I due più importanti si possono riassumere facilmente. Il primo problema consiste nella difficoltà dell’accessibilità dei dati reali. Questa non sembra da principio essere una difficoltà seria in quanto questi sono pur sempre presenti realmente nella coscienza. I dati reali sono accessibili, tuttavia sempre soltanto nel modo di un oggetto già Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy Vol. 1, n. 1 (2013) 9 L’idea della riduzione sempre appreso come “questo” o “quello”. Come abbiamo già visto nel caso della sfera rossa, noi interpretiamo da sempre i “dati” (come ombra, come riflesso). Si potrebbe persino dire che non possiamo averli come dati non appresi, bensì come già sempre interpretati. Husserl scrive: «non vedo sensazioni di colore, ma cose colorate, non odo sensazioni di suono, ma la canzone della cantante e così via.» (Hua XIX, 387). Si deve tuttavia essere in chiaro rispetto al fatto che l’obiezione qui abbozzata contro la “riduzione alla componente reale” secondo la quale le componenti reali in quanto tali non sono accessibili, ovvero non possono essere resi tematici, non rendono impossibile l’idea della “critica” delle posizioni intenzionali sul terreno di ciò che è dato effettivamente. Come abbiamo già visto chiaramente nell’esempio della sfera rossa certamente ci sono appigli utili per ricondurre la posizione intenzionale al suo terreno legittimante nelle intuizioni. Ciò che si mostra in tal modo è che noi operiamo spesso posizioni che non si lasciano “semplicemente” ricondurre a un’impressione nel senso dell’empirismo, ma che esigono metodi d’analisi più raffinati e hanno un moderato stile di riempimento. Gran parte delle nostre posizioni si basa su ragioni essenzialmente più deboli dell’intuizione sensibile. Questa è l’evidenza a cui ci conduce già la sfera rossa. In Idee I, poi, la cosalità reale è un’idea in senso kantiano a cui posso sempre di nuovo tendere, ma che non si può riempire pienamente. Un’ulteriore perplessità riguarda l’assolutezza della limitazione al terreno dell’esperienza delle componenti reali. In generale una tale limitazione è certo realizzabile, e il risultato o residuo della riduzione è un flusso di componenti reali in tutti i campi sensibili. Si potrebbe dire che nel caso ideale non c’è alcuna traccia di un’apprensione sensata in questo flusso. Le sensazioni “turbinano” senza che io da ciò interpreti (apprenda) oggetti. Il problema emerge solo quando sulla base di questo componente del vissuto si vuole intraprendere una critica dell’apprensione intenzionale, ossia quando io voglio mettere alla prova la validità delle mie apprensioni come albero, tavolo, sfera uniformemente rossa e così via. Potrei per es. avere un leggero mal di denti mentre esamino la questione se il dato sensibile che mi si offre permetta la posizione della sfera rossa. Se io – come esige la rigorosa riduzione al componente reale – ho messo tra parentesi ogni rappresentazione dell’oggetto, cioè ogni materia, come posso poi ancora sapere quali componenti reali appartengono alla rappresentazione dell’oggetto che in questo caso è “questa sfera rossa” e quali no? Questa perplessità si può concretizzare nel momento in cui si stabilisce che la “riduzione alla componente reale” è una riduzione così radicale che io non so neppure più che cosa mi aspetto di vedere, vale a dire non ho più nessun punto d’appiglio per decidere se il mal di denti Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy Vol. 1, n. 1 (2013) Dieter Lohmar 10 appartiene ai componenti reali che hanno una funzione rappresentativa per la sfera oppure no. La perplessità verso questa prima riduzione husserliana non è dunque che la “riduzione alla componente reale” sia ineseguibile, bensì che io quando l’ho realizzata non possa più fare ciò per cui e a causa di cui l’ho allestita: la critica della validità delle apprensioni. 8 Il passo più prossimo sarebbe pertanto che non si impoverisse più in modo così radicale il terreno d’esperienza così come nella “riduzione alla componente reale”. Ciò significa che si deve cercare un campo d’esperienza che è “appena” adatto a compiere questa critica alla validità dell’apprensione e della qualità posizionale (o che si cerchi un criterio moderato per la datità piena). L’agognato campo d’esperienza legittimante non può tuttavia “ancora” contenere esplicitamente o implicitamente ciò la cui validità è innanzitutto da esaminare. Da entrambe queste riflessioni si deve trarre che l’approccio esclusivo alle componenti reali è troppo radicale, vale a dire che dopo la messa tra parentesi della materia non è più possibile un’analisi comparativa della validità della posizione contenutistica d’oggetto. La limitazione esclusiva alle componenti reali mette sostanzialmente tra parentesi la materia e la qualità. La messa tra parentesi della materia sarebbe però, in base alle ragioni suddette, insensata. L’unica cosa che in una tale ricerca di un terreno d’esperienza legittimante posso mettere tra parentesi è la qualità posizionale. Questo limitato impoverimento del campo d’esperienza è proprio ciò che le Idee I propongono con la riduzione trascendentale. 9 2 La riduzione trascendentale di Idee I In Idee I l’esposizione dell’esame di validità delle apprensioni intenzionali subisce una particolare focalizzazione rispetto alla domanda sulla validità della posizione di realtà che costituisce il modo originario immodificato del carattere d’atto tetico. Allo stesso tempo ha luogo un avanzamento nell’auto-comprensione di Husserl. Egli riconosce ciò che effettivamente fa e in tal modo anche ciò che ha già fatto nelle Ricerche Logiche: un esame della validità e dei limiti della validità delle posizioni di realtà su un determinato terreno d’esperienza. In tal modo egli nota però di star tematizzando l’enigma fondamentale dell’oggettività, ovvero con che diritto qualcosa 8 Nei termini che introdurrò solo nel quinto paragrafo si potrebbe dire che la “riduzione alla componente reale” è sì “possibile”, ma non è “efficace”. 9 Naturalmente questo non significa che il progetto di esaminare una “apprensione come” nel suo contenuto vale a dire secondo la sua materia, non sia sensata. Bisogna soltanto tener conto delle difficoltà già esposte, ovvero si deve in particolare accettare che noi apprendiamo anche le componenti reali che apparentemente “divergono” dal senso dell’oggetto già sempre “in quanto qualcosa” ossia con una materia. Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy Vol. 1, n. 1 (2013) 11 L’idea della riduzione deve esser posto come qualcosa di reale che sia pur sempre accessibile per me e allo stesso tempo anche per gli altri. Egli nota dunque di aver posto la domanda trascendentale sulle condizioni di possibilità e di validità dell’oggettività. Per questo motivo chiama la sua epoché riduzione trascendentale. La ragione consiste nel fatto che la domanda cui egli vuole dar risposta con l’aiuto di questo metodo è una domanda trascendentale – di fatto anche in senso kantiano. Allo stesso tempo Husserl si rende conto che il ricercato terreno legittimante d’esperienza non può essere semplicemente un costrutto teoretico di dati reali non interpretati e non appresi. Dei tre elementi costitutivi dell’intenzione (materia, qualità e pienezza) la materia e le componenti reali non si lasciano separare nell’esame di validità. Rimane dunque solo una “sospensione” della qualità posizionale. La qualità posizionale è però, con il modo originario “reale” e tutte le sue modificazioni, proprio il problema centrale della filosofia trascendentale. Il campo d’esperienza che rimane dopo l’epoché, e che è per così dire il “residuo” di questa riduzione, dovrebbe pertanto essere primariamente adeguato a determinare la validità della qualità posizionale. Sul senso della riduzione trascendentale è stato scritto molto. Mi limiterò qui a un paio di osservazioni che mirano esclusivamente a renderne chiara la funzione. Una “messa tra parentesi” non è da equipararsi a un rifiuto, bensì consiste in una tematizzazione della pretesa di validità. Il problema di quando sia possibile e legittimo porre qualcosa “in quanto reale” viene posto al centro dell’attenzione. D’altra parte la messa tra parentesi delle pretese di validità significa un metterefuori-funzione, una sospensione. Se si resta alla metafora della messa tra paerentesi, allora essa indica innanzitutto che la parte che viene messa tra parentesi non svolge la sua normale funzione. Una parola tra parentesi in un contesto proposizionale non svolge alcuna funzione grammaticale nella proposizione. Il campo di esperienza che costituisce il residuo della riduzione trascendentale non contiene dunque alcuna posizione di realtà, possibilità, dubitabilità e così via, bensì contiene tale posizione per così dire “solo nominalmente”, ossia solo come una pretesa di valere. Una domanda che ora urge riguarda l’universalità della riduzione: perché la riduzione deve essere universale? L’idea che non debba necessariamente essere così sorge spontaneamente. Se la riduzione trascendentale si è sviluppata a partire dal tentativo della prima edizione delle Ricerche logiche di ridurre le parti costitutive di un atto alla componente reale al fine di poter giudicare della validità o della non-validità della posizione intenzionale, allora a un primo sguardo sembra sensato intraprendere anche la riduzione trascendentale di un singolo atto o un unico oggetto. Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy Vol. 1, n. 1 (2013) Dieter Lohmar 12 Una tale riduzione puntuale non è possibile per la seguente ragione sistematica: gli oggetti intenzionali hanno intenzioni d’orizzonte che li accompagnano. Queste intenzioni connesse si lasciano illustrare meglio con la possibilità di compimenti intuitivi: percepisco una casa e so che posso anche girare attorno ad essa, che vi posso entrare, che potrei vederne il retro qualora lo volessi e così via. Posso percepire la casa sempre di nuovo e con sempre più dettagli. Sono consapevole delle possibilità delle mie azioni corporee rispetto a questa cosa. In ogni istante posso andare avanti, posso girarmi, volgere il capo. Tutto ciò che degli oggetti diviene visibile grazie al fatto che mi muovo o compio altre intuizioni rinvia ad ulteriori operazioni d’intuizione. Così la casa è intesa insieme a pavimento, scale, finestre, giardino, fiori profumati, pareti ruvide e così via e tutto ciò appartiene alla casa. È però co-intesa anche la strada che vi conduce a partire da un altro luogo e sulla quale io posso andare. Si può proseguire a piacere questa descrizione, ossia il mondo è l’orizzonte universale di ogni cosa. In questo modo ogni oggetto apparentemente singolare è sotterraneamente connesso con il mondo in toto, e allo stesso tempo è radicato in esso. Questa connessione sotterranea non concerne però solo i sensi oggettuali, bensì anche le qualità posizionali: questa cosa “reale” rinvia alla strada “reale” e questa a sua volta alla città “reale”, questa al mondo “reale” nella sua totalità. In tal modo si dimostra l’intreccio e radicamento sotterraneo, pressoché micotico, di ogni singolo oggetto con la posizione di “realtà” del mondo nella sua totalità. Una chiara conseguenza di questo intreccio di tutte le posizioni di realtà è che una riduzione limitata a singoli oggetti, per così dire “puntuale” riguardo alla qualità posizionale non è possibile. O si riduce universalmente o la riduzione non funziona. In Idee I si trova inoltre un’altra importante intuizione: alcune posizioni non possono essere ricondotte nella loro piena estensione alla sola sensibilità e ciò non vale solo per rappresentazioni di livello superiore, bensì già per rappresentazioni del tutto quotidiane, come quella di una cosa fisica. La posizione di “realtà” è di fatto straordinariamente fondamentale per la nostra intera visione del mondo e tuttavia si basa sulla rappresentazione che una cosa può essere sempre di nuovo resa visibile da me e anche da altri. Questa anticipazione rispetto all’esperienza ulteriore, e dunque al futuro, è quindi contenuta in qualunque posizione d’oggetto, anche estremamente semplice. Ma anche questa anticipazione può essere “più o meno” legittima. Si può ad esempio svelare come un’intenzione d’orizzonte che può riempirsi interamente nell’ambito della mia mobilità corporea: “io posso” “sempre di nuovo” girare attorno a una casa, “sempre di nuovo” volgere lo sguardo a un albero e così via. Questo “io posso” è motivato dalle mie esperienze passate Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy Vol. 1, n. 1 (2013) L’idea della riduzione 13 e dal mio potermi muovere corporeo. Pertanto si tratta di aspettative fondate (motivate) che si fondano su esperienze passate relative a me stesso e agli oggetti. Non si tratta di formule relative a possibilità vuote, puramente logiche che non sono motivate nell’esperienza come per esempio: domani potrei essere qualcun altro, magari potrei anche volare o leggere i pensieri di un altro uomo. 10 3 La riduzione primordiale Nelle Meditazioni cartesiane Husserl introduce una nuova riduzione, la cosiddetta riduzione primordiale. Vorrei qui sorvolare sulla discussione relativa alla particolare problematicità di questa riduzione, o meglio inoltrarmici solo per quanto è significativa rispetto alla nostra indagine. Mi concentrerò sul senso metodologico di questa riduzione al fine di mostrare che essa è da interpretarsi in modo strettamente analogo alle riduzioni finora esposte. Se vogliamo esaminare la validità della posizione di un’altra soggettività, e questo esame deve aver luogo su un terreno di esperienza dato intuitivamente, allora la posizione “altra soggettività” non può essere contenuta né esplicitamente né implicitamente nel campo d’esperienza posto alla base. Questo è il senso della riduzione primordiale: assicurare che nel campo d’esperienza da cui io parto nell’esame non sia contenuto il senso “altro”, né in modo esplicito né nascosto. La riduzione primordiale è una riduzione “tematica”, o comunque Husserl la definisce come tale, e questo significa innanzitutto una certa contrapposizione rispetto alla “universalità” della riduzione trascendentale: nella riduzione primordiale non si tratta di escludere dal campo d’esperienza tutti gli elementi allo stesso modo (per quanto concerne la loro pretesa di validità), si tratta soltanto di rintracciare miratamente nelle nostre rappresentazioni del mondo gli elementi “di psichicità estranee” e momentaneamente prescindere dalla loro validità e dal loro senso, ossia “ridurli”. Tutte le posizioni che in qualche modo implicano l’operare di altri soggetti vengono astrattamente impoverite proprio di questo elemento di senso. In tal modo si può esaminare se il campo d’esperienza così ottenuto sia ben strutturato, dunque se fornisca un tipo di strato indipendente dell’esperienza del mondo; così possiamo esaminare se e come in questo ridotto campo d’esperienza possiamo costituire qualcosa come “altri”. Non entrerò nei particolari e nelle questioni aperte di questa analisi costitutiva, qui si tratta unicamente di evidenziare il carattere uniformemente metodologico delle riduzioni. Nella riduzione primordiale si tratta di mettere in luce il campo d’esperienza quale fondamento di 10 Sul concetto husserliano di possibilità fondata nell’esperienza contrapposta a possibilità vuote cfr. EU, § 21,d e § 77. Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy Vol. 1, n. 1 (2013) Dieter Lohmar 14 un esame di validità che sia libero dall’elemento la cui validità è da esaminare. Nel caso della riduzione primordiale una riduzione universale non è tuttavia possibile e neppure sensata, poiché allora sarebbero esclusi tutti gli oggetti, a prescindere dal fatto che essi siano costituiti da me o da altri. La riduzione primordiale deve dunque essere eseguita puntualmente, ossia differenziando di volta in volta il tema. 4 Ulteriori riduzioni: all’evidenza di oggetti individuali, al mondo della vita prescientifico, all’esperienza ante-predicativa Ci sono nell’opera di Husserl almeno altri tre contesti sistematici, forse ancora di più, nei quali viene intrapresa una misura metodologica paragonabile a quella delle riduzioni fin qui esposte. Si tratta a) della “critica delle idealità in logica e matematica” nella II sezione di Logica formale e trascendentale, b) della riconduzione delle categorie “logiche” del giudizio predicativo all’esperienza ante-predicativa in Esperienza e giudizio c) della critica delle idealizzazioni della scienza moderna nella Krisis. Tutte e tre le analisi appartengono tuttavia a un nesso sistematico che io voglio ora presentare sommariamente. (Ad a e b). Nella seconda sezione di Logica formale e trascendentale Husserl espone il progetto di una “critica delle idealità in logica e matematica”. Si tratta innanzitutto di un’indagine delle ragioni di validità dei principi logici, come ad esempio il principio di contraddizione, il principio del terzo escluso, il principio di identità ecc. È evidente che i principi logici vanno al di là dell’ambito di ciò che può essere fondato attraverso la nostra intuizione sensibile. Husserl infatti non si rivolge alla sfera della sensibilità alla ricerca di elementi legittimanti, bensì risale alla sfera delle esperienze motivanti, e in particolare a esperienze omogenee relativamente a oggetti individuali della percezione. La sua tesi si ritrova radicalizzata nell’idea che “la logica” per quanto concerne la certificazione della sua validità “ha bisogno di una teoria dell’esperienza” (FTL, 219) e in particolare di una teoria dell’esperienza di oggetti individuali concreti. La “critica delle idealità” nelle scienze formali esposta nella seconda sezione di Logica formale e trascendentale, critica che riguarda soprattutto i principi logici, deve a sua volta risalire a un terreno d’esperienza che ancora non contiene assolutamente queste idealità, altrimenti l’analisi costitutiva sarebbe circolare. Per questo motivo Husserl propone qui il ritorno all’esperienza di oggetti individuali concreti che ancora non possono contenere in sé né totalizzazioni né depositi di senso in generale. Anche questo ritorno può essere compreso come una riconduzione (nel senso di reducere) a forme inferiori di evidenza. Tale progetto di “critica”viene sviluppato estesamente solo in Esperienza e giudizio. Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy Vol. 1, n. 1 (2013) 15 L’idea della riduzione I principi logici sono evidentemente rappresentazioni dovute a una idealizzazione, ossia si fondano sul compimento teorico di un processo conoscitivo che nella prassi e nella conoscenza reali non può giungere a compimento. Il principio di contraddizione che afferma che per tutti i giudizi pensabili il giudizio stesso non può valere insieme al suo opposto contraddittorio rappresenta un’idealizzazione, in quanto asserisce qualcosa a proposito di tutti i giudizi pensabili. In effetti io posso verificare tale affermazione solo per una quantità finita di giudizi. Per il “resto” che rimane infinito non mi resta che un pre-afferramento idealizzante. Su cosa si basa tale pre-afferramento idealizzante? Ha una validità o addirittura eventualmente una validità fondata sull’esperienza? Husserl vuol chiarire tali questioni con la sua critica delle idealizzazioni della logica. Di nuovo, “critica” non significa qui semplicemente rifiuto, ma esame della validità e dei limiti della validità di una posizione. Il terreno d’esperienza a partire dal quale la chiarificazione di una tale validità è in generale possibile non deve però contenere gli elementi di senso (Sinnelemente) la cui validità è in questione. Il primo tentativo husserliano di una determinazione di questo campo di esperienza è l’ambito degli oggetti individuali concreti assieme alle conoscenze che acquisiamo nel ripetuto commercio con questi oggetti. In questo progetto presentato in Logica formale e trascendentale si tratta già di quello che in Esperienza e giudizio verrà poi chiamato esperienza antepredicativa. Nell’esperienza antepredicativa non si trova tuttavia solo l’origine genetica delle categorie logiche della predicazione, bensì anche l’origine della motivazione di posizioni idealizzanti. Si può ora – sullo sfondo delle ricerche parallele e delle sospensioni metodologiche che abbiamo già menzionato – comprendere questo ritorno alla datità di oggetti individuali come una riduzione. Tale ritorno è una limitazione di quel campo d’esperienza, per noi primo, costituito dal mondo quotidiano che in sé non contiene solo oggetti, bensì anche conoscenze che possediamo rispetto a singoli oggetti e classi di oggetti. Sebbene queste conoscenze vengano anch’esse metodologicamente messe tra parentesi, ciò non riguarda le conoscenze antepredicative che si instaurano in noi nel commercio percettivo con le cose reali. Si pone qui la domanda perché debbano essere messe tra parentesi anche le conoscenze quotidiane. Si può qui solo ipotizzare, ma con una certa probabilità, che Husserl fosse cosciente delle interferenze (del “confluire”) di posizioni idealizzanti in una cultura “formata scientificamente” (mondo della vita) e volesse evitare che in tal modo idealità o “il patrimonio logico” venissero assunti in modo implicito e acritico, laddove questi devono essere propriamente sottoposti alla critica. Eventualmente si può parlare, nel caso del ritorno all’evidenza di oggetti individuali qui proposta, anche di una “riduzione tematica”, Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy Vol. 1, n. 1 (2013) Dieter Lohmar 16 ovvero tale che mette tra parentesi in modo mirato e “singolarmente” quegli elementi che possono già contenere in sé queste o simili idealizzazioni, mentre conserva la validità di quelli che non sono sotto esame. In tal modo non si compie il ritorno ai singoli oggetti individuali in quanto fondamento di validità perché per ognuna delle idealità (ossia per ognuno dei principi logici) si dovrebbe compiere una propria variante specificamente tematica della riduzione. Il ritorno all’esperienza di oggetti individuali corrisponde pertanto principalmente a una riduzione “universale” di tutti gli elementi di senso che sorgono in seguito a un’istituzione di senso predicativa attraverso il giudizio. Si potrebbe dire che lo scopo o il fine sia una riduzione universale dei giudizi predicativi e dei loro prodotti. Il fondamento di validità stabilito in tal modo è un terreno d’esperienza poiché noi abbiamo oggetti anche quando non esprimiamo giudizi predicativi su di essi. (Ad c) Sorge qui una perplessità: rispetto agli oggetti individuali ci si potrebbe infatti pur sempre chiedere se essi non portino nel proprio senso oggettuale, per così dire “in sé” implicite idealizzazioni che immettono “surrettiziamente” un senso logico nel fondamento d’esperienza. Husserl prende in considerazione questa (effettivamente legittima) supposizione nella prosecuzione della sua “critica delle idealizzazioni” nella Krisis, diretta in particolare alle idealizzazioni delle scienze naturali. Anche questa critica esige una riconduzione, un reducere, questa volta un ritorno al mondo della vita pre-scientifico. Che senso ha però questa “riduzione”? Il ritorno al mondo della vita pre-scientifico dirige la nostra attenzione – e in tal modo essa è paragonabile alla riduzione primordiale a sua volta “tematica” – alle idealizzazioni storico-fattuali nelle scienze naturali e alle loro modalità di apparizione, sempre legate a persone e prime scoperte. Il pieno compimento del progetto della “critica” delle idealità è pertanto possibile solo attraverso una scrittura della storia delle fondazioni originarie di queste idealità e un ritorno al mondo della vita “pre-scientifico”. Con ciò si intende il mondo della vita privato, attraverso l’astrazione, di tutti gli elementi idealizzanti delle moderne scienze naturali. 5 L’idea della riduzione In questo breve paragrafo ci si occuperà del tentativo di una caratterizzazione generale di ciò che è propriamente il metodo della riduzione. Inoltre dobbiamo accennare cosa significa che una riduzione è “possibile”. Si tratta qui più precisamente della domanda su quali pretese si possono avanzare verso il residuo dell’operazione riduttiva: questo deve essere un “campo d’esperienza”, cioè deve essere intuitivo, ben strutturato e relativamente indipendente da altri campi d’esperienza Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy Vol. 1, n. 1 (2013) 17 L’idea della riduzione (esperibile per sé). La domanda successiva è poi se una riduzione è anche “efficace”, ovvero se il campo d’esperienza così rintracciato è in generale in grado di offrire ciò che si desiderava, ossia la giustificazione della posizione sottoposta a critica in datità intuitiva. Voglio qui dapprima richiamare l’attenzione su un importante doppio senso del discorso sulla riduzione, che comunque dovrebbe esser già diventato chiaro: riduzione significa da una parte “ritorno” ad un campo d’esperienza reso consapevolmente e metodicamente più povero e d’altra parte la concreta “riconduzione” della posizione in esame alle datità intuitive in questo campo d’esperienza. Naturalmente si può anche indagare la questione se le riduzioni husserliane abbiano eventualmente a che fare con il riduzionismo. Qui sussiste però una fondamentale differenza di senso. Una variante psicologico-sensualistica del riduzionismo potrebbe per es. identificare un oggetto con la complessione dei dati sensibili che rappresentano tale oggetto per un soggetto. L’affermazione sarebbe allora: l’oggetto è questo complesso di dati – e nient’altro! La coscienza umana è un complesso stato connettivo (Schaltzustand) di neuroni – e nient’altro! L’idea husserliana di riduzione muove invece dall’evidenza che in ogni nostra rappresentazione abbiamo a che fare con complesse operazioni sintetiche che dobbiamo aver “da sempre già” compiuto per poter percepire un oggetto. Si potrebbe dire che essa muove dall’evidenza che la coscienza ha costituzionalmente a che fare con oggetti che nel loro senso rivelano da sempre un di “più” di operazioni sintetiche che la coscienza ha quindi “aggiunto” se si confronta l’oggetto pensato con le direttive del campo d’esperienza sottostante. È stato Kant a rimandare per primo alla necessità di un ritorno da un oggetto già “pronto” nelle nostre sintesi soggettive, alle attività sintetiche che hanno prodotto questa sintesi. La fruttuosa ricezione che Kant fa dell’empirismo non è caratterizzata dall’assunzione di dati come materiale dato e facilmente accessibile, ma dal puntuale svelamento di azioni sintetiche, unificanti e connettenti. Naturalmente lo si può criticare per aver diretto la sua giustificazione molto unilateralmente sui concetti necessariamente usati per queste sintesi e sulla loro origine nell’attrezzatura razionale umana. Husserl – come è noto in larga parte senza l’influsso di Kant – va con la sua giustificazione nella direzione delle datità intuitive. Husserl seguì all’inizio piuttosto le prescrizioni dell’empirismo ed è secondo me grazie al suo problematico tentativo di una “riduzione alla componente reale” che egli giunge all’idea che l’economico programma empirista di una riconduzione di tutti i contenuti rappresentativi alle impressioni corrispondenti, come è formulato per esempio da Hume, non basta alla fenomenologia. Si deve sempre anche risalire alle Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy Vol. 1, n. 1 (2013) Dieter Lohmar 18 operazioni sintetiche della coscienza, in primo luogo all’operazione dell’apprensione intenzionale, ma anche più precisamente a forme più basse (per es. nella coscienza interna del tempo) o più alte (per es. nell’intuizione categoriale) di operazioni sintetiche, e fare attenzione ai loro modi di riempimento nei campi d’esperienza di volta in volta diversi che forniscono l’intuizione. Con unicamente la mera sensibilità come fondamento esperienziale di giustificazione non si va molto avanti. Il motivo fenomenologico che precede le riduzioni e allo stesso tempo si esprime in esse è l’idea che tutti gli oggetti del nostro pensiero rappresentano complesse operazioni sintetiche. Quando vogliamo mettere alla prova il diritto di singole posizioni, dobbiamo revocare in certe circostanze le operazioni sintetiche per poter contemplare il materiale iniziale composto da sensibilità, motivazioni, esperienze ecc. che stanno alla base di questa posizione e possono fondare il suo diritto. La riduzione è in questo senso un metodo de-sintetizzante. Tuttavia ciò che possiamo ottenere in questo lavoro riflessivo e astrattivo non è necessariamente già un “materiale grezzo” che potremmo anche avere dato in modo intuitivo senza che fosse avvenuta da parte nostra un’operazione sintetica. Questo problema si è mostrato già chiaramente nel progetto dell’esame di validità di apprensioni d’oggetto attraverso la “riduzione alla componente reale”. Quando vogliamo tematizzare “l’ombra” o i “riflessi” possiamo sempre afferrarli (in un modo certo diverso). Questa idea rifiuta per così dire l’allettante e semplice pensiero dell’empirismo che per esaminare la validità di rappresentazioni come albero, casa, altra persona, diritto, Dio ecc. ci sia bisogno di guardare soltanto ai dati sensibili dati attraverso i sensi. Al contrario: il terreno di validità adeguato si può raggiungere solo attraverso un lavoro analitico, riflessivo e riduttivo (de-sintetizzante). Inoltre il campo degli elementi d’esperienza validanti non si deve cogliere in modo troppo ristretto: si devono considerare anche le aspettative che traggono la loro giustificata motivazione dall’esperienza precedente. Emerge chiaramente dalla riflessione sul senso della riduzione che si devono seguire tuttavia determinate massime “ispirate empiristicamente” se si vuole usare questo metodo nell’esibizione fenomenologica di validità. Si tratta per lo più di massime di sobrietà epistemologica. Si potrebbe formulare la seguente massima generale: determina nel modo più preciso possibile la differenza tra la pretesa di una posizione e il riempimento effettivamente dato. Una tale differenza c’è quasi sempre e talvolta la parte riempiente è di una parsimonia addirittura spaventosa, come nel caso della causalità quotidiana che non è nient’altro che una “abitudine” rilevata nella mia esperienza delle cose – in contrapposizione alla rappresentazione delle scienze naturali di una causalità universale esatta. Talvolta la parte riempiente è di grande complessità ed esige sintesi di riempimento che Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy Vol. 1, n. 1 (2013) 19 L’idea della riduzione si estendono lungamente, come nel caso della verifica della posizione di una certa soggettività nell’ulteriore agire e comportarsi della persona. Alla fine della chiarificazione di senso di ciò che la riduzione vuole e può essere stanno ancora alcune ulteriori riflessioni metodologiche. La domanda più importante riguardo a una riduzione è se essa sia in generale “possibile”, ovvero: il residuo della riduzione è un campo d’esperienza ben strutturato, solido e stabile che può essere dato anche “per sé”, ossia anche senza utilizzare implicitamente gli elementi di senso astrattivamente ridotti? Mi spiego con alcuni esempi. La “riduzione alla componente reale” sarebbe possibile qualora si potessero avere e tematizzare datità reali anche se queste non sono sottoposte ancora ad apprensione intenzionale. Questo campo di esperienza non può dunque essere dato “per sé”. Tuttavia non è inutile tentare una “analisi differenziale” di apprensioni diverse che per esempio muove dall’idea che le “stesse” componenti reali restino anche quando l’apprensione cambia. Il residuo della riduzione primordiale è uno strato del mondo esperibile che io posso costituire “totalmente da solo”, senza prendere in considerazione le operazioni costitutive di senso di altre persone. La “natura primordiale” che io posso costituire col solo aiuto della mia sensibilità, del mio corpo e della mia esperienza, sembra essere sufficiente per questa pretesa. Una possibile obiezione consisterebbe nel rilevare la necessaria partecipazione del linguaggio (il quale è da cima a fondo intersoggettivo) e di concetti linguistici nella costituzione di oggetti. La riduzione di Logica formale e trascendentale e di Esperienza e giudizio all’esperienza di oggetti individuali e concreti e all’esperienza antepredicativa di queste cose sembra a sua volta eseguibile come riduzione. Quanto sia tuttavia faticoso giungere qui al successo, ossia essere effettivamente certi che nessuna delle componenti di senso implicite già contenga idealizzazioni è mostrato dai travagli della Krisis. Un’ulteriore e non meno importante domanda metodologica concerne l’efficacia del campo d’esperienza raggiunto di volta in volta dalla riduzione. A tal proposito considero una riduzione “efficace” quando la posizione da esaminare può effettivamente essere riportata al suo fondamento di validità in questo campo d’esperienza. Questo è in questione in tutte le riduzioni. Si può anche formulare questo criterio in modo “più morbido” nel momento in cui si ammettono nell’esperienza validante criteri più ampi. 11 11 Un esempio di questa strategia si trova al testo 14 di Hua XV, p. 196-214 nel quale Husserl tenta di derivare una motivazione fondata nell’esperienza per la posizione dell’infinità del tempo (e dello spazio) sul terreno d’esperienza della catena delle generazioni così come sono vissute quotidianamente: intuiamo essenzialmente che ogni uomo deve aver una madre “e così via”! Husserl trae da ciò una conclusione positiva: “per la temporalità abbiamo le generazioni” (Hua XV, 206) – quanto meno per l’infinità del tempo Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy Vol. 1, n. 1 (2013) Dieter Lohmar 20 Nell’insieme di quanto visto, la fenomenologia di Husserl offre un piano ambizioso di “critica”, ossia di determinazione della validità e dei limiti della validità delle nostre pretese conoscitive. In tal modo la fenomenologia con il metodo della riduzione avanza giustamente la pretesa di essere filosofia trascendentale, sebbene Husserl non si accorga sin dall’inizio dell’opportunità di questa caratterizzazione. Il metodo qui fondamentale è il ritorno a un campo di esperienza nel quale la posizione la cui validità è da provare non è ancora contenuto. Solo nell’analisi costitutiva su un tale terreno di esperienza non si compie alcuna petitio principii nell’esibizione della validità. Literatur Husserl, E. 1973a, Zur Phänomenologie der Intersubjektivität. Texte aus dem Nachlass, hrsg. von I. Kern, Bd. Dritter Teil: 1929-1935, Husserliana XV, M. Nijhoff, Den Haag. Hua XV. Husserl, E. 1973b, Zur Phänomenologie der Intersubjektivität. Texte aus dem Nachlass; Dritter Teil: 1929-1935, hrsg. von I. Kern, Bd. Zweiter Teil: 1921-1928, Husserliana XIV, M. Nijhoff, Den Haag. Hua XIV. Husserl, E. 1974, Erfahrung und Urteil, Meiner, Hamburg. EU. Husserl, E. 1984, Logische Untersuchungen, hrsg. von U. Panzer, Bd. Zweiter Band and Erster Teil, Husserliana XIX/1, M. Nijhoff, Den Haag. Hua XIX/1. Lohmar, D. 2011, „Zur Vorgeschichte der transzendentalen Reduktion in den Logischen Untersuchungen. Die unbekannte ,Reduktion auf den reellen Bestand’“, in Husserl Studies, 28/1, S. 1–24. passato in quanto per l’estensione delle generazioni nel futuro vengono anche a Husserl alcuni dubbi (cfr. Hua XV, 210-214). Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy Vol. 1, n. 1 (2013)