1 Dal Messia storico al Messia escatologico L`idea diffusa nel

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1 Dal Messia storico al Messia escatologico L`idea diffusa nel
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Dal Messia storico al Messia escatologico
L’idea diffusa nel cristianesimo come nell’ebraismo fa riferimento all’attesa di un Messia, che come
abbiamo visto, in quanto “attesa del Messia futuro” non è rintracciabile nei testi più antichi dell’AT
affrontati dal punto di vista storico-critico. L’attesa storica di un discendente davidico è presente solo
nella promessa di regnanti storici appartenenti alla casa di Davide. Il fondamento, come abbiamo visto,
è nella profezia della storia Deuteronomistica anche se il carattere gratuito della promessa, atipico per
la teologia dtr fa pensare che l’oracolo di Natan risalisse a un tempo alquanto antico, legato
probabilmente alla propaganda per il Re Giosia e per la sua riforma (fine VII sec. a.C.). Il Sl 2 “tu si mio
figlio, io oggi ti ho generato…” è un testimonianza ulteriore dell’antichit{ della garanzia divina alla casa
di Davide. Figliolanza beninteso “adottiva” non riconducibile direttamente a certi gradi di
divinizzazione come per es. in Egitto. Così anche il Sl 110con l’invito al re a “sedere alla destra di Dio2
e il Sl 45(cf 7-8) dove il re è chiamato addirittura elohim “un dio” anche se rimane chiaramente
subordinato all’Altissimo. Nell’alveo più tipico della teologia dtr, cioè una regalit{ non garantita per lo
status del re ma condizionata alla fedelt{ all’alleanza si trova nel Sl 132,11-12, forse una correzione
appunto dtr rispetto alla visione più antica. La caduta di Israele sotto i colpi dell’Assiria e la
deportazione di Giuda sotto Nabucodonosor rappresentarono inevitabilmente la crisi totale della
concezione della gratuità della promessa fatta a Davide con Natan. Tra le possibili risposte, l’idea che
Dio, così come aveva permesso il disastro della monarchia giudaica l’avrebbe prima o poi restaurata: è
a questo che potrebbe alludere il v.10 del Sl 132 “per amore di Davide tuo servo, non respingere il
volto del tuo consacrato” a cui si risponde (vv 17-18: “Farò germogliare la potenza di Davide,
preparerò una lampada al mio consacrato. Coprirò di vergogna i suoi nemici, ma su di lui splenderà la
corona”.
La fiducia nella ripresa della monarchia davidica è espressa anche nella profezia di Is 11: “un
germoglio spunter{ dal tronco di Iesse…” che potrebbe riferirsi al tempo di Ezechia o anche a quello di
Giosia e che John J. Collins ritiene più probabilmente risalente al periodo in cui con la crisi babilonese
la linea dinastica si è completamente interrotta. Il carattere particolare di questa profezia è nel fatto
che si parla di una restaurazione definitiva. A questo tipo di oracolo profetico possono essere associati
quelli di Am 9 e di Michea 5 (sempre di datazione incerta) letti probabilmente in epoca esilica come
garanzia di restaurazione della monarchia davidica di fronte al disastro del regno. Al tempo esilico va
ricondotto il messaggio di Geremia che se da una parte registra proprio la condizione di disfacimento
della monarchia (Ger 22,30) dall’altra parla del Germoglio giusto che verr{ suscitato a Davide che
regnerà ed eserciterà la giustizia sulla terra… e il suo nome sarà Signore-nostra-giustizia con l’evidente
gioco di parole intorno al nome di Sedecia, zio di Ioachim, collocato sul trono dai babilonesi.
5 Ecco, verranno giorni - oracolo del Signore nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto,
che regnerà da vero re e sarà saggio
ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra.
6 Nei suoi giorni Giuda sarà salvato
e Israele vivrà tranquillo,
e lo chiameranno con questo nome:
Signore-nostra-giustizia.
WTT
Jeremiah 23:6
Sitratta di una giustificazione del regno di Sedecia o piuttosto di una sua contestazione? Nel suo
commentario a Geremia, Holladay (1986, p. 617) fa notare infatti che Sedecia vuol dire “Yhwh mia
giustizia” che si oppone dunque a “Signore nostra giustizia”, una maniera velata per indicare che il
germoglio di cui parla Geremia e il re Sedecia collocato sul trono dai babilonesi, si oppongono: il primo
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è il vero discendente messianico, il secondo solo il re fantoccio dei babilonesi. In un passo successivo
(Gr 33,14-22) che non si trova nella LXX ed è ritenuta un’aggiunta, sembra si voglia riprendere
l’oracolo precedente non realizzatosi per spostare l’attesa ad un tempo futuro non determinato,
attraverso una alleanza che sarà non solo con Davide, ma con Levi.
33,14-26 Promesse per i re e i sacerdoti
33,14-26 Questo oracolo si basa su altri passi di Geremia (cfr. Ger 23,5-6; cfr. Ger 31,35-37). L’oracolo non si trova nell’antica versione greca dei LXX
ed è probabilmente un’aggiunta alle profezie di Geremia.
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Ecco, verranno giorni - oracolo del Signore - nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla
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casa d'Israele e alla casa di Giuda.
In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un
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germoglio giusto, che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra. In quei giorni Giuda sarà salvato e
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Gerusalemme vivrà tranquilla, e sarà chiamata: Signore-nostra-giustizia. Infatti così dice il Signore: Non
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mancherà a Davide un discendente che sieda sul trono della casa d'Israele; ai sacerdoti leviti non
mancherà mai chi stia davanti a me per offrire olocausti, per bruciare l'incenso in offerta e compiere sacrifici
tutti i giorni".
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Fu rivolta poi a Geremia questa parola del Signore: "Dice il Signore: Se voi potete infrangere la mia
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alleanza con il giorno e la mia alleanza con la notte, in modo che non vi siano più giorno e notte, allora
potrà essere infranta anche la mia alleanza con il mio servo Davide, in modo che non abbia più un figlio che
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regni sul suo trono, e quella con i leviti sacerdoti che mi servono. Come non si può contare l'esercito del
cielo né misurare la sabbia del mare, così io moltiplicherò la discendenza di Davide, mio servo, e i leviti
che mi servono".
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Fu rivolta a Geremia questa parola del Signore: "Non hai osservato ciò che questo popolo va dicendo?
Essi dicono: "Il Signore ha rigettato le due famiglie che si era scelte!". Così disprezzano il mio popolo,
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quasi che non sia più una nazione ai loro occhi. Dice il Signore: Se non sussistesse più la mia alleanza con
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il giorno e con la notte, se non avessi stabilito io le leggi del cielo e della terra, in tal caso potrei rigettare la
discendenza di Giacobbe e del mio servo Davide, così da non prendere più dai loro discendenti coloro che
governeranno sulla discendenza di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Invece io cambierò la loro sorte e avrò
pietà di loro".
Il dtr, che mantiene la linea teologica della fedelt{ all’Alleanza, mentre rigettava e considerava
problematicamente molta parte dell’ideologia monarchica, teneve legata strettamente la monarchia
all’osservanza della Torah:
17,14-20 I compiti del re
17,14-20 La descrizione del ruolo del re risente della prospettiva della teologia deuteronomistica, per cui il monarca non esercita affatto un potere
assoluto, ma è vincolato e subordinato alla legge, che anch’egli deve conoscere, custodire e osservare. Il brano si colloca vicino al discorso di Samuele
(cfr. 1Sam 8,11-18) e manifesta un giudizio altrettanto negativo sulla storia della monarchia davidica, da Salomone fino al tempo dell’esilio
babilonese.
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Quando sarai entrato nella terra che il Signore, tuo Dio, sta per darti e ne avrai preso possesso e l'abiterai,
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se dirai: "Voglio costituire sopra di me un re come tutte le nazioni che mi stanno intorno", dovrai costituire
sopra di te come re colui che il Signore, tuo Dio, avrà scelto. Costituirai sopra di te come re uno dei tuoi
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fratelli; non potrai costituire su di te uno straniero che non sia tuo fratello. Ma egli non dovrà procurarsi un
gran numero di cavalli né far tornare il popolo in Egitto per procurarsi un gran numero di cavalli, perché il
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Signore vi ha detto: "Non tornerete più indietro per quella via!". Non dovrà avere un gran numero di mogli,
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perché il suo cuore non si smarrisca; non abbia grande quantità di argento e di oro. Quando si insedierà
sul trono regale, scriverà per suo uso in un libro una copia di questa legge, secondo l'esemplare dei
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sacerdoti leviti. Essa sarà con lui ed egli la leggerà tutti i giorni della sua vita, per imparare a temere il
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Signore, suo Dio, e a osservare tutte le parole di questa legge e di questi statuti, affinché il suo cuore non
si insuperbisca verso i suoi fratelli ed egli non si allontani da questi comandi, né a destra né a sinistra, e
prolunghi così i giorni del suo regno, lui e i suoi figli, in mezzo a Israele.
Accanto a questi sviluppi derivanti dalla crisi della monarchia in Israele, va citato infine quanto rende
caratteristico il messaggio di Ezechiele al proposito: in Ez 34,23-24; 37,25 il regnante davidico è
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designato non come “re” melek (cf Ez 37,24) ma come “principe” nasi’ titolo usato nella fonte
sacerdotale per indicare il “capo” laico della tribù. Il nasi’ nella visione di Ez 40-48 è il sostenitore del
culto, un messia apolitico subordinato al sacerdozio sadocita.
Questi elementi rilevati nelle risposte che vengono date alla dissoluzione della casa davidica saranno
importanti per comprendere gli sviluppi dell’idea messianica successivamente. Così pure risulteranno
importanti le testimonianze di profeti come Aggeo e Zaccaria del periodo postesilico in cui l’interese
viene spostato dalla realizzazione delle antiche profezie relative al discendente davidico verso il
sacerdozio e il culto. Il DeuteroIsaia, da parte sua, proporr{ invece un’altra soluzione inattesa: è lo
stesso re di Persia, Ciro che sarà considerato maschia del Signore rigettando così ogni tipo di
aspirazione monarchica nazionale. Le promesse fatte a Davide vengono trasferite al popolo: “Io
stabilirò per voi un’alleanza eterna, i favori assicurati a Davide. Ecco l’ho costituito testimonio fra i
popoli, principe e sovrano sulle nazioni” (Is 55,3-4); qui è Israele il “servo di Dio” e il concetto di
Messia si estende ad una concezione collettiva, mentre il ruolo individuale è svolto addirittura da un re
persiano.
Per il periodo che va dal 500 al 200 vi è scarsa documentazione su una attesa messianica in Giudea e
ciò perdura tanto che non ne troviamo traccia fino alla letteratura di inizio II secolo: Nel Siracide si
esalta Davide ma solo come antico re e sembra comunque che l’alleanza con Davide abbia meno rilievo
che quella con Aronne
Sir 45,25Per
l'alleanza fatta con Davide,
figlio di Iesse, della tribù di Giuda,
l'eredità del re passa solo di figlio in figlio,
l'eredità di Aronne invece passa a tutta la sua discendenza.
--Perché si sviluppi invece un messianismo nel senso abituale dato al termine bisogna attendere lo
sviluppo dell’attesa escatologica, l’attesa della fine dei tempi e della relativa “guida” a cui quel
momento atteso verr{ affidato. È un’idea che si sviluppa innanzitutto negli ambienti dissidenti del
secondo tempio in contrasto con il sacerdozio ufficiale sadocita: il mondo è ormai privo dell’ordine
creativo originario e ha bisogno di una rigenerazione. Questa concezione “escatologica” emerge già in
tarda età post-esilica in connessione con l’origine del cosiddetto “giudaismo enochico” che
sostanzialmente vede questo mondo sottoposto alle forze angeliche ribelli prefigurando così, in un
prossimo futuro, il tempo della restaurazione. Ma anche nei libri più antichi di tale tradizione non sono
immediatamente ravvisabili i tratti di una attesa messianica collegata al tempo della fine (Libro dei
vigilanti, libro dell’Astronomia).
Sarà solo con la crisi maccabaica (metà del II sec.a.C.)che si avvertiranno i segni veri e propri di un
cambiamento: alcuni simboli conosciuti dalla letteratura apocalittica precedente saranno interpretati a
questo punto non più in modo collettivo (così era per es. per il figlio dell’uomo” di Dn 7,13-14.27 come
per “il bue bianco dalle grandi corna” di 1En 90,37) ma con tratti individuali di tipo “messianico” che
consentono di associare “il figlio dell’uomo” all’arcangelo Michele e il bue bianco ad un uomo che
dovr{ esercitare funzioni regali… A tali figure non si applica ancora il termine di “Messia”. Ma ormai
con la crisi maccabaica ci si orienta in tal senso determinando un cambiamento decisivo dovuto
all’affermarsi del messianismo escatologico: idee apocalittiche sul determinismo storico si diffondono
in ambienti disparati, anche lontani dal cosiddetto giudaismo enochico e diventano patrimonio di ampi
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strati della popolazione giudaica. Così ha grande popolarit{ l’idea della successione dei “quattro regni”
di Dn 2 e 7, i regni che precederanno la redenzione di Israele e l’avvento dell’era escatologica. Un ruolo
particolare sar{ visto nell’ultimo dei quattro regni, quello finale. L’idea di un tempo finale, apocalittico,
che segnasse cioè una rottura non derivabile di per sé dalla situazione storica attuale, si fa più forte
con il passaggio dagli asmonei ai romani (63 a.C. Pompeo entra in Israele). Il tempio e il sacerdozio
rimasero comunque in attività e svolgevano ancora i propri compiti istituzionali, perciò pur essendo
ormai popolare il messianismo escatologico non divenne idea normativa, ma diffusa soprattutto in
alcuni dei gruppi che rappresentano la multiforme realtà del giudaismo del tempo con tanti tipi di
“giudaismi” caratterizzati da idee anche molto diverse tra loro. E proprio questa diversit{ d{ ragione,
tra l’altro, della gamma di differenze esistenti nella caratterizzazione della stessa attesa messianica tra
i diversi gruppi. Così anche tra chi sosteneva l’attesa di un Messia escatologico vi erano idee opinioni e
concezioni anche molto diverse, pur facendo riferimento a figure messianiche. Non sarebbe perciò
legittimo cercare di uniformare tali attese in “l’attesa messianica” se non nei caratteri generici di cui si
parlava.
Abbiamo gi{ detto qualcosa sul messianismo storico (in particolare ripreso da Sholem e da Fabry….).
In realtà si tratta della posizione per così dire ufficiale del giudaismo del secondo tempio, sostenuta da
sadducei e giudei ellenisti e contraria a qualunque forma di messianismo escatologico. Dio ha scelto
nei sacerdoti le guide del suo popolo, del resto sono essi gli “unti”, i messia di Israele e il popolo
camminerà appunto, senza soluzione di continuità storica, sotto la loro guida. Inoltre il liberatore
politico poteva nascere perciò in tale continuità storica in ogni momento, anche sotto la dominazione
romana permessa evidentemente da Dio. Si comprende così l’atteggiamento di accettazione da parte di
alcuni ceti anche della dominazione romana come fatto tutto sommato sottoposto alla volontà divina.
Certamente in un futuro non troppo lontano Dio avrebbe fatto in modo che Israele, una volta ritenuto
degno, potesse riacquistare la sua indipendenza politica. Così viene espresso, ad es., negli Oracoli
Sibillini III 652-656) «Allora dal Sole (=dall’Oriente) Dio mander{ un re che su tutta la terra far{
cessare la guerra malvagia, uccidendo gli uni (e) stringendo patti leali con gli altri. Né farà tutto questo
di propria iniziativa, ma in ossequio ai buoni decreti del gran Dio». Giuseppe Flavio dà testimonianza
di quanto potesse essere varia l’interpretazione del “re che viene dal sole” identificandolo con
Vespasiano novello messia (il che gli fece risparmiare la vita e ottenere un posto rispettabile a corte cf.
Bell. III 400-402 ripreso anche dallo storico romano Svetonio in Vita Vespasiani 4). Un’idea messianica
che, come è evidente, è all’esatto opposto dell’altra che attende il Messia come liberatore dal potere
romano. È interessante come Giuseppe Flavio riesca a conciliare questa interpretazione della storia
con l’attesa di una indipendenza politica successiva solo adombrata nella famosa visione Danielica
della statua Dn 2,17-37 con l’allusione ai 4 regni della spiegazione e soprattutto alla pietra che
distrugger{ la statua; l’ultimo dei quattro regni, cosa chiara solo a un giudeo che conoscesse ben il
passo Danielico, viene identificato da Giuseppe implicitamente proprio con Roma e così la pietra che
rotoler{ sulla statua distrugger{ proprio l’impero romano, anche se dice espressamente di non poter
decifrare chi sia la pietra (Ant X 210).
Nell’ambito delle attese escatologiche di un messia finale, del tempo escatologico, che si svilupperanno
come si diceva solo nel tempo del secondo tempio e in particolare a ridosso dell’epoca
neotestamentaria, si possono distinguere diversi tipi di attese messianiche che si sviluppano nei
diversi ambiti (se non “gruppi”) del giudaismo del secondo tempio o, come preferirebbe Boccaccini,
nell’ambito dei diversi giudaismi del tempo.
Il Messia Figlio di Davide cf Boccacini, Collins etc.
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Il “Messia figlio di Davide”
Riprendendo il titolo del nostro corso, che come ho spiegato non va inteso nel senso di rintracciare
l’attesa del Messia nei testi del Pentateuco sotto il profilo di una attesa storica, vedremo come essa
svolga un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’attesa del messia davidico alla vigilia dell’era
cristiana. Questo soprattutto in due modi:
- da una parte la Torah continuerà a restare elemento unico nella ricerca della salvezza personale. Il
messia davidico cioè non sarà connotato dalle caratteristiche poi cristiane del Messia salvatore,
prerogativa questa che rimane solo a Dio mentre il messia davidico sarà comunque un uomo unto da
Dio che inaugurerà il tempo finale della storia. Messia escatologico dunque, ma pur sempre uomo e in
subordine rispetto al ruolo centrale che continuerà ad avere la Torah. Sarà interessante notare come
nel linguaggio neotestamentario, soprattutto evangelico e in particolare giovanneo, diversi attributi
della Torah verranno riversati su Gesù. Il Nuovo Testamento e in particolare Giovanni daranno dunque
una svolta fondamentale non tanto nel riconoscere in Gesù il messia atteso per l’era escatologica,
quanto piuttosto nel riversare sulla figura del Messia-Gesù i tratti che vengono attribuiti nel giudaismo
proto-rabbinico alla Torah stessa.
- in secondo luogo proprio i testi della Torah verranno utilizzati già in quello che Boccaccini definisce il
giudaismo proto-rabbinico, come testi che annunciano il discendente davidico del tempo escatologico.
L’idea di un Messia davidico relativo non più all’attesa di una restaurazione storica del glorioso regno
di Davide, ma in prospettiva escatologica in particolare di fronte all’impero romano, si svilupperà
soprattutto nell’ambito delle correnti proto-rabbiniche vicine alla tradizione farisaica. Israele attende
un futuro di liberazione dalla soggezione straniera e sarà guidato finalmente da un re messianico, un
re unto da Dio, un “figlio di Davide”. È quanto si trova gi{ nei Salmi di Salomone1 della metà del I sec.
a.C., (cf SlSal 17, in particolare vv.21s.). Dio rimane il “nostro re” (vv. 1.46) e re del messia (v. 34) che a
sua volta è capo, liberatore, giudice, ma non “salvatore” poiché questa è prerogativa di Dio. Dunque
rimane centrale la giustizia di Dio e il suo ammaestramento, la Torah che ammaestra anche il remessia (cf v. 32) e che rimane l’unico strumento di salvezza che Dio ha offerto a Israele e all’umanit{. È
dalla Torah che gli ebrei dovranno continuare ad apprendere il giusto comportamento umano (SlSal
9,4).
Si è accennato sopra al senso che Giuseppe Flavio dà alla visione di Daniele dei quattro regni. Qui, in
realt{, con l’attesa del re-messia escatologico ci si orienta allo stesso modo: Torah e figlio di Davidemessia sono la maniera con cui nel giudaismo proto-rabbinico si focalizza l’attenzione rivolgendola
verso il tempo finale della giustizia divina e del riscatto di Israele sui popoli dominatori.
L’interpretazione della pietra che distrugger{ la statua che in Giuseppe Flavio veniva implicitamente
collegata non più ai quattro regni a cui si riferiva Daniele giungendo fino ai Seleucidi, ma veniva fatto
pensare che l’ultimo regno fosse invece quello di Roma, diventa esplicita nella concezione che si
sviluppa nel giudaismo proto-rabbinico e trova una sua proiezione proprio nella figura del re-messia
Oltre ai volume di Paolo SACCHI e di CHARLESWORTH si possono consultare i Salmi di Salomone (completi di
concordanze sul sito: http://www.intratext.com/IXT/ITA0408/_PH.HTM
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figlio di Davide che è la “pietra” danielica. Così nell’Apocalisse siriaca di Baruc (2Baruc) della fine I
inizio II secolo d.C.2
Gli stessi elementi si ritrovano nel Targum Neofiti di un secolo dopo classificato anch’esso da
Boccaccini come rappresentante del proto-rabbinismo.3 Qui è particolarmente interessante la rilettura
di Gn 49,10-12 testo già considerato tra i riferimenti della tradizione cristiana ai testi del Pentateuco
come profezia del Messia:
Gn 49, 10
Non sarà tolto lo scettro da Giuda
né il bastone del comando tra i suoi piedi,
finché verrà colui al quale esso appartiene
e a cui è dovuta l'obbedienza dei popoli.
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Egli lega alla vite il suo asinello
e a una vite scelta il figlio della sua asina,
lava nel vino la sua veste
e nel sangue dell'uva il suo manto;
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scuri ha gli occhi più del vino
e bianchi i denti più del latte.
«Dalla casa di Giuda (…) viene il re al quale appartiene la sovranit{ e a cui tutti i regni si
sottometteranno. Come è bello il re messia che dovrà sorgere dai figli della casa di Giuda! Egli si
cingerà le reni e combatterà contro i suoi nemici ed ucciderà re e principi. Egli arrosserà i monti del
sangue degli uccisi, e imbiancher{ le colline del grasso dei loro guerrieri (…) Come (sono) belli gli occhi
del re messia, più del vino puro! Perché egli non se ne serve per vedere le nudità e lo spargimento di
sangue innocente. I suoi denti sono più bianchi del latte, perché egli non se ne serve per mangiare i
prodotti della violenza e della rapina. Le montagne arrosseranno dei vigneti e le presse a causa del
vino e le colline imbiancheranno per l’abbondanza del frumento e delle greggi del piccolo bestiame»
Come rileva giustamente Boccaccini il re messia dei testi sopra menzionati è il protagonista della
redenzione collettiva di Israele mentre non ha alcun ruolo nella salvezza dell’individuo che è regolata
invece dalla Torah: essa è e rimane l’unica ancora di salvezza anche per continuare a sperare nella
venuta del messia. (cf 2Bar 77,13; 85,1-3.14-15). La centralità della Legge è ulteriormente affermata
dalla tradizione mishnica: ad essa, al suo compimento, è subordinata la speranza escatologica (cf m
Berakot 1,5; m. Abot 3,5).
Cf CHARLESWORTH J.H., The Old Testament Pseudoepigrapha vol I, 615 ss.; Sacchi P., Apocridi dell’Antico
Testamento, TEA, Milano 1990, 307.
3 Cf BOCCACCINI G., "La figura di Davide nei giudaismi di età ellenistico-romana", in Davide: modelli biblici e
prospettive messianiche. Atti dell'VIII Convegno di studi veterotestamentari (Seiano, 13-15 settembre 1993), ed.
Gian Luigi Prato ("Ricerche-Storico Bibliche" 7.1; Bologna: Dehoniane, 1995) 175-85; "Targum Neofiti as a ProtoRabbinic Document: A Systemic Analysis," in The Aramaic Bible: Targums in Their Historical Context. Proceedings
of the Dublin Conference in Targumic Studies, Held at the Irish National Academy (Dublin, July 1992), ed. M.
McNamara and D.R.G. Beattie (Sheffield: Academic Press, 1995) 260-69
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L’attesa messianica nei manoscritti di Qumran (cf Collins in Boccaccini, Il Messia, pp. 58ss.; cf. Fabry,
Il Messia, 63-76)
All’inizio o alla met{ del I sec. a.C. compaiono riferimenti messianici nonostante l’assenza di cui sopra
si diceva nel periodo dal 500 al 200 a.C.
Si tenga conto della difficoltà di ricavare un quadro organico sull’argomento a partire dagli scritti di
Qumran; sono tuttavia rintracciabili dei modelli che permettono di capire le divberse maniere di
intendere il messianismo a ridosso e dell’inizio del cristianesimo.
- innanzitutto le spiegazioni di attese veterotestamentarie della salvezza in senso collettivo: nel solco
dell’interpretazione del noto testo di Dn 7 sul Figlio dell’uomo (come comunit{ diQumran 1QH 3,9s.;
CD 7,1,16) e dell’unto come del “popolo d’Israele” in 4Q174 III,18s. Sl 2,2). Così possiamo parlare di
una messianologia collettiva secondo cui il gruppo stesso di Qumran si percepiva come lo strumento di
Dio nella lotta escatologica (1QM; 4Q491 …). L’attesa terdo-veterotestamentaria del “resto” del
“popolo di israele” trova così gi{ nel primo movimento essenico uno sviluppo che vede nella comunità
stessa di Qumran lo strumento adombrato da quei testi. Così accadrà che gli esseni di Qumran
giungeranno nella regola della Guerra a concepire se stessi come la comunit{ dei “figli della luce”,
strumento collettivo di dio che avrebbe posto fine al dominio del male.
- all’attesa di tipo collettivo si sovrapponeva in ambiente essenico, gi{ nel tempo che precede la nascita
di Qumran un’attesa piuttosto individuale con la distinzione tra le funzioni sacerdotali e quelle regali.
In ciò si manifestava avversione alla prassi asmonea di concentrare le funzioni in un’unica persona. Si
parler{ così dei due unti (sulla base dell’immagine dei due candelabri di Zc 4,14) conferendo
precedenza all’unto sacerdotale: “gli unti di Aronne e Israele”cf il rotolo della Comunit{: 1QS 5,1-9,29)
– siamo all’inizio del II sec. a.C. In partricolaer nel CD (Codice di Damasco si manifester{ la tendenza a
una fusione dei due ruoli, forse per proporre un modello accettabile da parte di quella comunità.
- Gli eventi legati alla rivolta maccabaica e alla conseguente assunzione di cariche (l’usurpazione del
sacerdozio da parte di Gionata 158 a.C.) porterà alla attesa di un messia regale davidico. Un rincipe
che avrebbe guidato la lotta escatologica. In questa linea CD riprenderà la linea dello scetttro e della
stella della profezia di Nm 24,17 riferendola alla “guida della torah” oprincipe di tutta la comunit{.
Così, ancora, in 4Q174 si parlerà del sorgere del germoglio di Davide che vincerà il Belial.
Un pesher a Gn 49,10 parlerà del Messia di Giustizia, germoglio di Davide, la testimonianza più antica
della designazione esplicita del’atteso re davidide come “unto”. È la testimonianza che la comunit{ di
Qumran, nonostante lo stampo sacerdotale, ha accolto come propria la prospetticva di un re davidide
di fronte all’usurpazione degli erodiani (interpretazione che viene ripresa nel NT). Così verr{
interpretato infatti Is 11,1-5.
Dunque a Qumran ha spazio l’attesa di un messia davidide, regale, in polemica con l’assunzione e del
potere regale da parte della classe sacerdotale