recensione di uomini e no di elio vittorini
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recensione di uomini e no di elio vittorini
RECENSIONE DI UOMINI E NO DI ELIO VITTORINI In questo romanzo sono narrate le vicende legate ad un gruppo di partigiani nella Milano del 1944 e in special modo al capitano dei GAP, detto Enne 2: un personaggio inquieto di cui si intuisce un passato che nel profondo vorrebbe richiamare, ma che rinnega ogni giorno di più. Vive per anni a metà tra la guerra e le sue fantasie fino a quando rinuncia definitivamente a queste ultime, ma solo un istante prima di andare incontro alla morte. La protagonista delle sue fughe dalla realtà è Berta, il suo amore sfuggente. Sposata da dieci anni con un altro uomo si trova divisa fra i suoi sentimenti e i suoi doveri senza che gli uni o gli altri riescano a prevaricare. Nel romanzo si alternano i racconti della guerra vissuta dai partigiani e dalla popolazione, la storia sentimentale di Berta ed Enne 2 e alcuni momenti in cui l’autore interrompe la narrazione con riflessioni e osservazioni personali, spesso dialogando col protagonista. I temi trattati sono tutti legati non tanto alla guerra in sé, piuttosto a cosa provoca nelle persone, a come la morte fa capire fin dove si spinge l’umanità e la disumanità degli uomini e a come rende manifesta la loro fragilità. È infatti naturale associare l’umanità alla fragilità, e Vittorini lo dice esplicitamente in uno dei suoi interventi: Appena vi sia l’offesa, subito noi siamo con chi è offeso, e diciamo che è l’uomo. Sangue? Ecco l’uomo. Lagrime? Ecco l’uomo. Questa fragilità viene resa ancora più evidente quando bisogna confrontarsi con la morte, il momento in cui tutto si ferma e si spegne e che costringe gli uomini a riflettere. Berta, vedendo i cadaveri sul marciapiede, è sgomenta. Non capisce ne’ il senso di quelle vite troncate, ne’ il rapporto tra quei morti e lei. Sente una profonda connessione con essi, ma preferirebbe che le fossero del tutto estranei, che non fossero davvero morti anche per lei. E invece immaginando gli occhi spenti dei cadaveri come aperti e vivi se lo sente confermare dagli stessi morti, anche se non capisce fino in fondo quello che dicono e ad un certo punto smettono di risponderle. Il mistero della morte e del senso della vita non può essere svelato ai viventi. L’uomo non sarebbe uomo senza domande da porsi. Non ci sarebbe bisogno di ricerca, di introspezione. E senza questo l’uomo perde se stesso, la propria identità. È quello che succede ad Enne 2 quando rinuncia alle sue fantasie e ai suoi sentimenti per andare incontro alla vendetta e alla morte, ed è quello che invece non intacca l’operaio che, nella scienza finale del libro, risparmia un ragazzo tedesco grazie ad un po’ di empatia. Quest’uomo non ha bisogno di essere nominato per ricordarsi la propria identità di uomo. Viene sempre chiamato l’operaio ma non è lui a presentarsi così. Enne 2, invece, rinuncia al suo nome e al suo cognome non appena comincia a combattere. È su questo che bisogna riflettere perché, che vengano nominati o no, tutti i personaggi hanno o avrebbero un nome, cani compresi. Dipende da ognuno la scelta di ricordarlo o disfarsene; di mantenere, anche nel profondo, la propria identità di uomini o no. Rita Cappelli