NewsMagazine n. 7 - Dipartimenti - Università Cattolica del Sacro

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NewsMagazine n. 7 - Dipartimenti - Università Cattolica del Sacro
UNIVERSITÀ CATTOLICA – MILANO
Dipartimento di Sociologia
Gruppo Interstizi & Intersezioni
Newsletter n. 7
Inverno 2007
L’infini n’est autre
Que le va-et-vient
Entre ce qui s’offre
Et ce qui se cherche.
Va-et-vient sans fin
Entre arbre et oiseau,
Entre source et nuage
(François Cheng, A l’orient de tout, Paris 2005)
Cari destinatari,
parlare di interstizi e più ancora di intersezioni tra approcci e discipline diverse sembra ingenuo e pericoloso nel mondo accademico
italiano, dove continuano ad operare steccati anacronistici tra discipline, sub-aree e sub-sub-discipline. Ma noi continuiamo la nostra
piccola impresa disarmata e “deangolante”, convinti di porre qualche modesto elemento per costruire domani un Pensiero diverso da
quello di oggi nelle Scienze umane. Anche per questo, abbiamo creato una rete di corrispondenti i cui nomi trovate nell’ultima pagina: ringrazio di cuore questi amici e colleghi che condividono l’idea degli interstizi e delle intersezioni.
Un cordiale saluto da me e da noi tutti del Gruppo “Interstizi & Intersezioni”.
Giovanni Gasparini
SOMMARIO
1. Incontri
- (F. Melzi d’Eril) Lingua, alterità, identità
- (F. Rigotti) Lezioni sullo spazio a Mirandola
- (P. Gagliardi) I dialoghi di San Giorgio alla Fondazione Cini
- (A. Ricciuti) Fatigue e tessuti interstiziali (medicina)
- (M. Pedroni) La creatività nelle professioni
- (C. Pasqualini) Ecrire ‘entre’/Scrivere ‘fra’. La scrittura tra Scienze sociali, Filosofia e Letteratura
2 Libri & Scritti
- (S. Borutti) Filosofia dei sensi. Estetica del pensiero, tra filosofia, arte e letteratura
- (M. Ambrosini) Sociologia delle migrazioni
- (A. Szakolczai) Sociology, Religion and Grace: A quest for the Renaissance
- (P. Corvo) Turisti e felici?
- (C. Fonio) La videosorveglianza. Uno sguardo senza volto
- (C. Lunghi) Le culture della responsabilità nel campo della moda: una contraddizione in termini?
3. Arte & Comunicazione
- (F. Introini) Film di M. Night Shyamalan Lady in the Water
- (G. Gasparini) Film di Marc Forster Vero come la finzione
- (F. D’Alessandro) Tra letteratura e comunicazione
4. Vita quotidiana
- (G. Gasparini) Buone notizie per i barboni di Milano: apre un Hotel a 7 stelle in Galleria
- (F. Introini) Scoprire la velocentezza. Note a margine della “Giornata della lentezza”
Pubblicazioni recenti
1. Incontri
Lingua, alterità, identità
Quali sono le ragioni dell’adozione di un'altra lingua diversa da quella di origine ? Può esistere per uno scrittore una decisione più radicale dell’abbandono o del ripudio dell’idioma materno ? La scelta di una nuova
lingua di scrittura equivale forse al sogno di voler rinascere ? Le migrazioni moderne vanno inoltre trasformando radicalmente le ragioni per cui la lingua d’origine deve venire abbandonata a favore di una lingua
d’adozione. Queste appassionanti problematiche hanno costituito il tema intorno al quale si è articolato il
convegno Lingua, Alterità, Identità che si è tenuto presso l’Università di Bergamo il 24 e il 25 novembre
2006 con la partecipazione di linguisti come Lepschy, Bernini, di scrittori come François Cheng, Navid
Kermani, Rosie Pinhas-Delpuech, Leila Sebbar dalle vocazioni differenti ma dalle esperienze parimenti significative. Gli Atti del Convegno sono stati riuniti nel N. 1 della Rivista “Dintorni”, organo della Facoltà
di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Bergamo.
Francesca Melzi d’Eril, Università di Bergamo
Lezioni sullo spazio a Mirandola
Due incontri “spaziali” (organizzati da Giampaolo Ziroldi del Centro Pico della Mirandola) nella Silicon
Valley nostrana dell’industria di apparecchiature biomediche, ovvero a Mirandola (Modena), il 25-26 novembre e il 2-3 dicembre 2006, nel Castello dei Pico, ad analizzare lo spazio, in dodici relatori, ognuno secondo il proprio taglio disciplinare, dopo che l’anno prima era toccato al tempo farsi analizzare e sezionare
(v. Newsletter n. 4, Inverno 2006). Tante intersezioni dunque, dello spazio con l’arte, con la letteratura, la
geografia, l’antropologia, la politica, e poi ancora con la fisica, la matematica, la filosofia; ma anche tante
intersezioni dello spazio col tempo, continuamente evocato dagli studiosi come se non fosse possibile occuparsi dell'uno senza finire a chiamare in causa ogni volta anche l’altro. Ma anche tanti interstizi, intesi come
luoghi-tra, o forse non-luoghi, messi lì a separare spazi locali stagliantisi su quella entità di tanto ardua identificazione e definizione che è lo spazio. Di che cosa parliamo infatti quando parliamo di spazio? Molto spesso, non di quella nebulosa ontologica che sembra essere lo spazio al singolare e che maternamente ci ospita
come la chôra platonica, bensì di spazi e di luoghi plurali. Senza saperlo insomma ci comportiamo un pó
come Aristotele che sussumeva sotto il suo concetto di tópos sia lo spazio sia il luogo ma poi di fatto si occupava solo di luoghi: dei luoghi primi, dei luoghi naturali, dei luoghi retorici, dei luoghi comuni. Anche noi,
sull’onda di Aristotele, allorché parliamo di spazio (sociale, umano, politico, matematico ecc.) di fatto intendiamo spazi e luoghi e, ancor più spesso e inconsciamente, la posizione dei corpi (concreti e astratti) nello
spazio. Crediamo di produrre metafore dello spazio – che era per es. il tema del mio intervento – e creiamo e
usiamo invece metafore di cose e istituzioni per come sono disposte nello spazio. Eppure, anche soltanto già
il rendersi conto di questo fenomeno è buona arte degli interstizi e delle intersezioni.
Francesca Rigotti, Università della Svizzera italiana, Lugano
I Dialoghi di San Giorgio alla Fondazione Cini
I Dialoghi di San Giorgio costituiscono una nuova iniziativa culturale avviata nel 2004 dalla Fondazione
Giorgio Cini. Questa iniziativa si propone di favorire, appunto, il dialogo e il confronto tra esperti di diverse
discipline e appartenenti a diverse tradizioni culturali su questioni fondamentali della società contemporanea.
I Dialoghi di San Giorgio costituiscono la versione attuale di un’antica iniziativa della Fondazione, il Corso
di Alta Cultura, che per quasi cinquant’anni ha visto avvicendarsi autorevoli studiosi e testimoni del nostro
tempo. Le questioni oggetto del Dialogo vengono affrontate con un approccio squisitamente interdisciplinare
da un gruppo ristretto (10/12) di esperti scelti in funzione del tema (ad esempio, per il Dialogo del 2007, dedicato al tema Inheriting the past. Tradition, translation, betrayal, innovation, sono stati invitati storici
dell’arte e della cultura, musicologi, filosofi, antropologi, architetti, letterati, esperti di tecnologie digitali e di
conservazione di ecosistemi), che confrontano e discutono le loro esperienze e i loro punti di vista nell’arco
di tre giorni (di solito a metà settembre), in un ambiente unico, l’isola di San Giorgio Maggiore in Venezia,
idoneo a creare un’atmosfera suggestiva, che favorisce la tranquilla riflessione e il confronto aperto. Il seminario è strutturato in modo da ridurre al minimo la presentazione formale di relazioni e favorire il più possibile il dialogo e lo scambio. Ai partecipanti non si chiede pertanto di preparare espressamente un nuovo scritto per questo seminario, ma di portare a Venezia la loro esperienza, le loro visioni e la loro voglia di confrontarsi con gli altri su questioni di grande rilevanza sociale e culturale. Tutti i partecipanti siedono a una tavola
rotonda per tutto il tempo del seminario. In ciascuno dei tre giorni sono previste tre sessioni (due al mattino,
una sola al pomeriggio, in modo da lasciare tempo e spazio agli scambi informali, al riposo, alla conoscenza
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di Venezia, al godimento del soggiorno sull’isola). Ciascuna sessione è introdotta da uno dei partecipanti,
che ha quindi la possibilità di definire i temi di discussione e il taglio della conversazione nella sessione. Al
seminario può assistere il pubblico.
Pasquale Gagliardi, Fondazione G. Cini, Venezia
Fatigue e tessuti interstiziali (medicina)
L’autopoiesi, nella definizione di Maturana e Varela (1980), è la caratteristica che specifica ogni sistema vivente quale unità organizzata nella forma di una rete di processi di produzione di componenti che realizzando la stessa rete che li produce la costituiscono come unità. Caratteristiche essenziali di un vivente sono
quindi lo schema di organizzazione e la struttura, essendo la seconda la materializzazione fisica del primo.
In medicina invece, si è sempre privilegiato lo studio della struttura per cercare di comprendere la fisiologia
e la patologia, fino alla definizione di quest’ultima come “patologia cellulare” (Virchow , 1885). Lo sconfinato ambito delle relazioni e delle interazioni fra le parti (cellule, organi, ecc.) è stato sempre sottovalutato e
quindi scarsa attenzione è stata data allo sfondo sul quale si dipanano i processi della vita, cioè a quel tessuto
interstiziale che riempie lo spazio fra le cellule e che costituisce la matrice extracellulare (matrix, da madre).
Tale sfondo consiste, nel concreto, in quei processi interattivi biochimico-cellulari e tissutali che costituiscono il contesto che consente a ogni cellula – attraverso continui e complessi scambi di informazione - di modulare la propria attività in modo appropriato per ri-produrre sia se stessa, sia i componenti della complessa
matrice interstiziale nella quale - e grazie alla quale – essa stessa vive. Nei malati oncologici, la chemioterapia è responsabile di una profonda disorganizzazione di questi processi che è causa della grave disfunzione
energetica alla base di quella ben nota sofferenza fisica che va sotto il nome di fatigue. Uno sguardo clinico
di tipo sistemico, più attento alla dialettica energetica fra cellule e tessuto interstiziale, consente finalmente di
comprenderne l’eziopatogenesi e di individuare così una efficace strategia terapeutica. Si è parlato di questi
temi il 31 gennaio 2007 a Milano (San Fedele - Sala della Trasfigurazione) con Bruno Andreoni, Umberto
Galimberti, Stefano Gastaldi e Roberto Satolli, alla presentazione del volume di Alberto Ricciuti La terapia
di supporto di medicina generale in chemioterapia oncologica, prefazione di Umberto Veronesi, FrancoAngeli 2006.
Alberto Ricciuti, medico, Milano
La creatività nelle professioni, Seminario, Libera Università di Bolzano, 14 febbraio 2007
Il termine “creatività” racchiude una carica di enigmaticità e mistero che poche altre parole hanno. Tanto da
suscitare anche l’interesse degli studi sociologici, che si sono interrogati sulla dimensione creativa sia del
singolo attore che della società nel suo complesso. L’interesse delle scienze sociali per la creatività occupa
un largo spettro di posizioni, da quella di Hans Jonas che indaga la natura creativa dell’azione umana, attraverso un confronto con l’idealtipo weberiano dell’agire razionale, a quella di Domenico De Masi, che si concentra sulla creatività nelle organizzazioni, individuando in essa la sintesi di due dimensioni: la fantasia e la
concretezza. Ed ecco che la creatività mostra la sua natura interstiziale, il suo essere punto di confluenza di
dimensioni complementari: la rigorosità del pensiero logico e l’imprevedibilità del fare artistico, ma anche la
novità e l’utilità, per dirla con Poincaré. La natura stessa degli studi sulla creatività ha carattere di interstizio,
se si pensa che di essa si sono occupate la psicologia, l’arte, l’economia, ma anche la pedagogia, la filosofia e
da ultime le scienze sociali. È con questo approccio interdisciplinare che il seminario “La creatività nelle
professioni”, realizzato il 14 febbraio 2007 presso la Libera Università di Bolzano, ha affrontato questo complesso tema. Istvàn Magyari-Beck (Corvinus University, Budapest) ha aperto la sessione mattutina, dedicata
alla “Creatività sul lavoro”, con un intervento sulla Creatology, l’approccio multidisciplinare alla creatività
da lui proposto ormai 30 anni fa. Severino Salvemini (Università Bocconi, Milano) ha esaminato la relazione
tra creatività ed economia simbolica urbana, mentre a Domenico De Masi è stata affidata la relazione sulla
creatività nelle organizzazioni. Nel pomeriggio, l’attenzione si è spostata sulle “Professioni creative”: nel
teatro (Gabriele Vacis, Università Cattolica di Milano), nella moda (Giannino Malossi e Marco Ricchetti,
HermesLab), nell’arte (M. Antonietta Trasfroni, Università di Ferrara), nel web (Davide Bennato, Università
La Sapienza, Roma) e nella scienza (Federico Neresini, Università di Padova). Il seminario di studi ha rappresentato un’occasione per tutti coloro che intendono confrontarsi sulla creatività, categoria che continua a
sfuggire a definizioni univoche e collocazioni precise.
Marco Pedroni, Università Cattolica, Milano
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Ecrire ‘entre’/Scrivere ‘fra’. La scrittura tra Scienze sociali, Filosofia e Letteratura, Seminario, Università Cattolica, Milano, 8 marzo 2007
Tutti scrivono e in tanti modi diversi si può farlo. La scrittura è una forma di comunicazione tanto comune
quanto versatile, tanto pubblica quanto privata, tanto universale quanto particolare e quindi, per certi aspetti,
anche interstiziale. Da bambini apprendiamo la magia della scrittura, ovvero ci insegnano a comporre e mettere in fila parole e a conferire loro significato. Ma a partire da questo primo step comune ciascuno, nella sua
vita e nella propria professione, fa della scrittura un uso del tutto personale e creativo. La scrittura assume
pertanto una connotazione differente nelle diverse età della vita, una specificità per genere, per stratificazione sociale, per professione, per collocazione geografica.
Per fare un esempio, diversi sono i motivi per cui si tiene
un diario: per un adolescente è una valvola di sfogo, un
“confidente” che sa tenere le confidenze; per un antropologo è un compagno di viaggio inseparabile; per un letterato è una forma estetica. Al contempo, l’autobiografia
può essere un esercizio privato, un’esigenza pubblica, un
lavoro fatto dalla persona stessa o avvenire per mano di
un intervistatore che registra il flusso dei ricordi. C’è chi
scrive per diletto e chi per professione. Per chi studia è
inevitabile confrontarsi con la scrittura, perché alla scrittura è demandato il compito di rendere pubbliche le proprie ricerche. Tuttavia quando si afferisce ad ambiti
disciplinari differenti spesso si rischia di rimanere intrappolati nei propri linguaggi e nelle proprie retoriche,
dimenticando due questioni fondamentali: innanzitutto che la scrittura è lo strumento che accomuna tutti noi
e che ci consente, pertanto, di entrare in relazione e in dialogo con gli altri – per restare nelle scienze umane
e sociali, si assiste ancora oggi troppo spesso al difficile dialogo tra l’Etnologia, l’Antropologia, la Sociologia, la Filosofia per non parlare del confronto con la Letteratura e la poesia. E, in secondo luogo, che non è
“reato” essere intellettualmente interstiziali, ovvero inter/trans-disciplinari. È importante allora ricordare che,
negli ultimi decenni, è in atto una tanto tiepida quanto interessante inversione di tendenza: la possibilità, per
alcuni studiosi, di Ecrire ‘entre’/Scrivere ‘fra’. Un esempio di questo “sconfinamento” disciplinare è offerto
dagli studiosi che interverranno al seminario promosso dal Dipartimento di Sociologia dell’Università Cattolica di Milano con il patrocinio di Ais-Pic, un seminario interdisciplinare che si avvale della presenza di relatori che utilizzano nella loro produzione almeno due registri di scrittura (come etnologia e romanzo, sociologia e poesia, filosofia e autobiografia) e intende discutere del significato dello “scrivere fra” prospettive e
ambiti disciplinari differenti. Nello specifico, le relazioni di Marc Augé (Entre ethnologie et roman), Giovanni Gasparini (Tra sociologia e letteratura) e Duccio Demetrio (Tra filosofia e autobiografia) saranno discusse da Fausto Colombo, Francesca Rigotti, Giovanna Salvioni e Cesare Scurati.
Cristina Pasqualini, Università Cattolica, Milano
2. Libri & Scritti
Filosofia dei sensi. Estetica del pensiero, tra filosofia, arte e letteratura di Silvana Borutti (Raffaello
Cortina, Milano 2006)
Vorrei che fosse colto nel titolo del libro l’ambiguità dalla parola “sensi”: in quell’occorrenza, “sensi” vuol
sottolineare che la vicenda umana va dal senso al senso, dal senso sensibile al senso ideale, dai sensi al pensiero. Vuol dire in altre parole che il nostro modo di significare è un intreccio complesso, che inizia con
l’incontro sensibile col mondo, a partire da cui si sviluppa la trama dei sensi ideali che intessono la nostra
forma di vita. Nel libro indago la questione della relazione tra pensiero e sensibilità partendo dall’ipotesi che
sia possibile partire da un luogo comune a entrambi: l’immagine, intesa non come copia, pallida imitazione
di un originale, ma come messa in forma che porta a visibilità ciò che non è altrimenti visibile. Nella prima
parte, delineo le coordinate teoriche a partire da cui circoscrivere la questione del senso come voce media tra
la passività della rivelazione di ciò che esiste (elemento estatico del ricevere, dell’incontrare, del rammemorare) e l’attività della sua configurazione (elemento poietico dell’inventare e del configurare). Nella seconda
parte conduco poi delle indagini su alcune esperienze artistiche e letterarie decisive per illustrare le tesi esposte nel saggio: tra gli altri, Caravaggio e Klee, Francis Bacon, Manganelli e Calvino, Füssli e Cézanne.
Silvana Borutti, Università di Pavia
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Sociologia delle migrazioni di Maurizio Ambrosini (Il Mulino, Bologna 2005)
Le migrazioni sono un tipico fenomeno interstiziale delle società contemporanee: i migranti, circa 190 milioni nel mondo, rappresentano infatti il 3% della popolazione mondiale. Entrano negli interstizi delle società
sviluppate, lavorano negli interstizi del mercato occupazionale, abitano negli interstizi, spesso degradati, del
tessuto urbano, producono fenomeni di innovazione interstiziale nel campo dei consumi e della produzione
culturale. Studiare questi interstizi illumina nello stesso tempo diversi aspetti “normali” delle società sviluppate, come la segmentazione del mercato del lavoro e di quello abitativo, la produzione di stereotipi e di pregiudizi, l’affaticamento delle famiglie e l’inadeguatezza dei sistemi di welfare. A questi temi è dedicato il testo Sociologia delle migrazioni. Il volume ha finalità didattiche, ma si rivolge ad un pubblico più ampio di
lettori interessati a comprendere meglio questo affascinante e complesso campo di indagine. Articolato in
quattro parti (coordinate e processi fondamentali; attori emergenti; la dimensione politica; aree problematiche), propone un itinerario che muove dalle definizioni e dalle categorie fondamentali (chi sono gli immigrati? Come si suddividono?), prende in considerazione le diverse spiegazioni delle cause delle migrazioni, analizza diverse questioni e figure che hanno a che fare con il fenomeno (l’integrazione subalterna nei sistemi
economici, ma anche l’imprenditoria etnica, le seconde generazioni, il ruolo delle donne), si interessa delle
politiche di regolazione e di integrazione degli immigrati, concludendo con due capitoli dedicati rispettivamente alla devianza e alla discriminazione.
Maurizio Ambrosini, Università di Milano
Sociology, Religion and Grace: A quest for the Renaissance di Arpad Szakolczai (Routledge, London
2007)
Il Rinascimento, ampiamente riconosciuto come un periodo cruciale di transizione fra il medioevo e il mondo moderno, dovrebbe essere un tema centrale per la sociologia della modernità. Tuttavia, forse per colpa di
una lettura troppo riduttiva delle tesi di Weber sull’Etica protestante, il tema è quasi ignorato dalla sociologia
contemporanea. Questo mio libro è scritto per colmare tale lacuna. Nel libro, il Rinascimento europeo è legato ad una serie di rinnovamenti e rinascite, cominciando con la Creta minoica e continuando nella Grecia
classica e con il francescanesimo del Duecento, collegati con una preoccupazione per l’unità dei vari aspetti
della ‘grazia’: teologica (la grazia divina), estetica (bellezza e graziosità), e socio-antropologica (relazioni di
dono e il piacere di socievolezza). Tali rinascite occorrono sempre nei punti di incrocio, in tempi di cambiamento accelerato, nelle zone marginali che all’improvviso diventano centrali, in una parola in tempi e spazi
‘liminali’, spesso precedute da una dissoluzione di ordine o eventi di carattere ‘apocalittico’, la fine di un ordine del mondo considerato eterno. Tale condizioni liminali portano tuttavia necessariamente ad un rinnovamento. Tutto dipende dallo spirito nel quale il cambiamento è vissuto e dalle qualità presenti nelle persone
che si succedono. In assenza di persone con un certo carisma e capaci di una certa cura di sè, le sofferenze
non vengono superate, e invece di una conversione e una nuova vita, seguendo ‘leaders’ che solo seducono e
fuorviano, si finisce con cadere dentro un abisso. La grazia e il “Trickster” (l’imbroglione, il buffone,
l’ingannatore) ambedue appaiono in momenti ‘liminali’; la rinascita e la decadenza hanno radici comuni e, in
assenza di un potere di discriminazione e di distinzione, è facile confondere le due.
Arpad Szakolczai, Università Cattolica, Milano
Turisti e felici? di Paolo Corvo (Vita e Pensiero, Milano, in corso di pubblicazione)
Nella società globalizzata l’individuo torna a desiderare legami più stabili, a riconsiderare la funzione del vivere sociale; talvolta si cerca anche di ricuperare in qualche modo la ‘solidità’ di una concezione etica o religiosa della vita e del mondo. Questo rinnovata attenzione per l’alterità è pero difficile da soddisfare nella vita
quotidiana. Le speranze si accentrano dunque sul tempo libero, quando forse le persone sono più propense ad
abbandonare le abitudini feriali e a cercare una maggiore autenticità nei comportamenti e nei rapporti interpersonali. Il turismo rappresenta quindi per l’individuo il κάιρός, il tempo opportuno per trovare una risposta
ai bisogni di espressività e di senso. La vacanza nelle intenzioni delle persone diventa luogo di relazioni con
un forte carattere simbolico e di ricupero dell’identità perduta nel tempo feriale e lavorativo. Ritorno alla natura, riscoperta delle tradizioni, ricupero delle relazioni e degli affetti: la vacanza viene mitizzata, per lo meno dalle aspettative e dalle speranze dei turisti; non sempre però si rivela tale nell’esperienza concreta, per
cui gli individui faticano a soddisfare i loro bisogni e le loro domande, sia per la difficoltà ad estraniarsi
completamente dal loro vissuto quotidiano, a cui restano legati, sia per la pervasiva macchina dell’industria
turistica, che tende ad avvolgere nella spirale consumistica anche i tempi e gli spazi della vacanza. Vi sono
comunque esperienze meno esposte a questo esito, laddove la vacanza contempla anche momenti comunitari
o di piccoli gruppi e dove le esigenze personali dei singoli soggetti riescono ad esprimersi in un contesto di
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autentica relazionalità: pensiamo al turismo sostenibile e solidale, come pure al turismo sociale, che dà la
possibilità di svago e di tempo libero a fasce di popolazione che prima ne erano escluse, come gli anziani e i
disabili.
Paolo Corvo, Università Cattolica, Brescia
La videosorveglianza. Uno sguardo senza volto di Chiara Fonio (FrancoAngeli 2007)
Negli ultimi decenni abbiamo assistito a un forte aumento delle telecamere all’interno delle nostre città. Sebbene la Gran Bretagna detenga il primato europeo in quanto a estensione e investimento pubblico, non va
dimenticato che la videosorveglianza è oramai utilizzata ampiamente in quasi tutti i paesi del mondo. Gli
“occhi elettronici” sono presenti dalle città norvegesi a quelle italiane, nonostante ogni paese differisca in
numero e aspetti legali associati a un più o meno lecito utilizzo del mezzo. I labili confini tra sicurezza, sorveglianza e controllo sociale, tra diritto di sapere e diritto alla privacy, tra corpo digitale e corpo fisico, sono
stati approfonditi in numerosi studi dedicati alla sorveglianza. Sociologia, criminologia, letteratura e cinematografia sembrano intrecciarsi in modo incredibilmente fitto: le puntuali riflessioni accademiche si mescolano a distopie fantascientifiche che sembrano essere particolarmente calzanti per comprendere alcuni aspetti
del controllo elettronico contemporaneo. Il volume si propone, attraverso un approccio sociologico, di comprendere come mai questo mezzo di prevenzione situazionale sia sempre più utilizzato in contesti urbani. I
dati di una ricerca empirica svoltasi nella città di Milano nel 2005 inseriscono il contributo nell’ambito di un
filone di studi internazionali ben consolidato.
Chiara Fonio, Università Cattolica, Milano
Le culture della responsabilità nel campo della moda: una contraddizione in termini?
Può la moda, fenomeno effimero per eccellenza, rappresentare una forma di agire economicamente responsabile? Questo interrogativo rappresenta la sfida intellettuale cui una recente ricerca del Centro per lo studio
della moda dell’Università Cattolica di Milano ha tentato di dare una risposta. È necessario sottolineare che
la posta in gioco è soprattutto di tipo culturale: il consumo responsabile di cui si occupa la suddetta ricerca,
almeno nelle intenzioni dei suoi ispiratori e sostenitori, vorrebbe non solo produrre fatti economici rilevanti
ma soprattutto incidere sui valori della società occidentale e far diventare un bisogno la “scelta etica” del
consumatore. La ricerca ha messo in luce l’esistenza di tre filoni di “moda responsabile” che concretizzano
alcune istanze etiche: 1) la moda dell’usato: sobrietà, anti-consumismo, riciclo. 2) la moda equa e solidale:
diritti dei lavoratori, esclusione del lavoro minorile, valorizzazione di tecniche artigianali locali, solidarietà
verso persone svantaggiate. 3) la moda biologica: ecologia, ecosostenibilità, riduzione degli impatti ambientali. Sono emerse anche interessanti e ricorrenti sovrapposizioni fra i tre filoni poiché le istanze “etiche” sono
cosi ramificate e complementari da portare alla produzione di capi che assommano in sé più di un requisito.
In quest’ottica, allora, l’espressione “moda responsabile”, lungi dal sembrare una contraddizione in termini,
acquisisce un altro spessore e sembra indicare una nuova frontiera dell’elaborazione culturale della società
contemporanea.
Carla Lunghi, Università Cattolica, Milano
3. Arte & Comunicazione
Lady in the Water. Film di M. Night Shyamalan (Usa, 2006)
Il messaggio sociologico esportabile dalla pellicola The Lady in the Water è immediato e chiaro: ciò che
manca alla vita quotidiana è una tensione narrativa, indispensabile invece per attivare interessi passione socialità e azione di persone che, altrimenti, rimangono avvolte nei propri apatici grigiori, pur vivendo fianco a
fianco nel quadrilatero di un residence senza troppe pretese e che tuttavia ha al suo centro una piscina, che
pure dovrebbe divenire catalizzatore di una ben diversa socialità. Una drammaturgia, una teoria (classica)
della narrazione che si fa consapevolmente, anzi ostentatamente trama e che da subito spinge lo spettatore
verso una lettura metalinguistica dell’intera vicenda che assume, di conseguenza, le fattezze di un curioso e
raffinato thriller semiotico. Protagonista è una ninfa marina dall’eloquente nome Story, giunta nella piscina
di quel condominio – e scoperta dal custode allertato da misteriosi rumori acquatici notturni – per compiere
una delicata missione che richiede impegno e collaborazione di tutti. Ma non è Story a rivelare senso e dettagli di questa intricata missione il cui disegno è custodito in una antica fiaba orientale, di cui è depositaria una
delle inquiline del residence. Sarà proprio il custode, che di Story si fa portavoce e alfiere, a permettere
l’attuazione del programma narrativo e attanziale contenuto nell’antica leggenda, intorno al quale gli ospiti
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del residence si fanno sempre più comunità, imparando a conoscersi e a conoscere, reciprocamente, le doti
peculiari di ciascuno, premessa fondamentale affinché ognuno assuma il proprio ruolo nella storia e permetta
alla ninfa di giungere, sana e salva, nel mondo magico da cui è giunta.
Fabio Introini, Università Cattolica, Milano
Vero come la finzione. Film di Marc Forster (2006, Usa)
Il titolo italiano del film suona riduttivo rispetto all’originale Stranger than fiction, che ci riporta alla relazione tra realtà e finzione intesa anche come fiction narrativa: da quest’ultima traggono origine le vicende di
questa singolare storia, sospesa tra levità ironica della commedia e spessore della tragedia incombente, giocata con brio sui margini di quell’universo interstiziale e collaterale alla vita quotidiana che è rappresentato
appunto dall’invenzione narrativa. Il protagonista è un agente delle tasse americano, ossessivo nella sua
giornata regolata meticolosamente dal suo inseparabile orologio, a partire dal numero di colpi di spazzolino
che ogni mattina vengono dati ai denti, fino all’ora esatta in cui egli si corica. Ma Harold Crick è a sua insaputa il protagonista di una storia che una famosa scrittrice in crisi da pagina bianca sta scrivendo da anni e
che gl’impone con la sua voce misteriosa – che egli ad un certo punto capta - ritmi e decisioni. La fiction agisce sulla realtà della vita effettiva di Harold, un po’ come accade al Truman Burbak del film di Weir The
Truman Show (1998), ma egli si ribella quando viene a sapere dalla vocina che Kay, la scrittrice, ha deciso di
concludere la storia facendolo morire tragicamente. Harold riesce ad incontrarsi con la sua autrice e la convince a sua volta a cambiare in extremis il finale, dimostrando che non è solo la fiction ad agire sulla realtà
ma anche viceversa. E sarà un particolare insignificante, una scheggia del suo orologio infiltratasi fortuitamente in un’arteria, a salvare miracolosamente Harold dal grave incidente in cui egli è coinvolto per salvare
un bambino. La morale è che le piccole cose salvano la nostra vita, letteralmente, e inoltre la rendono più
gradevole e vivibile, come fanno i biscotti che Ana, l’unico incontro femminile di Harold, prepara amorevolmente per lui.
Giovanni Gasparini, Università Cattolica, Milano
Tra letteratura e comunicazione
Si vuole qui proporre una breve riflessione su una disciplina, l’Italiano per la comunicazione, che si attesta
per sua natura in una terra di confine non ancora ben delineata, nella sua estensione e peculiarità, da una
mappa epistemologica precisa. L’accento, sin dal nome, si pone proprio sul vettore comunicativo, che necessita di essere definito e posto in relazione con la lingua e con i testi: dalle prime indagini emerge come il
termine ‘comunicazione’ designi un’entità decisamente più ampia della semplice informazione. Là dove
quest’ultima risulta puramente fattuale e traducibile in simboli (o in altra lingua) senza residui, la comunicazione comprende anche elementi non informativi, elementi eccedenti l’informazione stessa, irriducibili al
piano della referenzialità, tratti che pertengono all’area dell’intenzionalità, dello slancio verso l’altro da sé, e
in qualche misura alla sfera emozionale e alla facoltà immaginativa. Ai due estremi di un’ipotetica curva che
rappresenti l’efficacia comunicativa troveremo allora, al livello minimo, la sintassi logica (aridamente referenziale) e, al livello massimo, la sintassi poetica, dove si opera – secondo Luciano Anceschi – quello «scarto travolgente, che scompiglia norme e precetti», dove si compie – per dirla con Roland Barthes – un totale
«sovvertimento degli orizzonti d’attesa», un dislivello dal ‘grado zero della scrittura’. Questa comunicatività
cessa di orbitare su di un fulcro esclusivamente linguistico, per spostarsi decisamente al fuoco letterario, nel
quale si realizza appieno la convergenza fra la tensione espressiva e l’uso dello strumento verbale che nomina, identifica, addita e conduce all’evidenza. Si scopre così la dimensione profondamente etica e gratuita
dell’atto comunicativo (e dello stile), proteso a condividere con l’altro ogni faticosa conquista conoscitiva,
desideroso di colmare ogni dislivello gnoseologico e capace di trovare il suo grado maggiore di efficacia nelle coordinate dialogiche della poesia, rivolte sia verso la tradizione, in un colloquio incessante con le voci
familiari del passato, sia verso i lettori presenti e futuri.
Francesca D’Alessandro, Università Cattolica, Milano
4. Vita quotidiana
Buone notizie per i barboni di Milano: apre un Hotel a 7 stelle in Galleria
Il 15 dicembre 2006, nel corso di una manifestazione svoltasi di sera all’aperto nell’Ottagono della Galleria a
Milano, il sindaco della città e il governatore della regione Lombardia hanno annunciato con soddisfazione
che la metropoli ambrosiana sarà presto dotata di un nuovo Hotel che avrà sede in Galleria, appunto, e che
sarà il primo a sette stelle in Italia e in Europa; esso riceverà un’apposita certificazione di qualità dalla re-
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gione. Nelle intenzioni degli amministratori, Milano si pone così in una posizione di offerta di servizi di eccellenza per una ristretta elite di soggetti iper-facoltosi, anche se non è chiaro l’identikit di chi vorrà concedersi un lusso del genere. Mentre gli invitati alla manifestazione plaudevano, a pochi metri di distanza, ad un
angolo di quella che è considerata la più bella Galleria del mondo, un ignaro barbone seduto per terra e appoggiato al muro beveva qualcosa da una bottiglia. E durante la notte precedente la polizia aveva sgombrato
con inusuale brutalità, alla periferia della città, un campo di nomadi con le loro masserizie. Non sarebbe il
caso di dar conto di questa notizia se non fosse per notare che la dimensione dell’interstizialità in quanto
marginalità opera qui in due sensi: non solo verso il basso, come marginalità sociale in senso stretto, ma anche verso l’alto, per così dire, nel senso di delineare una fascia ristretta o ristrettissima rappresentata da coloro che possono permettersi alberghi a sette stelle. Milano, in sostanza, sembra avviata a diventare una città
sempre più divisa e ad avere due “margini” del tutto distanti e inconciliabili fra loro.
Giovanni Gasparini
Scoprire la velocentezza. Note a margine della “Giornata della lentezza”
Nel giorno di lunedì 19 febbraio 2007 siamo stati protagonisti, forse inconsapevoli, della giornata della lentezza (san va-lentino). La probabile inconsapevolezza è dipesa, oltre che da una scarsa celebrazione mediatica dell’evento, dalle ben scarse ricadute concrete che questa è stata in grado di produrre, anche se solo per
poche ore, sui vissuti e sugli stili di vita quotidiani di ciascuno di noi. Ad eccezione, ovviamente, delle ironiche e provocatorie iniziative di cui si sono resi protagonisti alcuni cittadini milanesi (si vedano le simboliche
multe inflitte a pedoni-razzo in Galleria Vittorio Emanuele). Ma è davvero possibile invitare alla lentezza
una città in cui appositi cartelli ricordano agli utenti delle scale mobili nella Linea metropolitana 3 di tenere
la destra qualora non intendano sfruttare le proprietà del moto relativo e aggiungere, alla forza motrice meccanica anche quella delle proprie gambe? Eppure il tentativo vanta illustrissimi precedenti. Come non ricordare l’invito rivolto alla città milanese, nevrotica e iper-attiva per definizione, a riscoprire la dimensione contemplativa della vita rivolto dal Cardinal Martini nella sua prima Lettera pastorale? E che cos’è la contemplazione se non la fuoriuscita dal frenetico ritmo degli affanni quotidiani per ottenere oasi e interstizi di tranquillità in cui meditare e rientrare in sé stessi? La lentezza ha una dimensione profondamente etica ma, a sua
volta, la velocità possiede una irresistibile fascinazione estetica (nel suo duplice senso di stilema e, più etimologicamente, di patemica), che è alla base della stessa autocomprensione moderna dell’uomo e cui è difficile resistere. Già Walter Benjamin aveva intravisto nel montaggio cinematografico l’icona dell’esperienza
moderna come esperienza dell’urto e dello shock percettivi, del tutto paragonabile a quella che ogni pedone
vive all’interno del traffico della metropoli (cfr. Vattimo, La società trasparente, Garzanti 1989) e oggi magnificata da altri prodotti dell’industria culturale come i videoclip e i videogiochi, autentici dispensatori di
adrenalina e di quella intensità tutta emotiva che caratterizza lo stile di vita postmoderno. Eppure proprio
dalla tecnologia provengono nuove possibilità di conciliare velocità e lentezza, facendo della prima non già
l’ostacolo ma il supporto alla seconda. Così, giocando con i significati di due noti brand, è più facile che il
food sia slow se il web è fast. Cioè, nella complessa economia dei tempi che per il singolo è sempre più versione laica della paolina economia della salvezza, l’investimento in accelerazione in alcuni ambiti e faccende
della vita quotidiana può ripagare con la moneta della lentezza altrove.
Fabio Introini
Pubblicazioni recenti
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E. Bougleux, Costruzioni dello spaziotempo. Etnografia in un centro di ricerca sulla fisica gravitazionale, Bergamo University Press, Bergamo 2006.
V. Cesareo, I. Vaccarini, La libertà responsabile. Soggettività e mutamento sociale, Vita e Pensiero,
Milano 2006.
F. Lesemann, M. D’Amours, Vieillissement au travail, emplois et retraites, Éditions Saint-Martin,
Montréal, 2006.
G. Mascheroni, Le comunità viaggianti. Socialità reticolare e mobile dei viaggiatori indipendenti,
FrancoAngeli, Milano 2007.
E. Morin, C. Pasqualini, Io, Edgar Morin. Una Storia di vita, FrancoAngeli, Milano 2007.
F. Rigotti, Il pensiero pendolare, Il Mulino, Bologna 2006.
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I nostri recapiti:
Giovanni Gasparini
(Coordinatore)
Dipartimento di Sociologia
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Corrispondenti:
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Roberto Diodato, Università Cattolica - Milano (Estetica)
Duccio Demetrio, Università degli Studi – Bicocca, Milano (Educazione e formazione)
Frédéric Lesemann, Université del Québec, Montréal (Culture delle Americhe)
Elisabetta Matelli, Università Cattolica - Milano (Letterature antiche)
Francesca Melzi d’Eril, Università di Bergamo (Letterature straniere)
Alberto Ricciuti, Milano (Medicina)
Francesca Rigotti, Università della Svizzera Italiana, Lugano (Filosofia)
Antonio Strati, Università di Trento (Teoria dell’organizzazione)
Pierpaolo Varri, Università Cattolica - Milano (Economia)
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www.ais-sociologia.it
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