Riformista 31 Agosto 2011
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Riformista 31 Agosto 2011
MERCOLEDÌ 31 AGOSTO 2011 Mondo Gli Usa ammettono: «Disumani i test in Guatemala nel ’48» WASHINGTON. Alcuni medici inocularono i virus di sifilide e gonorrea a 1300 persone, senza che ne sapessero nulla. Morirono in 83. Ieri le prime conclusioni della commissione voluta da Obama: «Diritti umani violati». DI GIULIA DE LUCA ! «In Guatemala è stata portata avanti una con- dotta inumana e crudele. Sono state aperte ferite e le persone sono state infettate deliberatamente con varie malattie: queste sono gravi violazioni dei diritti umani». Non lascia molto spazio all’immaginazione Anita Allen, membro della commissione di bioetica nominata, un anno fa, da Barack Obama per indagare sugli esperimenti medici condotti dagli Usa in Guatemala tra il 1946 e il 1948. Lo scopo degli esperimenti era studiare gli effetti della penicillina. Solo che per portarli a termine i medici statunitensi, con la complicità interna di alcuni membri chiave delle istituzioni guatemalteche, hanno infettato gli abitanti con diversi virus, come per esempio la sifilide e la gonorrea, senza mai chiedere loro il consenso e violando quindi, coscientemente, il codice etico. Con l’appoggio del medico guatemalteco Juan María Funes, al tempo capo della divisione per il controllo delle malattie veneree, che autorizzò le pratiche mediche, più di cinquemila persone furono vittime degli esperimenti. 83 morirono e 1.300 vennero contagiate: di queste, solo 700 ricevettero poi le cure necessarie. «Era orribile il modo in cui vedevano i guatemaltechi» ha dichiarato un altro membro della commissione, Lonie Ali. «Lasciarono molte persone senza cure. Una volta che li avevano contagiati era come se volessero semplicemente disfarsi di queste persone senza che gli importasse nulla di ciò che sareb- be accaduto loro dopo averli infettati». Gli esperimenti coinvolsero orfani, persone con problemi mentali, indigeni, soldati della Guardia d’Onore - che prestava protezione all’allora presidente Juan José Arévalo - così come prostitute, studenti e malati comuni. Tra le pratiche usate per infettare i pazienti, era comune quella di trasmettere il virus direttamente negli occhi - iniettando per esempio del pus di gonorrea - ma anche procurare delle ferite negli organi genitali maschili per poter iniettare il virus direttamente in loco, così come alle donne veniva somministrato nel collo dell’utero. «È importante documentare accuratamente questa ingiustizia storica, lo dobbiamo fare per onorare le vittime» ha dichiarato il capo della Commissione d’inchiesta Amy Gutmann in un comunicato ufficiale pubblicato ieri. «Dobbiamo guardare al passato e imparare da quello che è successo, in modo da poter rassicurare le persone sul fatto che le ricerche mediche e scientifiche oggi sono condotte rispettando le norme etiche» continua Gutmann». Perché senza la fiducia della società, la partecipazione alle ricerche da parte delle persone potrebbe calare e questo potrebbe portare a fermare delle ricerche importantissime». Il rapporto completo della commissione sarà consegnato al presidente Usa nei prossimi giorni. In seguito alle rivelazioni dello scorso autunno, il presidente Obama incaricò la commissione di indagare sui fatti con due obiettivi fondamentali: accertare i fatti avvenuti in Guatemala negli Anni 40 e garantire, al presidente in persona, che le regole attuali per coloro che partecipano alle ricerche proteggano le persone da trattamenti dannosi e contrari all’etica, sia a livello interno che internazionale. Il rapporto su quest’ultimo argomento è atteso per dicembre. «Purtroppo non è un caso che tutto questo sia successo in Guatemala» ha aggiunto Gutman. «Era un popolo con molte differenze etniche, di razza e di nazionalità e sappiamo che molti medici che parteciparono a questi esperimenti dichiararono esplicitamente che non avrebbero potuto fare tutto questo nel loro Paese». Il medico Usa a capo di tutta l’operazione era John Charles Cutler - morto nel 2003 a 87 anni -, lo stesso che anni prima aveva realizzato una serie di esperimenti simili con prigionieri afroamericani in Alabama. Solo che a loro il consenso era stato chiesto, in accordo con le leggi statunitensi che regolano la materia. Cutler e la sua équipe medica sapevano che non chiedendo il consenso ai pazienti avrebbero violato diverse disposizioni internazionali. A cominciare dal trattato di Norimberga del 1946, che proprio tra le prime norme prevede la richiesta del consenso per chi si sottopone a qualsiasi esperimento. I medici ne erano coscienti: per questo mantennero segreto il rapporto sugli studi e non pubblicarono mai i risultati degli esperimenti. Il vice presidente del Guatemala, Rafael Espada, ha annunciato che un rapporto dettagliato del governo sarà presentato a ottobre prossimo. Intanto però il cancelliere guatemalteco, Haroldo Rodas, si è affrettato a chiarire che questi fatti non «influenzeranno le relazioni con gli Stati Uniti». Il partito che fu di Mandela lacerato da “Juju” il viveur MALEMA. Populista e ambizioso. L’Anc ne discute l’espulsione dopo che ha promesso di rovesciare il governo del Botswana. I suoi “fan” scatenano la guerriglia. DI ALESSANDRO SPECIALE ! È uno dei bersagli preferiti del fero- ce vignettista Zapiro, che ama ritrarlo vestito da bebè e con un enorme orologio di marca al polso, perché quello che si presenta come il difensore dei milioni di neri del Sudafrica di certo non disprezza il lusso e la bella vita. Julius Malema, classe 1981, è il politico più controverso del Paese e molti vedono in lui il candidato più carismatico per succedere al presidente Jacob Zuma. Ma la sua carriera politica potrebbe essere al capolinea tanto che, per difendere il loro paladino, ieri mattina migliaia di giovani sono scesi in strada e hanno stretto d’assedio la sede dell’African national congress, il partito di Nelson Mandela che domina senza alcune reale opposizione la politica sudafricana da oltre un decennio. Malema, presidente del potente ramo giovanile dell’Anc, è sotto proces- so da parte del suo stesso partito per aver sostanzialmente annunciato di voler cercare di rovesciare il governo democraticamente eletto di Ian Khama nel vicino Bostwana, bollato come un «pupazzo degli americani». Non è la prima volta che Juju, come viene chiamato dai suoi “ragazzi”, finisce nel mirino della commissione disciplinare dell’Anc. Appena un anno fa, gli era toccato rispondere a una lunga serie di accuse: dall’aver cantato una vecchia canzone “di battaglia” dell’Anc, oggi vietata, che incitava a «sparare al boero», fino alla difesa del governo di Robert Mugabe. Malema, d’altra parte, non ha mai nascosto di voler seguire l’esempio del vecchio presidente-dittatore dello Zimbabwe ed espropriare senza indennizzi le tenute agricole dei bianchi, ed è anche un convinto sostenitore della nazionalizzazione delle miniere - uno dei temi che dominano il dibattito politico suda- fricano. Nel 2010, Malema se la cavò con poco più di un buffetto sulla spalla, ma questa volta l’atmosfera è ben diversa: il rapporto con il presidente e leader dell’Anc, Zuma, di cui era stato uno dei principali sostenitori, è incrinato da tempo: Juju lo ha criticato più volte per la sua poca capacità di “leadership” e Zuma adesso sembra volerne la testa. Gli eventi di ieri non avranno contribuito a rassicurare l’establishment sudafricano, soprattutto quello bianco: migliaia di giovani supporter di Malema si sono scontrati con la polizia e hanno preso di mira giornalisti e fotografi nel centro di Johannesburg, mentre all’interno della sede dell’Anc si riuniva la commissione che potrebbe deciderne l’espulsione dal partito. «Siamo preparati a prendere le armi e ad uccidere per lui», ha dichiarato uno dei manifestanti. «Non ci facciamo intimidire», è stata la risposta del segretario generale dell’Anc. Juju, con un curriculum scolastico così disastroso da essere diventato proverbiale in Sudafrica e la sua retorica tanto populista quanto sgrammatica, per anni non è stato considerato un “at- tore” serio della politica della nazione arcobaleno. Ma dopo la sua trionfale rielezione alla guida del ramo giovanile dell’Anc e i suoi attacchi sempre più mirati contro il presidente Zuma, in molti hanno visto in lui l’ambizione di sedere un giorno sulla poltrona che era stata di Mandela. «È un dittatore in standby», ha detto Helen Zille, leader del principale partito di opposizione, Alleanza Democratica. I media hanno cominciato a indagare più aggressivamente sul suo stile di vita fastoso e sui generosi contratti pubblici accordati a società a lui vicine. Ma questo non è bastato, finora, a rompere il legame di Malema con le masse di giovani neri delle township, dove la disoccupazione giovanile supera il 50% e in alcune zone sono analfabete due persone su tre. Se il loro Juju dovesse essere giudicato colpevole dall’Anc, la loro rabbia potrebbe diventare incontenibile. 11 STATI UNITI. BRUCIATI 30 MILIARDI Gli enormi sprechi delle guerre in appalto ! Oltre a rappresentare iniziative di dubbio suc- cesso, gli interventi dell’esercito americano in Iraq e in Afghanistan hanno prodotto sprechi di denaro pubblico per un totale di trenta miliardi di dollari. Secondo quanto scritto nel rapporto della Commissione per il contracting nelle due guerre, gli Stati Uniti hanno dissipato circa un sesto del denaro destinato a pagare i servizi offerti dai mercenari specializzati e in fondi necessari alla ricostruzione. La cifra potrebbe raddoppiare se al termine delle ostilità i governi locali non volessero o non fossero in grado di sostenere i progetti finanziati dai contribuenti americani. Gli sperperi sarebbero da imputare a una sbagliata pianificazione, a requisiti per l’assegnazione degli appalti vaghi e mutevoli, a un management di basso livello, alla mancanza di responsabilità e al poco coordinamento tra le varie agenzie. Alla radice della questione c’è però la ristrettezza del numero degli effettivi e l’impossibilità per gli Usa di condurre prolungate operazioni belliche senza l’apporto di una vasta forza di contractors, le società private che forniscono servizi alla Difesa americana. Per ingrossare le file dei contingenti impiegati, il Pentagono include i mercenari nel calcolo totale. Con il risultato che tanto in Iraq quanto in Afghanistan il loro numero è stato pari o addirittura superiore a quello dei soldati regolari (circa 260mila accorpando le due guerre). Mentre l’impellente necessità di supplire alle mancanze di organico spesso costringe il governo federale ad assegnare gli appalti senza regolare gara o a incaricare elementi non addestrati a sufficienza a situazioni di estrema pericolosità: emblematico è il caso di decine di semplici guardie di sicurezza che, una volte giunte sul teatro di guerra, vengono impiegate in pieno combattimento. Per non parlare dell’attività di lobbying effettuata a livello politico da potentissime società private - come la Kbr o la Halliburton - che in molte circostanze sono riuscite a far lievitare i costi dei propri contratti e a vedersi approvati progetti di controversa utilità. A preoccupare la Commissione ci sono anche i colossali investimenti effettuati nelle due nazioni che già si sono rivelati inutili o che potrebbero diventarlo alla fine della guerra. Tra questi una prigione realizzata in Iraq - per una spesa di 40 milioni di dollari - che le autorità locali non volevano e per questo non è mai stata completata. Oppure una centrale elettrica da 300 milioni costruita in Afghanistan, malgrado il governo di Kabul non possieda la capacità tecnologica per sfruttarla, o anche strutture da destinare alle forze di sicurezza afghane costate 11 miliardi e ora a forte rischio sostenibilità. Una beffa per i contribuenti ma anche un danno rilevante per la politica estera e un volano involontario per la corruzione locale. La Commissione - composta da otto membri, tra cui ex funzionari del governo e legislatori - presenterà oggi le sue quindici raccomandazioni per ridurre le perdite. Come la designazione di un ufficiale che partecipi alle riunioni dell’Ufficio per il Budget del Congresso e a quelle del Consiglio per la Sicurezza Nazionale, in modo da rendere più efficiente l’allocazione delle risorse. La creazione di un ispettore permanente che determini l’ampiezza dei contingenti e ne monitori l’addestramento. E l’obbligo per le autorità competenti di valutare più attentamente la sostenibilità corrente e futura di ogni progetto in cantiere. «Se il Congresso e l’amministrazione Obama adotteranno le nostre raccomandazioni - si legge in un articolo pubblicato ieri dal Washington Post a firma di due membri della Commissione - il Paese risparmierà denaro nelle operazioni di guerra e otterrà risultati economici migliori». DARIO FABBRI