Ralph Waldo Emerson NATURA* (1836) I. Natura Per entrare in una
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Ralph Waldo Emerson NATURA* (1836) I. Natura Per entrare in una
Ralph Waldo Emerson NATURA* (1836) I. Natura Per entrare in una condizione di solitudine l’uomo ha bisogno di allontanarsi tanto dalla propria stanza che dalla società. Mentre leggo e scrivo non sono in solitudine, anche se non c’è nessuno con me. Ma se un uomo vuole davvero stare solo, guardi le stelle. I raggi che provengono da quei mondi celesti stabiliranno una separazione tra lui e le cose tangibili. Si potrebbe pensare che l’atmosfera sia stata creata trasparente proprio allo scopo di dare all’uomo, attraverso i corpi celesti, la perpetua presenza del sublime. Quanto sono grandiosi, visti dalle strade delle città! Se le stelle apparissero una sola notte ogni mille anni, davvero potrebbero gli uomini credere e adorare, e serbare per tante generazioni il ricordo della città di Dio che è stata loro mostrata! Ma spuntano ogni notte questi messaggeri di bellezza, e illuminano l’universo con il loro sorriso ammonitore. Le stelle destano una certa riverenza perché, seppur sempre presenti, sono inaccessibili; nondimeno, tutti gli oggetti naturali suscitano un’impressione analoga quando la mente è aperta alla loro influenza. La natura non indossa mai un’apparenza mediocre. E l’uomo più sapiente non riesce a estorcerne il segreto, né perde la sua curiosità quand’anche ne abbia scoperto tutta la perfezione. La natura non diventa mai un trastullo per uno spirito saggio. I fiori, gli animali, le montagne riflettono la saggezza della sua ora migliore, così come hanno deliziato la semplicità della sua infanzia. Quando parliamo di natura in questo modo, abbiamo in mente un sentimento preciso, benché estremamente poetico. Intendiamo l’unità dell’impressione prodotta dai molteplici oggetti naturali. È questo ciò che distingue il legname del taglialegna dall’albero del poeta. L’incantevole paesaggio che ho visto questa mattina è senza dubbio costituito da venti o trenta fattorie. Miller possiede questo campo, Locke quell’altro e Manning il bosco più in là. Nessuno di loro, però, possiede il paesaggio. Vi è una proprietà all’orizzonte che non appartiene a nessuno, se non a colui il cui occhio è capace di assemblare tutte le parti, cioè il poeta. È questa la parte migliore delle fattorie di quegli uomini, a cui tuttavia nessun atto di proprietà dà diritto. A dire il vero, sono pochi gli adulti in grado di vedere la natura. La maggior parte delle persone non vede il sole; o, quantomeno, ne ha una visione molto * R.W. Emerson, Natura, Donzelli, Roma 2010, pp. 21-24; 26-33. superficiale. Il sole si limita a illuminare l’occhio dell’uomo, laddove splende nell’occhio e nel cuore del fanciullo. Ama la natura colui i cui sensi interni ed esterni sono ancora autenticamente in sintonia tra loro, colui il quale ha conservato lo spirito dell’infanzia fin nell’età adulta. Il rapporto che costui intrattiene con il cielo e la terra diviene allora parte del suo nutrimento quotidiano. Al cospetto della natura l’uomo è pervaso da un piacere selvaggio, anche in presenza di sofferenze reali. Dice la Natura: «Egli è una mia creatura e, a onta dell’insolenza delle sue pene, con me starà bene». Non soltanto il sole e l’estate, ma ogni ora e ogni stagione apportano il proprio tributo di piacere, poiché ogni ora e ogni cambiamento corrispondono e autorizzano un diverso stato d’animo, dal meriggio soffocante alla più cupa mezzanotte. La natura è uno scenario che ben si adatta tanto a un’opera comica che a un’opera tragica. Se si è in buona salute, l’aria è un cordiale dalle incredibili virtù. Attraversando un terreno brullo all’imbrunire, tra pozzanghere di neve, sotto un cielo nuvoloso e senza alcun particolare motivo di ottimismo nei miei pensieri, ho goduto di un momento di perfetta euforia. Sono così contento da averne quasi paura. Anche nel bosco l’uomo si libera dei propri anni come un serpente della sua pelle e, a qualunque età, è sempre un bambino. Nei boschi è l’eterna giovinezza. All’interno di queste piantagioni di Dio regnano decoro e sacralità, qui una festa perenne è allestita, e l’ospite non vede come potrà mai stancarsene, passassero anche mille anni. Nei boschi torniamo alla ragione e alla fede. Lì sento che niente può accadere alla mia vita: nessuna disgrazia o calamità (purché mi si lascino gli occhi) che la natura non possa sanare. In piedi sulla nuda terra – con la testa inondata dall’aria gioiosa e sollevata verso lo spazio infinito – ogni egoismo meschino svanisce. Divento una pupilla trasparente; non sono niente, vedo tutto; le correnti dell’Essere Universale mi attraversano; sono una parte o una particella di Dio. Il nome dell’amico più caro suona allora estraneo e accidentale: essere fratelli o semplici conoscenti, padroni o servi, è una quisquiglia e un impiccio. Sono l’amante della bellezza incontenibile e immortale. Nella natura selvaggia trovo qualcosa di più caro e congeniale che non nelle strade o nei villaggi. Nel paesaggio placido, e soprattutto nella lontana linea dell’orizzonte, l’uomo scorge qualcosa di altrettanto bello della sua stessa natura. II piacere più grande che i campi e i boschi procurano è l’indizio di una relazione nascosta tra l’uomo e il regno vegetale. Non sono solo e irriconosciuto. Esso mi fa cenni e io ricambio. L’ondeggiare dei rami nella tempesta è per me nuovo e antico a un tempo. Mi coglie di sorpresa ma non mi è sconosciuto. Il suo effetto è simile a quello di un pensiero più elevato o di un’emozione migliore che mi investono quando credevo di pensare in modo giusto e di agire rettamente. Eppure, è certo che il potere di produrre una gioia siffatta non risiede nella natura, bensì nell’uomo o nell’armonia tra i due. È necessario usare di questi piaceri con grande temperanza. La natura, infatti, non è sempre parata a festa, e la 2 scena che ieri emanava profumi e luccicava come per l’allegra danza delle ninfe, oggi è soffusa di malinconia. La natura indossa sempre i colori dello spirito. Per un uomo gravato dalla sventura, l’ardore del suo stesso fuoco ha un che di triste. Vi è poi una sorta di disprezzo verso il paesaggio da parte di chi ha perso da poco un amico caro. Il cielo è meno grandioso quando si richiude sui meno degni tra gli uomini. III. Bellezza La natura soddisfa una più nobile esigenza dell’uomo: l’amore per il Bello. Gli antichi Greci chiamavano il mondo kosmos, «bellezza». Le cose sono costituite in modo tale, o tale è il potere plastico dell’occhio umano, che le forme primarie, come il cielo, la montagna, l’albero o l’animale ci procurano piacere in sé e per sé; un piacere che scaturisce dal profilo, dal colore, dal movimento e dall’insieme, e che, in parte, sembra dovuto all’occhio stesso. L’occhio è il migliore degli artisti. Dalla mutua azione tra la sua struttura e le leggi della luce nasce la prospettiva, che integra ogni massa di oggetti, di qualsiasi natura, in un globo dai colori e dalle sfumature armoniose tale che, per quanto i singoli oggetti siano mediocri e insignificanti, il paesaggio che compongono è rotondo e simmetrico. Se l’occhio è il miglior compositore, la luce è il primo dei pittori. Non esiste oggetto tanto ripugnante che una luce intensa non possa rendere bello. L’eccitazione che procura ai sensi e una sorta di infinitezza che possiede, come il tempo e lo spazio, rendono gioiosa tutta la materia. Persino il cadavere ha una propria bellezza. Ma, oltre a questa grazia generale diffusa su tutta la natura, quasi ogni singola forma è gradita all’occhio, come dimostra la nostra incessante imitazione di alcune di esse, ad esempio la ghianda, il grappolo, la pigna, la spiga, l’uovo, le ali e la figura di molti uccelli, l’artiglio del leone, il serpente, la farfalla, la conchiglia, le fiamme, le nuvole, le gemme, le foglie e le forme di molti alberi, come la palma. Per un esame più accurato, possiamo suddividere le caratteristiche della Bellezza in tre categorie: 1. In primo luogo, la semplice percezione delle forme naturali è un piacere. L’influenza delle forme e delle azioni della natura è così necessaria all’uomo che, nelle sue funzioni più basse, essa sembra collocarsi al confine tra utilità e bellezza. Per il corpo e la mente oppressi da un lavoro o da una compagnia nocivi, la natura è una medicina che ridà vigore. II commerciante o l’avvocato si allontanano dal fracasso e dalle brighe della strada, guardano il cielo e il bosco e tornano esseri umani. In quella calma eterna ritrovano se stessi. La buona salute dell’occhio sembra reclamare un orizzonte. Non siamo mai stanchi finché possiamo guardare abbastanza lontano. 3 In altri momenti, invece, la Natura appaga per la sua grazia, ma senza alcuna mescolanza di benefici per il corpo. Dalla cima della collina di fronte vedo lo spettacolo del mattino che si staglia oltre la mia casa, dalle prime luci dell’alba al sorgere del sole, provando emozioni che un angelo potrebbe condividere. Le strie lunghe e sottili di una nuvola fluttuano come pesci in un mare di luce vermiglia. Da terra, come da una riva, appunto lo sguardo su questo mare silente. Mi pare di partecipare alle sue rapide trasformazioni: la viva malia raggiunge la mia polvere e io mi dilato e spiro con il vento del mattino. Con così pochi e semplici elementi la Natura ci rende simili a dèi! Mi si dia la salute e un giorno e renderò ridicolo il fasto degli imperatori. L’alba è la mia Assiria, il tramonto e il sorgere della luna sono la mia Pafo e inimmaginabili regni fatati; il pieno meriggio sarà la mia Inghilterra dei sensi e dell’intelletto; la notte sarà la mia Germania di filosofia mistica e sogni. Non meno eccelso, se non per la nostra minore sensibilità nel pomeriggio, è stato il fascino, l’altra sera, di un tramonto di gennaio. Le nuvole da occidente si sfrangiavano in fiocchi rosa soffusi di sfumature d’ineffabile delicatezza e l’aria era pervasa da una tale vitalità e dolcezza che fu un dolore rientrare in casa. Che cosa voleva dire la natura? C’era forse nella vivida quiete della valle dietro il mulino un qualche significato che Omero o Shakespeare non avrebbero potuto ricreare per me in parole? Gli alberi spogli diventano spire di fuoco al tramonto sullo sfondo del blu dell’oriente, e le stelle dei calici morti dei fiori e ogni germoglio e stoppia avvizzita orlata di gelo contribuiscono in qualche modo a questa muta melodia. Gli abitanti delle città credono che il paesaggio della campagna sia piacevole solo per metà dell’anno. Io mi delizio delle bellezze del paesaggio invernale, e sono convinto che esso ci colpisca quanto le benefiche influenze dell’estate. Per l’occhio attento ogni momento dell’anno ha la sua particolare bellezza e, guardando lo stesso campo, esso scorge, a ogni ora, un quadro che mai si è visto prima e mai più si vedrà in seguito. I cieli cambiano ogni istante e riflettono il loro splendore o la loro cupezza sui terreni sottostanti. Lo stato delle coltivazioni nei campi delle fattorie circostanti cambia l’aspetto della terra di settimana in settimana. Il susseguirsi delle piante spontanee nei pascoli e sul ciglio delle strade, orologio silenzioso attraverso cui il tempo scandisce le ore dell’estate, renderà leggibile a un osservatore attento perfino lo scorrere del giorno. Le tribù di uccelli e d’insetti, puntuali al loro tempo come le piante, si succedono le une le altre, e l’anno ha spazio per tutti. Lungo i corsi d’acqua la varietà è ancora maggiore. A luglio la pontederia blu fiorisce in ampie colonie nelle zone meno profonde del nostro bel fiume e brulica di gialle farfalle in continuo movimento. L’arte non può rivaleggiare con questo trionfo di viola e di oro. Il fiume è davvero una festa perenne e sfoggia ogni mese un ornamento diverso. Tuttavia, questa bellezza della Natura, vista e percepita come bellezza, non è che la parte minore. Gli spettacoli del giorno, la rugiada del mattino, 4 l’arcobaleno, le montagne, i frutteti in fiore, le stelle, il chiaro di luna, le ombre sull’acqua immobile e simili, quando vengono ricercati con troppa avidità, diventano mera apparenza e si prendono gioco di noi con la loro irrealtà. Esci di casa per vedere la luna e la luna non è che un lustrino; non ci rallegra come quando la sua luce splende sopra un viaggio dettato dalla necessità. La bellezza che balugina nei gialli pomeriggi d’ottobre, chi potrebbe mai afferrarla? Ti protendi per raggiungerla ed è già sparita; è solo un miraggio, come quando guardi dal finestrino della carrozza. 2. La presenza di un qualcosa di più elevato, ossia dell’elemento spirituale, è essenziale alla perfezione della natura. La nobile, divina bellezza che può essere amata senza mollizia è quella che si trova in combinazione con la volontà umana. La bellezza è il marchio che Dio appone sulla virtù. Ogni azione naturale è ricolma di grazia. Ogni atto eroico è altresì decoroso, fa risplendere il luogo in cui è compiuto e chi vi assiste. Le grandi gesta ci insegnano che l’universo appartiene a ogni singolo individuo che lo abita. Ogni creatura razionale possiede tutta la natura come sua dote e patrimonio. È sua, se vuole. Se ne può privare, può strisciare in un angolo e abdicare al suo regno, come fa la maggior parte degli uomini, ma l’uomo in virtù della sua stessa costituzione ha diritto al mondo. In proporzione alla forza del suo pensiero e della sua volontà l’uomo assume il mondo dentro di sé. «Tutto ciò per cui l’uomo dissoda, costruisce e solca i mari, obbedisce al valore», dice Sallustio. «I venti e le onde – dice Gibbon – sono sempre dalla parte dei naviganti più abili». Lo stesso vale per il sole e la luna e tutte le stelle del cielo. Quando viene compiuta una nobile azione, può capitare che avvenga in uno scenario di grande bellezza naturale, come quando Leonida e i suoi trecento martiri impiegarono un giorno a morire, e il sole e la luna vennero a turno a guardarli una volta nella ripida forra delle Termopili, o quando Arnold von Winkelried, in cima alle Alpi, all’ombra della valanga, accolse nel suo fianco un fascio di lance austriache per forzare le linee nemiche a vantaggio dei suoi compagni: non hanno forse questi eroi il diritto di aggiungere la bellezza della scena alla bellezza della loro azione? Quando la nave di Colombo si avvicina alle coste d’America – davanti alla spiaggia assiepata di selvaggi che sciamano fuori dalle loro capanne di giunchi, dietro il mare e tutt’intorno le montagne purpuree dell’Arcipelago indiano – è forse possibile separare l’uomo dal vibrante scenario? Il Nuovo Mondo non avvolge forse la forma umana con palmizi e savane come il più acconcio dei drappi? La bellezza naturale s’insinua come l’aria e avviluppa le azioni nobili. Quando Sir Harry Vane fu trascinato, seduto su una slitta, su Tower Hill per patire la morte, reo di essere stato il paladino delle leggi inglesi, qualcuno della folla gli gridò: «Mai avesti scanno più glorioso». Carlo II, per intimidire i cittadini di Londra, ordinò che il patriota Lord Russell venisse condotto al patibolo su una carrozza aperta attraverso le principali strade della città. «Eppure – dice il suo biografo – alla folla 5 sembrò di vedere la libertà e la virtù sedute al suo fianco». In luoghi nascosti, tra sordidi oggetti, un atto di verità e di eroismo sembra attrarre immediatamente il cielo a sé perché gli faccia da tempio, e il sole da candela. La natura tende le braccia per stringerci a sé, purché i nostri pensieri siano adeguati alla sua grandezza. Ben volentieri essa segue i passi dell’uomo con la rosa e la violetta e flette le sue linee d’immensità e di grazia per ornare il suo figlio diletto. Basta che i pensieri dell’uomo abbiano la stessa ampiezza della natura e la cornice sarà adatta al quadro. L’uomo virtuoso vibra all’unisono con le opere della natura, e costituisce la figura centrale della sfera visibile. Omero, Pindaro, Socrate, Focione ben si associano nella nostra mente alla geografia e al clima della Grecia. I cieli e la terra visibili sono in sintonia con Gesù. E nella vita di tutti i giorni chiunque abbia incontrato una persona dalla tempra energica e dal brillante ingegno avrà notato come costui trascini facilmente ogni cosa con sé – le persone, le opinioni e il giorno – e come la natura diventi ancella dell’uomo. 3. V’è ancora un altro aspetto sotto il quale può essere considerata la bellezza del mondo, ovvero il suo divenire oggetto dell’intelletto. Oltre al rapporto con la virtù, le cose intrattengono un rapporto anche con il pensiero. L’intelletto cerca di scoprire l’ordine assoluto delle cose, così come si trovano nella mente di Dio, senza le coloriture emotive. La facoltà dell’intelletto e la facoltà dell’azione sembrano darsi il cambio, cosicché l’attività esclusiva dell’uno genera l’attività esclusiva dell’altra. Vi è una sorta di inimicizia reciproca, eppure sono come le fasi alterne del nutrimento e del lavoro negli animali: l’una prepara e sarà seguita dall’altra. Dunque la bellezza che, come abbiamo visto, in rapporto alle azioni giunge senza sollecitazione alcuna, e proprio perché non sollecitata giunge, poi rimane per essere percepita e ricercata dall’intelletto; e quindi, a sua volta, dalla facoltà dell’azione. Niente che sia divino muore. Tutto ciò che è buono si riproduce in eterno. La bellezza della natura si riforma nella mente, e non per una sterile contemplazione, ma per una nuova creazione. Tutti gli uomini sono colpiti, in maggiore o minore misura, dal sembiante del mondo; alcuni fino alla gioia. Questo amore del bello è il Gusto. Altri nutrono questo stesso amore talmente all’eccesso che, non contenti di ammirarlo, cercano di incarnarlo in forme nuove. La creazione del bello è l’Arte. La produzione di un’opera d’arte fa luce sul mistero dell’umanità. Un’opera d’arte è un compendio o un’epitome del mondo. È il risultato o l’espressione della natura, in miniatura. Infatti, per quanto le opere della natura siano innumerevoli e tutte diverse, il risultato o l’espressione di tutte è al tempo stesso simile e unica. La Natura è un mare di forme profondamente affini e persino singolari. Una foglia, un raggio di sole, un paesaggio, l’oceano lasciano nella mente impressioni analoghe. Ciò che è comune a tutte – la perfezione e l’armonia – è la bellezza. Il criterio della bellezza è l’intero circuito delle forme naturali, la totalità della natura: 6 ciò che gli italiani esprimono definendo la bellezza «il più nell’uno». Niente è davvero bello da solo, niente è bello se non nell’insieme. Un singolo oggetto è bello fintantoché evoca questa grazia universale. Il poeta, il pittore, lo scultore, il musicista, l’architetto, tutti loro cercano di far convergere questa radiosità del mondo in un unico punto e ciascuno di essi, nelle diverse opere, cerca di soddisfare l’amore per il bello che li spinge a produrre. Pertanto, l’Arte è una natura filtrata dall’alambicco dell’uomo. E dunque nell’arte la natura opera attraverso la volontà di un uomo colmo della bellezza delle opere prime della natura stessa. Per l’anima, dunque, il mondo esiste allo scopo di soddisfare il desiderio di bellezza. Chiamo questo elemento fine ultimo. Non si può chiedere né fornire alcuna ragione del perché l’anima cerchi la bellezza. La bellezza, nel senso più ampio e profondo del termine, è un’espressione dell’universo. Dio è il Bello assoluto. La verità e la bontà e la bellezza non sono che volti diversi dello stesso Assoluto. Ma la bellezza nella Natura non è ultima. È l’araldo di una bellezza interiore ed eterna, e da sola non è un bene solido e appagante. Deve porsi come una parte e non come l’espressione ultima e più elevata della causa finale della natura. 7