Il presente ed il futuro della poesia d Vittorio Monaco
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Il presente ed il futuro della poesia d Vittorio Monaco
Il presente ed il futuro della poesia d Vittorio Monaco Presentazione del concerto dei Discanto, “Serenata fuori stagione” Pettorano sul Gizio, 12 agosto 2010 Non è facile trovare le parole giuste per spiegare il motivo che ci ha spinto a ricordare Vittorio Monaco, a quasi un anno dalla sua scomparsa, con un concerto, inserito nell'ambito della rassegna musicale Etnica in piazza. Ad essere protagonista questa sera sarà la sua stessa poesia, musicata dai Discanto. Siamo, infatti, convinti che l'unico modo per coltivare la sua memoria è far parlare lui stesso, fare ascoltare le sue parole. Sarebbe un errore imperdonabile costringere la sua figura di intellettuale, politico e ricercatore dentro comode definizioni: “il mare è in tutte le sue gocce ed ogni goccia è il mare”, come lui stesso ha scritto. Questa sera vorremmo suggerire, insieme ad un esercizio di memoria, di ascoltare le sue parole, le sue poesie, da un punto di vista diverso. Proviamo a proiettare i contenuti dei suoi versi nel presente e nell'immediato futuro. Proviamo a considerare la sua scrittura come un seme ancora produttivo. Vittorio ha dato voce, poeticamente e politicamente, alle classi sociali subalterne: contadini, carbonai, operai. Un mondo in cui non esiste l’egoismo individualista, ma la coralità, la collettività, come nel canto popolare, in cui l’autore si dissolve nell’opera, senza lasciare traccia. Vittorio di questo mondo ha denunciato lo sfruttamento, le condizioni sociali di marginalizzazione, l'emigrazione forzata. Non si tratta solo di una realtà del passato, ma è l'attualità: oggi le fatiche ed i mestieri possono essere diversi, ma si rifanno vive – con la stessa crudeltà di allora – le violenze sociali, la precarietà esistenziale come strumento di controllo, lo sfruttamento del lavoro. È stato di recente affermato che questo che stiamo vivendo è l'unico momento della storia della civiltà in cui i figli stanno peggio dei padri. E ancora, di nuovo, c'è “chi ne l'assaggia e chi s'empie la vocca”. Vittorio ha voluto recuperare la cultura della civiltà contadina, sia attraverso lo studio dei suoi fenomeni e delle sue radici storiche sia attraverso la rivitalizzazione concreta di alcune di queste manifestazioni. Non è stata una operazione anacronistica e paesana, ma un'azione perfettamente in linea con le contemporanee correnti culturali e filosofiche. All'allarme pasoliniano della “scomparsa delle lucciole” c'è chi ha risposto con l'indeterminismo e chi con la conoscenza e con l'azione. Per Vittorio era una scomessa forte e coraggiosa sul futuro voler puntare sulla riappropiazione sociale del tempo e sulle relazioni umane, in un momento storico in cui i processi di globalizzazione mettono al centro dell'esistenza dell'uomo solo le merci. Riappropiarsi lentamente ed umanamente del tempo, quello incantato della gioventù, quello sordo e crudele che “fila i jòrne e i cunsuma”, come un ragno che scrosta “na mòsca cascata ‘m miezze i file de na réte”, il tempo che erode dall'interno i paesi, le collettività e gli affetti. Questa sera il tempo si fermerà ad ascoltare di nuovo la voce che per tanti anni, proprio in mezzo a queste strade, ha mosso sentimenti e animato le coscienze: “Cantemme, ca chi canta fa i'amore / tra tanta gènte che se vole male, / o ancòura pégge, nen se vole niènte”. Vittorio nella sua attività politica ha puntato su principi chiari e lineari. Innanzitutto la giustizia sociale: considerava come qualità più importante per un uomo impegnato politicamemte la lotta contro i privilegi e le diseguaglianze sociali. Una passione che lo spingeva a ribadire con ostinazione l’idea che bisogna impegnarsi senza risparmio di energie, fino a quando ci sarà ancora sulla terra un solo uomo in grado di poter comprare un altro uomo. Altro principio forte della sua azione politica è stato la condivisione delle decisioni e delle scelte, talvolta uscendo anche fuori dagli schemi formali. In una attualità politica in cui la massa è sempre più estromessa dai processi decisionali e chiamata solo a ratificare e a subire quanto le viene imposto dai poteri forti, la proposta di una spinta dal basso e di un coinvolgimento socialmente più ampio nella elaborazione dei progetti per il futuro risulta sufficientemente rivoluzionaria. Istanze sociali e rappresentanza politica devono coincidere, devono stare insieme: “chemmà i veche de nu raspe d'ua, / chemmà nu spose avame che la sposa: / e se decive 'i uèjie' oppure 'tu ua', / decive, bene mia, la stessa cosa” Durante gli anni del suo impegno politico a Pettorano, infine, Vittorio tracciò con lucidità e lungimiranza quello che poi sarebbe stato il percorso seguito negli anni successivi e lungo il quale ancora oggi ci si muove: vale a dire il recupero e la conservazione del centro storico, la valorizzazione dell'ambiente e la centralità degli aspetti culturali. E oggi con orgoglio possiamo riconoscergli un grande merito per quello che attualmente è Pettorano. Pertanto, l'immagine di un paese “finito”, svuotato, crollato – che tanto spazio ha avuto nella sua produzione poetica e che deve essere considerata come rappresentazione di realismo storico – nell'ultimo periodo della scrittura di Vittorio ha lasciato spazio ad una nuova immagine, quella di un paese dell'anima e della natura, centro di gravitazione degli affetti e delle passioni del passato e del presente: una sorta di riappropriazione pubblica e privata degli spazi della memoria. E nessun altro testo può essere ricordato per descrivere meglio questo passaggio che Paese mia conchiglia: Paese mia conchiglia mia riserva sognante mia aria di famiglia mia pastura di ghiande mio guscio mio uovo mia chiusa amara mandorla mia bussola mia bandolo mio cammino a ritroso nel mondo troppo grande mia radice mio frutto mio dove dappertutto alveare nel cuore dove invecchia e non muore l'ape dei ricordi che stilla miele e morde. La poesia di Vittorio non è morta, ma è come se fosse appena nata. Ha ancora molte anime da scalfire, molti luoghi da abitare, molti pensieri da guidare. Se la sua principale preoccupazione è stata quella dell’interruzione di questo flusso di comunicazione, di questa “canzone” (“Chèsta canzone mèja è scunsulata, / nen trova la fenèstra che la ‘scota: / i ciejie a une a une so' vulate, // s'henne sfasciate i nide de na vota. / Se pérdene le fronne a l'aria aperta, / se pérdene a iù viente chèste note: / la serenata è sola, e va desèrta…”), possiamo affermare con decisione che questa “canzone” noi pettoranesi (e non solo) la vogliamo ancora suonare: “Sona, strumiente mia, sonala forte, / ‘miezze ‘sta via scuragna sa canzona. / chi nen vole sentì, se faccia fotte! / tu datte sotte uguale a ‘su purtone”. Insomma, Vittorio, “statte cuntiente, / 'ngi sementate viènte”. se uejiune de l'Ammenestrazione