LCN – IL CONSIGLIO DI STATO SOSPENDE L`EFFICACIA DEGLI
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LCN – IL CONSIGLIO DI STATO SOSPENDE L`EFFICACIA DEGLI
LCN – IL CONSIGLIO DI STATO SOSPENDE L’EFFICACIA DEGLI ATTI DEL COMMISSARIO AD ACTA CHE ERA STATO INCARICATO DI RISCRIVERE IL PIANO DI NUMERAZIONE AUTOMATICA DEI CANALI TELEVISIVI DIGITALI TERRESTRI. La notizia La lunga e intricata saga della numerazione automatica dei canali digitali terrestri (LCN) si arricchisce di un nuovo capitolo e sembra avviarsi ad una conclusione, comunque non in tempi brevi. Il 10 aprile scorso il Consiglio di Stato, con due ordinanze emesse in sede cautelare, ha sospeso gli effetti della sentenza del 2013 con cui lo stesso Consiglio di Stato (i) aveva annullato in parte il piano LCN approvato con delibera 237/13/CONS, affermando che AGCOM non si era uniformata a quanto stabilito in precedenti sentenze della medesima corte e (ii) aveva dato incarico ad un Commissario ad acta di “riscrivere” le regole in materia di LCN dando attuazione a quelle sentenze cui AGCOM non avrebbe invece ottemperato. L’effetto delle due ordinanze è ora quello di sospendere gli effetti degli atti finora adottati dal Commissario ad acta (che nel frattempo aveva predisposto una nuova bozza di piano LCN e lanciato una consultazione pubblica su tale bozza) e di “congelare” il quadro attuale fino alla decisione definitiva, che sarà assunta non prima del 17 luglio 2014, quando il Consiglio di Stato esaminerà la questione nel merito. Si tratta dell’ennesimo capovolgimento di fronte che interviene in una vicenda complessa, anzi persino confusa, di cui è opportuno ripercorrere le tappe. Il Piano LCN del 2010 Nel 2010 il decreto Romani ha attribuito all’AGCOM il compito di regolare la posizione dei canali digitali terrestri sul telecomando, ponendo termine al caos che si era determinato in assenza di una apposita normativa. Nello stesso anno AGCOM ha quindi approvato il primo regolamento LCN (delibera 366/10/CONS), sulla scorta del quale il Ministero dello Sviluppo Economico ha proceduto ad assegnare a ciascun canale digitale terrestre una posizione LCN. Il piano LCN del 2010 prevedeva che le posizioni da 1 a 9, così come la posizione 20, fossero assegnate ai canali generalisti nazionali ex analogici, le posizioni da 10 a 19 alle emittenti locali, le posizioni da 21 a 70 ai canali nazionali nativi digitali (ripartiti in sottoblocchi secondo l’ordine dei generi di programmazione indicato dalla legge), le posizioni da 71 a 99 alle emittenti locali. © 2013 Portolano Cavallo Studio Legale Le impugnazioni del Piano LCN del 2010 Come era prevedibile, la regolamentazione di una materia di nevralgica importanza per gli operatori televisivi quale il posizionamento sul telecomando non è andata esente da contestazioni che, lungi dall’esaurirsi sulle pagine dei giornali, si sono rapidamente spostate nelle aule di giustizia. Diverse emittenti, soprattutto locali, hanno infatti impugnato la delibera 366/10/CONS: ne sono seguite numerose pronunce del TAR Lazio (alcune contraddittorie tra loro) e decisioni del Consiglio di Stato che, in sede cautelare, sospendevano gli effetti delle sentenze di annullamento rese in primo grado dal TAR, lasciando quindi intatta l’applicazione del piano LCN del 2010. A fine agosto 2012, con quattro decisioni contestuali, il Consiglio di Stato si è poi pronunciato in via definitiva sul piano LCN del 2010, annullandolo. Al fine di evitare che la televisione digitale terrestre precipitasse in un caos che avrebbe nociuto a operatori e spettatori, la corte ha però consentito ad AGCOM di prorogare, in via temporanea, gli effetti del piano di numerazione esistente fino all’adozione del nuovo regolamento. Le sentenze del 2012 hanno dichiarato illegittima la delibera 366/10/CONS in quanto AGCOM aveva condotto una consultazione pubblica troppo breve, prevedendo un termine di soli 15 giorni entro cui i soggetti interessati avrebbero potuto far pervenire eventuali osservazioni sullo schema di delibera pubblicato, laddove la legge richiede un termine minimo di 30 giorni. Inoltre, il Consiglio di Stato ha ritenuto illegittimi i criteri fissati da AGCOM per l’attribuzione delle numerazioni ai canali locali ed ha imposto all’Autorità di rinnovare l’indagine sulle abitudini degli utenti al fine di verificare se le posizioni 7, 8 e 9 andassero assegnate ad emittenti nazionali o ad emittenti locali. In particolare, risultava problematico il posizionamento di MTV sull’8 e di Deejay TV sul 9, in quanto alcuni operatori sostenevano che prima del passaggio alla televisione digitale la maggioranza degli spettatori italiani avesse collocato un canale locale in quelle posizioni e, inoltre, contestavano che MTV e Deejay TV potessero essere considerati canali generalisti. Il Piano LCN del 2013 Dopo aver condotto una nuova indagine sulle abitudini degli utenti e una nuova consultazione pubblica, questa volta della durata di 30 giorni, per raccogliere le osservazioni degli operatori sulla bozza di piano LCN, nel marzo 2013 AGCOM ha approvato, con delibera 237/13/CONS, il nuovo piano LCN. Tale nuovo piano da un lato consente a MTV e Deejay TV di mantenere le posizioni 8 e 9, dall’altro riduce considerevolmente le posizioni attribuite all’emittenza locale nel primo arco di numerazione, stabilendo che non solo le posizioni da 21 a 70, ma anche quelle da 71 a 96 debbano essere assegnate a canali nazionali nativi digitali. Il giudizio di ottemperanza promosso da Telenorba e il Commissario ad acta Anche il nuovo piano LCN è stato oggetto di diversi ricorsi al TAR, che ancora attendono di essere definiti. © 2013 Portolano Cavallo Studio Legale La nota emittente locale pugliese Telenorba ha invece seguito un diverso approccio, proponendo giudizio di ottemperanza avverso il nuovo piano LCN: in altri termini, Telenorba si è rivolta al Consiglio di Stato, sostenendo che AGCOM ha disatteso quanto stabilito dallo stesso Consiglio nelle sentenze dell’agosto 2012. Il Consiglio di Stato, con una sentenza pubblicata a dicembre 2013, ha accolto il ricorso di Telenorba, ritenendo in particolare che AGCOM non abbia valutato correttamente, nell’assegnazione delle posizioni 8 e 9, i dati sulle abitudini degli utenti come ricostruiti dall’istituto di ricerca che ha condotto l’indagine demoscopica. Di conseguenza, la corte ha nominato un Commissario ad acta incaricato (a) di verificare se, alla luce dei dati di cui AGCOM non avrebbe adeguatamente tenuto conto, le posizioni 8 e 9 andassero assegnate a canali nazionali o a canali locali e (b) di modificare il piano LCN in maniera da conformarlo a quanto statuito nelle sentenze del 2012. Il Commissario ad acta ha predisposto una nuova bozza di piano LCN ed ha lanciato una consultazione pubblica su tale bozza, che da un lato si propone di assegnare la posizione n. 9 ad un canale locale (mentre l’8 resterebbe nazionale) e dall’altro restituisce alle locali le posizioni da 71 a 96 (che invece secondo il piano del 2013 redatto da AGCOM dovrebbero passare a canali nazionali). La nuova pronuncia del Consiglio di Stato: la sospensione dell’attività del Commissario ad acta Le decisioni del Consiglio di Stato sono inappellabili, ma qualora la corte sia incorsa in un errore di fatto, si può chiedere la revocazione della sentenza che è stata condizionata da tale errore. AGCOM e MTV hanno proposto ricorso per revocazione avverso la sentenza del 2013, sostenendo che la corte abbia fondato la sua decisione su dati errati circa le abitudini degli spettatori (in particolare con riferimento al posizionamento dei canali locali prima dello switch off) e che senza tale travisamento di dati di fatto la corte non avrebbe ritenuto AGCOM inottemperante alle sentenze del 2012. Il Consiglio di Stato deciderà sul merito dei ricorsi per revocazione a luglio 2014; in attesa di tale decisione, ha sospeso gli effetti della propria sentenza del 2013 (con cui lo stesso Consiglio di Stato aveva considerato AGCOM inottemperante e aveva nominato il Commissario ad acta) e gli effetti degli atti che nel frattempo sono stati adottati dal Commissario ad acta, inclusa la consultazione pubblica che si sarebbe dovuta svolgere nel corso dell’aprile 2014. Per la prossima puntata, appuntamento al 17 luglio 2014. LA CORTE DI GIUSTIZIA SI PRONUNCIA SULLA FORNITURA TRANSFRONTALIERA DI SERVIZI DI COMUNICAZIONE ELETTRONICA. Con sentenza del 30 aprile 2014, resa nella causa C-475/12 (UPC DTH Sàrl c. Nemzeti Média- és Hírközlési Hatóság Elnökhelyettese), la Corte di Giustizia si è pronunciata in relazione a taluni aspetti relativi alla fornitura transfrontaliera di servizi di comunicazione © 2013 Portolano Cavallo Studio Legale elettronica e alla competenza delle autorità nazionali di regolamentazione in materia di vigilanza su tali servizi. UPC DTH Sàrl (“UPC”) è una società con sede in Lussemburgo che fornisce, a partire da tale paese, un bouquet di servizi di diffusione radiofonica e audiovisiva ad accesso condizionato e via satellite. Tali servizi sono forniti ad abbonati residenti in altri Stati membri. UPC, non essendo proprietaria di impianti satellitari, si avvale a tal fine dei servizi di terzi. Inoltre, essa non effettua alcun controllo editoriale sui programmi trasmessi. La decisione della Corte trae origine da un contenzioso tra UPC e l’autorità ungherese competente nel settore dei servizi di comunicazione elettronica (Nemzeti Média- és Hírközlési Hatóság Elnökhelyettese) circa, in particolare, la legittimità di un’ammenda inflitta ad UPC a seguito del rifiuto di quest’ultima di comunicare all’autorità talune informazioni relative ai rapporti contrattuali con uno dei suoi abbonati residenti in Ungheria. UPC aveva rifiutato di fornire le informazioni richieste in quanto le autorità ungheresi non sarebbero state competenti ad avviare procedimenti di vigilanza nei suoi confronti. A seguito del ricorso di UPC, il Tribunale di Budapest ha rivolto alla Corte di Giustizia alcune questioni pregiudiziali relative, in particolare: • all’interpretazione della direttiva 2002/21/CE che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (cd. Direttiva quadro), e • all’applicazione del principio della libera prestazione di servizi, sancito dall’articolo 56 TFUE, ai servizi forniti da UPC. In particolare: se i procedimenti di vigilanza relativi ai servizi di comunicazione elettronica, come quelli avviati nei confronti di UPC, rientrino nella competenza delle autorità dello Stato membro di residenza dei destinatari dei servizi medesimi ovvero delle autorità dello Stato membro nel cui territorio ha sede il fornitore di tali servizi. Con la sentenza in esame la Corte di Giustizia rileva, in primo luogo, che il servizio fornito da UPC costituisce un “servizio di comunicazione elettronica” ai sensi dell’articolo 2, lettera c), della Direttiva quadro (una questione analoga era stata esaminata dalla Corte nella causa C-518/11, UPC Nederland, con riferimento ad un servizio di fornitura di un bouquet di programmi radiofonici e televisivi accessibile via cavo). Sul punto, la Corte ritiene irrilevante, ai fini della qualificazione della natura del servizio, la circostanza per cui la trasmissione del segnale avviene attraverso un’infrastruttura non appartenente ad UPC. Con riferimento alla questione relativa alla competenza delle autorità nazionali di regolamentazione (nella specie, delle autorità del Lussemburgo – dove UPC ha la propria sede – e dell’Ungheria – dove risiedono i destinatari dei servizi offerti da UPC), la Corte osserva che la fornitura transfrontaliera di servizi da parte di UPC rientra nell’ambito di applicazione della Direttiva 2002/20/CE relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica (cd. Direttiva autorizzazioni). Quest’ultima consente alle autorità nazionali di regolamentazione di chiedere alle imprese le informazioni necessarie per verificare l’osservanza delle condizioni relative alla tutela dei consumatori, a seguito di denuncia o d’ufficio. Ne consegue che i procedimenti di vigilanza relativi ai servizi di comunicazione elettronica, come quello oggetto del procedimento principale, rientrano nella competenza delle autorità dello Stato membro di residenza dei destinatari dei servizi medesimi. © 2013 Portolano Cavallo Studio Legale La Corte ricorda altresì che la Direttiva autorizzazioni consente di imporre la registrazione di un servizio di comunicazione elettronica presso le autorità nazionali di regolamentazione dello Stato membro sul cui territorio il servizio medesimo è fornito (e l’articolo 56 TFUE non osta a che gli Stati membri impongano un obbligo di tal genere). Per contro, gli Stati membri non possono imporre alle imprese che forniscono servizi transfrontalieri di comunicazione elettronica la creazione di una sede secondaria o di una filiale sul loro territorio, in quanto un siffatto obbligo sarebbe contrario al principio della libera prestazione dei servizi. CORTE DI GIUSTIZIA: COPIA PRIVATA CONSENTITA SOLO SE REALIZZATA A PARTIRE DA FONTE LEGALE. Con sentenza del 10 aprile 2014, causa C-435/12 (ACI Adam BV e a. / Stichting de Thuiskopie, Stichting Onderhandelingen Thuiskopie vergoeding), la Corte di Giustizia si è pronunciata in merito all’ambito di applicazione dell’eccezione per copia privata, prevista, a livello comunitario, dall’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della Direttiva 2001/29/CE sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione. Tale norma consente agli Stati membri di prevedere, nel loro ordinamento interno, un’eccezione al diritto di riproduzione degli autori sulle loro opere per quanto riguarda le riproduzioni effettuate da una persona fisica per uso privato e per fini non commerciali, ed impone agli stessi, nel caso in cui introducano tale eccezione, di prevedere la corresponsione di un cd. equo compenso a favore degli autori. La Direttiva 2001/29/CE non precisa se, nell’ambito della determinazione dell’equo compenso, si debba tener conto delle riproduzioni realizzate a partire da una fonte illegale (si pensi, ad esempio, alle copie realizzate per effetto del download non autorizzato da Internet). Con riferimento alla normativa italiana (similmente a quanto previsto in altri Stati membri), si rileva come la legge 633/41 sul diritto d’autore consideri la copia privata solo con riferimento alle fonti lecite di riproduzione. La vicenda oggetto della pronuncia della Corte si riferisce ad una controversia, sorta nei Paesi Bassi, tra alcuni importatori e fabbricanti olandesi (ACI Adam e a.) di supporti informatici vergini, da un lato, e due fondazioni (Stichting de Thuiskopie e SONT) incaricate, la prima, della riscossione e della ripartizione del prelievo per copia privata, e, la seconda, della fissazione dell’importo di tale prelievo. Nello specifico, nel fissare l’importo, la SONT teneva conto del pregiudizio derivante da copie realizzate a partire da una fonte illegale (ovvero, a partire da una copia dell’opera non legittimamente acquisita). L’ACI Adam e a. ritenevano, invece, che l’importo del prelievo non avrebbe dovuto tenere conto del pregiudizio eventualmente derivante ai titolari di diritti d’autore a causa delle copie effettuate a partire da una fonte illegale. La Corte di Giustizia, interpellata dalla Corte di Cassazione dei Paesi Bassi cui ACI Adam e a. si erano rivolti, si è così pronunciata: “ (…) il diritto dell’Unione, in particolare l’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/29, in combinato disposto con il paragrafo 5 di tale articolo, dev’essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento © 2013 Portolano Cavallo Studio Legale principale, che non fa distinzione tra la situazione in cui la fonte a partire dalla quale una riproduzione per uso privato è realizzata è legale e la situazione in cui tale fonte è illegale”. La Corte rileva, dunque, che non può essere tollerata una normativa nazionale che non distingua in alcun modo tra le copie private realizzate a partire da fonti legali e quelle realizzate a partire da fonti contraffatte o riprodotte abusivamente. Secondo la Corte, ammettere che tali riproduzioni possano essere realizzate a partire da una fonte illegale potrebbe pregiudicare il buon funzionamento del mercato interno. Da un lato, infatti, ciò incoraggerebbe la circolazione di opere contraffatte o riprodotte abusivamente, diminuendo così il volume delle vendite legali relative alle opere protette e pregiudicando la normale utilizzazione delle medesime, dall’altro, l’applicazione di una siffatta normativa nazionale potrebbe comportare un pregiudizio ingiustificato per i titolari del diritto d’autore. Inoltre, la Corte ricorda che spetta agli Stati membri che prevedano, nei propri ordinamenti interni, l’eccezione per copia privata garantirne la corretta applicazione. Una normativa nazionale che non fa distinzione tra le copie private legali e quelle illegali non garantisce una corretta applicazione dell’eccezione per copia privata e il fatto che non esista alcuna misura tecnologica di protezione applicabile per contrastare la realizzazione di copie private illegali non rimette in discussione tale constatazione. Infine, la Corte ricorda che il cd. equo compenso “(…) è volto ad indennizzare gli autori per la copia privata di loro opere protette realizzata senza la loro autorizzazione, di modo che esso dev’essere considerato quale contropartita del pregiudizio subito dagli autori, derivante da una siffatta copia non autorizzata da questi ultimi”, e che il sistema di prelievo per copia privata deve mantenere un giusto equilibrio tra i diritti e gli interessi dei titolari dei diritti e quelli degli utilizzatori delle opere. Un sistema di prelievo come quello vigente nei Paesi Bassi, secondo la Corte, non rispetta tale giusto equilibrio, poiché l’importo dell’equo compenso sarebbe calcolato in base al criterio del pregiudizio causato ai titolari dei diritti tanto da riproduzioni realizzate a partire da una fonte legale, quanto da riproduzioni realizzate a partire da una fonte illegale. L’importo così calcolato si ripercuoterebbe, quindi, sul prezzo che gli utenti pagano nel momento in cui vengono loro messi a disposizione apparecchiature, dispositivi e supporti che consentono la realizzazione di copie private. Come già ricordato, la normativa italiana considera la copia privata solo con riferimento alle fonti lecite di riproduzione; i principi espressi dalla Corte con la decisione in esame risultano comunque interessanti anche ai fini del dibattito, in corso in Italia, relativo all’adeguamento dei compensi per copia privata. PRIVACY, DATA RETENTION E SICUREZZA NAZIONALE: FERVE IL DIBATTITO A LIVELLO UE. Il mese appena trascorso è stato caratterizzato a livello europeo da un’intensa attività di analisi, da parte di diversi organismi comunitari, delle norme europee dedicate alla conservazione dei dati di traffico per ragioni di sicurezza e repressione dei reati da parte degli operatori di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico nonché dei gestori di reti pubbliche di comunicazione. Il tema si situa nell’ambito del dibattito più ampio suscitato e dalla consapevolezza acquisita grazie alle rivelazioni di Edward © 2013 Portolano Cavallo Studio Legale Snowden circa le attività di sorveglianza massiva e indiscriminata operate dalle autorità statunitensi. Attività di mass-surveillance che, da quanto è emerso, hanno riguardato anche dati di cittadini europei e la cui scoperta sta conducendo in questi mesi ad un progressiva ridefinizione dei rapporti e delle regole UE-US circa il trattamento e lo scambio di dati personali afferenti ai cittadini europei. In tale contesto, la Corte di Giustizia dell’Unione europea l’8 aprile scorso, con una decisione storica nelle cause riunite C-293/12 e C-594/12 (Digital Rights Ireland e Seitlinger e a.), ha dichiarato invalida la direttiva 2006/24/CE del 15 marzo 2006 relativa alla conservazione dei dati, evidenziandone i profili di contrasto con i diritti fondamentali assicurati ai cittadini europei dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione. La direttiva invalidata dalla Corte era stata emanata sull’onda emotiva determinata dagli attacchi terroristici di Madrid (2004) e Londra (2005) per rafforzare gli strumenti a disposizione delle autorità nazionali per la prevenzione e repressione dagli attacchi terroristici. Sin dalla sua emanazione la direttiva non ha avuto vita facile. Alcuni Stati membri non l’hanno recepita nei tempi previsti e forti perplessità sono state manifestate fin da subito dagli operatori chiamati a sopportare anche i costi connessi alle attività di sorveglianza. La direttiva prevedeva infatti, la raccolta di una vasta quantità di metadata (emittente e destinatario della comunicazione, momento e luogo ove la comunicazione ha avuto origine, frequenza delle comunicazioni intervenute tra determinati soggetti etc) relativi a tutte le comunicazioni effettuate tra cittadini in Europa e disponeva che tali dati, che pur non consentivano di risalire al contenuto delle conversazioni, fossero conservati dagli operatori per un periodo variabile da 6 mesi a 24 mesi. La Corte, con la decisione segnalata - pur riconoscendo come la conservazione dei metadata, e quindi l’ingerenza determinata da tale pratica sui diritti fondamentali dei cittadini, sia giustificata da esigenze di interesse generale quali la repressione e prevenzione di reati particolarmente gravi – evidenzia le criticità determinate da specifiche previsioni della direttiva soffermandosi sui seguenti cinque profili di censura: • il legislatore comunitario non ha operato alcuna differenziazione, limitazione o eccezione in relazione ai gravi reati da perseguire e con riferimento ai soggetti, ai mezzi di comunicazione e alle tipologie di dati da conservare, favorendo pratiche di sorveglianza generalizzata; • la direttiva non circonda di sufficienti garanzie l’accesso ai dati da parte delle autorità nazionali riferendosi genericamente a “gravi reati” e non disciplina le modalità e le procedure da seguire per l’accesso ai dati raccolti; • la direttiva prevede un periodo di conservazione minimo di 6 mesi ed un tempo variabile fino a 24 mesi senza operare alcuna differenziazione in relazione ai casi concreti, lasciando così un’ampia discrezionalità alle autorità nazionali; • la direttiva inoltre non garantisce sufficienti tutele con riferimento ai rapporti tra utenti e operatori, alla gestione dei costi connessi alla conservazione e alla distruzione definitiva e irreversibile dei dati una volta scaduto il termine previsto per la loro conservazione; • infine, ed è questo un punto particolarmente qualificante della direttiva, la stessa non garantisce che i dati conservati siano localizzati entro il territorio dell’Unione europea. Ed è proprio tale ultimo principio di territorialità nella localizzazione dei dati che, enfatizzato dalla Corte, è stato ripreso dall’Article 29 Working Party in una opinion (la © 2013 Portolano Cavallo Studio Legale 4/2014 “[…] on surveillance of electronic communications for intelligence and national security purposes”) pubblicata a due giorni dalla decisione della Corte europea il 10 aprile u.s. Il Working Party esprime soddisfazione per la decisione della Corte di Giustizia sulla direttiva del 2006 e affronta il tema del rapporto tra privacy ed esigenze di sicurezza nazionale sotto il particolare angolo visuale del rapporto UE-US in materia di scambio e conservazione di dati personali. L’idea di base che sembra muovere la riflessione dei garanti europei è che il territorio dell’Unione (e qui il richiamo al principio di territorialità la cui valorizzazione appare quantomeno interessante nel mondo senza confini rappresentato da Internet) e le regole che ci si è dati rappresentino quella “Fortress Europe”, da tanti osteggiata nel dibattito internazionale, in grado di garantire adeguate tutele ai cittadini europei sul fronte data-protection. Una fortezza da proteggere ed esportare, ove possibile, arrivando in tempi brevi all’approvazione del regolamento privacy, come auspicato dal Working Party, ma anche ad una revisione dei rapporti UE-US attraverso la negoziazione di un trattato ad hoc che intervenga nel dettaglio su tutele e limiti da assicurare ai dati di cittadini europei trattati oltreoceano per finalità di sicurezza nazionale. Una visione di ampio respiro quella offerta dal Working Party nell’opinion segnalata che si confronta con l’esigenza a livello europeo di “porre rimedio” al vuoto normativo determinato dall’invalidazione della direttiva sulla conservazione dei dati. Su tale aspetto si confrontano due tesi: una minoritaria che vuole gli atti nazionali di recepimento della direttiva automaticamente caducati dall’intervento della Corte di Giustizia e l’altra tesi, più accreditata, a mente della quale è necessario un intervento dei singoli stati nazionali che sia coerente con le conclusioni cui è giunta la Corte europea nella sua decisione. In attesa quindi, che gli organismi comunitari intervengano a disciplinare nuovamente la materia sulla base delle preziose indicazioni fornite dalla Corte di Lussemburgo, la palla passa quindi ai diversi Stati membri dell’Unione. Sotto tale aspetto mentre alcuni operatori, come si apprende da notizie di stampa, stanno procedendo in autonomia a non conservare più i metadata relativi ai propri utenti alcune autorità nazionali di Paesi membri sono già intervenute ad annullare le proprie norme nazionali di recepimento della direttiva. Su tale fronte volgendo lo sguardo all’Italia non si segnala un particolare attivismo ad eccezione di una nota diffusa dal Garante per la protezione dei dati personali il giorno della pronuncia ma il tema c’è e deve affrontato con sollecitudine al fine di assicurare un quadro normativo stabile, pur tenendo a mente la ragionevole evoluzione cui si perverrà a livello UE, per gli operatori interessati nonché per assicurare la tutela dei diritti dei cittadini secondo quanto disposto dalla Corte europea. CORTE DI GIUSTIZIA UE – VIOLAZIONE DEL DIRITTO D’AUTORE E RESPONSABILITÀ DEI FORNITORI DI ACCESSO AD INTERNET. La Corte di Giustizia, con decisione del 27 marzo 2014, causa C-314/12 (UPC Telekabel Wien GmbH c. Constantin Film Verleih GmbH e Wega Filmsproduktionsgesellschaft mbH), è tornata ad occuparsi dei profili di responsabilità degli Internet service providers e, in © 2013 Portolano Cavallo Studio Legale particolare, dei fornitori di accesso ad Internet, in relazione all’accesso, da parte di abbonati, a materiali protetti messi a disposizione del pubblico su Internet da un terzo. La decisione che si segnala è stata originata dall’iniziativa giudiziaria intrapresa da due società di produzione cinematografica, la Constantin Film e la Wega, nei confronti di un fornitore di accesso ad internet, UPC Telekabel, stabilito in Austria. Le due società, per porre fine alla violazione dei propri diritti commessa dai gestori di un sito internet che trasmetteva in streaming alcuni film da esse prodotti senza i necessari consensi, avevano chiesto ed ottenuto, in via di urgenza, che fosse ingiunto al provider di bloccare l’accesso dei suoi abbonati a tale sito internet. UPC Telekabel riteneva che una tale ingiunzione non potesse essere emessa nei propri confronti, in quanto, (i) esso non poteva essere considerato un intermediario che consentiva la violazione dei diritti delle società di produzione, non avendo alcun rapporto commerciale con i gestori del sito in questione, (ii) non sarebbe stato dimostrato che gli abbonati al servizio di UPC Telekabel avessero agito in modo illecito, e (iii) le misure di blocco ordinate risultavano facilmente aggirabili da parte degli utenti, ed alcune di esse sarebbero state eccessivamente onerose. Nell’ambito di tale giudizio, la Corte suprema austriaca ha rivolto alla Corte di Giustizia alcune questioni pregiudiziali relative all’interpretazione della disciplina comunitaria in materia (di cui alla Direttiva 2001/29/CE), volte, in particolare, a chiarire se, e a quali condizioni, le autorità giurisdizionali degli Stati membri dell’Unione possano ingiungere ad un fornitore di servizi di accesso ad Internet di adottare misure di blocco di siti Internet che mettono a disposizione del pubblico materiali protetti dal diritto d’autore senza la preventiva autorizzazione dei titolari dei diritti. Con la sentenza in esame la Corte di Giustizia ha chiarito che un fornitore di accesso ad Internet che, come UPC Telekabel, consente ai suoi abbonati l’accesso a materiali protetti messi a disposizione del pubblico su Internet da un terzo, è un intermediario i cui servizi sono utilizzati per violare un diritto d’autore ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 3, della Direttiva 2001/29/CE, che prevede la facoltà per i titolari dei diritti di chiedere un provvedimento inibitorio nei confronti di tali intermediari. Per quanto riguarda i caratteri dell’ingiunzione emessa a carico del fornitore di accesso ad Internet, la Corte di Giustizia, dopo aver richiamato la necessità di garantire un giusto equilibrio tra i vari diritti coinvolti, ha chiarito che: “I diritti fondamentali riconosciuti dal diritto dell’Unione devono essere interpretati nel senso che non ostano a che sia vietato, con un’ingiunzione pronunciata da un giudice, a un fornitore di accesso ad Internet di concedere ai suoi abbonati l’accesso ad un sito Internet che metta in rete materiali protetti senza il consenso dei titolari dei diritti, qualora tale ingiunzione non specifichi quali misure tale fornitore d’accesso deve adottare e quest’ultimo possa evitare sanzioni per la violazione di tale ingiunzione dimostrando di avere adottato tutte le misure ragionevoli, a condizione tuttavia che, da un lato, le misure adottate non privino inutilmente gli utenti di Internet della possibilità di accedere in modo lecito alle informazioni disponibili e, dall’altro, che tali misure abbiano l’effetto di impedire o, almeno, di rendere difficilmente realizzabili le consultazioni non autorizzate dei materiali protetti e di scoraggiare seriamente gli utenti di Internet che ricorrono ai servizi del destinatario di questa stessa ingiunzione dal consultare tali materiali messi a loro disposizione in violazione del diritto di proprietà intellettuale, circostanza che spetta alle autorità e ai giudici nazionali verificare”. © 2013 Portolano Cavallo Studio Legale ! BREVISSIME QUOTE EUROPEE E SERVIZI VOD – AGCOM AVVIA CONSULTAZIONE PUBBLICA Con Delibera n. 151/14/CONS del 9 aprile 2014, pubblicata sul sito web di AGCOM in data 6 maggio 2014, AGCOM ha avviato una “Consultazione pubblica sullo schema di modifiche e integrazioni al regolamento in materia di obblighi di programmazione ed inves7mento a favore di opere europee e di opere di produ9ori indipenden7 approvato con delibera n. 66/09/CONS”. Le modifiche proposte si riferiscono, in parLcolare, alle modalità con cui i fornitori di servizi di media audiovisivi a richiesta possono assolvere all’obbligo di promozione delle opere europee. Sul punto, nella Delibera di avvio della consultazione pubblica in oggePo, AGCOM rileva che: “ (…) l’evoluzione vissuta dal se9ore dei servizi audiovisivi a richiesta a livello nazionale ed europeo e le esperienze di altri Sta7 membri consentono di a9ribuire al “rilievo delle opere europee nei cataloghi dei programmi offer7 dal servizio di media audiovisivo a richiesta”, così come previsto dall’ar7colo 44, comma 7, una valenza promozionale di grande efficacia, come dimostrato dagli esempi di altri Sta7 membri che l’hanno ado9ato (…). L’Autorità, sulla scorta delle posi7ve esperienze di altri Paesi, guarda con favore al possibile inserimento, tra i criteri con cui i fornitori di servizi di media audiovisivi a richiesta o9emperano alla promozione della produzione europea audiovisiva, del rilievo delle opere europee nei cataloghi per il tramite di accorgimen7 tecnici quali, a 7tolo esemplifica7vo e non esaus7vo, mediante inserzioni pubblicitarie, pagine web dedicate, strumen7 di ricerca che consentano la corre9a iden7ficazione delle opere europee o l’indicazione del paese di origine di queste, stan7 i vantaggi dal punto di vista dell’effeTvità dell’impa9o promozionale (…)”. Le comunicazioni di risposta alla consultazione pubblica dovranno pervenire entro 30 giorni dalla data di pubblicazione del provvedimento sul sito web dell’Autorità (avvenuta il 6 maggio 2014). Le modalità consultazione sono disponibili a questo indirizzo. TELCO: IL GARANTE PRIVACY AVVIA UNA CONSULTAZIONE PUBBLICA SULLA COSTITUZIONE DI UNA BANCA DATI DEI CLIENTI MOROSI Con delibera del 27 Marzo 2014, il Garante per la protezione dei dati personali ha adottato uno schema di provvedimento che fissa le garanzie da rispettare per la costituzione di una banca dati finalizzata alla verifica dell’affidabilità e della puntualità nei pagamenti nel settore dei servizi di comunicazione elettronica (il cosiddetto “Sit” - Sistema Informatico Integrato). Secondo quanto rappresentato nell’istanza di verifica preliminare presentata da ASSTEL (associazione di categoria che rappresenta operatori di servizi di telecomunicazione fissa e mobile), la banca dati in questione permetterebbe agli operatori di settore di condividere le informazioni sui comportamenti debitori dei clienti delle società telefoniche, consentendo all’operatore ricevente di conoscere, in occasione della presentazione di una richiesta da parte di un nuovo cliente, eventuali posizioni di indebitamento nei confronti dell’operatore cedente. Con la delibera in questione il Garante ha chiarito, in particolare, che: © 2013 Portolano Cavallo Studio Legale • • • • nel Sit potranno essere trattate solo le informazioni rilevanti ai fini della verifica di eventuali inadempimenti del cliente verso gli operatori (ad es., dati anagrafici, codice fiscale o partita iva, importo dovuto per singolo operatore telefonico), con esclusione di altre finalità, quali ricerche di mercato, pubblicità, marketing; non potranno essere, inoltre, trattati dati sensibili o giudiziari, né essere utilizzate tecniche o sistemi automatizzati di credit scoring; in applicazione dell’istituto del bilanciamento di interessi, il trattamento dei dati personali effettuato nell’ambito del Sit potrà essere effettuato anche in assenza del consenso del cliente, al solo fine di verificare le eventuali morosità e nel rispetto delle prescrizioni impartite, purché il cliente, al momento della stipula del contratto, riceva adeguate informazioni; il dato relativo al mancato pagamento sarà inserito nel Sit solo nel caso in cui, dopo tre mesi dalla cessazione del contratto, sussista una morosità superiore ad Euro 100 e solo qualora il cliente, dopo essere stato avvertito dall’operatore dell'imminente iscrizione, non abbia regolarizzato il pagamento; le regolarizzazioni dei tardivi pagamenti dovranno essere comunicate dall’operatore telefonico al Sit entro 24 ore dall’avvenuta conoscenza e il Sit, conseguentemente, dovrà cancellare gli inadempimenti precedentemente registrati al primo aggiornamento settimanale. In ogni caso, prima della costituzione del Sit, operatori e gestore dovranno sottoporre al Garante l’accordo che regola i rapporti tra le parti e, in caso di esito positivo, ogni operatore dovrà inoltrare al Garante una specifica richiesta di verifica preliminare. Contestualmente, il Garante ha avviato una consultazione pubblica sullo schema di provvedimento citato, al fine di acquisire osservazioni e proposte, da parte di tutti i soggetti interessati, in relazione al suo contenuto. I contributi dovranno pervenire entro il 23 Maggio 2014, all’indirizzo di posta elettronica [email protected], indicando nell’oggetto il tema di riferimento. PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE: AGCM ORDINA LA SOSPENSIONE DELL’ATTIVITÀ DI RECUPERO CREDITI CON MODALITÀ SCORRETTE Con provvedimento del 19 Marzo 2014 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM”) ha disposto la sospensione di ogni attività diretta al recupero crediti con modalità scorrette e aggressive da parte di due società, GE.RI. Gestione Rischi S.r.l. ed ELLIOT S.r.l. La misura cautelare si è resa necessaria, a tutela dei consumatori, in ragione della particolare gravità dei mezzi utilizzati dalle società per sollecitare i pagamenti, molti dei quali inesistenti, infondati o prescritti. In particolare, secondo le numerose segnalazioni inviate all’Autorità, la GE.RI., nei primi mesi del 2014, avrebbe sollecitato via posta, email, telefonate ed sms, il pagamento - su incarico di diversi committenti - di presunti crediti, infondati o prescritti, anche minacciando azioni legali. In alcune comunicazioni veniva preannunciata la visita di un funzionario a casa o sul posto di lavoro per “ritentare la composizione bonaria del debito”. In altre, invece, si invitavano i © 2013 Portolano Cavallo Studio Legale consumatori a contattare una numerazione a pagamento “per eventuali comunicazioni” o per delle “verifiche amministrative”, con un costo della chiamata alquanto elevato (la società, tuttavia, ha comunicato di aver attualmente disattivato tale numerazione). Il recupero di alcuni crediti sarebbe stato commissionato dalla ELLIOT S.r.l., società che ha acquistato, dal marzo 2013, a prezzi irrisori rispetto al relativo importo nominale, la titolarità di crediti vantati da altri professionisti. In caso di inottemperanza al citato provvedimento cautelare, AGCM potrà applicare sanzioni fino a cinque milioni di Euro mentre, in caso di reiterata inottemperanza, potrà disporre la sospensione dell’attività di impresa per un periodo non superiore a trenta giorni. I numeri precedenti sono disponibili online sul sito. Se desideri iscriverti al servizio clicca qui. © 2013 Portolano Cavallo Studio Legale