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CASO TARICCO: ANCHE LA CASSAZIONE SOLLEVA QUESTIONE DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE CON RIFERIMENTO ALLA ‘NUOVA PRESCRIZIONE’ IN MATERIA DI GRAVI FRODI IVA NOTA A CORTE DI CASSAZIONE, TERZA SEZIONE PENALE, ORD. 30 MARZO 2016 (DEP. 8 LUGLIO 2016), N. 28346 di Elisa Innocenti Avvocato in Firenze *** A) La questione sollevata dalla Corte di Cassazione Con l’ordinanza in commento, la Suprema Corte di Cassazione ha rilevato profili di illegittimità costituzionale del principio di diritto stabilito dalla Corte di Giustizia Europea (Grande Sezione) nella nota pronuncia Taricco (cfr., sui profili più rilevanti della decisione europea, F. Viganò, Disapplicare le norme vigenti sulla prescrizione nelle frodi in materia di Iva?, in www.penalecontemporaneo.it). Nello specifico, con l’ordinanza n. 28346 depositata l’8 luglio 2016, la Terza Sezione Penale della Suprema Corte ha sollevato questione di legittimità costituzionale “dell’art. 2 della legge 2 agosto 2008, n. 130, che ordina l'esecuzione del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea, come modificato dall'art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 (TFUE), nella parte che impone di applicare l'art. 325, § 1 e 2, TFUE, dalla quale - nell'interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia, 08/09/2015, causa C - 105/14, Taricco - discende l'obbligo per il giudice nazionale di disapplicare gli artt. 160, comma 3, e 161, comma 2, cod. pen., in presenza delle circostanze indicate nella sentenza, allorquando ne derivi la sistematica impunità delle gravi frodi in materia di IVA, anche se dalla disapplicazione, e dal conseguente prolungamento del termine di prescrizione, discendano effetti sfavorevoli per l'imputato, 1 per contrasto di tale norma con gli artt. 3, 11, 25, comma 2, 27, comma 3, 101, comma 2, Cost.”. La recente decisione dei Giudici di Piazza Cavour va dunque ad aggiungersi alla questione di legittimità (simile, ma non coincidente, così come evidenziato dalla stessa Suprema Corte di Cassazione) sollevata dalla Corte d’Appello di Milano con l’ordinanza n. 339 del 18/09/15 (per un commento sulla ordinanza dei Giudici milanesi cfr., P. Faraguna – P. Perini, L'insostenibile imprescrittibilità del reato. La Corte d'Appello di Milano mette la giurisprudenza ''Taricco'' alla prova dei controlimiti, in www.penalecontemporaneo.it). L’ordinanza n. 28346/16 è però estremamente importante poiché si pone in contrasto con le precedenti decisioni di legittimità post Taricco: innanzitutto rispetto alla sentenza n. 2210 della stessa Terza Sezione Penale del 17/09/15 che, in ossequio al dictum della Corte di Giustizia, aveva disapplicato l’ultima parte del comma 3 dell’art. 160 c.p. ed il secondo comma dell’art. 161 c.p. [cfr., Cass. Pen., Sez. III, 17/09/15 (dep. 20/01/16) n. 2210, in Riv. Pen., 2016, 3, 215; per un commento a tale sentenza, G. Gambogi, Per le frodi fiscali in materia di Iva vi è una nuova prescrizione, in Il Penalista, nonché E. Innocenti, Termine di prescrizione più lungo per le “gravi” frodi iva, in Il Tributo n. 15.16]; secondariamente, con la sentenza n. 7914 del 25/01/16 della Quarta Sezione Penale nella quale è stato affermato che il principio della Taricco valgono solo e soltanto per i reati prescritti successivamente alla data di pubblicazione di quest’ultima decisione (cfr., Cass. Pen., Sez. IV, 25/01/16, n. 7914, in Riv. Pen., 2016, 5, 440; per un commento alla sentenza si veda A. Galluccio, La Cassazione di nuovo alle prese con Taricco: una sentenza cauta, in attesa della pronuncia della Corte costituzionale, in www.penalecontemporaneo.it). Giova peraltro evidenziare come, stando ad una notizia riportata sul quotidiano on line ‘Il Corriera della Sera’, anche il Gup di Milano, Dott. Andrea Ghinetti, aderendo all’orientamento sovrannazionale, abbia disposto il rinvio a giudizio di alcuni imputati ai quali erano contestati i reati di frode Iva per un importo di euro 624 milioni e di evasione di 2 imposte dirette per un importo pari ad 766 milioni di euro, reati che, invero, secondo il codice penale, dovevano considerarsi prescritti. B) La fattispecie da cui trae origine la decisione della Terza Sezione È senz’altro utile, per comprendere meglio la portata della decisione, sintetizzare brevemente la fattispecie giudicata dalla Suprema Corte. Nel procedimento penale in questione gli imputati erano stati condannati in primo grado dal Tribunale di Ferrara per il reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di una serie di reati tributari e precisamente: dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture per operazioni inesistenti (art. 2 D.Lgs. n. 74/00), emissione di fatture per operazioni inesistenti (art. 8 D.Lgs. n. 74/00), omesso versamento di Iva (art. 10 ter D.Lgs. n. 74/00) e occultamento o distruzione di documenti (art. 10 D.Lgs. n. 74/00). In secondo grado, la Corte d’Appello di Bologna assolveva alcuni imputati dal reato associativo e dichiarava estinti vari reati tributari per intervenuta prescrizione. Nelle more del giudizio di legittimità, in virtù delle norme sui termini massimi di prescrizione previste dal codice penale, erano poi da considerarsi prescritti ulteriori reati tributari (nello specifico ben 274 condotte criminose oggetto di contestazione ovvero la “la maggior parte degli illeciti oggetto di imputazione” come si evince a pag. 17 della decisione in commento). Alla luce della pronuncia Taricco, tuttavia, si sarebbero dovute senz’altro disapplicare le norme di cui agli artt. 160, ult. comma, e 161, comma 2, c.p., con la conseguente impossibilità di dichiarare la prescrizione invero già maturata. Sussistono infatti nel caso di specie entrambi i requisiti individuati dalla Corte di Giustizia Europea per la disapplicazione delle norme di cui 3 sopra: 1) la pendenza di un procedimento penale riguardante “frodi gravi” in materia di imposta sul valore aggiunto; 2) l’ineffettività delle sanzioni previste in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi dell’Unione Europea. Per quanto attiene al primo requisito, secondo i Giudici di Piazza Cavour, non v’è dubbio che si tratti di una fattispecie di ‘frode’ in materia di Iva. Agli imputati viene infatti contestato il noto meccanismo fraudolento della ‘frode carosello’ realizzata, nel caso di specie, mediante falsa fatturazione e violazione dell’obbligo fiscale in materia di Iva nel commercio di autoveicoli strumentalizzando la normativa in tema di acquisti intracomunitari. La frode in questione, peraltro, come evidenziato nella motivazione dell’ordinanza n. 28346/16, non può non considerarsi grave tenuto conto che il meccanismo fraudolento è stato attuato mediante emissione di migliaia di fatture per imponibili significativi e che l’omesso versamento Iva (limitatamente ai reati di cui agli artt. 5 e 10 ter D.Lgs. n. 74/00) è stato individuato nella somma di €. 1.654.943,32. I Giudici della Terza Sezione Penale, sempre con riferimento al primo requisito, chiariscono che nel concetto di “frode”, rilevante ai fini del decidere, rientrano non solo le fattispecie che prevedono testualmente il carattere della fraudolenza, ma anche quelle condotte non connotate espressamente da tale previsione (ad esempio gli artt. 5 e 10 ter del D.Lgs. n. 74/00) poiché rappresentano le modalità per la realizzazione delle operazioni fraudolente più complesse ed articolate (tra cui proprio le ‘frodi carosello’). Evidente altrimenti la disparità di trattamento tra condotte illecite dirette al medesimo fine: la lesione degli interessi finanziari dell’Unione Europea. 4 In tal senso, peraltro, deporrebbe lo stesso art. 325 TFUE, posto dalla Corte di Giustizia quale base legale per la disapplicazione della normativa italiana in tema di prescrizione, in quanto sancisce testualmente che: “L’Unione e gli Sati membri combattono contro la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’Unione (…)”. Gli Ermellini evidenziano altresì come la nozione di ‘frode’ venga definita dalla Convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità Europee (convenzione PIF) del 1995 all’art. 1 come “qualsiasi azione od omissione intenzionale relativa (...) all'utilizzo o alla presentazione di dichiarazioni o documenti falsi, inesatti o incompleti cui consegua la diminuzione illegittima di risorse del bilancio generale [dell'Unione] o dei bilanci gestiti [dall'Unione] o per conto di ess[a]”. Evidente quindi come nel concetto di frode, rilevante ai fini della disapplicazione delle norme sulla prescrizione, rientrino anche fattispecie penali prive del requisito espresso della fraudolenza nella descrizione normativa della condotta illecita. *** Anche il secondo requisito richiesto dalla Corte di Giustizia Europea per la disapplicazione della normativa sul prolungamento dei termini di prescrizione (quello sul numero considerevole di casi di frode iva) risulta sussistente. Significative, infatti, sono le operazione fraudolente oggetto di contestazione, realizzate nell’arco di circa sei anni con un’evasione iva alquanto considerevole. 5 C) La non manifesta infondatezza della questione sollevata alla luce della dottrina dei “controlimiti” Una volta accertata la ricorrenza nel caso de quo di tutti i presupposti individuati dalla sentenza Taricco, la Suprema Corte di Cassazione rileva però come, nell’ordinamento costituzionale italiano, sussistono dei principi assoluti, dei valori supremi che si pongono, nell’ambito della gerarchia delle fonti, ad un livello superiore rispetto alle altre fonti di diritto ed agli altri principi costituzionali. Vero è che nell’ambito dei rapporti tra ordinamento nazionale e ordinamento europeo la Corte Costituzionale ha riconosciuto il primato del diritto sovranazionale nelle materie di competenze dell’Unione, in virtù delle limitazioni di sovranità cui ha consentito la Stato Italiano sulla base dell’art. 11 della Costituzione (primato evidenziato peraltro nella nota sentenza della Corte Cost. n. 170/84 sentenza Granital: cfr., Corte Cost, 8/06/84, n. 170, in Giur. cost., 1984, I,1098). È altresì vero però come in numerose pronunce della stessa Consulta, tra cui la sentenza n. 238 del 2014 richiamata dalla Suprema Corte di Cassazione, sia stato espressamente sancito che i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e i diritti inalienabili della persona costituiscono «“controlimiti” all’ingresso delle norme dell’Unione europea» (cfr., Corte Cost., 22/10/14, n. 238, in Riv. Dir. Internazionale, 2015, 1, 237). La Corte Costituzionale, infatti, ha sempre mantenuto il proprio sindacato giurisdizionale sulla compatibilità del Trattato della CEE prima, e del TFUE poi, con i predetti principi fondamentali. Come ben evidenziato nella ordinanza n. 28346/16, i controlimiti rappresentano lo strumento per esercitare la sovranità popolare, sovranità che può essere sì limitata ai sensi dell’art. 11 Cost., ma non certo ceduta: “le limitazioni non possono compromettere la dimensione dei principi 6 fondamentali della Costituzione, alterando l’identità costituzionale dell’ordinamento nazionale” (cfr., testualmente, pag. 22 ordinanza n. 28346/16). Orbene, è proprio il mancato rispetto dei principi fondamentali di cui sopra il motivo che ha determinato i Giudici di Piazza Cavour a sollevare questione di legittimità costituzionale. L’obbligo per i Giudici nazionali di seguire il principio di diritto sancito dalla Grande Sezione della Corte di Giustizia Europea (in virtù dell’art. 2 della legge n. 130/08 che ordina l’esecuzione del TFUE, nella parte che impone di applicare l’art. 325 §1 e 2 TFUE), infatti, si pone in contrasto con numerosi principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale. c.1) violazione del principio di irretroattività della legge penale (art. 25, comma 2, Cost.) Il primo principio fondamentale che risulta essere violato è quello della irretroattività della legge penale di cui all’art. 25, comma 2, Cost. Trattasi di violazione di immediata percezione, tanto da essere stata fin da subito rilevata anche dalla Corte di Appello di Milano con l’ordinanza sopra indicata n. 339 del 18/09/15. Nessun dubbio in merito al fatto che il principio in questione sia da considerarsi essenziale: come affermato dalla Corte Costituzionale nella pronuncia n. 394/06, il principio di irretroattività della norma penale sfavorevole “… si pone come essenziale strumento di garanzia del cittadino dagli arbitri del legislatore (….) valore assoluto, non suscettibile di bilanciamento con altri valori costituzionali (…) assolutamente inderogabile” (cfr., Corte Cost., 23/11/06, n. 394, in Giur. it., 2007, 11, 2421). Disapplicando gli artt. 160, ult. comma, e 161, comma 2, c.p., infatti, si allungherebbero i termini di prescrizione anche per fatti commessi prima della decisione Taricco. 7 Per la Corte di Giustizia Europea, non vi sarebbe nessuna violazione del principio di legalità tenuto che, anche alla luce della giurisprudenza della Corte di Strasburgo formatasi sull’art. 7 CEDU, la materia della prescrizione del reato concerne il profilo processuale delle condizioni di procedibilità del reato e quindi soggiacerebbe al principio del tempus regit actum. Per la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, invece, l’istituto della prescrizione avrebbe natura sostanziale, con il conseguente riconoscimento della garanzia dell’irretroattività della norma penale sfavorevole. La convinzione di cui sopra viene sviluppata sulla base di una serie di argomentazioni: 1) la concezione sostanziale della prescrizione emerge, secondo gli Ermellini, dalla interpretazione letterale dell’art. 157 c.p. e dal fatto che nel nostro ordinamento viene ad essere configurata come causa di estinzione del reato: stando ad una lettura congiunta dell’art. 157 c.p. e dell’art. 129 c.p.p., anche in caso di prescrizione del reato, permane un accertamento giudiziale, “sia pure nei limiti dell’evidenza probatoria, che il fatto non sussiste o non è preveduto dalla legge come reato o che l’imputato non lo ha commesso”. Orbene, ne discende, come si evince dalla lettura dell’ordinanza di cui trattasi, che l’art. 157 c.p. non incide sull’azione penale non avendo alcuna efficacia preclusiva per l’adozione di un provvedimento sul merito, ciò in quanto l’istituto della prescrizione non ha natura processuale; 2) altra considerazione si fonda sul fatto che l’art. 25, comma 2, Cost. impedisce di incidere in peius non solo sulla fattispecie incriminatrice e sulla pena, ma anche sui presupposti e sulle condizioni della punibilità tra 8 i quali rientra anche l’istituto della prescrizione (cfr., sulla circostanza che la prescrizione rientra i presupposti della punibilità si veda Corte Cost., 1/08/08, n. 324, in Giur. cost., 2008, 4, 3459), 3) inoltre, viene rilevato come la natura sostanziale della prescrizione sia sempre stata affermata dalla Corte Costituzionale e, recentemente, con la sentenza n. 143 del 28 maggio 2014 (pronuncia nella quale la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del raddoppio dei termini prescrizione previsti per l’incendio colposo: cfr., Corte Cost., 28/05/14, n. 143, in Cass. Pen., 2014, 9, 2913); 4) se si guarda poi alla ratio dell’istituto, così come sostenuto dalla Suprema Corte di Cassazione, la prescrizione rinviene il proprio fondamento nella finalità rieducativa della pena, finalità che sarebbe compromessa dal decorso del tempo. Pertanto, aderendo al principio di diritto sancito dalla pronuncia Taricco, l’allungamento dei termini di prescrizione violerebbe non solo l’art. 25, comma 2, Cost, ma anche il principio costituzionale dell’art. 27, comma 3, Cost; 5) infine, poiché l’istituto della prescrizione tutela il principio della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., ne deriverebbe che anche questo ultimo principio sarebbe irrimediabilmente compromesso dala disapplicazione degli artt. 160, ult. comma, e 161, comma 2, c.p.p. Per i Giudici della Terza Sezione Penale pertanto è erronea la conclusione cui la Quarta Sezione Penale della Stessa Corte è pervenuta con la sopracitata sentenza n. 7914/16: in tale ultima decisone era stato stabilito che l’obbligo di disapplicazione imposto dalla Taricco dovrebbe valere per i soli reati per i quali la prescrizione non fosse ancora maturata al momento della decisione. Tale conclusione, come si evince dalla motivazione dell’ordinanza in commento, si fonderebbe su un duplice presupposto fallace: il primo dato 9 dalla natura processuale della prescrizione, che permetterebbe l’applicazione del principio tempus regit actum; il secondo dato dal fatto che la sentenza della Corte di Giustizia Europea avrebbe natura costitutiva al pari di una fonte del diritto penale. *** Peraltro, volendo ragionare in termini di istituto processuale, si dovrebbe giungere alla conclusione che anche la riforma della prescrizione, da tempo all’esame del Parlamento, come rilevato dai Giudici di Piazza Cavour, debba applicarsi retroattivamente ed in malam partem anche a fatti posti in essere prima della entrata in vigore della suddetta novella. c.2) violazione del diritto di difesa e del principio di uguaglianza (artt. 24 e 3 Cost.) Nell’ordinanza n. 28346/16 viene poi rilevata un’altra importante violazione: quella del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. Il diritto di difesa sarebbe infatti compromesso se l’imputato, sulla base delle informazioni in suo possesso sulla punibilità, e in particolare sui termini di prescrizione, decida di non beneficiare dei riti alternativi previsti dal codice di procedura penale (patteggiamento, giudizio abbreviato ecc) e successivamente, alla luce dei nuovi presupposti più sfavorevoli, non possa più accedervi in quanto decaduto dalla possibilità di esercitare tale facoltà. Non solo. Ne deriverebbe una violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. per chi, nelle medesime condizioni processuali e conscio dei nuovi presupposti di punibilità circa il prolungamento dei termini di prescrizione, abbia invece deciso di avvalersi dei riti alternativi sopra indicati. 10 c.3) violazione del principio di riserva di legge (art. 25, comma 2, Cost.) La pronuncia Taricco violerebbe altresì il principio della riserva di legge in materia penale che rientra a pieno titolo, come ribadito dalla sentenza della Consulta n. 230/12, tra i principi fondamentali dell’ordinamento italiano (cfr., Corte Cost., 12/10/12, n. 230, in Cass. pen., 2013, 2, 628). È ben noto, nell’ambito degli insegnamenti costituzionali, che il principio della riserva di legge sia funzionale ad evitare arbitri del potere esecutivo e di quello giudiziario, al fine di salvaguardare il bene fondamentale della libertà personale. Il monopolio della emanazione delle norme spetta al Parlamento: in tal senso, come prontamente evidenziato dai Giudici di Piazza Cavour, l’art. 117, comma 2 lett. l), Cost. riserva allo Stato, e solo ad esso, la legislazione esclusiva in tema di ordinamento penale. Orbene, è evidente come i presupposti della responsabilità penale possano essere stabiliti solo con legge statale e non già con una decisione della Corte di Giustizia Europea che è organo giurisdizionale privo di legittimazione politica così come si legge nella motivazione dell’ordinanza di cui trattasi. c.4) violazione dei principi di tassatività e determinatezza (art. 25, comma 2, Cost.) e del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) Altra violazione rilevata dalla Suprema Corte di Cassazione è costituita dall’indeterminatezza dei presupposti di ‘frodi gravi’ e ‘numero considerevole di casi di frode grave’ per la disapplicazione delle norme del codice penale in tema di termini massimi di prescrizione. Concetti vaghi e indeterminati quelli di cui sopra, che si pongono in aperto contrasto con lo stesso principio della riserva di legge (da cui discendono i principi di tassatività e determinatezza). 11 Tale ultimo principio richiede che il precetto penale sia formulato dal legislatore in maniera chiara e precisa così da ridurre le scelte applicative dei Giudici: criteri non certo rispettati dalla pronuncia Taricco. Innanzitutto, indeterminato risulta essere il concetto di gravità che non viene quantificato in un importo specifico dalla Corte di Giustizia Europea. Giova evidenziare come nella nota pronuncia europea venga richiamato l’art. 2 della Convenzione PIF che recita testualmente: «…dev'essere considerata frode grave qualsiasi frode riguardante un importo minimo da determinare in ciascuno Stato membro. Tale importo minimo non può essere superiore a [eur] 50 000 (...)». Tale importo però non può certo essere posto a base del giudizio di gravità secondo i Giudici di Piazza Cavour: la somma di €. 50.000,00 risulta difatti incompatibile con le soglie di rilevanza penale previste per i delitti di omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. n. 74/00, nel quale la soglia di rilevanza penale è pari ad €. 50.000,00) e di omesso versamento Iva (art. 10 ter D.Lgs. n. 74/00 che indica la soglia di rilevanza penale in €. 250.000,00 alla luce della modifica apportata con il D.Lgs. n. 158/15), reati quest’ultimi solitamente commessi nell’ambito di operazioni fraudolente. Altrettanto indeterminato risulta essere il concetto di ‘frode e di altre attività illegali’ che ledono gli interessi dell’Unione di cui all’art. 325 TFUE. La Suprema Corte di Cassazione si pone dunque il giusto quesito se, nell’ambito della disapplicazione sancita dalla pronuncia Taricco, rientrino solo i reati con espressa previsione di una condotta fraudolenta nella descrizione normativa della condotta illecita (artt. 2, 3 e 11 D.Lgs. n. 74/00) o anche reati tributari che non prevedono esplicitamente un 12 connotato fraudolento (come gli artt. 4, 5, 8, 10, 10 bis, 10 ter, 10 quater D.Lgs. n. 74/00) o, inoltre, reati comunque potenzialmente lesivi degli interessi finanziari dell’UE come il delitto di truffa cui all’art. 640 bis c.p. Infine, ad una conclusione analoga, i Giudici della Terza Sezione Penale giungono con riferimento al requisito del numero considerevole di casi di frode grave. Nessun dubbio alcuno in merito al fatto che i requisiti posti dalla decisione Taricco per la disapplicazione degli artt. 160, ult. comma, e 161, comma 2, c.p. siano estremamente vaghi e indeterminati e che pertanto sia rimessa al Giudice nazionale ogni decisione in ordine alla loro sussistenza. Il Giudice gode quindi di un totale arbitrio nella valutazione dei presupposti sopra descritti e nella scelta se disapplicare o meno le norme sul prolungamento della prescrizione. Orbene, se si tratta di una decisione rimessa alla singola autorità competente, è evidente, ad avviso della Suprema Corte di Cassazione, la violazione del principio di uguaglianza essendo una “disciplina ‘su misura’ del singolo processo, o del singolo imputato, o, addirittura, di gruppi di imputati”. c.5) violazione dei principi di separazione dei poteri e di sottoposizione del Giudice solo alla legge (art. 101, comma 2, Cost.) e della finalità rieducativa della pena (art. 27, comma 3, Cost.) Alla luce delle considerazioni di cui sopra, la valutazione riservata al singolo Giudice determinerebbe l’assegnazione all’ordine giudiziario di un potere che invero spetterebbe al legislatore. Ne consegue pertanto, come rilevato nell’ordinanza n. 28346/16, una evidente violazione dei principi di separazione dei poteri e della 13 sottoposizione del Giudice soltanto alla legge sanciti all’art. 101, comma 2, Cost. *** Infine, un ulteriore valore che viene in rilievo risulta essere quello della finalità rieducativa della pena (art. 27, comma 3, Cost.). Principio peraltro già stato richiamato nella motivazione dell’ordinanza n. 28346/16, allorquando viene analizzata la violazione del principio di irretroattività della legge penale; l’art. 27, comma 3, Cost. deve essere però ulteriormente richiamato per altro diverso motivo. La decisione della Corte di Giustizia Europea comporta, infatti, che la sanzione penale diventi uno strumento di politica criminale a tutela degli interessi finanziari dell’Unione Europea e non già uno strumento per rieducare il reo così come previsto dalla Carta Costituzionale. Ma v’è di più. La Suprema Corte di Cassazione rileva poi come i termini di prescrizione risultino allungati nel caso di reati che ledono gli interessi finanziari dell’UE, mentre, invece, per i reati lesivi degli interessi dello Stato italiano, il termine di prescrizione rimanga quello stabilito dal codice penale, così riscontrando una ulteriore violazione del principio di uguaglianza (nell’ordinanza in commento si parla infatti di “ingiustificabili sperequazioni di trattamento tra fattispecie omogenee”). D) Osservazioni conclusive Non v’è dubbio che la decisione della Terza Sezione Penale sia estremamente significativa. Trattasi, infatti, come già evidenziato poc’anzi, della prima decisione della Corte di Cassazione in aperto contrasto con i principi espressi dalla Corte di Lussemburgo (cfr., per una critica alla decisione della Corte di Giustizia Europea, R. Bin, Taricco, una sentenza sbagliata: come venirne fuori?, in www.penalecontemporaneo.it). 14 L’ordinanza in commento appare senz’altro condivisibile per due diversi motivi. Innanzitutto, poiché, come rilevato anche da altri autori all’indomani della prima pronuncia della Cassazione post Taricco, i presupposti individuati dalla Corte di Giustizia estremamente vaghi e indeterminati Europea risultano essere (cfr., G. Gambogi, Per le frodi fiscali in materia di Iva vi è una nuova prescrizione, op. cit., soprattutto con riferimento alla tipologia di reati da far rientrare nel concetto di frode). È evidente che, applicando la decisione europea, ne derivi una assoluta libertà per il Giudice nazionale nella valutazione dei presupposti per la disapplicazione delle norme sulla prescrizione. Tale libertà di scelta non può quindi che essere valutata negativamente, se si considera peraltro che la decisione del Giudice nazionale viene ad incidere su di un aspetto di assoluta importanza come quello della libertà personale. Secondariamente, l’ordinanza n. 28346/16, merita ancora più condivisione in virtù della unanime giurisprudenza della Corte Costituzionale in tema di ‘controlimiti’. Sul punto, la Terza Sezione Penale ricorda come l’art. 4.2 del TUE "L'Unione rispetta l'uguaglianza degli Stati membri davanti ai trattati e la loro identità nazionale insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale”, tra cui vi rientrano senza dubbio alcuno anche i principi supremi dell’ordinamento nazionale. Vi è poi una ragione più rilevante che esalta la questione di legittimità posta dai Giudici di Piazza Cavour. Se è vero come è vero che l’art. 325 TFUE è norma sulla produzione delle leggi (al secondo comma viene difatti sancito che: “Gli Stati membri adottano, per combattere contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione, le stesse misure che adottano per combattere 15 contro la frode che lede i loro interessi finanziari”) è altresì vero che la Corte di Giustizia Europea non poteva certo imporre la disapplicazione di norme nazionali. Gli strumenti a disposizione dell’Unione Europea, in caso di mancata adozione di una tutela penale adeguata da parte di uno Stato membro, vengono individuati, alla luce dell’ordinamento sovrannazionale, dalla stessa Terza Sezione Penale: 1) sanzionare con una procedura di inadempimento lo Stato Italiano (art. 258 e ss del TFUE); 2) adottare una direttiva ai sensi e per gli effetti dell’art. 83 TFUE, dopo aver incluso la materia delle frodi nell’ambito delle competenze indirette dell’Unione Europea. La Corte di Giustizia Europea, invece, come perfettamente rilevato dai Giudici di Piazza Cavour, si è arrogata una competenza penale diretta, competenza che invece non le sarebbe spettata. Orbene, non resta che attendere la pronuncia della Consulta sulla questione posta tanto dalla Corte d’Appello di Milano, quanto dalla Terza Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, per capire quale sarà la sorte della prescrizione in materia di gravi frodi Iva. Una circostanza può dirsi però certa: nel caso in cui la Corte Costituzionale addivenga ad una soluzione di perfetta compatibilità con i principi supremi dell’ordinamento nazionale, continuerà a residuare quell’ampio margine di discrezionalità nell’applicazione del principio di diritto stabilito della pronuncia Taricco. 16