Qui il testo integrale dell`approfondimento

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Qui il testo integrale dell`approfondimento
CASO TARICCO: ANCHE LA CASSAZIONE SOLLEVA
QUESTIONE DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE CON
RIFERIMENTO ALLA ‘NUOVA PRESCRIZIONE’ IN MATERIA
DI GRAVI FRODI IVA
NOTA A CORTE DI CASSAZIONE, TERZA SEZIONE PENALE, ORD. 30
MARZO 2016 (DEP. 8 LUGLIO 2016), N. 28346
di Elisa Innocenti
Avvocato in Firenze
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A) La questione sollevata dalla Corte di Cassazione
Con l’ordinanza in commento, la Suprema Corte di Cassazione ha
rilevato profili di illegittimità costituzionale del principio di diritto
stabilito dalla Corte di Giustizia Europea (Grande Sezione) nella nota
pronuncia Taricco
(cfr., sui profili più rilevanti della decisione europea, F. Viganò,
Disapplicare le norme vigenti sulla prescrizione nelle frodi in materia di Iva?, in
www.penalecontemporaneo.it).
Nello specifico, con l’ordinanza n. 28346 depositata l’8 luglio 2016, la
Terza Sezione Penale della Suprema Corte ha sollevato questione di
legittimità costituzionale “dell’art. 2 della legge 2 agosto 2008, n. 130,
che ordina l'esecuzione del Trattato sul funzionamento dell'Unione
Europea, come modificato dall'art. 2 del Trattato di Lisbona del 13
dicembre 2007 (TFUE), nella parte che impone di applicare l'art. 325, §
1 e 2, TFUE, dalla quale - nell'interpretazione fornita dalla Corte di
Giustizia, 08/09/2015, causa C - 105/14, Taricco - discende l'obbligo per
il giudice nazionale di disapplicare gli artt. 160, comma 3, e 161, comma
2, cod. pen., in presenza delle circostanze indicate nella sentenza,
allorquando ne derivi la sistematica impunità delle gravi frodi in materia
di IVA, anche se dalla disapplicazione, e dal conseguente prolungamento
del termine di prescrizione, discendano effetti sfavorevoli per l'imputato,
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per contrasto di tale norma con gli artt. 3, 11, 25, comma 2, 27, comma
3, 101, comma 2, Cost.”.
La recente decisione dei Giudici di Piazza Cavour va dunque ad
aggiungersi alla questione di legittimità (simile, ma non coincidente, così
come evidenziato dalla stessa Suprema Corte di Cassazione) sollevata
dalla Corte d’Appello di Milano con l’ordinanza n. 339 del 18/09/15
(per
un commento sulla ordinanza dei Giudici milanesi cfr., P. Faraguna – P. Perini,
L'insostenibile imprescrittibilità del reato. La Corte d'Appello di Milano mette la
giurisprudenza ''Taricco'' alla prova dei controlimiti, in www.penalecontemporaneo.it).
L’ordinanza n. 28346/16 è però estremamente importante poiché si pone
in contrasto con le precedenti decisioni di legittimità post Taricco:
innanzitutto rispetto alla sentenza n. 2210 della stessa Terza Sezione
Penale del 17/09/15 che, in ossequio al dictum della Corte di Giustizia,
aveva disapplicato l’ultima parte del comma 3 dell’art. 160 c.p. ed il
secondo comma dell’art. 161 c.p. [cfr.,
Cass. Pen., Sez. III, 17/09/15 (dep.
20/01/16) n. 2210, in Riv. Pen., 2016, 3, 215; per un commento a tale sentenza, G.
Gambogi, Per le frodi fiscali in materia di Iva vi è una nuova prescrizione, in Il Penalista,
nonché E. Innocenti, Termine di prescrizione più lungo per le “gravi” frodi iva, in Il
Tributo n. 15.16];
secondariamente, con la sentenza n. 7914 del 25/01/16
della Quarta Sezione Penale nella quale è stato affermato che il principio
della Taricco valgono solo e soltanto per i reati prescritti successivamente
alla data di pubblicazione di quest’ultima decisione
(cfr., Cass. Pen., Sez. IV,
25/01/16, n. 7914, in Riv. Pen., 2016, 5, 440; per un commento alla sentenza si veda A.
Galluccio, La Cassazione di nuovo alle prese con Taricco: una sentenza cauta, in attesa
della pronuncia della Corte costituzionale, in www.penalecontemporaneo.it).
Giova peraltro evidenziare come, stando ad una notizia riportata sul
quotidiano on line ‘Il Corriera della Sera’, anche il Gup di Milano, Dott.
Andrea Ghinetti, aderendo all’orientamento sovrannazionale, abbia
disposto il rinvio a giudizio di alcuni imputati ai quali erano contestati i
reati di frode Iva per un importo di euro 624 milioni e di evasione di
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imposte dirette per un importo pari ad 766 milioni di euro, reati che,
invero, secondo il codice penale, dovevano considerarsi prescritti.
B) La fattispecie da cui trae origine la decisione della Terza Sezione
È senz’altro utile, per comprendere meglio la portata della decisione,
sintetizzare brevemente la fattispecie giudicata dalla Suprema Corte.
Nel procedimento penale in questione gli imputati erano stati condannati
in primo grado dal Tribunale di Ferrara per il reato di associazione per
delinquere finalizzata alla commissione di una serie di reati tributari e
precisamente: dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture per
operazioni inesistenti (art. 2 D.Lgs. n. 74/00), emissione di fatture per
operazioni inesistenti (art. 8 D.Lgs. n. 74/00), omesso versamento di Iva
(art. 10 ter D.Lgs. n. 74/00) e occultamento o distruzione di documenti
(art. 10 D.Lgs. n. 74/00).
In secondo grado, la Corte d’Appello di Bologna assolveva alcuni
imputati dal reato associativo e dichiarava estinti vari reati tributari per
intervenuta prescrizione.
Nelle more del giudizio di legittimità, in virtù delle norme sui termini
massimi di prescrizione previste dal codice penale, erano poi da
considerarsi prescritti ulteriori reati tributari (nello specifico ben 274
condotte criminose oggetto di contestazione ovvero la “la maggior parte
degli illeciti oggetto di imputazione” come si evince a pag. 17 della
decisione in commento).
Alla luce della pronuncia Taricco, tuttavia, si sarebbero dovute senz’altro
disapplicare le norme di cui agli artt. 160, ult. comma, e 161, comma 2,
c.p., con la conseguente impossibilità di dichiarare la prescrizione invero
già maturata.
Sussistono infatti nel caso di specie entrambi i requisiti individuati dalla
Corte di Giustizia Europea per la disapplicazione delle norme di cui
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sopra: 1) la pendenza di un procedimento penale riguardante “frodi
gravi” in materia di imposta sul valore aggiunto; 2) l’ineffettività delle
sanzioni previste in un numero considerevole di casi di frode grave che
ledono gli interessi dell’Unione Europea.
Per quanto attiene al primo requisito, secondo i Giudici di Piazza Cavour,
non v’è dubbio che si tratti di una fattispecie di ‘frode’ in materia di Iva.
Agli imputati viene infatti contestato il noto meccanismo fraudolento
della ‘frode carosello’ realizzata, nel caso di specie, mediante falsa
fatturazione e violazione dell’obbligo fiscale in materia di Iva nel
commercio di autoveicoli strumentalizzando la normativa in tema di
acquisti intracomunitari.
La frode in questione, peraltro, come evidenziato nella motivazione
dell’ordinanza n. 28346/16, non può non considerarsi grave tenuto conto
che il meccanismo fraudolento è stato attuato mediante emissione di
migliaia di fatture per imponibili significativi e che l’omesso versamento
Iva (limitatamente ai reati di cui agli artt. 5 e 10 ter D.Lgs. n. 74/00) è
stato individuato nella somma di €. 1.654.943,32.
I Giudici della Terza Sezione Penale, sempre con riferimento al primo
requisito, chiariscono che nel concetto di “frode”, rilevante ai fini del
decidere, rientrano non solo le fattispecie che prevedono testualmente il
carattere della fraudolenza, ma anche quelle condotte non connotate
espressamente da tale previsione (ad esempio gli artt. 5 e 10 ter del
D.Lgs. n. 74/00) poiché rappresentano le modalità per la realizzazione
delle operazioni fraudolente più complesse ed articolate (tra cui proprio
le ‘frodi carosello’).
Evidente altrimenti la disparità di trattamento tra condotte illecite dirette
al medesimo fine: la lesione degli interessi finanziari dell’Unione
Europea.
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In tal senso, peraltro, deporrebbe lo stesso art. 325 TFUE, posto dalla
Corte di Giustizia quale base legale per la disapplicazione della
normativa italiana in tema di prescrizione, in quanto sancisce
testualmente che: “L’Unione e gli Sati membri combattono contro la
frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari
dell’Unione (…)”.
Gli Ermellini evidenziano altresì come la nozione di ‘frode’ venga
definita dalla Convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari
delle Comunità Europee (convenzione PIF) del 1995 all’art. 1 come
“qualsiasi azione od omissione intenzionale relativa (...) all'utilizzo o
alla presentazione di dichiarazioni o documenti falsi, inesatti o
incompleti cui consegua la diminuzione illegittima di risorse del bilancio
generale [dell'Unione] o dei bilanci gestiti [dall'Unione] o per conto di
ess[a]”.
Evidente quindi come nel concetto di frode, rilevante ai fini della
disapplicazione delle norme sulla prescrizione, rientrino anche fattispecie
penali prive del requisito espresso della fraudolenza nella descrizione
normativa della condotta illecita.
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Anche il secondo requisito richiesto dalla Corte di Giustizia Europea per
la disapplicazione della normativa sul prolungamento dei termini di
prescrizione (quello sul numero considerevole di casi di frode iva) risulta
sussistente.
Significative, infatti, sono le operazione fraudolente oggetto di
contestazione, realizzate nell’arco di circa sei anni con un’evasione iva
alquanto considerevole.
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C) La non manifesta infondatezza della questione sollevata alla luce
della dottrina dei “controlimiti”
Una volta accertata la ricorrenza nel caso de quo di tutti i presupposti
individuati dalla sentenza Taricco, la Suprema Corte di Cassazione rileva
però come, nell’ordinamento costituzionale italiano, sussistono dei
principi assoluti, dei valori supremi che si pongono, nell’ambito della
gerarchia delle fonti, ad un livello superiore rispetto alle altre fonti di
diritto ed agli altri principi costituzionali.
Vero è che nell’ambito dei rapporti tra ordinamento nazionale e
ordinamento europeo la Corte Costituzionale ha riconosciuto il primato
del diritto sovranazionale nelle materie di competenze dell’Unione, in
virtù delle limitazioni di sovranità cui ha consentito la Stato Italiano sulla
base dell’art. 11 della Costituzione
(primato evidenziato peraltro nella nota
sentenza della Corte Cost. n. 170/84 sentenza Granital: cfr., Corte Cost, 8/06/84, n. 170, in
Giur. cost., 1984, I,1098).
È altresì vero però come in numerose pronunce della stessa Consulta, tra
cui la sentenza n. 238 del 2014 richiamata dalla Suprema Corte di
Cassazione, sia stato espressamente sancito che i principi fondamentali
dell’ordinamento costituzionale e i diritti inalienabili della persona
costituiscono «“controlimiti” all’ingresso delle norme dell’Unione
europea» (cfr., Corte Cost., 22/10/14, n. 238, in Riv. Dir. Internazionale, 2015, 1, 237).
La Corte Costituzionale, infatti, ha sempre mantenuto il proprio sindacato
giurisdizionale sulla compatibilità del Trattato della CEE prima, e del
TFUE poi, con i predetti principi fondamentali.
Come ben evidenziato nella ordinanza n. 28346/16, i controlimiti
rappresentano lo strumento per esercitare la sovranità popolare, sovranità
che può essere sì limitata ai sensi dell’art. 11 Cost., ma non certo ceduta:
“le limitazioni non possono compromettere la dimensione dei principi
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fondamentali della Costituzione, alterando l’identità costituzionale
dell’ordinamento nazionale” (cfr., testualmente, pag. 22 ordinanza n. 28346/16).
Orbene, è proprio il mancato rispetto dei principi fondamentali di cui
sopra il motivo che ha determinato i Giudici di Piazza Cavour a sollevare
questione di legittimità costituzionale.
L’obbligo per i Giudici nazionali di seguire il principio di diritto sancito
dalla Grande Sezione della Corte di Giustizia Europea (in virtù dell’art. 2
della legge n. 130/08 che ordina l’esecuzione del TFUE, nella parte che
impone di applicare l’art. 325 §1 e 2 TFUE), infatti, si pone in contrasto
con numerosi principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale.
c.1) violazione del principio di irretroattività della legge penale (art. 25,
comma 2, Cost.)
Il primo principio fondamentale che risulta essere violato è quello della
irretroattività della legge penale di cui all’art. 25, comma 2, Cost.
Trattasi di violazione di immediata percezione, tanto da essere stata fin
da subito rilevata anche dalla Corte di Appello di Milano con l’ordinanza
sopra indicata n. 339 del 18/09/15.
Nessun dubbio in merito al fatto che il principio in questione sia da
considerarsi essenziale: come affermato dalla Corte Costituzionale nella
pronuncia n. 394/06, il principio di irretroattività della norma penale
sfavorevole “… si pone come essenziale strumento di garanzia del
cittadino dagli arbitri del legislatore (….) valore assoluto, non
suscettibile di bilanciamento con altri valori costituzionali (…)
assolutamente inderogabile”
(cfr., Corte Cost., 23/11/06, n. 394, in Giur. it., 2007,
11, 2421).
Disapplicando gli artt. 160, ult. comma, e 161, comma 2, c.p., infatti, si
allungherebbero i termini di prescrizione anche per fatti commessi prima
della decisione Taricco.
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Per la Corte di Giustizia Europea, non vi sarebbe nessuna violazione del
principio di legalità tenuto che, anche alla luce della giurisprudenza della
Corte di Strasburgo formatasi sull’art. 7 CEDU, la materia della
prescrizione del reato concerne il profilo processuale delle condizioni di
procedibilità del reato e quindi soggiacerebbe al principio del tempus
regit actum.
Per la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, invece, l’istituto
della prescrizione avrebbe natura sostanziale, con il conseguente
riconoscimento della garanzia dell’irretroattività della norma penale
sfavorevole.
La convinzione di cui sopra viene sviluppata sulla base di una serie di
argomentazioni:
1) la concezione sostanziale della prescrizione emerge, secondo gli
Ermellini, dalla interpretazione letterale dell’art. 157 c.p. e dal fatto che
nel nostro ordinamento viene ad essere configurata come causa di
estinzione del reato: stando ad una lettura congiunta dell’art. 157 c.p. e
dell’art. 129 c.p.p., anche in caso di prescrizione del reato, permane un
accertamento giudiziale, “sia pure nei limiti dell’evidenza probatoria,
che il fatto non sussiste o non è preveduto dalla legge come reato o che
l’imputato non lo ha commesso”.
Orbene, ne discende, come si evince dalla lettura dell’ordinanza di cui
trattasi, che l’art. 157 c.p. non incide sull’azione penale non avendo
alcuna efficacia preclusiva per l’adozione di un provvedimento sul
merito, ciò in quanto l’istituto della prescrizione non ha natura
processuale;
2) altra considerazione si fonda sul fatto che l’art. 25, comma 2, Cost.
impedisce di incidere in peius non solo sulla fattispecie incriminatrice e
sulla pena, ma anche sui presupposti e sulle condizioni della punibilità tra
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i quali rientra anche l’istituto della prescrizione
(cfr., sulla circostanza che la
prescrizione rientra i presupposti della punibilità si veda Corte Cost., 1/08/08, n. 324, in
Giur. cost., 2008, 4, 3459),
3) inoltre, viene rilevato come la natura sostanziale della prescrizione sia
sempre stata affermata dalla Corte Costituzionale e, recentemente, con la
sentenza n. 143 del 28 maggio 2014
(pronuncia nella quale la Consulta ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale del raddoppio dei termini prescrizione previsti per
l’incendio colposo: cfr., Corte Cost., 28/05/14, n. 143, in Cass. Pen., 2014, 9, 2913);
4) se si guarda poi alla ratio dell’istituto, così come sostenuto dalla
Suprema Corte di Cassazione, la prescrizione rinviene il proprio
fondamento nella finalità rieducativa della pena, finalità che sarebbe
compromessa dal decorso del tempo.
Pertanto, aderendo al principio di diritto sancito dalla pronuncia Taricco,
l’allungamento dei termini di prescrizione violerebbe non solo l’art. 25,
comma 2, Cost, ma anche il principio costituzionale dell’art. 27, comma
3, Cost;
5) infine, poiché l’istituto della prescrizione tutela il principio della
ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., ne deriverebbe
che
anche
questo
ultimo
principio
sarebbe
irrimediabilmente
compromesso dala disapplicazione degli artt. 160, ult. comma, e 161,
comma 2, c.p.p.
Per i Giudici della Terza Sezione Penale pertanto è erronea la
conclusione cui la Quarta Sezione Penale della Stessa Corte è pervenuta
con la sopracitata sentenza n. 7914/16: in tale ultima decisone era stato
stabilito che l’obbligo di disapplicazione imposto dalla Taricco dovrebbe
valere per i soli reati per i quali la prescrizione non fosse ancora maturata
al momento della decisione.
Tale conclusione, come si evince dalla motivazione dell’ordinanza in
commento, si fonderebbe su un duplice presupposto fallace: il primo dato
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dalla
natura
processuale
della
prescrizione,
che
permetterebbe
l’applicazione del principio tempus regit actum; il secondo dato dal fatto
che la sentenza della Corte di Giustizia Europea avrebbe natura
costitutiva al pari di una fonte del diritto penale.
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Peraltro, volendo ragionare in termini di istituto processuale, si dovrebbe
giungere alla conclusione che anche la riforma della prescrizione, da
tempo all’esame del Parlamento, come rilevato dai Giudici di Piazza
Cavour, debba applicarsi retroattivamente ed in malam partem anche a
fatti posti in essere prima della entrata in vigore della suddetta novella.
c.2) violazione del diritto di difesa e del principio di uguaglianza (artt.
24 e 3 Cost.)
Nell’ordinanza n. 28346/16 viene poi rilevata un’altra importante
violazione: quella del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost.
Il diritto di difesa sarebbe infatti compromesso se l’imputato, sulla base
delle informazioni in suo possesso sulla punibilità, e in particolare sui
termini di prescrizione, decida di non beneficiare dei riti alternativi
previsti dal codice di procedura penale (patteggiamento, giudizio
abbreviato ecc) e successivamente, alla luce dei nuovi presupposti più
sfavorevoli, non possa più accedervi in quanto decaduto dalla possibilità
di esercitare tale facoltà.
Non solo.
Ne deriverebbe una violazione del principio di uguaglianza di cui all’art.
3 Cost. per chi, nelle medesime condizioni processuali e conscio dei
nuovi presupposti di punibilità circa il prolungamento dei termini di
prescrizione, abbia invece deciso di avvalersi dei riti alternativi sopra
indicati.
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c.3) violazione del principio di riserva di legge (art. 25, comma 2, Cost.)
La pronuncia Taricco violerebbe altresì il principio della riserva di legge
in materia penale che rientra a pieno titolo, come ribadito dalla sentenza
della Consulta n. 230/12, tra i principi fondamentali dell’ordinamento
italiano (cfr., Corte Cost., 12/10/12, n. 230, in Cass. pen., 2013, 2, 628).
È ben noto, nell’ambito degli insegnamenti costituzionali, che il principio
della riserva di legge sia funzionale ad evitare arbitri del potere esecutivo
e di quello giudiziario, al fine di salvaguardare il bene fondamentale della
libertà personale.
Il monopolio della emanazione delle norme spetta al Parlamento: in tal
senso, come prontamente evidenziato dai Giudici di Piazza Cavour, l’art.
117, comma 2 lett. l), Cost. riserva allo Stato, e solo ad esso, la
legislazione esclusiva in tema di ordinamento penale.
Orbene, è evidente come i presupposti della responsabilità penale
possano essere stabiliti solo con legge statale e non già con una decisione
della Corte di Giustizia Europea che è organo giurisdizionale privo di
legittimazione
politica
così
come
si
legge
nella
motivazione
dell’ordinanza di cui trattasi.
c.4) violazione dei principi di tassatività e determinatezza (art. 25,
comma 2, Cost.) e del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.)
Altra violazione rilevata dalla Suprema Corte di Cassazione è costituita
dall’indeterminatezza dei presupposti di ‘frodi gravi’ e ‘numero
considerevole di casi di frode grave’ per la disapplicazione delle norme
del codice penale in tema di termini massimi di prescrizione.
Concetti vaghi e indeterminati quelli di cui sopra, che si pongono in
aperto contrasto con lo stesso principio della riserva di legge (da cui
discendono i principi di tassatività e determinatezza).
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Tale ultimo principio richiede che il precetto penale sia formulato dal
legislatore in maniera chiara e precisa così da ridurre le scelte applicative
dei Giudici: criteri non certo rispettati dalla pronuncia Taricco.
Innanzitutto, indeterminato risulta essere il concetto di gravità che non
viene quantificato in un importo specifico dalla Corte di Giustizia
Europea.
Giova evidenziare come nella nota pronuncia europea venga richiamato
l’art. 2 della Convenzione PIF che recita testualmente: «…dev'essere
considerata frode grave qualsiasi frode riguardante un importo minimo
da determinare in ciascuno Stato membro. Tale importo minimo non può
essere superiore a [eur] 50 000 (...)».
Tale importo però non può certo essere posto a base del giudizio di
gravità secondo i Giudici di Piazza Cavour: la somma di €. 50.000,00
risulta difatti incompatibile con le soglie di rilevanza penale previste per i
delitti di omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. n. 74/00, nel quale la soglia
di rilevanza penale è pari ad €. 50.000,00) e di omesso versamento Iva
(art. 10 ter D.Lgs. n. 74/00 che indica la soglia di rilevanza penale in €.
250.000,00 alla luce della modifica apportata con il D.Lgs. n. 158/15),
reati quest’ultimi solitamente commessi nell’ambito di operazioni
fraudolente.
Altrettanto indeterminato risulta essere il concetto di ‘frode e di altre
attività illegali’ che ledono gli interessi dell’Unione di cui all’art. 325
TFUE.
La Suprema Corte di Cassazione si pone dunque il giusto quesito se,
nell’ambito della disapplicazione sancita dalla pronuncia Taricco,
rientrino solo i reati con espressa previsione di una condotta fraudolenta
nella descrizione normativa della condotta illecita (artt. 2, 3 e 11 D.Lgs.
n. 74/00) o anche reati tributari che non prevedono esplicitamente un
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connotato fraudolento (come gli artt. 4, 5, 8, 10, 10 bis, 10 ter, 10 quater
D.Lgs. n. 74/00) o, inoltre, reati comunque potenzialmente lesivi degli
interessi finanziari dell’UE come il delitto di truffa cui all’art. 640 bis
c.p.
Infine, ad una conclusione analoga, i Giudici della Terza Sezione Penale
giungono con riferimento al requisito del numero considerevole di casi di
frode grave.
Nessun dubbio alcuno in merito al fatto che i requisiti posti dalla
decisione Taricco per la disapplicazione degli artt. 160, ult. comma, e
161, comma 2, c.p. siano estremamente vaghi e indeterminati e che
pertanto sia rimessa al Giudice nazionale ogni decisione in ordine alla
loro sussistenza.
Il Giudice gode quindi di un totale arbitrio nella valutazione dei
presupposti sopra descritti e nella scelta se disapplicare o meno le norme
sul prolungamento della prescrizione.
Orbene, se si tratta di una decisione rimessa alla singola autorità
competente, è evidente, ad avviso della Suprema Corte di Cassazione, la
violazione del principio di uguaglianza essendo una “disciplina ‘su
misura’ del singolo processo, o del singolo imputato, o, addirittura, di
gruppi di imputati”.
c.5) violazione dei principi di separazione dei poteri e di sottoposizione
del Giudice solo alla legge (art. 101, comma 2, Cost.) e della finalità
rieducativa della pena (art. 27, comma 3, Cost.)
Alla luce delle considerazioni di cui sopra, la valutazione riservata al
singolo Giudice determinerebbe l’assegnazione all’ordine giudiziario di
un potere che invero spetterebbe al legislatore.
Ne consegue pertanto, come rilevato nell’ordinanza n. 28346/16, una
evidente violazione dei principi di separazione dei poteri e della
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sottoposizione del Giudice soltanto alla legge sanciti all’art. 101, comma
2, Cost.
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Infine, un ulteriore valore che viene in rilievo risulta essere quello della
finalità rieducativa della pena (art. 27, comma 3, Cost.).
Principio peraltro già stato richiamato nella motivazione dell’ordinanza
n. 28346/16, allorquando viene analizzata la violazione del principio di
irretroattività della legge penale; l’art. 27, comma 3, Cost. deve essere
però ulteriormente richiamato per altro diverso motivo.
La decisione della Corte di Giustizia Europea comporta, infatti, che la
sanzione penale diventi uno strumento di politica criminale a tutela degli
interessi finanziari dell’Unione Europea e non già uno strumento per
rieducare il reo così come previsto dalla Carta Costituzionale.
Ma v’è di più.
La Suprema Corte di Cassazione rileva poi come i termini di prescrizione
risultino allungati nel caso di reati che ledono gli interessi finanziari
dell’UE, mentre, invece, per i reati lesivi degli interessi dello Stato
italiano, il termine di prescrizione rimanga quello stabilito dal codice
penale, così riscontrando una ulteriore violazione del principio di
uguaglianza
(nell’ordinanza
in
commento
si
parla
infatti
di
“ingiustificabili sperequazioni di trattamento tra fattispecie omogenee”).
D) Osservazioni conclusive
Non v’è dubbio che la decisione della Terza Sezione Penale sia
estremamente significativa.
Trattasi, infatti, come già evidenziato poc’anzi, della prima decisione
della Corte di Cassazione in aperto contrasto con i principi espressi dalla
Corte di Lussemburgo
(cfr., per una critica alla decisione della Corte di Giustizia
Europea, R. Bin, Taricco, una sentenza sbagliata: come venirne fuori?, in
www.penalecontemporaneo.it).
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L’ordinanza in commento appare senz’altro condivisibile per due diversi
motivi.
Innanzitutto, poiché, come rilevato anche da altri autori all’indomani
della prima pronuncia della Cassazione post Taricco, i presupposti
individuati
dalla
Corte
di
Giustizia
estremamente vaghi e indeterminati
Europea
risultano
essere
(cfr., G. Gambogi, Per le frodi fiscali in
materia di Iva vi è una nuova prescrizione, op. cit., soprattutto con riferimento alla
tipologia di reati da far rientrare nel concetto di frode).
È evidente che, applicando la decisione europea, ne derivi una assoluta
libertà per il Giudice nazionale nella valutazione dei presupposti per la
disapplicazione delle norme sulla prescrizione.
Tale libertà di scelta non può quindi che essere valutata negativamente,
se si considera peraltro che la decisione del Giudice nazionale viene ad
incidere su di un aspetto di assoluta importanza come quello della libertà
personale.
Secondariamente,
l’ordinanza
n.
28346/16,
merita
ancora
più
condivisione in virtù della unanime giurisprudenza della Corte
Costituzionale in tema di ‘controlimiti’.
Sul punto, la Terza Sezione Penale ricorda come l’art. 4.2 del TUE
"L'Unione rispetta l'uguaglianza degli Stati membri davanti ai trattati e
la loro identità nazionale insita nella loro struttura fondamentale,
politica e costituzionale”, tra cui vi rientrano senza dubbio alcuno anche i
principi supremi dell’ordinamento nazionale.
Vi è poi una ragione più rilevante che esalta la questione di legittimità
posta dai Giudici di Piazza Cavour.
Se è vero come è vero che l’art. 325 TFUE è norma sulla produzione
delle leggi (al secondo comma viene difatti sancito che: “Gli Stati
membri adottano, per combattere contro la frode che lede gli interessi
finanziari dell'Unione, le stesse misure che adottano per combattere
15
contro la frode che lede i loro interessi finanziari”) è altresì vero che la
Corte di Giustizia Europea non poteva certo imporre la disapplicazione di
norme nazionali.
Gli strumenti a disposizione dell’Unione Europea, in caso di mancata
adozione di una tutela penale adeguata da parte di uno Stato membro,
vengono individuati, alla luce dell’ordinamento sovrannazionale, dalla
stessa Terza Sezione Penale: 1) sanzionare con una procedura di
inadempimento lo Stato Italiano (art. 258 e ss del TFUE); 2) adottare una
direttiva ai sensi e per gli effetti dell’art. 83 TFUE, dopo aver incluso la
materia delle frodi nell’ambito delle competenze indirette dell’Unione
Europea.
La Corte di Giustizia Europea, invece, come perfettamente rilevato dai
Giudici di Piazza Cavour, si è arrogata una competenza penale diretta,
competenza che invece non le sarebbe spettata.
Orbene, non resta che attendere la pronuncia della Consulta sulla
questione posta tanto dalla Corte d’Appello di Milano, quanto dalla Terza
Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, per capire quale sarà
la sorte della prescrizione in materia di gravi frodi Iva.
Una circostanza può dirsi però certa: nel caso in cui la Corte
Costituzionale addivenga ad una soluzione di perfetta compatibilità con i
principi supremi dell’ordinamento nazionale, continuerà a residuare
quell’ampio margine di discrezionalità nell’applicazione del principio di
diritto stabilito della pronuncia Taricco.
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