essere uno - Artiterapie
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essere uno - Artiterapie
Articolo pubblicato in “DanzaMovimento Terapia, modelli e pratiche nell’esperienza italiana” a Cura di A. Adorisio, Maria Elena Garcia, Ed. Magi Roma 2004 P RIMO ESSERE UNO ATTO TERAPEUTICO CON UNA PAZIENTE PSICOTICA M A R ÍA E LEN A G A R C ÍA Questo lavoro mette l’accento sul corpo del danzaterapeuta, sul suo movimento espressivo e lo stato di coscienza ad esso legato. La descrizione dell’esperienza è il punto di partenza per una riflessione sul modo in cui il controtransfert corporeo e in particolare il controtransfer somatico può essere utilizzato come fondamentale risorsa terapeutica, soprattutto con pazienti psichiatrici. L’ESPERIENZA “Sensazione di vuoto interiore, e di freddo. Il flusso dei miei ritmi vitali sembra congelato, interrotto. Nell’inutile tentativo di ripristinarlo, le mie braccia e gambe premono sul muro e il pavimento. L’angoscia di non poter scaldare e riempire il centro del mio corpo è tanto intensa quanto lo è il desiderio di essere abbracciata, nella consapevolezza che solo così potrei trovare calore e morbidezza. Il mio osservatore interno 1 è comunque molto vigile, lucido, e all’improvviso scopro che lei è qui. In qualche misteriosa maniera Alice, una mia paziente di 21 anni, si è fatta presente, oserei dire si è incarnata in me, eppure, 1 Per Tart (1977) l’osservatore interno o testimone è una quota di attenzioneconsapevolezza attraverso la quale è possibile osservare le caratteristiche della propria esperienza e del proprio stato di coscienza. paradossalmente sono distinta da lei, malgrado quello che in questo momento osservo è allo stesso tempo me e non me” Quella che sto descrivendo è stata un’esperienza vissuta in prima persona, durante una supervisione in gruppo con i miei colleghi dell’Art Therapy Italiana, tutti danzamovimentterapeuti. Durante questi incontri si utilizza l’improvvisazione in movimento e la costante autosservazione, per far emergere quelli aspetti della relazione terapeuta-paziente che sono stato registrati dal corpo, ma rimangono ancora nello sfondo della coscienza. Quello che caratterizzava l’esperienza era un forte vissuto d’unità; unità tra me e la mia paziente, unità tra il mio testimone interiore e il mio processo esperenziale. Mi trovavo inoltre in uno stato di grande chiarezza, come in un momento di illuminazione che si impone e cancella dubbi e ambivalenze, nel quale però alcuni dei parametri del mio stato ordinario di coscienza si erano modificati.Vivevo un senso amplificato del tempo e mi sentivo parte di uno spazio globale, con più di tre dimensioni, nel quale il tutto si riconosceva nelle parti e la distinzione tra dentro e fuori, distanza e vicinanza, osservatore ed osservato, perdevano significato. Avevo la sensazione di possedere uno spazio psichico multidimensionale che mi permetteva di contemplare la totalità della mia esperienza da qualsiasi angolatura avessi scelto. Non trovo migliore espressione che “percezione olografica”; cioè simile a quella offerta da un ologramma per cercare di descrivere questo vissuto che per me era anche una forma di conoscenza. Questa esperienza, che come vedremo più avanti, considero un caso di controtransfer somatico, è stato il fattore che ha orientato tutto il mio lavoro terapeutico con una givanne donna che chiamerò Alice. La terapia, durata purtroppo solo due anni e mezzo per cause 2 istituzionali, si è svolta nella Reverie 2 per Comunità pazienti psichiatrici di Roma. Dopo aver esperimentato e analizzato questo mio vissuto, le iniziali intuizioni avute sulla ragazza, frutto dell’osservazione del suo stile di movimento e della coreografia della nostra relazione, acquistarono per me profondità e tessuto emozionale. Da quel momento ho sentito che era avvenuta l’apertura di un canale empatico, riconoscevo in me i registri emozionali che mi avrebbero, in seguito, permesso sia di dare senso agli stati d’animo della ragazza che di sintonizzare con essi. IL CORPO E IL MOVIMENTO DELLA PAZIENTE ALLA LUCE DEL VISSUTO DEL TERAPEUTA «Il mio vissuto di vuoto e freddo era congruente con le caratteristiche del corpo di Alice che, sempre in espansione, come un pallone, dava la sensazione di essere composto soltanto di una superficie molto tesa, senza densità e senza un fluido contatto tra interno ed esterno. Il centro si percepiva teso, senza ampiezza del respiro, senza calore. Alice inventava con facilità danze che sembravano avere una funzione difensiva, anche sui temi più astratti. La forma di queste danze era sempre chiara, precisa, pulita ma il suo corpo “sentito” era escluso da esse. Di fatto anche la mia reazione emozionale era fredda. Il suo stile era sempre uguale e molto riconoscibile; usava movimenti in espansione che andavano in fuori, allontanandosi dal centro del corpo e dalla propria esperienza sensoriale ed emozionale, e avvenivano con una coreografia che sembrava studiata precedentemente. mostrava mai un raccoglimento verso sé stessa, tra Non movimento e movimento, le transizioni erano veloci e decise. 2 La Comunità Reverie è definita come una comunità psico-socio-riabilitativa, è situata a Capena ed è una struttura residenziale per giovani di ambedue i sessi. 3 I suoi movimenti mancavano però di una vera intenzionalità verso lo spazio (“no space” secondo Laban). E neanche era attivo l’uso che faceva del suo peso corporeo. Nonostante la sua mole, non sembrava pesante, si vedeva come sospesa (“limp” secondo Laban), come un pallone, come se fosse sempre al culmine di un’ispirazione. Non sembrava capace di concedersi il riposo, l’abbandono rilassato. C’era tra noi un tipo di danza che avveniva sempre nello spazio di tempo tra il mio arrivo nella comunità e l’inizio della seduta. Era una danza di avvicinamento e di allontanamento, fatta di momenti d’intimità interrotti bruscamente che creavano in me un senso di frammentazione e discontinuità e la paura di non potere trattenere né la presenza né l’attenzione di Alice. Generalmente lei arrivava molto vicino, invadendo velocemente e con durezza il mio spazio personale esigendo “massaggini”. . Un richiamo così intenso risvegliava in me l’impulso di accontentarla e di massaggiarla, ma con forza, come “impastandola” quasi per darle forma e limiti, ammorbidendo allo stesso tempo la transformaba in sua corazza.Questa forte spinta ad aggire si una forte reazione corporea quando lei si allontanava improvvisamente. Mi sentivo sbilanciata verso il fuori, vivevo un senso di vuoto e il mio respiro era sospeso così come lo era sempre il suo” In questi elementi, c’era già materiale sufficiente per formulare un’ipotesi iniziale. La possibilità di percepire il suo corpo con i suoi limiti, con il suo interno e il suo esterno, come nucleo del suo Sé immaginario, sembrava preclusa a A. Nel suo caso sembrava fallita quello che Winnicot chiama la collusione psicosomatica. Ma malgrado tutte queste informazioni, tutti questi elementi di comprensione, fino a quel momento, sentivo di avere una percezione della paziente che potrei descrivere come “bidimensionale”. Mancava la profondità che richiede il coinvolgimento di tanti livelli della propria soggettività, mancava la possibilità di una risonanza empatica. 4 Tutte le mie reazioni di controtransfer sembravano “infilate in me”, come oggetti estranei, attraverso l’identificazione proiettiva e attraverso la ostinata coreografia con cui lei determinava le relazioni 3. Come ho detto prima, è stato necessario che, durante un mio personale processo creativo, che investiva il mio proprio corpo, trovassi un vissuto interiore che mi permettesse di integrare tutte le informazioni che avevo sulla ragazza e che desse senso e profondità a ognuna di esse, all’interno di una intensa e ricca, sebbene dolorosa, esperienza emozionale. Da quel momento sentii fluire la corrente affettiva tra noi. Il desiderio che, durante la supervisione avevo così vividamente percepito, di essere abbracciata per recuperare calore e riempire il vuoto, mi ha fatto capire attraverso il corpo quale fosse il bisogno di Alice. Lei cercava un ambiente 5 oggetto che processo 4, potesse qualcosa garantirle una di simile alla trasformazione madre positiva dell’esperienza di Sé. Nessun obiettivo terapeutico poteva essere raggiunto senza soddisfare o colmare in quale maniera quel bisogno. Nel rapporto con l’oggetto trasformativo quello che conta sono i ritmi di questo processo, la capacità di trovare i gesti di cura adeguati ai bisogni del bambino. Conta la qualità del contatto, la giustezza della distanza, l’adeguatezza del momento e della durata della prestazione. Avere chiaro questo significava non soltanto poter orientare il nostro lavoro, ma anche capire il significato delle mie precedenti reazioni di controtransfer alla sua richiesta di contatto attraverso i “massaggini”. Queste mie reazioni potevano essere viste come un tentativo inconscio di dare una risposta al suo bisogno. 3 Garcia Badaraco, psicoanalista argentino, ha sostenuto in una sua recente conferenza a Roma che attraverso queste ostinate interazioni, il paziente psicotico riproduce relazioni reali con le figure parentali e non relazioni con oggetti internalizzati 4 5 Bollas, C . , “ L ’ O m b r a d e l l ’ o g g e t t o ” , B o r l a E d . , 1 9 8 9 , R o ma . pp. 22-24. Winnicot D.W., “Sviluppo affettivo e ambiente”, Armando Editore, Roma, 1970, p.236 5 Quanto ho esposto dimostra l’arricchimento e lo spessore della comprensione della mia paziente, raggiunta grazie al mio personale vissuto, molto al di là di quello che inizialmente avevo potuto vedere con l’aiuto del Labananalysis. Ma il motivo centrale per il quale ho scelto di presentare questa esperienza è perché , a mio giudizio,essa mostra in maniera vivida quello che sostengono terapeuti come Searles e Benedetti, e cioè che in molti caso il primo atto terapeutico con un paziente psicotico può avvenire soltanto dentro il terapeuta e frequentemente questo è l’unico modo di superare la barriera di isolamento costituita dall’alienazione. Prima però di analizzare quest’ipotesi è importante spiegare quando e come è avvenuta l’esperienza oggetto della nostra analisi. PROCESSO CREATIVO DEL TERAPEUTA, COSCIENZA RECETTIVA E DISPOSIZIONE AL CONTROTRANSFERT Anche se possono far pensare all’esperienza onirica, quelli che ho descritto sono in realtà i vissuti emersi durante un mio personale processo creativo attraverso il movimento. Si trattava di quello che da un punto di vista artistico possiamo chiamare un’improvvisazione libera, senza regole né obiettivi predeterminati. Infatti non ero impegnata in una riflessione sulla paziente, stavo semplicemente “ascoltando” me stessa e lasciando fluire i movimenti che nascevano dagli impulsi presenti nel mio corpo. Il focus della mia attenzione era orientato fondamentalmente verso il livello “cinetico” 6, inizialmente non avevo immagini o pensieri particolari. Nel momento precedente ad un incontro di supervisione, non avevo altri obiettivi 6 Utilizzo questo termine, al modo di D. Alperson [“E xp erimen ta l Mo vemen t P sych o th era p y”, 1 9 8 3 in “Th eo retica l A p p ro a ch es in Da n ce Mo vemen t Th era p y”, Kend all Hunt P ub lishing Co mp any, 1984, p.156] per riferirmi a una percezione centrata sui movimenti incipienti, spontanei, molte volte precoscenti, del corpo. 6 che quello di entrare in sintonia con me stessa. Questo obiettivo, insieme all’intensa pratica di supervisione collettiva che in quel momento stava svolgendo il mio gruppo di appartenenza nell’Art Therapy Italiana, mi avevano portato ad amplificare la capacità di mantenere molto sveglio il mio “osservatore interno”. In quello che si riferisce al modo di esplorare i propri movimenti e al contenimento offerto dal gruppo la situazione era simile a quella che si trova nella pratica del Movimento Autentico. Sappiamo che in Danzaterapia è stato il Movimento Autentico la pratica che più attenzione ha dato allo sviluppo della coscienza ricettiva. Nel Movimento Autentico il “mover” (chi si muove) e il testimone (chi osserva) “contemplano” in maniera ricettiva la propria esperienza. Secondo Bollas 7, la capacità ricettiva, legata ad un funzionamento rilassato della mente, porta un distacco dai processi di proiezione, identificazione proiettiva e introiezione, meccanismi che, sebbene inconsci, sono legati ad uno stato attivo della mente. L’apertura di un canale di ascolto profondo verso noi stessi, lasciando fluire i movimenti che nascono dagli impulsi presenti nel proprio corpo, e rimanendo completamente nel qui ed ora della nostra azione, può essere vista come l’equivalente nel campo della Danzaterapia, in particolar modo del Movimento Autentico, di quello che Bollas, nel campo psicoanalitico chiama elemento autoanalitico. L’elemento autoanalitico è per questo autore del campo psicoanalitico, la disposizione a fare esperienza del proprio essere come modo di creare lo spazio per l’arrivo di notizie dal proprio Sé.Implica riconoscere che l’essere e lo sperimentare sono precedenti alla conoscenza; dà priorità alla capacità recettiva della mente, raggiungibile solo nella tranquillità, lasciando in secondo piano gli aspetti più attivi del capire e dell’interpretare. Così si apre la strada “all’evocazione” di notizie del proprio interno e alla “conoscenza 7 Bollas, Op.cit., p.243. 7 intuitiva”. Il paradosso è nell’essere disponibili allo svelarsi del nostro mondo interiore senza che la nostra volontà prenda il sopravvento e senza perdere l’osservatore interno. Nel Movimento Autentico, ma anche nell’improvvisazione profonda che molti artisti raggiungono, il paradosso si manifesta nella capacità di essere attivi dando forma al proprio movimento e registrando il proprio vissuto, senza perdere la recettività. CONTROTRANSFERT SOMATICO, CONOSCENZA INTUITIVA E STATO DI COSCIENZA Ovviamente, le disponibilità all’autoascolto da parte del terapeuta acquista rilevanza soltanto da una concezione che consideri il suo coinvolgimento emozionale non solo inevitabile nella situazione terapeutica, ma anche fondamentale per ricevere informazioni sul livello di sviluppo affettivo e di organizzazione egoica del paziente. Questa concezione ampia del controtransfer implica, secondo le parole di P. Heimann la necessità che il terapeuta metta in gioco “una sensibilità emotiva stimolata liberamente per poter ricevere informazioni che provengano dal proprio mondo interno”. 8 Bisogna a questo punto domandarsi se l’esperienza che ho descritto può essere considerata un controtransfer? E la risposta è sì, sempre che ci collochiamo all’interno della concezione ampia che abbiamo descritto precedentemente. In flusso Danzaterapia l’ascolto arriva alle sfumature sottili del tonico e le reazioni controtransferali vengono quindi percepite fondamentalmente attraverso il corpo. Il controtransfer incorporato o “incarnato” (embodied) come lo chiama Penny Bernstein è parte della “coreografia” totale della relazione terapeutica e orienta il terapeuta nella ricerca delle risposte motorie adeguate. 8 Heimann P ., “ On Co unter -T r ansfer ence”, I nter natio nal J o ur nal o f P sycho analysis,1 9 5 0 8 Precedentemente abbiamo già detto che consideriamo la questione che stiamo trattando un caso di controtransfer somatico e cioè un particolare tipo di controtransfer vissuto nel corpo. Il controtransfer somatico viene descritto, sempre dalla Bernstein come un diretto flusso energetico tra gli inconsci somatici dei membri della relazione terapeutica. L’inconscio somatico è un concetto proveniente dalla psicologia junghiana; si riferisce a quegli aspetti innati che vanno al di là dell’inconscio personale e sono costituiti da flussi energetici, ritmi e sottili movimenti corporei. P. Lewis (1984 b) ricorda che Schwartz sostiene che solo attraverso l’inconscio somatico è possibile raggiungere, sperimentare e osservare l’inconscio. La capacità di diventare coscienti di quanto ci arriva dall’inconscio somatico di un’altra persona, è in rapporto con la capacità di aprirsi al tipo di conoscenza intuitiva che per P.L. Bernstein (1984 b) è possibile soltanto attraverso l’apertura di una specie di “vuoto viscerale” in uno stato di quiete psichica e fisica. La recettività, il senso di quiete, il respiro ritmico, il peso ben radicato, il libero flusso della tensione dilatano le barriere e permettono che l’esperienza si manifesti nel corpo. In accordo con una ricerca realizzata dalla stessa Bernstein con danzaterapeuti di diversa formazione che lavorano anche con patologie diverse, occasioni di conoscenza intuitiva sembrano capitare a molti terapeuti. Per molti di loro l’apertura della coscienza recettiva verso i sottili cambiamenti somatici sembra essere un canale per superare l’ordinario stato di coscienza, per aprirsi a forme di conoscenza intuitiva, ampliata, necessaria per permettere la comunicazione da inconscio a inconscio. SUPERARE LA BARRIERA DI ISOLAMENTO 9 Possiamo ora tornare all’ipotesi centrale che vogliamo sostenere e cioè che certe intense esperienze di controtransfer somatico che, come quella che sto descrivendo, sono facilitate dall’ascolto profondo e ricettivo del terapeuta verso sé stesso, durante un suo proprio processo creativo, possono costituire l’iniziale e sbloccante atto terapeutico con un paziente psicotico. Sono diversi gli autori che sostengono che buona parte della terapia del malato psicotico avviene attraverso il suo terapeuta. Searles (1959, 295) ad esempio sostiene che l’integrazione del paziente avviene, per così dire “al di fuori di lui, nell’esperienza intrapsichica del suo terapeuta”. Ma questo è possibile solo se il terapeuta è disposto ad aprirsi a una specie di simbiosi terapeutica, con la gamma di emozioni intense e i vissuti di frammentazione che essa comporta. In molti casi i danzaterapeuti, sono stati prima artisti, i quali frequentemente sono, come sostiene Masud Khan (1992), abituati dalla loro ricerca espressiva, a mettersi in contatto con esperienze psichiche non sempre rievocabili con gli usuali processi coscienti e questo fa sì che possano aprirsi più facilmente a queste trasformazioni senza sentirsi minacciati nel proprio senso di identità. La relazionalità simbiotica, è caratterizzata a livello soggettivo dall’assenza di confini dell’Io (Searles, 1959). Nella relazione con pazienti psicotici il terapeuta deve vivere questa mancanza di confini, diversamente che nelle relazioni con i pazienti nevrotici in cui la separazione tra gli attori è più netta e gli elementi del controtransfert possono essere comunicati in maniera esplicita. Il paziente schizofrenico ha un’elevata capacità di comunicazione pre-verbale e si potrebbe dire che “il suo inconscio partecipa all’inconscio altrui”. Partecipa così profondamente che, essendo carente di un adeguato senso di separazione, “vive la percezione che ha dell’altro come trasformazione del suo proprio 10 modo di essere” 9. Pensiamo che è possibile la trasformazione terapeutica di queste forme patologiche di identificazione (proiettiva o introiettiva), nelle quali il paziente vive se stesso in un oggetto o si sente oggetto delle rappresentazioni altrui, quando vengono trasferite nel terapeuta, il quale deve essere disposto a viverle in termini di esperienza soggettiva. Il paziente, identificandosi a sua volta con il terapeuta, riesce ad incorporare elementi di sé stesso non pensati che sono divenuti realtà nel vissuto del terapeuta, questo implica già “una trasformazione e non solo la copia del sé psicotico, una trasmutazione di esso nello specchio integrante di un io terapeutico non dissociato” 10.Come ho detto prima, dopo l’esperienza che ho descritto si aprì un canale empatico, prima inesistente, giacché fino allora la paziente mi appariva come lontana e incomprensibile. A mio giudizio questo può essere visto come il risultato di un processo di questo tipo.Due sono state le conseguenze: • l’apertura nella terapeuta di nuovi “risuonatori” emozionali che fino a quel momento erano sepolti nel suo inconscio; • la sostituzione del vuoto della paziente, per nuove sfumature nella esperienza di sé. Sfumature acquisite anch’esse attraverso l’identificazione con la terapeuta ma che a loro volta offrono un nuovo stimolo alla capacità empatica di quest’ultima. Il paziente psicotico esige da noi perfino di essere capaci di flessibilizzare quegli aspetti della nostra struttura egoica strettamente legati al nostro stato di coscienza ordinario, che sono garanzia di sanità e che ci permettono di realizzare una netta distinzione tra noi e 9 Benedetti G. “Alienazione e Personazione nella Psicoterapia della malattia mentale”. Einaudi , Torino,1980, pp.141-48. 10 Benedetti G., op.cit, p.157. 11 il mondo. Il nostro normale stato di coscienza dall’esistenza psicotica, che si struttura in categorie ci allontana profondamente estranee alla nostra stessa base di sentire e di pensare. Questo è a mio giudizio il nucleo ultimo d’incomprensibilità che la maggioranza degli autori, attribuiscono al paziente psicotico. Se pensiamo concretamente al controtransfer che ho descritto vediamo che il sentirmi “occupata” dalla paziente che percepivo come “incarnata” nella mia esperienza somatica, può essere visto come il modo in cui mi è stato possibile avvicinarmi al vissuto psicotico d’incorporazione (Benedetti, 1980) , nel quale l’esperienza di sé e quella del mondo si intersecano. IL MOVIMENTO AUTENTICO COME VIA FACILITANTE Sappiamo che i vissuti di incorporazione reciproca, non sempre si manifestano attraverso una modificazione così radicale della coscienza. “Soltanto nei sogni e in particolari vissuti «paranormali» la controindicazione terapeutica equivale ad una propria esperienza di vicariato; per lo più essa si limita invece allo sviluppo di fantasie…” 11. Lo stesso può essere detto dal punto di vista del controtransfer somatico; malgrado esso comporta sempre forti modificazioni nella coscienza psichica e somatica del terapeuta. In molte occasioni queste modificazioni, intense ma limitate non sono tali da poter essere definite come uno stato altro della coscienza. Le dichiarazioni di molti terapeuti consultati da Penny Lewis nella sua ricerca sul controtransfer somatico fanno però supporre che in molti casi, almeno Ovviamente per ci brevi sono periodi di caratteristiche tempo della si dia struttura questo salto. psichica del terapeuta che possono facilitarlo ma non verranno analizzate in questo lavoro. 11 Benedetti G., op.cit, p.188. 12 Unione, coscienza transpersonale e cioè “coscienza delle illusorietà dei limiti e della separazione” sono anche gli aspetti in cui Janet Adler mette l’accento 12 per riferirsi a un particolare momento nella relazione tra osservatore disciplina del Movimento Autentico 13 e osservato nella La coscienza transpersonale si manifesta, secondo l’autrice, con un “senso di sparizione o espansione dei propri limiti e un vissuto di chiarezza che raggiunge senza impedimenti, dentro e fuori tutto l’essere psichico e corporeo. Il corpo diventa un contenitore e la coscienza del proprio io sparisce”. L’idea di simbiosi terapeutica di G. Benedetti e quella di “stato di unità” che utilizza Janet Adler, hanno degli elementi comuni. In ambedue c’è l’idea d’un modo primario e pre-egoico di essere e di conoscere che può servire paradossalmente a una crescita, a un salto evolutivo. Forse non è sorprendente che partendo da campi così opposti si arrivi, attraverso l’esperienza a percepire gli stessi fenomeni. Janet Adler punta allo sviluppo della coscienza attraverso il movimento, mentre chi lavora con psicotici ha bisogno di espandere la propria coscienza per colmare la distanza di incomprensibilità con il proprio paziente. Vogliamo in questo lavoro mettere in risalto la somiglianza sia concettuale che esperenziale tra alcuni casi di controtransfer somatico, l’incorporazione terapeutica e gli stati di unione transpersonale; e l’importanza della trasformazione degli stati di coscienza in tutti e tre i casi. 12 Adler J.,“Wh o is th e witn ess. A d escrip tio n o f A u th en tic Mo vemen t”, Co ntact Quater ly 1 2 , W inter , 1 9 8 7 New Yo r k 1987, p.20-27. 13 I l Mo vimento Autentico è una p r atica, una d iscip lina, r ego lata d a sp ecifici p ar ametr i, utilizzata co me str umento p er la cr escita p sico lo gica e d ella cr eatività, e anche co me via d i co nsap evo lezza sp ir ituale. Affo nd and o le sue r ad ici nel meto d o d ell’I mmaginazio ne Attiva id eato d a C. G. J ung, il Mo vimento Autentico si è svilup p ato nei p r imi anni sessanta negli U.S.A. d all’inco ntr o tr a la d anzamo vimento ter ap ia e p sico lo gia d el p r o fo nd o nella p er so na d i Mar y Star k W hiteho use, ed è stato succesivamente ap p r o fo nd id o d a j .Ad ler e J o an Cho r o d o w. 13 Si potrebbe dire che questi stati di profonda unione hanno bisogno di un cambiamento dello stato ordinario di coscienza per esprimersi, ma essi sono allo stesso tempo la causa di questa modificazione.Il principale ostacolo ad una relazione terapeutica caratterizzata dal reciproco assorbimento è da vedersi nella paura del terapeuta a perdere la propria identità. Questa paura può diminuire con la pratica di una disciplina meditativa e nel caso particolare dei danzaterapeuti con la pratica del Movimento Autentico che offre un contesto culturale il quale non considera lo stato ordinario di coscienza né un fatto naturale né un dato di fatto 14. Il raggiungimento o meno di questi stati altri di coscienza è però risultante da un insieme di variabili e per questo non può sempre essere garantita da questo tipo di pratiche. Il gruppo offre comunque un adeguato sostegno quando si devono affrontare le esperienze insolite e paurose che un “viaggio” di questo tipo può offrire. Inoltre la pratica del Movimento Autentico permette di recuperare, fuori della seduta, la coscienza recettiva per raggiungere i vissuti di controtransfer che il corpo registra che però non sono ancora nel pieno della coscienza. In molte occasioni, soltanto così è possibile attivare l’elemento autoanalitico verso quello che l’inconscio somatico riceve dai nostri pazienti 15, giacché in quasi tutte le forme terapeutiche la coscienza recettiva dell’osservatore viene molte volte inframmezzata da momenti in cui la relazione diventa più attiva. Questo è ancora più vero in un gruppo di danzaterapia per pazienti psichiatrici nel quale il terapeuta, almeno in una certa proporzione non può sottrarre il suo corpo a una relazione attiva e in movimento. 14 Ta r t . C . T. , “ S t a t o d i c o s c i e n z a ” , As t r o l a b i o , 1 9 7 7 , R o ma . p.45. 15 La mia convinzione sull’importanza della pratica del Movimento Autentico per i terapeuti di pazienti psichiatrici è quello che mi ha portato a cercare di inserirla, anche se questo è stato possibile soltanto per un breve periodo, tra gli operatori che collaborano con me nella Comunità Reverie. 14 BIBLIOGRAFIA - Adler J., “Who is the witness. A description of Authentic Movement”, Contact Quaterly 12, Winter, 1987 New York. - Benedetti G. “Alienazione e Personazione nella Psicoterapia della malattia mentale”. Einaudi , Torino,1980. - Bollas C., “L’Ombra dell’oggetto”, Borla Ed., 1989, Roma. - Dosamentes Alperson E., “Experimental Movement Psychotherapy”, 1983 in “Theoretical Approaches in Dance Movement Therapy”, Kendall Hunt Publishing Company, 1984, Dubuque. - Heimann P., “On Counter-Tranference”, International Journal of Psychoanalysis, 1950. - Heimann P., “Dinamic of transference interpretation” in Int. Journal of Psichoanal 37, 1956 e “Countertransference” Br. J. Med. Psychol. 33 citato da Bollas ne “L’ombra dell’oggetto”, Borla Ed., 1987, Roma. - Lewis P., “Psychodynamic Ego Psychology” in “Theoretical Approaches in Dance Movement Therapy”, Kendall Hunt Publishing Company, 1984 a, Dubuque. - Lewis P., “The somatic countertransference. 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