essere uno - Artiterapie

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essere uno - Artiterapie
Articolo pubblicato in “DanzaMovimento Terapia, modelli e
pratiche nell’esperienza italiana” a Cura di A. Adorisio, Maria
Elena Garcia, Ed. Magi Roma 2004
P RIMO
ESSERE UNO
ATTO TERAPEUTICO CON UNA PAZIENTE PSICOTICA
M A R ÍA E LEN A G A R C ÍA
Questo lavoro mette l’accento sul corpo del danzaterapeuta, sul
suo movimento espressivo e lo stato di coscienza ad esso legato. La
descrizione dell’esperienza è il punto di partenza per una riflessione
sul modo in cui il controtransfert corporeo e in particolare il
controtransfer somatico può essere utilizzato come fondamentale
risorsa terapeutica, soprattutto con pazienti psichiatrici.
L’ESPERIENZA
“Sensazione di vuoto interiore, e di freddo. Il flusso dei
miei ritmi vitali sembra congelato, interrotto. Nell’inutile
tentativo di ripristinarlo, le mie braccia e gambe premono
sul muro e il pavimento. L’angoscia di non poter scaldare e
riempire il centro del mio corpo è tanto intensa quanto lo è
il desiderio di essere abbracciata, nella consapevolezza che
solo così potrei trovare calore e morbidezza.
Il mio osservatore interno 1 è comunque molto vigile,
lucido, e all’improvviso scopro che lei è qui. In qualche
misteriosa maniera Alice, una mia paziente di 21 anni, si è
fatta presente, oserei dire si è incarnata in me, eppure,
1
Per Tart (1977) l’osservatore interno o testimone è una quota di attenzioneconsapevolezza attraverso la quale è possibile osservare le caratteristiche della propria
esperienza e del proprio stato di coscienza.
paradossalmente sono distinta da lei, malgrado quello che
in questo momento osservo è allo stesso tempo me e non
me”
Quella che sto descrivendo è stata un’esperienza vissuta in
prima persona, durante una supervisione in gruppo con i miei colleghi
dell’Art
Therapy
Italiana,
tutti
danzamovimentterapeuti.
Durante
questi incontri si utilizza l’improvvisazione in movimento e la
costante
autosservazione,
per
far
emergere
quelli
aspetti
della
relazione terapeuta-paziente che sono stato registrati dal corpo, ma
rimangono ancora nello sfondo della coscienza.
Quello che caratterizzava l’esperienza era un forte vissuto
d’unità; unità tra me e la mia paziente, unità tra il mio testimone
interiore e il mio processo esperenziale. Mi trovavo inoltre in uno
stato di grande chiarezza, come in un momento di illuminazione che si
impone e cancella dubbi e ambivalenze, nel quale però alcuni dei
parametri
del
mio
stato
ordinario
di
coscienza
si
erano
modificati.Vivevo un senso amplificato del tempo e mi sentivo parte
di uno spazio globale, con più di tre dimensioni, nel quale il tutto
si riconosceva nelle parti e la distinzione tra dentro e fuori,
distanza
e
vicinanza,
osservatore
ed
osservato,
perdevano
significato. Avevo la sensazione di possedere uno spazio psichico
multidimensionale che mi permetteva di contemplare la totalità della
mia esperienza da qualsiasi angolatura avessi scelto. Non trovo
migliore espressione che “percezione olografica”; cioè simile a quella
offerta da un ologramma per cercare di descrivere questo vissuto che
per me era anche una forma di conoscenza.
Questa esperienza, che come vedremo più avanti, considero un
caso di controtransfer somatico, è stato il fattore che ha orientato tutto
il mio lavoro terapeutico con una givanne donna che chiamerò Alice.
La terapia, durata purtroppo solo due anni e mezzo per cause
2
istituzionali,
si
è
svolta
nella
Reverie 2 per
Comunità
pazienti
psichiatrici di Roma. Dopo aver esperimentato e analizzato questo mio
vissuto,
le
iniziali
intuizioni
avute
sulla
ragazza,
frutto
dell’osservazione del suo stile di movimento e della coreografia della
nostra relazione, acquistarono per me profondità e tessuto emozionale.
Da quel momento ho sentito che era avvenuta l’apertura di un
canale empatico, riconoscevo in me i registri emozionali che mi
avrebbero, in seguito, permesso sia di dare senso agli stati d’animo
della ragazza che di sintonizzare con essi.
IL CORPO E IL MOVIMENTO DELLA PAZIENTE ALLA LUCE
DEL VISSUTO DEL TERAPEUTA
«Il mio vissuto di vuoto e freddo era congruente con le
caratteristiche del corpo di Alice che, sempre in espansione, come un
pallone, dava la sensazione di essere composto soltanto di una
superficie molto tesa, senza densità e senza un fluido contatto tra
interno ed esterno. Il centro si percepiva teso, senza ampiezza del
respiro, senza calore.
Alice inventava con facilità danze che sembravano avere una funzione
difensiva, anche sui temi più astratti. La forma di queste danze era
sempre chiara, precisa, pulita ma il suo corpo “sentito” era escluso
da esse. Di fatto anche la mia reazione emozionale era fredda. Il suo
stile era sempre uguale e molto riconoscibile;
usava movimenti in
espansione che andavano in fuori, allontanandosi dal centro del corpo
e dalla propria esperienza sensoriale ed emozionale, e avvenivano con
una
coreografia
che
sembrava
studiata
precedentemente.
mostrava mai un raccoglimento verso sé stessa, tra
Non
movimento e
movimento, le transizioni erano veloci e decise.
2
La Comunità Reverie è definita come una comunità psico-socio-riabilitativa, è situata a
Capena ed è una struttura residenziale per giovani di ambedue i sessi.
3
I suoi movimenti mancavano però di una vera intenzionalità verso lo
spazio (“no space” secondo Laban). E neanche era attivo l’uso che
faceva del suo peso corporeo. Nonostante la sua mole, non sembrava
pesante, si vedeva come sospesa (“limp” secondo Laban), come un
pallone, come se fosse sempre al culmine di un’ispirazione. Non
sembrava capace di concedersi il riposo, l’abbandono rilassato.
C’era tra noi un tipo di danza che avveniva sempre nello spazio di
tempo tra il mio arrivo nella comunità e l’inizio della seduta. Era una
danza di avvicinamento e di allontanamento, fatta di momenti
d’intimità interrotti bruscamente che creavano in me un senso di
frammentazione e discontinuità e la paura di non potere trattenere
né la presenza né l’attenzione di Alice. Generalmente lei arrivava
molto vicino, invadendo velocemente e con durezza il mio spazio
personale esigendo “massaggini”. . Un richiamo così intenso risvegliava
in me l’impulso di accontentarla e di massaggiarla, ma con forza, come
“impastandola” quasi per darle forma e limiti, ammorbidendo allo
stesso
tempo
la
transformaba in
sua corazza.Questa
forte
spinta
ad
aggire
si
una forte reazione corporea quando lei si allontanava
improvvisamente. Mi sentivo sbilanciata verso il fuori, vivevo un senso di
vuoto e il mio respiro era sospeso così come lo era sempre il suo”
In questi elementi, c’era già materiale sufficiente per formulare
un’ipotesi iniziale. La possibilità di percepire il suo corpo con i
suoi limiti, con il suo interno e il suo esterno, come nucleo del suo
Sé immaginario, sembrava preclusa a A. Nel suo caso sembrava
fallita quello che Winnicot chiama la collusione psicosomatica. Ma
malgrado
tutte
queste
informazioni,
tutti
questi
elementi
di
comprensione, fino a quel momento, sentivo di avere una percezione
della paziente che potrei descrivere come “bidimensionale”. Mancava
la profondità che richiede il coinvolgimento di tanti livelli della
propria soggettività, mancava la possibilità di una risonanza empatica.
4
Tutte le mie reazioni di controtransfer sembravano “infilate in me”,
come
oggetti
estranei,
attraverso
l’identificazione
proiettiva
e
attraverso la ostinata coreografia con cui lei determinava le relazioni 3.
Come ho detto prima, è stato necessario che, durante un mio personale
processo creativo, che investiva il mio proprio corpo, trovassi un
vissuto interiore che mi permettesse di integrare tutte le informazioni
che avevo sulla ragazza e che desse senso e profondità a ognuna di
esse,
all’interno
di
una
intensa
e
ricca,
sebbene
dolorosa,
esperienza emozionale.
Da quel momento sentii fluire la corrente affettiva tra noi. Il desiderio
che, durante la supervisione avevo così vividamente percepito, di
essere abbracciata per recuperare calore e riempire il vuoto, mi ha
fatto capire attraverso il corpo quale fosse il bisogno di Alice. Lei
cercava
un
ambiente 5
oggetto
che
processo 4,
potesse
qualcosa
garantirle
una
di
simile
alla
trasformazione
madre
positiva
dell’esperienza di Sé. Nessun obiettivo terapeutico poteva essere
raggiunto senza soddisfare o colmare in quale maniera quel bisogno.
Nel rapporto con l’oggetto trasformativo quello che conta sono i ritmi
di questo processo, la capacità di trovare i gesti di cura adeguati ai
bisogni del bambino. Conta la qualità del contatto, la giustezza della
distanza, l’adeguatezza del momento e della durata della prestazione.
Avere chiaro questo significava non soltanto poter orientare il
nostro lavoro, ma anche capire il significato delle mie precedenti
reazioni di controtransfer
alla sua richiesta di contatto attraverso i
“massaggini”. Queste mie reazioni potevano essere viste come un
tentativo inconscio di dare una risposta al suo bisogno.
3
Garcia Badaraco, psicoanalista argentino, ha sostenuto in una sua recente conferenza a Roma che
attraverso queste ostinate interazioni, il paziente psicotico riproduce relazioni reali con le figure
parentali e non relazioni con oggetti internalizzati
4
5
Bollas, C . , “ L ’ O m b r a d e l l ’ o g g e t t o ” , B o r l a E d . , 1 9 8 9 , R o ma . pp. 22-24.
Winnicot D.W., “Sviluppo affettivo e ambiente”, Armando Editore, Roma, 1970, p.236
5
Quanto ho esposto dimostra l’arricchimento e lo spessore della
comprensione della mia paziente, raggiunta grazie al mio personale
vissuto, molto al di là di quello che inizialmente avevo potuto vedere
con l’aiuto del Labananalysis. Ma il motivo centrale per il quale ho
scelto di presentare questa esperienza è perché , a mio giudizio,essa
mostra in maniera vivida quello che sostengono terapeuti come Searles
e Benedetti, e cioè che in molti caso il primo atto terapeutico con
un paziente psicotico può avvenire soltanto dentro il terapeuta e
frequentemente questo è l’unico modo di superare la barriera di
isolamento costituita dall’alienazione. Prima però di analizzare
quest’ipotesi
è importante spiegare quando e come è avvenuta
l’esperienza oggetto della nostra analisi.
PROCESSO
CREATIVO
DEL
TERAPEUTA,
COSCIENZA
RECETTIVA E DISPOSIZIONE AL CONTROTRANSFERT
Anche se possono far pensare all’esperienza onirica, quelli che
ho descritto sono in realtà i vissuti emersi durante un mio personale
processo creativo attraverso il movimento. Si trattava di quello che da
un punto di vista artistico possiamo chiamare un’improvvisazione
libera, senza regole né obiettivi predeterminati.
Infatti non ero impegnata in una riflessione sulla paziente, stavo
semplicemente “ascoltando” me stessa e lasciando fluire i movimenti
che nascevano dagli impulsi presenti nel mio corpo. Il focus della mia
attenzione era orientato fondamentalmente verso il livello “cinetico” 6,
inizialmente non avevo immagini o pensieri particolari. Nel momento
precedente ad un incontro di supervisione, non avevo altri obiettivi
6
Utilizzo questo termine, al modo di D. Alperson [“E xp erimen ta l
Mo vemen t
P sych o th era p y”, 1 9 8 3 in “Th eo retica l A p p ro a ch es in Da n ce Mo vemen t Th era p y”,
Kend all Hunt P ub lishing Co mp any, 1984, p.156] per riferirmi a una percezione
centrata sui movimenti incipienti, spontanei, molte volte precoscenti, del corpo.
6
che quello di entrare in sintonia con me stessa. Questo obiettivo,
insieme all’intensa pratica di supervisione collettiva che in quel
momento stava svolgendo il mio gruppo di appartenenza nell’Art
Therapy Italiana, mi avevano portato ad amplificare la capacità di
mantenere molto sveglio il mio “osservatore interno”.
In quello che si riferisce al modo di esplorare i propri
movimenti e al contenimento offerto dal gruppo la situazione era
simile a quella che si trova nella pratica del Movimento Autentico.
Sappiamo che in Danzaterapia è stato il Movimento Autentico la
pratica che più attenzione ha dato allo sviluppo della coscienza
ricettiva. Nel Movimento Autentico il “mover” (chi si muove) e il
testimone (chi osserva) “contemplano” in maniera ricettiva la propria
esperienza. Secondo Bollas 7, la capacità ricettiva, legata ad un
funzionamento rilassato della mente, porta un distacco dai processi di
proiezione, identificazione proiettiva e introiezione, meccanismi che,
sebbene inconsci, sono legati ad uno stato attivo della mente.
L’apertura di un canale di ascolto profondo verso noi stessi,
lasciando fluire i movimenti che nascono dagli impulsi presenti nel
proprio corpo, e rimanendo completamente nel qui ed ora della nostra
azione,
può
essere
vista
come
l’equivalente
nel
campo
della
Danzaterapia, in particolar modo del Movimento Autentico, di quello
che Bollas, nel campo psicoanalitico chiama elemento autoanalitico.
L’elemento
autoanalitico
è
per
questo
autore
del
campo
psicoanalitico, la disposizione a fare esperienza del proprio essere
come modo di creare lo spazio per l’arrivo di notizie dal proprio
Sé.Implica riconoscere che l’essere e lo sperimentare sono precedenti
alla conoscenza; dà priorità alla capacità recettiva della mente,
raggiungibile solo nella tranquillità, lasciando in secondo piano gli
aspetti più attivi del capire e dell’interpretare. Così si apre la strada
“all’evocazione” di notizie del proprio interno e alla “conoscenza
7
Bollas, Op.cit., p.243.
7
intuitiva”. Il paradosso è nell’essere disponibili allo svelarsi del
nostro
mondo
interiore
senza
che
la
nostra
volontà
prenda
il
sopravvento e senza perdere l’osservatore interno. Nel Movimento
Autentico, ma anche nell’improvvisazione profonda che molti artisti
raggiungono, il paradosso si manifesta nella capacità di essere
attivi dando forma al proprio movimento e registrando il proprio
vissuto, senza perdere la recettività.
CONTROTRANSFERT SOMATICO, CONOSCENZA INTUITIVA
E STATO DI COSCIENZA
Ovviamente,
le
disponibilità
all’autoascolto
da
parte
del
terapeuta acquista rilevanza soltanto da una concezione che consideri
il suo coinvolgimento emozionale non solo inevitabile nella situazione
terapeutica, ma anche fondamentale per ricevere informazioni sul
livello di sviluppo affettivo e di organizzazione egoica del paziente.
Questa concezione ampia del controtransfer implica, secondo le parole
di P. Heimann la necessità che il terapeuta metta in gioco “una
sensibilità
emotiva
stimolata
liberamente
per
poter
ricevere
informazioni che provengano dal proprio mondo interno”. 8
Bisogna a questo punto domandarsi se l’esperienza che ho
descritto può essere considerata un controtransfer? E la risposta è sì,
sempre che ci collochiamo all’interno della concezione ampia che
abbiamo descritto precedentemente.
In
flusso
Danzaterapia l’ascolto arriva alle sfumature sottili del
tonico
e
le
reazioni
controtransferali
vengono
quindi
percepite fondamentalmente attraverso il corpo. Il controtransfer
incorporato
o
“incarnato”
(embodied)
come
lo
chiama
Penny
Bernstein è parte della “coreografia” totale della relazione terapeutica
e orienta il terapeuta nella ricerca delle risposte motorie adeguate.
8
Heimann P ., “ On Co unter -T r ansfer ence”, I nter natio nal J o ur nal o f
P sycho analysis,1 9 5 0
8
Precedentemente abbiamo già detto che consideriamo la questione che
stiamo trattando un caso di controtransfer somatico e cioè un
particolare tipo di controtransfer vissuto nel corpo. Il controtransfer
somatico viene descritto, sempre dalla Bernstein come un diretto
flusso energetico tra gli inconsci somatici dei membri della
relazione
terapeutica.
L’inconscio
somatico
è
un
concetto
proveniente dalla psicologia junghiana; si riferisce a quegli aspetti
innati che vanno al di là dell’inconscio personale e sono costituiti da
flussi energetici, ritmi e sottili movimenti corporei. P. Lewis (1984 b)
ricorda che Schwartz sostiene che solo attraverso l’inconscio somatico
è possibile raggiungere, sperimentare e osservare l’inconscio.
La
capacità
di
diventare
coscienti
di
quanto
ci
arriva
dall’inconscio somatico di un’altra persona, è in rapporto con la
capacità di aprirsi al tipo di conoscenza intuitiva che per P.L.
Bernstein (1984 b) è possibile soltanto attraverso l’apertura di una
specie di “vuoto viscerale” in uno stato di quiete psichica e fisica. La
recettività, il senso di quiete, il respiro ritmico, il peso ben radicato, il
libero flusso della tensione dilatano le barriere e permettono che
l’esperienza si manifesti nel corpo.
In accordo con una ricerca realizzata dalla stessa Bernstein con
danzaterapeuti di diversa formazione che lavorano anche con patologie
diverse, occasioni di conoscenza intuitiva sembrano capitare a molti
terapeuti. Per molti di loro l’apertura della coscienza recettiva verso i
sottili cambiamenti somatici sembra essere un canale per superare
l’ordinario stato di coscienza, per aprirsi a forme di conoscenza
intuitiva, ampliata, necessaria per permettere la comunicazione da
inconscio a inconscio.
SUPERARE LA BARRIERA DI ISOLAMENTO
9
Possiamo
ora
tornare
all’ipotesi
centrale
che
vogliamo
sostenere e cioè che certe intense esperienze di controtransfer
somatico che, come quella che sto descrivendo, sono facilitate
dall’ascolto profondo e ricettivo del terapeuta verso sé stesso,
durante un suo proprio processo creativo, possono costituire
l’iniziale e sbloccante atto terapeutico con un paziente psicotico.
Sono diversi gli autori che sostengono che buona parte della
terapia del malato psicotico avviene attraverso il suo terapeuta.
Searles (1959, 295) ad esempio sostiene che l’integrazione del
paziente avviene, per così dire “al di fuori di lui, nell’esperienza
intrapsichica del suo terapeuta”. Ma questo è possibile solo se il
terapeuta è disposto ad aprirsi a una specie di simbiosi terapeutica,
con la gamma di emozioni intense e i vissuti di frammentazione che
essa comporta. In molti casi i danzaterapeuti, sono stati prima artisti, i
quali frequentemente sono, come sostiene Masud Khan (1992), abituati
dalla loro ricerca espressiva, a mettersi in contatto con esperienze
psichiche non sempre rievocabili con gli usuali processi coscienti e
questo fa sì che possano aprirsi più facilmente a queste trasformazioni
senza sentirsi minacciati nel proprio senso di identità.
La relazionalità simbiotica, è caratterizzata a livello soggettivo
dall’assenza di confini dell’Io (Searles, 1959). Nella relazione con
pazienti psicotici il terapeuta deve vivere questa mancanza di confini,
diversamente che nelle relazioni con i pazienti nevrotici in cui la
separazione tra gli attori è più netta e gli elementi del controtransfert
possono essere comunicati in maniera esplicita.
Il
paziente
schizofrenico
ha
un’elevata
capacità
di
comunicazione pre-verbale e si potrebbe dire che “il suo inconscio
partecipa all’inconscio altrui”. Partecipa così profondamente che,
essendo carente di un adeguato senso di separazione, “vive la
percezione che ha dell’altro come trasformazione del suo proprio
10
modo di essere” 9. Pensiamo che è possibile la trasformazione
terapeutica
di
queste
forme
patologiche
di
identificazione
(proiettiva o introiettiva), nelle quali il paziente vive se stesso in un
oggetto o si sente oggetto delle rappresentazioni altrui, quando
vengono trasferite nel terapeuta, il quale deve essere disposto a
viverle
in
termini
di
esperienza
soggettiva.
Il
paziente,
identificandosi a sua volta con il terapeuta, riesce ad incorporare
elementi di sé stesso
non pensati che sono divenuti realtà nel vissuto
del terapeuta, questo implica già “una trasformazione e non solo la
copia del sé psicotico, una trasmutazione di esso nello specchio
integrante di un io terapeutico non dissociato” 10.Come ho detto
prima, dopo l’esperienza che ho descritto si aprì un canale empatico,
prima inesistente, giacché fino allora la paziente mi appariva come
lontana e incomprensibile. A mio giudizio questo può essere visto
come il risultato di un processo di questo tipo.Due sono state le
conseguenze:
•
l’apertura
nella
terapeuta
di
nuovi
“risuonatori”
emozionali che fino a quel momento erano sepolti nel
suo inconscio;
•
la sostituzione del vuoto della paziente, per nuove
sfumature nella esperienza di sé. Sfumature acquisite
anch’esse attraverso l’identificazione con la terapeuta
ma che a loro volta offrono un nuovo stimolo alla
capacità empatica di quest’ultima.
Il paziente psicotico esige da noi perfino di essere capaci di
flessibilizzare quegli aspetti della nostra struttura egoica strettamente
legati al nostro stato di coscienza ordinario, che sono garanzia di
sanità e che ci permettono di realizzare una netta distinzione tra noi e
9
Benedetti G. “Alienazione e Personazione nella Psicoterapia della malattia mentale”.
Einaudi , Torino,1980, pp.141-48.
10
Benedetti G., op.cit, p.157.
11
il
mondo.
Il
nostro
normale
stato
di
coscienza
dall’esistenza psicotica, che si struttura in categorie
ci
allontana
profondamente
estranee alla nostra stessa base di sentire e di pensare. Questo è a mio
giudizio il nucleo ultimo d’incomprensibilità che la maggioranza degli
autori, attribuiscono al paziente psicotico. Se pensiamo concretamente
al controtransfer che ho descritto vediamo che il sentirmi “occupata”
dalla paziente che percepivo come “incarnata” nella mia esperienza
somatica, può essere visto come il
modo in cui mi è stato possibile
avvicinarmi al vissuto psicotico d’incorporazione (Benedetti, 1980) ,
nel quale l’esperienza di sé e quella del mondo si intersecano.
IL MOVIMENTO AUTENTICO COME VIA FACILITANTE
Sappiamo che i vissuti di incorporazione reciproca, non sempre
si
manifestano
attraverso
una modificazione così
radicale della
coscienza. “Soltanto nei sogni e in particolari vissuti «paranormali» la
controindicazione terapeutica equivale ad una propria esperienza di
vicariato;
per
lo
più
essa
si
limita
invece
allo
sviluppo
di
fantasie…” 11. Lo stesso può essere detto dal punto di vista del
controtransfer
somatico;
malgrado
esso
comporta
sempre
forti
modificazioni nella coscienza psichica e somatica del terapeuta. In
molte occasioni queste modificazioni, intense ma limitate non sono
tali da poter essere definite come uno stato altro della coscienza. Le
dichiarazioni di molti terapeuti consultati da Penny Lewis nella sua
ricerca sul controtransfer somatico fanno però supporre che in molti
casi,
almeno
Ovviamente
per
ci
brevi
sono
periodi
di
caratteristiche
tempo
della
si
dia
struttura
questo
salto.
psichica
del
terapeuta che possono facilitarlo ma non verranno analizzate in questo
lavoro.
11
Benedetti G., op.cit, p.188.
12
Unione, coscienza transpersonale e cioè “coscienza delle
illusorietà dei limiti e della separazione” sono anche gli aspetti in
cui Janet Adler mette l’accento 12 per riferirsi a un particolare
momento
nella
relazione
tra
osservatore
disciplina del Movimento Autentico
13
e
osservato
nella
La coscienza transpersonale si
manifesta, secondo l’autrice, con un “senso di sparizione o espansione
dei propri limiti e un vissuto di chiarezza che raggiunge senza
impedimenti, dentro e fuori tutto l’essere psichico e corporeo. Il corpo
diventa un contenitore e la coscienza del proprio io sparisce”.
L’idea di simbiosi terapeutica di G. Benedetti e quella di “stato
di unità” che utilizza Janet Adler, hanno degli elementi comuni. In
ambedue c’è l’idea d’un modo primario e pre-egoico di essere e di
conoscere che può servire paradossalmente a una crescita, a un salto
evolutivo. Forse non è sorprendente che partendo da campi così
opposti
si
arrivi,
attraverso
l’esperienza
a
percepire
gli
stessi
fenomeni. Janet Adler punta allo sviluppo della coscienza attraverso il
movimento, mentre chi lavora con psicotici ha bisogno di espandere la
propria coscienza per colmare la distanza di incomprensibilità con il
proprio paziente.
Vogliamo in questo lavoro mettere in risalto la somiglianza sia
concettuale che esperenziale tra alcuni casi di controtransfer somatico,
l’incorporazione terapeutica e gli stati di unione transpersonale; e
l’importanza della trasformazione degli stati di coscienza in tutti e tre
i casi.
12
Adler J.,“Wh o is th e witn ess. A d escrip tio n o f A u th en tic Mo vemen t”, Co ntact
Quater ly 1 2 , W inter , 1 9 8 7 New Yo r k 1987, p.20-27.
13
I l Mo vimento Autentico è una p r atica, una d iscip lina, r ego lata d a sp ecifici
p ar ametr i, utilizzata co me str umento p er la cr escita p sico lo gica e d ella cr eatività,
e anche co me via d i co nsap evo lezza sp ir ituale. Affo nd and o le sue r ad ici nel
meto d o d ell’I mmaginazio ne Attiva id eato d a C. G. J ung, il Mo vimento Autentico
si è svilup p ato nei p r imi anni sessanta negli U.S.A. d all’inco ntr o tr a la d anzamo vimento ter ap ia e p sico lo gia d el p r o fo nd o nella p er so na d i Mar y Star k
W hiteho use, ed è stato succesivamente ap p r o fo nd id o d a j .Ad ler e J o an Cho r o d o w.
13
Si potrebbe dire che questi stati di profonda unione hanno
bisogno di un cambiamento dello stato ordinario di coscienza per
esprimersi, ma essi sono allo stesso tempo la causa di questa
modificazione.Il principale ostacolo ad una relazione terapeutica
caratterizzata dal reciproco assorbimento è da vedersi nella paura del
terapeuta a perdere la propria identità. Questa paura può diminuire con
la pratica di una disciplina meditativa e nel caso particolare dei
danzaterapeuti con la pratica del Movimento Autentico che offre un
contesto culturale il quale non considera lo stato ordinario di
coscienza né un fatto naturale né un dato di fatto 14. Il raggiungimento
o meno di questi stati altri di coscienza è però risultante da un insieme
di variabili e per questo non può sempre essere garantita da questo
tipo di pratiche. Il gruppo offre comunque un adeguato sostegno
quando si devono affrontare le esperienze insolite e paurose che un
“viaggio” di questo tipo può offrire.
Inoltre
la
pratica
del
Movimento
Autentico
permette
di
recuperare, fuori della seduta, la coscienza recettiva per raggiungere i
vissuti di controtransfer che il corpo registra che però non sono ancora
nel pieno della coscienza. In molte occasioni, soltanto così è possibile
attivare l’elemento autoanalitico verso quello che l’inconscio somatico
riceve dai nostri pazienti 15, giacché in quasi tutte le forme terapeutiche
la
coscienza
recettiva
dell’osservatore
viene
molte
volte
inframmezzata da momenti in cui la relazione diventa più attiva.
Questo è ancora più vero in un gruppo di danzaterapia per pazienti
psichiatrici nel quale il terapeuta, almeno in una certa proporzione non
può sottrarre il suo corpo a una relazione attiva e in movimento.
14
Ta r t . C . T. , “ S t a t o d i c o s c i e n z a ” , As t r o l a b i o , 1 9 7 7 , R o ma . p.45.
15
La mia convinzione sull’importanza della pratica del Movimento Autentico per i
terapeuti di pazienti psichiatrici è quello che mi ha portato a cercare di inserirla, anche se
questo è stato possibile soltanto per un breve periodo, tra gli operatori che collaborano con
me nella Comunità Reverie.
14
BIBLIOGRAFIA
-
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