28 - Marinai d`Italia

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28 - Marinai d`Italia
Storie
Il rimorchiatoreGagliardo
fotografato da
Erminio Bagnasco
Ricostruzione
Cesare Casettari
Socio ANMI di Numana
ono partito da casa il 12/10/1945 e mi
sono imbarcato sulla motonave Abbazia con destinazione Taranto Maridepo. Vitto: una scatolina di sardine per
quattro persone e uno sfilatino a testa. Al
deposito vestiario ci diedero una divisa
blu, una bianca, un maglione blu, due tute,
un paio di scarpe e una coperta. Eravamo
in moltissimi a Maridepo, noi reclute fummo mandati a Massafra in un campo di
concentramento visto che a Taranto erano
scoppiati alcuni casi di tifo.
Dopo 40 giorni passati sotto una tenda fui
mandato a Brindisi all’isola di San Andrea
dove c’erano circa ventiquattro famiglie di
sottufficiali. Un sottufficiale faceva il capo
gamella ogni quindici giorni. Per quei tempi è inutile dire altro.
Finito il corso di segnalatori fui destinato
presso l’ufficio telegrafico marittimo di
Monopoli dove c’era un maresciallo che
veniva ogni due-tre giorni da Polignano a
Mare dove abitava, io andavo a prendere i
viveri a Bari dove la cucina era fatta di
mattoni con un buco in mezzo, una sola
pentola con pochi viveri.
Sopra l’ufficio al secondo piano c’era un
carcere con 35-40 persone, e poichè i
”bagni” erano in comune utilizzavo quello
del capo carceriere. Una volta chiuso l’ufficio di Monopoli fui destinato prima a
Brindisi e poi al semaforo di Bari.
Dopo 40 giorni fui trasferito
sul rimorchiatore Gagliardo
a Palermo, dove arrivai in
stazione in piena notte dopo innumerevoli vicissitudini, dormii su un carro
merci, e la mattina mi alzai
con le braccia e le gambe
gonfie: anche le cimici avevano fatto il loro lavoro.
In porto il rimorchiatore
non c’era: era partito per
Messina.
S
Cesare Casettari
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Marinai d’Italia
Al comando marina mi imbarcarono su una
nave motocisterna diretta a Messina. A
circa metà viaggio incontrammo il Gagliardo e dopo vari segnali ci avvicinammo e,
nonostante il libeccio e mare forza 4, riuscii
a trasbordare legato con una cima e grazie
all’abilità dei marinai di entrambi le navi.
Il rimorchiatore - 45 metri fuori tutto, a carbone con 1000 cv di forza – era vecchio ed
adatto per il lavoro portuale ma per necessità navigava in mare aperto, il suo equipaggio era composto da 26 persone - tutti
calabresi - di cui 20 militarizzati (fuochisti),
il comandante, anche lui militarizzato, era
un uomo pieno di buon senso ed onestà.
In plancia avevamo una grossa bussola in
liquido, la ruota del timone, il megafono
per la macchina, un piccolo verricello solo
a prua e un cavo di acciaio di 300 metri
della grossezza quasi di una bottiglia, senza un rullo per avvolgerlo: si lavorava tutto
a mano.
Riuscii a sistemarmi in una specie di branda in alto sotto la plancia, avevamo un solo gamellino per mangiare, e se la sera non
lo si lavava i grossi topi di bordo erano
pronti a banchettare.
Arrivati a Palermo prendemmo a rimorchio
un piroscafo di circa 15.000 tonnellate da
portare a Taranto. Navigazione tranquilla
alla media di 3-4 nodi. Poi partimmo subito
per Bari insieme ad un altro rimorchiatore
d’alto mare dove prendemmo a rimorchio
un piroscafo di circa 10.000 tonnellate. Inizialmente lo agganciammo per la poppa visto che la prua per metà non esisteva però
il piroscafo zigzagava troppo e dopo qualche miglia fummo costretti a tornare a Bari per agganciarlo di prua. Nel fare manovra e in un momento di strascico il nostro
cavo si impigliò su un piroscafo affondato,
ma fortunatamente dopo qualche ora ci liberammo nonostante il forte scirocco. Al
traverso di Taranto, l’altro rimorchiatore ci
comunicò che stava arrivando la tramontana. Il nostro comandante suggerì di poggiare su Santa Maria di Leuca. Ma il capo
missione disse di no e proseguimmo per
Crotone.
Verso le 10 fummo investiti da una forte
tempesta (la tramontana del golfo di Taranto) e il nostro rimorchiatore carico di carbone si trovò in grosse difficoltà. Le onde
alte e rompenti spazzavano con rumore su
tutta la coperta e dovendo fare una comunicazione col proiettore fui costretto a legarmi alla sua colonnina con una cima.
Il piroscafo non si poteva lasciare, avendo
a bordo12 persone, e non l’avremmo mai
lasciato anche se la situazione diventava
sempre più difficile. In tarda mattinata avvistammo Capo Colonna e da lì Capo Rizzuto dove finalmente ci riparammo: era finito l’incubo del mare e delle mine.
In seguito facemmo molte altre missioni,
tutte sul mar Tirreno, dove una volta al traverso di Civitavecchia una mina vagante ci
passò a circa 100 metri di distanza, altre
volte le tempeste ci costrinsero a poggiare su Acropoli, a Portoferraio, a Porto Santo Stefano, a Livorno.
Ora malgrado tutto mi sento molto soddisfatto per aver partecipato alla ricostruzione del mio Paese e per la fiducia del mio
comandante con cui e per cui facevo la
guardia in plancia
Questi sono i ricordi della mia vita militare
fatta con passione e devozione, dove ho
imparato tante cose utili alla vita civile.
Scusatemi il mio modo di scrivere e vi saluto distintamente e caramente.
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