Anno Accademico 2001/02 Metodi e tecniche del Servizio

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Anno Accademico 2001/02 Metodi e tecniche del Servizio
Anno Accademico 2001/02
Metodi e tecniche del Servizio Sociale III corso
docente dott.sa G. Bruno
Relazione di orientamento del tirocinio professionale
Supervisore: Assistente Sociale, Rosa Gravagna
Studente: Vincenzo Dell’Erba (n.matr.: 671 000088)
Ente: Ministero della Giustizia, Ufficio Servizio Sociale per i Minorenni,
piazza della Repubblica n°31 Catania
INTRODUZIONE
Il tirocinio professionale previsto al terzo anno del Corso di Laurea in
Scienze del Servizio Sociale prevede lo svolgimento di tre fasi:
1. fase analitica, finalizzata all’acquisizione di una conoscenza di base
delle normative ed all’analisi dell’ente e del servizio;
2. fase
operativa,
istituzionali
del
finalizzata
servizio
alla
ed
sperimentazione
all’acquisizione
delle
delle
funzioni
specifiche
metodologie di lavoro, anche con la diretta conduzione dei casi;
3. fase valutativa, finalizzata all’acquisizione della capacità di valutazione
degli interventi.
A conclusione della prima fase, l’attività di tirocinio presso gli Enti
convenzionati con l’Università, prevede la redazione, da parte dello
studente, di una relazione, detta di “orientamento” nella quale viene
delineato il contesto nel quale si è avviata l’esperienza di diretto contatto
con la realtà operativa dei servizi sociali e delle relative aree di utenza.
L’esigenza
della
contestualizzazione
del
proprio
ruolo
e
della
conoscenza degli assetti organizzativi dell’Ente rappresenta la base sulla
quale si regge la professione dell’Assistente Sociale al fine di poter
instaurare un ottimale rapporto con l’utenza e riuscire a cogliere tutte le
possibilità messe a disposizione dagli strumenti legislativi vigenti.
Questa premessa appare ancora più valida in un contesto assai delicato,
per la tipologia dell’utenza, e fortemente caratterizzato dalla presenza di
2
una legislazione molto articolata come quella del settore della Giustizia
Minorile al quale afferisce appunto l’Ufficio di Servizio Sociale per i
Minorenni (U.S.S.M.).
Uno
degli
aspetti
caratterizzanti
l’esperienza
del
tirocinio
è
l’effettuazione di visite alle strutture con le quali l’U.S.S.M. entra in
contatto nell’esercizio della sua attività (vedi allegato n.3).
A tal proposito è stato decisivo il puntuale e stimolante rapporto con il
supervisore, l’assistente sociale Rosa Gravagna, che mi ha permesso di
poter contare sulla notevole esperienza di una professionista, che dopo
molti anni di attività nell’ambito della giustizia minorile, è stata un
“testimone privilegiato” nonché un valido supporto, nei processi di
cambiamento di decine di minori con i quali è entrata in relazione
nell’esercizio della sua attività.
Per questi motivi, il contenuto della presente relazione sarà incentrato
sul processo storico e l’ordinamento attuale del diritto minorile, il sistema
della giustizia minorile, l’organizzazione ed il funzionamento dell’Ente
con, in particolare, i compiti istituzionali e le attività dell’U.S.S.M. di
Catania.
3
NASCITA ED EVOLUZIONE
DELLA LEGISLAZIONE MINORILE
Il diritto minorile trova il suo fondamento nelle correnti filosofiche
dell’illuminismo e dell’umanesimo che affermatesi e condivise gia nel
corso dell’ottocento ebbero bisogno di un lungo periodo di maturazione per
portare anche in questo campo i lumi della ragione e l’affermazione di una
nuova sensibilità nei confronti della condizione minorile.
Tradizionalmente il minore era considerato solo come oggetto di diritti
ed aspettative altrui e comunque, giammai, come possibile titolare di diritti
e doveri; anzi secondo talune concezioni, di epoca medioevale, al minore
non si riconosceva la dignità di uomo se non al raggiungimento della
maturità, evento che avrebbe rappresentato il superamento dell’intrinseca
“cattiveria” che avrebbe dovuto essere “controllata” durante la crescita.
Solo tra la fine dell’ottocento e gli inizi del ‘900 comincia ad emergere
nella legislazione degli Stati più sensibili alla tematica una qualche forma
di protezione dell’infanzia.
In Italia questa nuova sensibilità si afferma solo negli anni trenta ed è
basata su un concetto elementare ovvero quello di considerare il minore
quale soggetto in evoluzione. Si delinea quindi la necessità di intervenire
nelle decisioni che lo riguardano con un Tribunale ed un giudice ad hoc.
Ma nonostante il riconoscimento di questo elementare principio la reale
evoluzione ed affermazione di una nuova prospettiva si ha a partire dal
dopoguerra. La Costituzione Repubblicana del 1948 ha un ruolo
fondamentale nell’affermare i principi che ispireranno la successiva
legislazione penale e processuale minorile. Ad una attenta lettura,
contestualizzando il testo approvato dall’Assemblea Costituente, non può
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non definirsi rivoluzionaria l’introduzione dell’obiettivo rieducativo della
pena quale superamento della concezione puramente retributiva.
Altrettanto importante risulta essere l’affermazione di un dovere di
protezione dell’infanzia da parte dello Stato, un principio che si esplicita
nel considerare il minore non solo come un soggetto al quale sono dovute
particolari tutele, ma anche come uomo che cresce al quale devono essere
riconosciuti, nelle forme più idonee, tutti i diritti.
Sul piano internazionale aldilà delle dichiarazioni di principio del
secondo dopoguerra e dei contenuti nella Carta dei diritti del Fanciullo
(1959), ben poco si era fatto nel considerare la condizione dei minori
devianti. Solo nel 1985 l’O.N.U. ha approvato le regole minime per
l’amministrazione della Giustizia Minorile e cinque anni più tardi, le
risoluzioni “Principi preventivi di Riyadh sulla prevenzione della devianza
minorile” e “Regole minime per la protezione dei minori privati della
libertà” con cui tutti gli Stati hanno ricevuto direttive finalizzate a
prevedere
attenuazioni
della
responsabilità,
strutture
specifiche,
specializzazione di tutti gli operatori e ristrette limitazioni della libertà
personale.
I nuovi obiettivi cui dovrebbe tendere la politica penale minorile
internazionale sono la promozione degli interessi evolutivi dei minori, il
rispetto del carattere evolutivo, la non definitività del percorso e degli errori
adolescenziali, che ancora oggi, nella legislazione di molti Stati, non hanno
trovato
il
meritevole
riconoscimento.
In
questo
tentativo
di
“globalizzazione dei diritti” per il minore deviante, giocano un ruolo
importante organizzazioni istituzionali (ad esempio l’Unicef) ed altre non
governative (come l’associazione “avvocati senza frontiere”) che tentano di
assicurare il diritto alla difesa ed a un processo rispettoso delle norme
elementari della legislazione penale minorile anche nei paesi meno sensibili
a questa tematica.
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IL TRIBUNALE PER I MINORENNI
Il Tribunale per i Minorenni venne istituito con il regio D.L. n.1404 del
27 luglio 1934, in ogni distretto di Corte d’Appello, come organo
giudiziario specializzato per gli affari civili, penali e amministrativi
riguardanti i minorenni e la specificità della loro condizione.
Presso il Tribunale per i minorenni, così come previsto nel Tribunale
ordinario, esiste un Ufficio del Pubblico Ministero. Al P.M. è imposto non
solo l'obbligo dell’azione penale (per i casi previsti) e della ricerca degli
elementi d’accusa, ma anche il potere-dovere, insieme al Giudice, di
acquisire informazioni sulle condizioni e sulle risorse personali e familiari
del minore al fine di accertarne l’imputabilità e il grado di responsabilità.
In base alla legge che lo ha istituito ed alle successive modifiche ed
integrazioni, il T.M. è composto da un Magistrato di Corte d'Appello, che
lo presiede, da un magistrato di Tribunale, e da due componenti non togati
(Giudici Onorari)., un uomo e una donna (legge 1441/1956). Ai Giudici
Onorari è richiesto di avere compiuto 30 anni di età ed essere “cultori” di
una
materia
tra
biologia,
fisica,antropologia
criminale,
pedagogia,
pediatria,sociologia e psicologia, al fine di affrontare con maggiore
cognizione gli aspetti del disagio minorile ed arricchire le prospettive di
valutazione del collegio giudicante con il proprio sapere extra giuridico.
Gli interventi del legislatore nel settore giustizia minorile più
significativi rispetto al progetto originale, sono rappresentati dal d.P.R.
616/1977 (con il quale è stata trasferita la competenza degli interventi di
servizio sociale agli Enti Locali per i procedimenti civili ed amministrativi
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del T.M. fino allora seguiti dall’Ufficio di Servizio Sociale per i
Minorenni), il d.P.R. 448/1988 che ha completamente ridisegnato l’assetto
della giustizia minorile ed infine il d.L.vo 272/1989 che ne ha previsto
l’attuazione.
La competenza civile del T.M. consiste nell'esercizio della difesa e della
protezione del minore, garantendogli la possibilità di crescere in un nucleo
familiare adeguato anche se diverso da quello di origine.
Gli affari civili attribuiti al T.M. riguardano vari aspetti quali, per es.:
l’autorizzazione a contrarre matrimonio, il riconoscimento, l’affidamento,
la legittimazione e l’adozione del minore ecc..
Il T.M. può pronunciarsi anche in ordine alla limitazione o alla
decadenza della potestà genitoriale, mentre in caso di separazione e
divorzio è il Tribunale Ordinario che dispone l'affidamento del minore ad
uno dei due genitori.
Va rilevato che recentemente è stato predisposto un disegno di legge di
delega al governo in materia di diritto di famiglia e dei minori che prevede
l’attribuzione di tutti gli affari civili (compresi quelli di competenza del
T.M.) ad una istituenda sezione specializzata per la famiglia e per i minori
con l’obiettivo di ricondurre ad un unico organo giudiziario tutta la materia.
La competenza amministrativa del T.M. comprende tutti quei
provvedimenti che il tribunale può adottare nei confronti del minore
quando questi, anche senza aver commesso alcun reato, manifesta
irregolarità di condotta e di carattere.
La richiesta d’intervento può essere avanzata al Procuratore della
Repubblica presso il T.M., dai Servizi Sociali territoriali, dai genitori, dal
tutore, dall’U.S.S.M. e da tutti quegli organi preposti alla protezione
dell'infanzia e dell'adolescenza.
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A seguito della segnalazione il T.M., a mezzo di uno dei suoi
componenti, designato dal Presidente, coadiuvato dai Servizi Sociali, avvia
indagini approfondite sulla personalità del minore. Accertata la necessità di
interventi di sostegno il T.M. può disporre l’affidamento del minore al
Servizio Sociale dell’Ente Locale eventualmente anche con il collocamento
in una struttura educativa.
La competenza Penale del Tribunale per i Minorenni riguarda i reati
commessi dai minori dei diciotto anni. Ai sensi del codice penale (artt. 97 e
98), l’elemento dell'età è fondamentale per stabilire l’imputabilità del
soggetto.
Innanzi tutto la minore età deve sussistere al momento in cui viene
commesso il reato; per questo motivo sono possibili casi di maggiorenni
(“giovani adulti” tra i 18 e i 21 anni) sottoposti a procedimento penale
minorile per i reati commessi durante la minore età. Per quanto riguarda
invece la funzione di sorveglianza, la competenza del Tribunale per i
Minorenni cessa al venticinquesimo anno di età.
Va precisato che i minori di quattordici anni sono considerati comunque
non imputabili, mentre i minori tra i quattordici e i diciotto anni sono
imputabili verificata la loro capacità di intendere e di volere (a differenza di
quanto succede per gli adulti per i quali è presupposta ed eventualmente
deve essere eccepita) intese come capacità di rendersi conto del valore
sociale dell’atto che si compie ed attitudine della persona a determinarsi in
modo autonomo.
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IL D.P.R.448/1988
Una chiave di volta fondamentale nella considerazione del minore nel
corso del processo penale si è avuta con l’entrata in vigore del nuovo
codice di procedura penale minorile che ha trovato realizzazione con il
d.P.R. 22/09/1988 n.°448 recante il titolo“Disposizioni sul nuovo processo
penale minorile a carico degli imputati minorenni” e con il d.L.vo 272/1989
(“Norme
di
attuazione,
di
coordinamento
e
transitorie
del
d.P.R.448/1988”).
Le finalità di tutela, recupero e sviluppo della personalità dei minori
devianti condizionano le strutture processuali in maniera decisiva. Il
processo penale minorile è considerato dal nuovo codice un evento delicato
ed importante della vita del minore. Si afferma in esso la necessità di un
sistema penale adeguato alla capacità del soggetto adolescente di valutare
la portata della trasgressione ed il peso della sanzione.
In sostanza il d.P.R. 448/1988 vuole contemperare le istanze di risposta
pedagogica con le finalità retributive più generali della pena e del processo
che sono riconvertite in opportunità educative. Già il primo comma dell’art.
1 è rappresentativo di questa nuova concezione quando afferma che le
disposizioni di legge vanno applicate in modo adeguato alla personalità ed
alle esigenze educative del minore.
Il nuovo c.p.p.m., cerca di garantire che l’esperienza penale del ragazzo
non si trasformi in esperienza destrutturate e diseducativa, attraverso il
rispetto e l’attuazione di alcuni fondamentali principi:
• facoltatività dell’arresto ed utilizzo residuale della custodia cautelare;
• possibilità di rapida uscita dal circuito penale con specifici istituti;
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• possibilità di sospendere il processo e di mettere alla prova il ragazzo;
• assistenza affettiva e psicologica in ogni stato e grado del procedimento;
• adeguatezza nell’applicazione delle norme alla personalità ed alle
esigenze educative del minore;
• tutela della riservatezza.
La Messa alla Prova detta anche “probation”, è uno degli strumenti più
innovativi introdotti dal nuovo codice, essa consiste nella sospensione del
processo con la messa alla prova (art.28) del minore per la durata massima
di tre anni. Concluso il periodo previsto, il giudice fissa una nuova udienza
dove, con sentenza, dichiara estinto il reato se ritiene che la prova abbia
avuto esito positivo, in caso contrario riprende il processo penale.
Attraverso questo istituto lo Stato concretamente invia un segnale di
disponibilità verso il ragazzo, sospendendo il giudizio al fine di favorire
una effettiva attività di cambiamento della sua personalità.
Questo istituto può essere applicato in qualsiasi fase del giudizio, sia dal
G.U.P. sia dal Tribunale in fase dibattimentale, e può essere disposto, anche
per i reati più gravi su richiesta di una delle parti.
L’ordinanza di sospensione del procedimento giudiziario prevede il
contemporaneo affido del ragazzo ai servizi della giustizia minorile e
dell’ente locale con le funzioni di osservazione, trattamento e sostegno. In
caso di gravi e ripetute trasgressioni alle prescrizioni che la caratterizzano
essa viene revocata.
La messa alla prova, attuata sulla base di un progetto educativo
elaborato dai servizi minorili, comporta una periodica valutazione della
personalità del minore.
Infatti, il giudice, in forza degli obbiettivi di cambiamento, blocca il
giudizio sul caso al fine di consentire un positivo processo di maturazione
nel minore.
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L’avvio delle procedure per la messa alla prova si ha con la richiesta del
giudice all’U.S.S.M. di un progetto educativo per il minore in questione.
L’elaborazione del progetto è di pertinenza dell’Assistente Sociale che
in collaborazione con i servizi sociali del territorio e con l’attivazione di
tutte le risorse funzionali alla buona riuscita dell’intervento deve favorire:
•
la consensualità: intesa come la disponibilità e l’accettazione del
progetto da parte del ragazzo;
•
l’adeguatezza: rispetto al contenuto che deve essere pertinente da una
parte alla personalità, alle capacità personali sociali e culturali del ragazzo
e, dall’altra, al tipo di reato che ha commesso contemplando eventualmente
anche la possibilità di una riconciliazione con la parte offesa;
•
la fattibilità: Il progetto deve essere caratterizzato da una dimensione
pragmatica dell’intervento, indicando chiaramente con quali tempi e con
quali risorse (umane ambientali educative ecc) intende raggiungere gli
obbiettivi proposti.
•
la flessibilità: come capacità di rimodellare il progetto al verificarsi di
imprevisti al mutare delle esigenze del minore, al venir meno di risorse o
alla apertura di nuove possibilità.
Il ruolo del Servizio Sociale è importantissimo nel valutare la storia
individuale del ragazzo, il grado di coinvolgimento del suo contesto
familiare e gli elementi ambientali che lo circondano.
Questa attività è necessaria sia nella fase iniziale, nella quale il progetto
viene impostato partendo da un quadro generale per giungere agli aspetti
sempre più specifici, che in quella attuativa. Durante la messa alla prova
l’assistente sociale dovrà saper adempiere a funzioni:
•
di sostegno al fine di garantire rinforzo e restituzione positiva nei
momenti di crisi, conferma e stima rispetto ai piccoli passi effettuati o aiuto
a superare i fallimenti nel quale il minore si è imbattuto.
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•
di controllo rispetto all’andamento del progetto al fine di anche di
rinegoziare modalità ed obbiettivi e poter esprimere la sua valutazione
sull’evoluzione del percorso;
•
di raccordo rispetto al giudice che ha il compito di adottare le decisioni
sul caso sulla base delle indicazioni tecniche ed il buon esito della prova,
ma anche rispetto ai servizi territoriali e a tutte le risorse a cui è possibile
attingere.
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LE FASI DEL PROCESSO PENALE MINORILE
L’ingresso del minore nel circuito penale ha solitamente come primo
passaggio la redazione da parte della polizia giudiziaria di un verbale
contenente la notizia di reato, che viene trasmessa immediatamente al P.M..
L’avvio dell’iter processuale (durante il quale il ragazzo sarà comunque
seguito dai Servizi) si può avere a seguito di arresto, fermo (entrambi
facoltativi1) oppure di “denuncia a piede libero”.
Ricevuta la comunicazione dell’avvenuto arresto o del fermo, il P.M.
dispone2 l’accompagnamento del minore di norma al Centro di Prima
Accoglienza, la collocazione in una comunità autorizzata dal Ministero
oppure, in relazione alle modalità del fatto all’età ed alla condizione
familiare, che sia condotto nell’abitazione dei genitori ai quali sarà
raccomandato di mantenerlo a sua disposizione per lo svolgimento delle
indagini.
Il Centro di Prima Accoglienza (C.P.A.), è una struttura intermedia
concepita ex novo dal d.P.R. 448/1988 per superare concretamente il
binomio arresto-carcerazione preventiva ed evitare l’impatto con la
struttura carceraria che, soprattutto per i minori alla prima esperienza
penale, rappresenta un evento emotivamente forte e stigmatizzante. Proprio
1
La Polizia Giudiziaria, nell’avvalersi di tale facoltà, deve valutare la gravità del fatto l’età e la
personalità del minore in base al principio dell’adeguatezza della risposta.
2
Eccetto i casi in cui per esempio la P.G. non ha adempiuto al dovere di informare
immediatamente gli esercenti la potestà, o i Servizi Sociali, se vi è stato errore di persona, se vi
sono evidenti casi di non imputabilità, se ritiene di richiedere archiviazione o di non dover
applicare alcuna Misura Cautelare tutte ipotesi nelle quali può disporre l'immediata liberazione
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per questo i C.P.A. si trovano in luoghi diversi dagli Istituti Penali Minorili
e comunque nei pressi degli uffici giudiziari minorili. In condizioni ideali il
numero massimo di soggetti ospitabili contemporaneamente non deve
superare le sei unità al fine di garantire una connotazione di tipo
comunitario. Anche dal punto di vista dell’arredamento e delle strutture è
prevista una diversificazione rispetto al carcere tradizionale (ad esempio
l’uso di vetri antisfondamento al posto delle porte in ferro e delle grate).
Al C.P.A. i minori arrestati, fermati o accompagnati sono ospitati, con il
supporto di un équipe multiprofessionale, per un periodo massimo di 96 ore
e comunque fino all’udienza di convalida dell’arresto.
L’equipe raccoglie i primi elementi di conoscenza dei minori in
relazione alle rispettive situazioni personali, familiari e sociali cercando
anche di individuare le prime ipotesi d’intervento.
Questi dati confluiscono in una relazione che sarà trasmessa al Giudice
ed al P.M. all’udienza di convalida.
Infatti, entro le prime 48 ore, il P.M. chiede al Giudice per le Indagini
Preliminari
(G.I.P.)
la
convalida
dell’arresto
(del
fermo
o
dell’accompagnamento). Nelle successive 48 ore il G.I.P.(che è un giudice
monocratico) fisserà appunto l’udienza di convalida che si svolge in
Camera di Consiglio. Normalmente il P.M. illustra i motivi dell'arresto o
del fermo, quindi il G.I.P, sentiti l’imputato, i Servizi, gli esercenti la
potestà, ed il difensore può, motivandolo, convalidare o no l’arresto
disponendo l'applicazione di una misura cautelare tra quelle previste agli
artt.20-21-22-23-Dpr 448/88 o la remissione in libertà. Le misure cautelari
possono essere disposte per esigenze di tutela della collettività, in altre
parole: pericolo di inquinamento delle prove, di fuga o di reiterazione di
gravi reati.
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Avverso la decisione del G.I.P. l’imputato può inoltrare ricorso al
tribunale del riesame che può pronunciarsi confermandola, modificandola o
revocandola.
Quando il Giudice dispone una misura cautelare l'imputato viene
affidato ai Servizi della Giustizia Minorile con i quali collaborano quelli
del territorio, al fine di svolgere attività di sostegno e controllo del ragazzo.
Nell’applicazione delle suddette misure devono essere rispettati dei
principi ben precisi:
•
legalità e tipicità: devono corrispondere solo a quelle previste
dall'art.19 c.p.p.m. ;
•
facoltatività: la loro applicazione non è automatica, ma facoltativa;
•
discrezionalità: il Giudice nel disporle deve basarsi su criteri di
idoneità rispetto alla personalità del minore e proporzionalità rispetto
alla gravità del reato;
•
adeguatezza: devono essere considerate le esigenze del ragazzo al fine
di non interrompere i processi educativi in atto;
•
gradualità: il Giudice, in caso di gravi e ripetute violazioni può
disporre la misura immediatamente più grave.
In ordine di gravità sono previste:
1.
Prescrizioni: obblighi o divieti inerenti lo svolgimento di attività di
studio o di lavoro utili all’educazione del minore. Le prescrizioni
perdono efficacia decorsi due mesi dal provvedimento con il quale
sono state imposte e non possono essere rinnovate più di una volta.
Questa misura può essere presa anche in caso di scadenza dei termini
di custodia cautelare. I Servizi della giustizia minorile si occuperanno
di seguire il minore e di informare il giudice sugli sviluppi delle
attività.
2.
Permanenza in casa: obbligo di stabilirsi presso l’abitazione familiare
o un’altra dimora privata in considerazione dei rapporti esistenti tra il
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minore ed il suo ambiente familiare. In questo caso per il Giudice è di
fondamentale importanza la conoscenza diretta o tramite i Servizi
dell'ambiente di provenienza del ragazzo. Nel caso in cui la famiglia
sia inadatta a svolgere il compito al quale è chiamata ovvero di
vigilare le attività del minore e di collaborare con i Servizi o vi siano
altri gravi problemi questa misura viene sostituita con il collocamento
in Comunità.
3.
Collocamento in Comunità: obbligo di permanenza presso una
comunità pubblica o convenzionata, tra quelle che si occupano di
problematiche giovanili e che presentano una organizzazione familiare
e con utenza mista. All’interno della comunità il minore può
partecipare ad attività ricreative, lavorative e di sostegno scolastico
seguito da operatori sociali ed educatori. Anche in comunità il minore
può essere tenuto a svolgere eventuali prescrizioni.
4.
Custodia cautelare in carcere: può essere stabilita per quei delitti per i
quali la legge ha stabilito l'ergastolo o la reclusione non inferiore a
nove anni, e in ogni caso per il delitto di violenza carnale; oltre a
questi casi viene applicata, come aggravamento del collocamento in
comunità (per un mese al massimo), ed ancora se sussistono gravi e
inderogabili esigenze attinenti alle indagini, e quando ogni altra misura
risulti inadeguata.
Conclusa la fase delle indagini preliminari, se il caso non viene
archiviato, il P.M. deposita la richiesta di rinvio a giudizio alla cancelleria
del Giudice per l’Udienza Preliminare (G.U.P., organo collegiale) cui spetta
stabilire e comunicare la data, il luogo e l'ora dell'udienza ovviamente al
P.M., all'imputato, agli esercenti la potestà ed ai Servizi.
L’udienza preliminare normalmente è la seconda tappa, del processo
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minorile, nello svolgimento di essa, in camera di consiglio, si è voluto
garantire ulteriormente il minore, con la maggioranza della componente
laica (due giudici onorari) rispetto a quella togata (un solo giudice), per
analizzare in maniera più mirata i processi che stanno alla base del
comportamento deviante. In questa sede il Giudice può disporre
l'allontanamento o l'accompagnamento coattivo del minore, che, in ogni
caso deve comunque essere sentito ai fini dell'art.9 c.p.p.m, ai fini degli
accertamenti relativi alla sua personalità.
Nel processo minorile non è mai ammessa la costituzione di parte civile
della parte offesa.
Nel caso di accoglimento da parte del G.U.P. della richiesta di rinvio a
giudizio e comunque quando emerge la necessità di accertare in maniera
più analitica l’evento delittuoso e la personalità del minore si giunge
all’udienza dibattimentale.
In sede dibattimentale il Tribunale è costituito in collegio giudicante
composto da quattro membri: due togati (il presidente e un giudice a latere)
e due laici (un uomo ed una donna giudici onorari). L’acquisizione della
prova nel contraddittorio delle parti, con i criteri dell’oralità e
dell’immediatezza, è la caratteristica saliente del dibattimento. I mezzi per
conseguire la dimostrazione della prova sono le testimonianze, l’esame
delle parti, i confronti, le ricognizioni, le perizie gli esperimenti giudiziali e
le documentazioni. Alle udienze partecipa l’Assistente Sociale con un
duplice ruolo: da un lato è interlocutore del giudice al fine di fornire
ulteriori chiarificazioni o aggiornamenti rispetto alla condizione personale
del minore; dall’altro svolge funzioni di sostegno e spiegazione riguardo le
fasi processuali al minore e alla famiglia.
La conclusione dell’iter processuale nel processo minorile, in fase
preliminare o dibattimentale, si può avere con una sentenza di condanna, di
assoluzione o di non luogo a procedere per l’irrilevanza del fatto o per la
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concessione del perdono giudiziale. Nel caso di irrilevanza del fatto il reato
compiuto deve apparire privo di significato criminoso e di concreto allarme
sociale, per la tenuità delle conseguenze prodotte e l’occasionalità del
comportamento deviante. Nel caso dell'istituto del perdono giudiziale,
accertata la responsabilità penale del minore, il Giudice si astiene dal
pronunciare condanna o da disporre il rinvio a giudizio, ritenendolo più
vantaggioso per il recupero del minore.
I procedimenti speciali ammessi nella procedura penale minorile sono:
•
il giudizio abbreviato: può essere avviato in fase di udienza
preliminare dietro richiesta dell'Imputato e con il consenso del P.M..
Questo tipo di giudizio è ammesso quando in questa sede è possibile
accertare la personalità del minore ed il collegio del G.U.P. ha
sufficienti elementi per potersi esprimere con una decisione presa “allo
stato degli atti”. Il ricorso a questo tipo di procedimento comporta in
caso di condanna la riduzione della pena fino alla metà di quanto
previsto dal minimo edittale. per il reato ascritto;
•
il giudizio immediato: si svolge direttamente nella fase dibattimentale
(saltando quindi l’udienza preliminare); viene chiesto dal P.M., previo
interrogatorio dell'imputato, quando le prove raccolte sono di
particolare evidenza (ad esempio per la flagranza del reato);
•
il giudizio direttissimo: come il precedente si svolge direttamente nella
fase dibattimentale; per la sua maggiore celerità e per il fatto che
sacrifica la possibilità di approfondire la conoscenza del minore, è
ammesso
solo
se
gli
accertamenti
fatti
sul
ragazzo
sono
immediatamente esperibili e se risulta garantita la presenza dei Servizi
e dei familiari; solitamente si ricorre a questo tipo di giudizio in caso
di recidiva.
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IL SISTEMA DELLA GIUSTIZIA MINORILE
Il Ministero della Giustizia
Il Ministero della Giustizia, oltre ad occuparsi dell'organizzazione
giudiziaria, del personale e dei servizi, espleta funzioni amministrative
strettamente connesse alla funzione giurisdizionale sia nel campo civile sia
penale.
La nuova struttura centrale di questo dicastero, in seguito alle riforme
che hanno introdotto notevoli innovazioni nell’apparato organizzativo dei
ministeri a partire dalla seconda metà degli anni novanta, è costituita dagli
uffici di diretta collaborazione del Ministro e da quattro Dipartimenti:
•
Dipartimento per gli Affari di giustizia;
•
Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei
servizi;
•
Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria;
•
Dipartimento per la Giustizia Minorile.
(vedi schema allegato n.°1)
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Il Dipartimento per la giustizia Minorile
Il Dipartimento per la giustizia Minorile (previsto dal d.L.vo 30/7/1999
n.300, ha preso il posto dell’Ufficio Centrale della Giustizia Minorile con il
d.P.R.55/2001) è il ramo del Ministero della Giustizia a cui fanno capo tutti
gli ambiti delle politiche giudiziarie che hanno come destinatari i minori.
Al vertice del Dipartimento, è stato nominato dal 2001 il giudice dott.
Rosario Priore che per lo svolgimento dei propri compiti si avvale, altresì,
dell’Ufficio del capo del dipartimento
Il percorso che ha portato alla costituzione di un Dipartimento, dal punto di
vista finanziario ed organizzativo autonomo, è stato graduale e, per certi
versi ha coinciso con il percorso evolutivo della sensibilità verso il diritto
minorile.
Le competenze in materia minorile trovarono un’organica sede nel 1984
con l’istituzione, in seno a l’allora Ministero di Grazia e Giustizia,
dell’Ufficio per la Giustizia Minorile; questa struttura sostituiva l’Ufficio
Minorenni della Direzione Generale degli Istituti di Prevenzione e Pena al
fine, secondo quanto si legge testualmente nel decreto ministeriale
istitutivo, “….di dare rilievo sul piano formale e sostanziale alla peculiarità
dei compiti…” che gli sono attribuiti.
Successivamente con il D.L.36/1992 art.2, l’Ufficio per la Giustizia
Minorile venne istituito come Ufficio Centrale ottenendo quindi la piena
autonomia funzionale.
20
Il modello organizzativo del Dipartimento per la Giustizia Minorile,
prevede, in sede centrale, tre Direzioni generali: (vedi allegato n.°1):
La Direzione generale del personale e della formazione ;
La Direzione generale delle risorse materiali, dei beni e dei servizi;
La Direzione generale per l'attuazione dei provvedimenti giudiziari che
copre le seguenti aree di competenza:
•
protezione giuridica dei minori ed attività inerenti i minori stranieri ed
immigrati;
•
studi, ricerche e progetti, anche europei, sulla condizione minorile e
sulla devianza;
•
valutazione dei modelli di intervento;
•
organizzazione, coordinamento e verifica dell'operatività dei servizi
minorili;
•
esecuzione dei provvedimenti del Giudice Minorile;
•
programmazione tecnico operativa e rapporti con gli enti locali e con
il terzo settore;
•
consulenze e convenzioni.
La formazione del personale della Giustizia Minorile viene effettuata nelle
Scuole di Formazione di Castiglione delle Stiviere (Mantova) Roma e
Messina.
Una ulteriore articolazione del Dipartimento si ha poi su base territoriale
con i Centri per la giustizia Minorile strutture, presenti in undici regioni
(vedi allegato n.°2). che svolgono le loro funzioni articolandole in tre
21
servizi: segreteria, servizio tecnico e servizio amministrazione, contabilità
ed edilizia.
I C.G.M. (così ridenominati dal d.L.vo 272/1989 in sostituzione dei Centri
di rieducazione per i minori) hanno il compito di coordinare, su base
regionale o interregionale, i servizi minorili della giustizia previsti
dall'articolo 8 del decreto legislativo 28 luglio 1989 n. 272:
•
Centri di prima accoglienza (n. 25): struttura che accoglie i ragazzi in
stato di arresto o di fermo per i quali si terrà l’udienza di convalida da
parte del Giudice delle Indagini Preliminari.
•
Istituti penali per minorenni (n. 17):sono le strutture carcerarie in cui
vengono ristretti i minori/giovani adulti in stato o di custodia cautelare
in carcere o in espiazione di una pena alla reclusione divenuta
esecutiva.
•
Uffici di servizio sociale per minorenni (n. 28) (vedi apposito
paragrafo)
•
Comunità (n. 12): strutture ad organizzazione di tipo familiare in cui
vengono accolti i minori sottoposti alla misura cautelare del
collocamento in comunità o in altra misura penale.
22
L’UFFICIO DI SERVIZIO SOCIALE PER I MINORENNI
L’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni interviene, con autonomia
tecnico professionale a favore dei minori, prevalentemente, nell’ambito
della competenza penale dell’Autorità Giudiziaria Minorile, promovendo e
tutelando i diritti dei destinatari degli interventi coerentemente con le
finalità del Dipartimento della Giustizia Minorile.
Il Servizio è chiamato ad intervenire anche nell’ambito dell’abuso
sessuale subito da minorenni, fornendo l’assistenza e il supporto necessari,
e nelle controversie internazionali relativamente alla sottrazione dei minori
da parte di uno dei due genitori.
L’U.S.S.M. è il servizio con più lunga tradizione nell’ambito
d’intervento verso i minori. Il servizio Sociale, nonostante fosse già
previsto nel r.d. del 1934 istitutivo dei Tribunali per i Minorenni, fu
costituito solo nel 1951 attraverso una circolare dell’allora Ministero di
Grazia e Giustizia. Una successiva legge del 1962 (la n.1805) ha poi
istituito gli Uffici Distrettuali di Servizio Sociale per i Minorenni, presso
ogni capoluogo del distretto di Corte d’Appello, con competenze in ambito
civile, amministrativo e penale.
I riferimenti legislativi più importanti relativamente alle funzioni ed al
ruolo dell’U.S.S.M. sono il d.P.R.616/77 con il quale ha assunto una
competenza prevalente in ambito penale rispetto a quelle civili ed
amministrative; la legge 354/1975 relativa all’ordinamento penitenziario;la
legge 689/1981 riguardante l’applicazione delle misure sostitutive delle
23
pene detentive brevi; ed infine il fondamentale d.P.R.448/1988. e le relative
norme di attuazione del d.L.vo 272/1989.
La competenza territoriale di ogni U.S.S.M. coincide con quella di
ciascun Tribunale per i Minorenni, l’Ufficio di Catania quindi ha una
competenza sui comuni della provincia, e sulle quelle di Ragusa e di
Siracusa ove opera con degli uffici distaccati.
Attualmente ciascun Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni ha al
suo interno ha una organizzazione per aree funzionale all’espletamento
delle attività:
•
area di direzione e coordinamento;
•
area tecnica;
•
area amministrativo-contabile
Nell’area
di
direzione
e
coordinamento
è
previsto
il
profilo
professionale di direttore coordinatore o direttore di servizio sociale. Al
direttore spettano i compiti di programmazione, organizzazione e verifica
delle attività dell’intero ufficio, il coordinamento e l’amministrazione del
personale, la rappresentazione dell’ufficio all’esterno, la promozione di
strategie d’intervento relative al disagio giovanile.
Nell’area tecnica sono previsti i profili professionali di assistente
sociale, psicologo ed educatore. Questa area si occupa della progettazione
della organizzazione e della attuazione degli interventi, del rapporto con
l’Autorità Giudiziaria, della mappatura e dell’utilizzo delle risorse, l’attività
di studio e di ricerca sulle problematiche minorili, la collaborazione con i
servizi territoriali, la gestione di un sistema informativo di base e la
supervisione dei tirocinanti.
Nell’area amministrativa contabile sono previsti i profili di ragioniere,
operatore amministrativo contabile e operatore di computer. Quest’area si
occupa della gestione delle risorse dell’ufficio, della gestione delle
segreterie minori e personale, della raccolta dei dati statistici, del
24
protocollo, dattilografia archiviazione dei documenti inerenti l’ufficio e
dell’uso dei personal computer.
L’U.S.S.M. di Catania oggi rappresenta un osservatorio privilegiato
rispetto al fenomeno devianza minorile lavorando, nel bacino di utenza di
uno dei Tribunali per i Minorenni che ha il maggior carico di procedimenti
penali in corso; direttore dell’Ufficio è la dottoressa Vincenza Speranza.
I servizi sociali della giustizia hanno cominciato la loro attività a
Catania negli anni ’50, con del personale che veniva assunto “a parcella”.
L’organico venne implementato per la prima volta, solo nel 1977 con
l’immissione in ruolo di Assistenti Sociali vincitori di concorso.
Attualmente all’U.S.S.M. di Catania, per quanto riguarda l’area tecnica,
sono in servizio 32 Assistenti Sociali , tre educatori, uno psicologo e una
consulente psicologa.
I cambiamenti che a livello nazionale hanno interessato il pianeta della
giustizia minorile, hanno avuto delle ripercussioni anche in questo ufficio
che più volte, aldilà del cambiamento di denominazione ha dovuto
reinterpretare il proprio ruolo e l’assetto di funzionamento.
In particolare l’ufficio ha lavorato per coinvolgere sinergicamente gli
enti locali negli obbiettivi perseguiti, e per raggiungere degli accordi
informali con la Procura della Repubblica su alcuni aspetti dei trattamenti
previsti.
L’organizzazione del lavoro prevede la predisposizione di una
programmazione annuale della politica del servizio e delle attività, entro gli
ambiti delle direttive del Dipartimento.
All’interno dell’Ufficio sono stati costituiti dei gruppi di lavoro intorno
ad aree tematiche (per es. volontariato, lavoro,studio e ricerca ecc.) che
operano attraverso progetti a costo zero.
25
Attualmente l’unico progetto finanziato dal Dipartimento è quello
relativo alle “borse lavoro” per incentivare l’assunzione e l’apprendistato
dei minori segnalati da parte di imprenditori o artigiani.
Nell’ambito degli interventi previsti dalla legge 285/1997 nel territorio di
Catania (città che dispone di finanziamenti extra in quanto comune
riservatario) prosegue l’attuazione del progetto di”Educativa territoriale”,
che consiste in un servizio di accompagnamento educativo personalizzato
per i minori dell’area penale esterna.
L’Ufficio inoltre, continua a seguire la progettualità ordinaria della
legge 285/1997, partecipando alla predisposizione dei piani territoriali per
la seconda triennalità, e della legge 216/1991 sia nel territorio della
provincia di Catania che in quelle di Ragusa e Siracusa.
Infine l’Ufficio cura rapporti di collaborazione oltre che con gli Enti
Locali, con associazioni di provata esperienza come la U.I.S.P. il W.W.F, il
C.S.I. e l’Arciragazzi.
Le competenze e le funzioni
La tipologia di utenza è costituita dai minori aventi età compresa tra i 14
anni e i 18 segnalati dalla Procura della Repubblica o dal Tribunale per i
Minorenni; vengono inoltre seguiti i c.d. “giovani adulti”, cioè soggetti tra i
18 e i 21 anni, sottoposti a procedimenti penali o ad esecuzione di
condanne detentive o in misura alternativa per reati commessi durante la
minore età.
Il servizio sociale della giustizia è chiamato a svolgere la funzione di
aiuto e quella di controllo in relazione alle esigenze educative del
minorenne, alle fasi processuali ed ai contesti di appartenenza nell’interesse
del soggetto e della collettività.
Questa duplice funzione rende l’intervento particolarmente delicato in
26
ogni sua fase.
Quella dell’Assistente Sociale è una presenza costante dalla notizia di
reato redatta da parte della polizia giudiziaria, (ancor prima quindi
dell’eventuale svolgimento del processo) sino ad ogni stato del
procedimento con l’esecuzione di indagini sulla personalità del minore.
Anche quando il giudice dispone una misura cautelare affida l’imputato
minorenne ai servizi in modo da poter predisporre dei piani di intervento
che possano dare spessore alla misura cautelare stessa come attività di
studio o di lavoro avvalendosi anche della collaborazione dei servizi
territoriali.
Il servizio sociale è chiamato a sostenere il minore, la famiglia di
provenienza, attraverso un processo di consapevolezza e di cambiamento
tentando di stimolare le risorse personali e familiari e di conoscere
interpretare ed utilizzare quelle istituzionali e comunitarie.
I servizi ministeriali devono porsi il perseguimento di alcuni obbiettivi:
la partecipazione del minore ai sistemi interagenti positivi per il suo
processo educativo, il chiarimento del significato dell’iter penale,
l’attivazione di progetti nell’ottica di cambiamento, la responsabilizzazione
del minore e della famiglia, la lettura approfondita dei bisogni che
sottendono al disagio manifestato con la commissione del reato.
In particolare le funzioni generali attribuite all'U.S.S.M. sono:
•
inchiesta, trattamento psicologico-sociale ed attività diagnostiche ed
educative in relazione ai provvedimenti emessi dalla Autorità Giudiziaria;
•
attività di studio e ricerca nell'ambito della prevenzione della
delinquenza minorile;
•
attivazione delle risorse, istituzionali e non, nell’ottica dell’intervento
di rete.
27
Le attività specifiche dell’Ufficio riguardano:
•
l’esame della personalità del minore, dell’ambiente familiare e sociale
di provenienza;
•
interventi di osservazione, assistenza, sostegno e controllo nei riguardi
del minore in ogni stato e grado del procedimento penale;
•
la presenza in udienza: un aiuto volto a far sì che l'imputato minorenne
partecipi consapevolmente alla dialettica processuale;
•
interventi nei riguardi di minori sottoposti a misura limitativa o
privativa della libertà,;
•
rapporti con gli altri Servizi della Giustizia Minorile rapporti con le
Autorità Giudiziarie Minorili;
•
attività di mediazione giudiziaria;
•
collegamenti con i Servizi locali;
•
lavoro di EQUIPE ed attività di studio e ricerca;
•
attività di formazione e aggiornamento dei dipendenti e dei tirocinanti.
Il servizio inoltre mira a garantire la continuità delle sue prestazioni
attraverso l’apertura dell’Ufficio durante tutti i giorni della settimana nelle
ore antimeridiane e, per due volte la settimana, anche in quelle
pomeridiane.
Metodologia d’intervento:
L 'attività dell'Assistente Sociale ha una funzione tecnico-professionale
ovvero utilizza strumenti, tecniche e metodi specifici per offrire sia
sostegno psicologico sia aiuto materiale.
L’intervento viene modulato al fine di garantire il rispetto dei principi
cardine del d.P.R. 448/1988, in altre parole la minima offensività del
28
processo, la continuità dei processi educativi in atto, la rapida uscita dal
circuito penale e la residualità della detenzione.
La metodologia dell’intervento prevede il ricorso alla contrattualità dei
progetti, alla costruzione di ipotesi, alla valutazione dell’andamento della
situazione ed alla definizione di modalità di controllo.
La procedura con la quale avviene la presa in carico del caso prevede
questo iter:
una volta giunta la richiesta dell’Autorità Giudiziaria alla segreteria
dell’U.S.S.M., il caso viene assegnato con un ordine di servizio del
Direttore all’Assistente Sociale competente per territorio o, a seconda dei
casi, in base alla quantità dei carichi di lavoro.
L’Assistente sociale incaricato a questo punto si occupa della
formazione del fascicolo nel quale sono contenute tutte le notizie sulla
situazione personale e familiare del minore, copia dei provvedimenti
dell’autorità giudiziaria che lo riguardano ed un diario degli interventi nel
quale sono annotate sinteticamente le prestazioni effettuate. Il primo atto
con il quale si avvia il rapporto con il minore è solitamente l’invio di una
convocazione in ufficio per lui e per i genitori per il primo colloquio di
conoscenza; a questo primo contatto seguiranno la visita domiciliare e gli
ulteriori
interventi
del
caso.
Il materiale così raccolto confluirà
periodicamente in una relazione.
Gli strumenti utilizzati per la gestione del caso sono:
• il diario degli interventi: si tratta di un modulo nel quale sono annotate
sinteticamente tutte le azioni che riguardano la gestione del caso; lo
scopo di questo strumento è quello di rendere immediatamente
disponibili le informazioni di base necessarie alla gestione degli
29
interventi come fissazione di incontri e loro esiti, scadenze, visite
domiciliari, telefonate ecc.;
• il colloquio con l’utenza: rappresenta uno degli aspetti più significativi
del rapporto tra Assistente Sociale ed utente; la condizione ideale
prevede lo svolgimento in un setting relazionale che garantisca
l’adeguata tranquillità ed il rispetto dell’utente. Solitamente il colloquio
si svolge nella stanza a ciò predisposta presso i locali dell’U.S.S.M.;
• la visita domiciliare: come il precedente strumento è una peculiarità del
servizio sociale. La visita domiciliare è l’occasione ideale per conoscere
l’utente nel suo ambiente e cogliere maggiori elementi di osservazione.
L’assistente sociale si reca presso l’abitazione del minore ed interagisce
con lui e con i familiari eventualmente presenti;
• le registrazioni: consistono nella verbalizzazione per esteso, a seguito
del colloquio con l’utente, dei contenuti emersi, ma anche degli
atteggiamenti verbali e delle posture. Si tratta di uno strumento che
consente all’assistente sociale di evidenziare le dinamiche, le ricadute
emotive e le sensazioni che si sono innestate nel rapporto con l’utente e
gli permette di trarre spunti importanti anche per i successivi incontri.
• le riunioni: strumento operativo interno, di solito con frequenza
quindicinale, finalizzato alla circolazione delle informazioni tra gli
operatori dello stesso o di diversi ambiti professionali, funzionali
all’organizzazione e alla valutazione del lavoro, programmazione ed alla
verifica dei risultati.
Catania lì, 9 settembre 2002
Lo studente tirocinante
Il supervisore
____________________
__________________
30
Allegato n.°1
Il Ministero della Giustizia, i dipartimenti e la giustizia minorile
31
Allegato n.°2
Centri per la giustizia Minorile e relative aree di competenza
BARI (Puglia e Basilicata);
BOLOGNA (Emilia Romagna e Marche);
CAGLIARI (Sardegna);
CATANZARO (Calabria);
FIRENZE (Toscana e Umbria);
MILANO (Lombardia e Liguria);
NAPOLI (Campania e Molise);
PALERMO (Sicilia);
ROMA (Lazio e Abruzzo);
TORINO (Piemonte e Valle d'Aosta);
VENEZIA (Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige).
32
Allegato n.°3
Relazione sulle attività del C.P.A. di Catania e sulla partecipazione
all’udienza di convalida del 28/6/2002.
Il Centro di Prima Accoglienza è una struttura creata dal d.P.R. 448/1988,
quello di Catania è attualmente diretto dall’Assistente Sociale Antonia
Chiarenza. Durante la visita alla struttura sono emersi gli aspetti salienti di
questo servizio della giustizia minorile e le difficoltà che ne hanno
caratterizzato soprattutto nella fase di avvio il funzionamento.
Infatti essendo questa una struttura completamente nuova gli operatori
hanno di fatto avuto un ruolo creativo rispetto agli aspetti non previsti dalla
legge o da una circolare ministeriale.
Le tipologie di funzionamento dei C.P.A. sono solitamente due: struttura
stabile come nel caso di Catania, o C.P.A. aperto all’occorrenza nel caso di
città nelle quali gli arresti di minori sono più sporadici.
L’organico del C.P.A. di Catania è composto dal direttore reggente
(l’assistente sociale Antonia Chiarenza), quattro educatori, un assistente
sociale ed una consulente psicologa oltre agli agenti di polizia
penitenziaria.
L’equipe ha un ruolo molto importante in quanto raccoglie i primi elementi
di conoscenza dei minori in relazione alle rispettive situazioni personali,
familiari e sociali cercando anche di individuare le prime ipotesi
d’intervento.
La modalità d’intervento prevede l’effettuazione di un colloquio congiunto
di educatore ed Assistente Sociale con il minore “ospitato”per la redazione
della relazione di prima conoscenza che verrà passata al P.M. ed al .G.I.P.
che entro le prime 96 ore di permanenza nella struttura dovrà pronunciarsi
sulla convalida dell’arresto.
33
In conclusione è emerso che nonostante il breve periodo di permanenza del
minore presso questa struttura, il rapporto che viene instaurato con gli
operatori è di particolare significatività: sia perché questo nei casi di
“primari” è il primo impatto con il sistema penale, poi perché solitamente al
C.P.A. si svolge il primo incontro tra il minore ed i suoi familiari dando la
possibilità agli operatori di cogliere anche importanti aspetti relazionali tra i
membri della famiglia in una situazione di forte accelerazione emotiva
quale quella che segue l’arresto.
Momento particolarmente interessante è stato poi assistere allo svolgimento
di una udienza di convalida durante la quale il G.I.P. dottor Barone si è
pronunciato riguardo l’arresto di un minorenne denunciato e arrestato dalla
polizia giudiziaria in quanto trovato in un auto assieme ad un gruppo di
maggiorenni (che si erano prestati per riaccompagnarlo dopo il lavoro) che
detenevano sostanze stupefacenti.
Dalla lettura della relazione dell’equipe del C.P.A. è emerso che il ragazzo
non presentava una personalità “strutturata in senso deviante” anzi
dimostrava di avere uno spirito collaborativo. Il G.I.P. avendo valutato
questi elementi assieme al fatto che i maggiorenni coimputati si erano
assunte per intero la responsabilità di quanto contestato, ed in
considerazione anche della mancanza di precedenti, ha disposto la
remissione in libertà del ragazzo motivando dettagliatamente quanto deciso.
Il minore quindi, in attesa dell’eventuale rinvio a giudizio, rimarrà
denunciato a piede libero.
Catania lì, 28 giugno 2002
Lo studente tirocinante
Il supervisore
____________________
__________________
34
Relazione sulle visite agli Istituti Penali Minorili di Acireale (1/7/2002)
e Catania (12/7/2002)
Gli Istituti Penali Minorili ospitano minori e giovani adulti in stato di
custodia cautelare in carcere o di espiazione di una pena alla reclusione
divenuta esecutiva.
Occorre precisare che le due strutture carcerarie in questione, quella di
Acireale e quella di Catania, anche dal punto di vista strutturale sono molto
diverse.
La prima è ospitata all’interno di un antico convento riadattato a tal uopo ed
integrata per altro nel contesto urbano della cittadina di Acireale.
L’I.P.M. di Catania si trova invece presso una struttura nata appositamente
per ospitare un carcere e un’aula “bunker” nella zona di Bicocca, e quindi
decentrata rispetto al centro di Catania. A questo si aggiunga che la
struttura ha un aspetto più marcatamente carcerario per la vicinanza al
carcere di massima sicurezza riservato agli adulti.
Questi aspetti strutturali connotano non poco anche le possibilità di stabilire
contatti con le risorse del territorio ed avviare possibilità di interazione tra
struttura carceraria e mondo esterno.
Durante l’intera giornata sono previsti in entrambe le strutture la
partecipazione dei minori ad attività di formazione a momenti ricreativi e di
socializzazione.
All’ingresso in I.P.M. l’educatore di turno si occupa dell’accoglienza del
minore; successivamente in base ai criteri di divisione del lavoro il minore
sarà preso in carico da uno degli educatori in organico della struttura.
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In entrambi gli Istituti Penali Minorili sono presenti corsi per il
completamento della scuola dell’obbligo per i minori che non avessero
ancora
completato
gli
studi
e
corsi
di
formazione
professionale
(falegnameria, pasticceria e ceramica); in alcuni periodi dell’anno sono
inoltre organizzati spettacoli teatrali con l’utilizzo sia di risorse interne sia
appoggiandosi a compagnie che operano in regime di convenzione o, più
spesso, di volontariato.
La
normativa
di
riferimento
è
l’ordinamento
penitenziario,
il
d.P.R.230/2000, il regolamento interno ed ogni altra norma che disciplina
in maniera specifica il trattamento adottato nei confronti di alcune tipologie
di detenuti (come ad esempio il 416 bis per gli imputati o condannati per
associazione di tipo mafioso).
Nella struttura di Catania sono ospitati circa 50 ragazzi un numero così alto
ha imposto alla direzione, a seguito di gravi episodi, la divisione in quattro
sottogruppi che svolgono le attività previste in momenti diversi. La
struttura di Catania ospita per lo più giovani con condanne definitive. Gli
educatori in servizio sono cinque coadiuvati da un consulente psicologo e
da un’infermeria nella quale sono presenti un infermiere e un consulente
medico.
L’I.P.M. di Acireale ospita invece in maniera prevalente minori in custodia
cautelare provenienti per lo più a seguito di pronunciamento dei Tribunali
per i Minorenni di Catania e Messina. Attualmente sui quindici ragazzi
ospitati solo cinque hanno una condanna definitiva. Questa tipologia di
utenza influenza maggiormente le possibilità di poter avviare dei progetti a
medio o lungo termine, ma di contro, il fatto che l’Istituto sia inserito in un
contesto urbano permette forme di collaborazione con associazioni di
volontariato ed occasioni di contatti con la realtà del mondo del lavoro o
della scuola, per i detenuti per i quali il giudice di sorveglianza lo consente,
36
altrimenti non utilizzabili. All’I.P.M. di Acireale sono in servizio oltre al
direttore vicario, quattro educatori, ed un consulente psicologo.
L’ordinamento penitenziario prevede la possibilità per i minori detenuti di
quattro ore di colloqui e due telefonate di dieci minuti al mese con i
familiari, fatte salve altre disposizioni previste dalla magistratura.
Catania lì, 12 luglio 2002
Lo studente tirocinante
Il supervisore
____________________
__________________
37
Relazione sulla visita alla struttura del Tribunale dei Minorenni e sulla
partecipazione
all’udienza
preliminare
presso
il
Tribunale
dei
Minorenni del 18/7/2002
La visita alle suddette strutture mi ha permesso la conoscenza diretta
dell’organizzazione delle varie cancellerie: anello assai importante nel
meccanismo giudiziario.
La presenza all’udienza preliminare durante la quale sono stati trattati due
casi ha rappresentato una valida occasione per osservare concretamente
l’andamento di una delle fasi del procedimento penale, ma anche il
comportamento e le reazioni dei minori imputati.
Nella prima udienza si è valutata la situazione di tre minori, detenuti in
regime di custodia cautelare in I.P.M., coimputati per una rapina in
concorso, ai danni di una attività commerciale.
Il collegio giudicante presieduto dalla dottoressa Vitale coadiuvata da due
giudici onorari, ha acquisito la documentazione del P.M. (dottoressa Ledda)
e dei Servizi Sociali rappresentati in udienza dall’assistente sociale
dell’U.S.S.M. Rosano, ed ha sentito brevemente per qualche domanda di
rito gli imputati i quali anche se con una diversa gradazione hanno di fatto
ammesso la loro responsabilità.
Le richieste avanzate da parte dei difensori di due dei tre imputati, hanno
visibilmente mandato in escandescenze il terzo: infatti due dei ragazzi
hanno chiesto la “messa alla prova”; questo strumento è stato ritenuto dal
minore che probabilmente nel terzetto aveva una funzione di leadership
come squalificante del suo “ruolo” e soprattutto del suo senso di
appartenenza ad una cultura che non condivide la collaborazione con
38
l’Istituzione che, anche se a livelli minimi, deve instaurarsi proprio durante
il ricorso a questo istituto.
Il collegio giudicante ritiratosi in camera di consiglio, ha deliberato
disponendo con ordinanza l’incarico ai Servizi di valutare la fattibilità di un
progetto di messa alla prova per i due imputati che hanno avanzato
richiesta, mentre ha accolto il rinvio a giudizio per il terzo.
Catania lì, 9 settembre 2002
Lo studente tirocinante
Il supervisore
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39
INDICE
INTRODUZIONE
NASCITA ED EVOLUZIONE DELLA LEGISLAZIONE MINORILE
IL TRIBUNALE PER I MINORENNI
la competenza civile
la competenza amministrativa
la competenza penale
IL D.P.R.448/1988
la messa alla prova
LE FASI DEL PROCESSO PENALE MINORILE
il centro di prima accoglienza (c.p.a)
l’udienza di convalida
le misure cautelari
l’udienza preliminare
l’udienza dibattimentale
la conclusione dell’iter processuale
i procedimenti speciali
IL SISTEMA DELLA GIUSTIZIA MINORILE
il ministero della giustizia
il dipartimento per la giustizia minorile
centri per la giustizia minorile
L’UFFICIO DI SERVIZIO SOCIALE PER I MINORENNI
l’u.s.s.m. di Catania
le competenze e le funzioni
metodologia d’intervento
gli strumenti utilizzati
ALLEGATI
il ministero della giustizia,i dipartimenti e la giustizia minorile
centri per la giustizia minorile e relative aree di competenza
relazioni
indice
40
pag.1
pag.3
pag. 6
pag.7
pag7
pag.8
pag.9
pag.10
pag.13
pag.13
pag 14
pag.14
pag. 17
pag.17
pag.17
pag.18
pag.19
pag.20
pag.21
pag.23
pag.25
pag.26
pag.28
pag.29
pag.31
pag.32
pag.33
pag.40