Anno Accademico 2001/02 Metodi e tecniche del Servizio
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Anno Accademico 2001/02 Metodi e tecniche del Servizio
Anno Accademico 2001/02 Metodi e tecniche del Servizio Sociale III corso docente dott.sa G. Bruno Relazione di orientamento del tirocinio professionale Supervisore: Assistente Sociale, Rosa Gravagna Studente: Vincenzo Dell’Erba (n.matr.: 671 000088) Ente: Ministero della Giustizia, Ufficio Servizio Sociale per i Minorenni, piazza della Repubblica n°31 Catania INTRODUZIONE Il tirocinio professionale previsto al terzo anno del Corso di Laurea in Scienze del Servizio Sociale prevede lo svolgimento di tre fasi: 1. fase analitica, finalizzata all’acquisizione di una conoscenza di base delle normative ed all’analisi dell’ente e del servizio; 2. fase operativa, istituzionali del finalizzata servizio alla ed sperimentazione all’acquisizione delle delle funzioni specifiche metodologie di lavoro, anche con la diretta conduzione dei casi; 3. fase valutativa, finalizzata all’acquisizione della capacità di valutazione degli interventi. A conclusione della prima fase, l’attività di tirocinio presso gli Enti convenzionati con l’Università, prevede la redazione, da parte dello studente, di una relazione, detta di “orientamento” nella quale viene delineato il contesto nel quale si è avviata l’esperienza di diretto contatto con la realtà operativa dei servizi sociali e delle relative aree di utenza. L’esigenza della contestualizzazione del proprio ruolo e della conoscenza degli assetti organizzativi dell’Ente rappresenta la base sulla quale si regge la professione dell’Assistente Sociale al fine di poter instaurare un ottimale rapporto con l’utenza e riuscire a cogliere tutte le possibilità messe a disposizione dagli strumenti legislativi vigenti. Questa premessa appare ancora più valida in un contesto assai delicato, per la tipologia dell’utenza, e fortemente caratterizzato dalla presenza di 2 una legislazione molto articolata come quella del settore della Giustizia Minorile al quale afferisce appunto l’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni (U.S.S.M.). Uno degli aspetti caratterizzanti l’esperienza del tirocinio è l’effettuazione di visite alle strutture con le quali l’U.S.S.M. entra in contatto nell’esercizio della sua attività (vedi allegato n.3). A tal proposito è stato decisivo il puntuale e stimolante rapporto con il supervisore, l’assistente sociale Rosa Gravagna, che mi ha permesso di poter contare sulla notevole esperienza di una professionista, che dopo molti anni di attività nell’ambito della giustizia minorile, è stata un “testimone privilegiato” nonché un valido supporto, nei processi di cambiamento di decine di minori con i quali è entrata in relazione nell’esercizio della sua attività. Per questi motivi, il contenuto della presente relazione sarà incentrato sul processo storico e l’ordinamento attuale del diritto minorile, il sistema della giustizia minorile, l’organizzazione ed il funzionamento dell’Ente con, in particolare, i compiti istituzionali e le attività dell’U.S.S.M. di Catania. 3 NASCITA ED EVOLUZIONE DELLA LEGISLAZIONE MINORILE Il diritto minorile trova il suo fondamento nelle correnti filosofiche dell’illuminismo e dell’umanesimo che affermatesi e condivise gia nel corso dell’ottocento ebbero bisogno di un lungo periodo di maturazione per portare anche in questo campo i lumi della ragione e l’affermazione di una nuova sensibilità nei confronti della condizione minorile. Tradizionalmente il minore era considerato solo come oggetto di diritti ed aspettative altrui e comunque, giammai, come possibile titolare di diritti e doveri; anzi secondo talune concezioni, di epoca medioevale, al minore non si riconosceva la dignità di uomo se non al raggiungimento della maturità, evento che avrebbe rappresentato il superamento dell’intrinseca “cattiveria” che avrebbe dovuto essere “controllata” durante la crescita. Solo tra la fine dell’ottocento e gli inizi del ‘900 comincia ad emergere nella legislazione degli Stati più sensibili alla tematica una qualche forma di protezione dell’infanzia. In Italia questa nuova sensibilità si afferma solo negli anni trenta ed è basata su un concetto elementare ovvero quello di considerare il minore quale soggetto in evoluzione. Si delinea quindi la necessità di intervenire nelle decisioni che lo riguardano con un Tribunale ed un giudice ad hoc. Ma nonostante il riconoscimento di questo elementare principio la reale evoluzione ed affermazione di una nuova prospettiva si ha a partire dal dopoguerra. La Costituzione Repubblicana del 1948 ha un ruolo fondamentale nell’affermare i principi che ispireranno la successiva legislazione penale e processuale minorile. Ad una attenta lettura, contestualizzando il testo approvato dall’Assemblea Costituente, non può 4 non definirsi rivoluzionaria l’introduzione dell’obiettivo rieducativo della pena quale superamento della concezione puramente retributiva. Altrettanto importante risulta essere l’affermazione di un dovere di protezione dell’infanzia da parte dello Stato, un principio che si esplicita nel considerare il minore non solo come un soggetto al quale sono dovute particolari tutele, ma anche come uomo che cresce al quale devono essere riconosciuti, nelle forme più idonee, tutti i diritti. Sul piano internazionale aldilà delle dichiarazioni di principio del secondo dopoguerra e dei contenuti nella Carta dei diritti del Fanciullo (1959), ben poco si era fatto nel considerare la condizione dei minori devianti. Solo nel 1985 l’O.N.U. ha approvato le regole minime per l’amministrazione della Giustizia Minorile e cinque anni più tardi, le risoluzioni “Principi preventivi di Riyadh sulla prevenzione della devianza minorile” e “Regole minime per la protezione dei minori privati della libertà” con cui tutti gli Stati hanno ricevuto direttive finalizzate a prevedere attenuazioni della responsabilità, strutture specifiche, specializzazione di tutti gli operatori e ristrette limitazioni della libertà personale. I nuovi obiettivi cui dovrebbe tendere la politica penale minorile internazionale sono la promozione degli interessi evolutivi dei minori, il rispetto del carattere evolutivo, la non definitività del percorso e degli errori adolescenziali, che ancora oggi, nella legislazione di molti Stati, non hanno trovato il meritevole riconoscimento. In questo tentativo di “globalizzazione dei diritti” per il minore deviante, giocano un ruolo importante organizzazioni istituzionali (ad esempio l’Unicef) ed altre non governative (come l’associazione “avvocati senza frontiere”) che tentano di assicurare il diritto alla difesa ed a un processo rispettoso delle norme elementari della legislazione penale minorile anche nei paesi meno sensibili a questa tematica. 5 IL TRIBUNALE PER I MINORENNI Il Tribunale per i Minorenni venne istituito con il regio D.L. n.1404 del 27 luglio 1934, in ogni distretto di Corte d’Appello, come organo giudiziario specializzato per gli affari civili, penali e amministrativi riguardanti i minorenni e la specificità della loro condizione. Presso il Tribunale per i minorenni, così come previsto nel Tribunale ordinario, esiste un Ufficio del Pubblico Ministero. Al P.M. è imposto non solo l'obbligo dell’azione penale (per i casi previsti) e della ricerca degli elementi d’accusa, ma anche il potere-dovere, insieme al Giudice, di acquisire informazioni sulle condizioni e sulle risorse personali e familiari del minore al fine di accertarne l’imputabilità e il grado di responsabilità. In base alla legge che lo ha istituito ed alle successive modifiche ed integrazioni, il T.M. è composto da un Magistrato di Corte d'Appello, che lo presiede, da un magistrato di Tribunale, e da due componenti non togati (Giudici Onorari)., un uomo e una donna (legge 1441/1956). Ai Giudici Onorari è richiesto di avere compiuto 30 anni di età ed essere “cultori” di una materia tra biologia, fisica,antropologia criminale, pedagogia, pediatria,sociologia e psicologia, al fine di affrontare con maggiore cognizione gli aspetti del disagio minorile ed arricchire le prospettive di valutazione del collegio giudicante con il proprio sapere extra giuridico. Gli interventi del legislatore nel settore giustizia minorile più significativi rispetto al progetto originale, sono rappresentati dal d.P.R. 616/1977 (con il quale è stata trasferita la competenza degli interventi di servizio sociale agli Enti Locali per i procedimenti civili ed amministrativi 6 del T.M. fino allora seguiti dall’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni), il d.P.R. 448/1988 che ha completamente ridisegnato l’assetto della giustizia minorile ed infine il d.L.vo 272/1989 che ne ha previsto l’attuazione. La competenza civile del T.M. consiste nell'esercizio della difesa e della protezione del minore, garantendogli la possibilità di crescere in un nucleo familiare adeguato anche se diverso da quello di origine. Gli affari civili attribuiti al T.M. riguardano vari aspetti quali, per es.: l’autorizzazione a contrarre matrimonio, il riconoscimento, l’affidamento, la legittimazione e l’adozione del minore ecc.. Il T.M. può pronunciarsi anche in ordine alla limitazione o alla decadenza della potestà genitoriale, mentre in caso di separazione e divorzio è il Tribunale Ordinario che dispone l'affidamento del minore ad uno dei due genitori. Va rilevato che recentemente è stato predisposto un disegno di legge di delega al governo in materia di diritto di famiglia e dei minori che prevede l’attribuzione di tutti gli affari civili (compresi quelli di competenza del T.M.) ad una istituenda sezione specializzata per la famiglia e per i minori con l’obiettivo di ricondurre ad un unico organo giudiziario tutta la materia. La competenza amministrativa del T.M. comprende tutti quei provvedimenti che il tribunale può adottare nei confronti del minore quando questi, anche senza aver commesso alcun reato, manifesta irregolarità di condotta e di carattere. La richiesta d’intervento può essere avanzata al Procuratore della Repubblica presso il T.M., dai Servizi Sociali territoriali, dai genitori, dal tutore, dall’U.S.S.M. e da tutti quegli organi preposti alla protezione dell'infanzia e dell'adolescenza. 7 A seguito della segnalazione il T.M., a mezzo di uno dei suoi componenti, designato dal Presidente, coadiuvato dai Servizi Sociali, avvia indagini approfondite sulla personalità del minore. Accertata la necessità di interventi di sostegno il T.M. può disporre l’affidamento del minore al Servizio Sociale dell’Ente Locale eventualmente anche con il collocamento in una struttura educativa. La competenza Penale del Tribunale per i Minorenni riguarda i reati commessi dai minori dei diciotto anni. Ai sensi del codice penale (artt. 97 e 98), l’elemento dell'età è fondamentale per stabilire l’imputabilità del soggetto. Innanzi tutto la minore età deve sussistere al momento in cui viene commesso il reato; per questo motivo sono possibili casi di maggiorenni (“giovani adulti” tra i 18 e i 21 anni) sottoposti a procedimento penale minorile per i reati commessi durante la minore età. Per quanto riguarda invece la funzione di sorveglianza, la competenza del Tribunale per i Minorenni cessa al venticinquesimo anno di età. Va precisato che i minori di quattordici anni sono considerati comunque non imputabili, mentre i minori tra i quattordici e i diciotto anni sono imputabili verificata la loro capacità di intendere e di volere (a differenza di quanto succede per gli adulti per i quali è presupposta ed eventualmente deve essere eccepita) intese come capacità di rendersi conto del valore sociale dell’atto che si compie ed attitudine della persona a determinarsi in modo autonomo. 8 IL D.P.R.448/1988 Una chiave di volta fondamentale nella considerazione del minore nel corso del processo penale si è avuta con l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale minorile che ha trovato realizzazione con il d.P.R. 22/09/1988 n.°448 recante il titolo“Disposizioni sul nuovo processo penale minorile a carico degli imputati minorenni” e con il d.L.vo 272/1989 (“Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del d.P.R.448/1988”). Le finalità di tutela, recupero e sviluppo della personalità dei minori devianti condizionano le strutture processuali in maniera decisiva. Il processo penale minorile è considerato dal nuovo codice un evento delicato ed importante della vita del minore. Si afferma in esso la necessità di un sistema penale adeguato alla capacità del soggetto adolescente di valutare la portata della trasgressione ed il peso della sanzione. In sostanza il d.P.R. 448/1988 vuole contemperare le istanze di risposta pedagogica con le finalità retributive più generali della pena e del processo che sono riconvertite in opportunità educative. Già il primo comma dell’art. 1 è rappresentativo di questa nuova concezione quando afferma che le disposizioni di legge vanno applicate in modo adeguato alla personalità ed alle esigenze educative del minore. Il nuovo c.p.p.m., cerca di garantire che l’esperienza penale del ragazzo non si trasformi in esperienza destrutturate e diseducativa, attraverso il rispetto e l’attuazione di alcuni fondamentali principi: • facoltatività dell’arresto ed utilizzo residuale della custodia cautelare; • possibilità di rapida uscita dal circuito penale con specifici istituti; 9 • possibilità di sospendere il processo e di mettere alla prova il ragazzo; • assistenza affettiva e psicologica in ogni stato e grado del procedimento; • adeguatezza nell’applicazione delle norme alla personalità ed alle esigenze educative del minore; • tutela della riservatezza. La Messa alla Prova detta anche “probation”, è uno degli strumenti più innovativi introdotti dal nuovo codice, essa consiste nella sospensione del processo con la messa alla prova (art.28) del minore per la durata massima di tre anni. Concluso il periodo previsto, il giudice fissa una nuova udienza dove, con sentenza, dichiara estinto il reato se ritiene che la prova abbia avuto esito positivo, in caso contrario riprende il processo penale. Attraverso questo istituto lo Stato concretamente invia un segnale di disponibilità verso il ragazzo, sospendendo il giudizio al fine di favorire una effettiva attività di cambiamento della sua personalità. Questo istituto può essere applicato in qualsiasi fase del giudizio, sia dal G.U.P. sia dal Tribunale in fase dibattimentale, e può essere disposto, anche per i reati più gravi su richiesta di una delle parti. L’ordinanza di sospensione del procedimento giudiziario prevede il contemporaneo affido del ragazzo ai servizi della giustizia minorile e dell’ente locale con le funzioni di osservazione, trattamento e sostegno. In caso di gravi e ripetute trasgressioni alle prescrizioni che la caratterizzano essa viene revocata. La messa alla prova, attuata sulla base di un progetto educativo elaborato dai servizi minorili, comporta una periodica valutazione della personalità del minore. Infatti, il giudice, in forza degli obbiettivi di cambiamento, blocca il giudizio sul caso al fine di consentire un positivo processo di maturazione nel minore. 10 L’avvio delle procedure per la messa alla prova si ha con la richiesta del giudice all’U.S.S.M. di un progetto educativo per il minore in questione. L’elaborazione del progetto è di pertinenza dell’Assistente Sociale che in collaborazione con i servizi sociali del territorio e con l’attivazione di tutte le risorse funzionali alla buona riuscita dell’intervento deve favorire: • la consensualità: intesa come la disponibilità e l’accettazione del progetto da parte del ragazzo; • l’adeguatezza: rispetto al contenuto che deve essere pertinente da una parte alla personalità, alle capacità personali sociali e culturali del ragazzo e, dall’altra, al tipo di reato che ha commesso contemplando eventualmente anche la possibilità di una riconciliazione con la parte offesa; • la fattibilità: Il progetto deve essere caratterizzato da una dimensione pragmatica dell’intervento, indicando chiaramente con quali tempi e con quali risorse (umane ambientali educative ecc) intende raggiungere gli obbiettivi proposti. • la flessibilità: come capacità di rimodellare il progetto al verificarsi di imprevisti al mutare delle esigenze del minore, al venir meno di risorse o alla apertura di nuove possibilità. Il ruolo del Servizio Sociale è importantissimo nel valutare la storia individuale del ragazzo, il grado di coinvolgimento del suo contesto familiare e gli elementi ambientali che lo circondano. Questa attività è necessaria sia nella fase iniziale, nella quale il progetto viene impostato partendo da un quadro generale per giungere agli aspetti sempre più specifici, che in quella attuativa. Durante la messa alla prova l’assistente sociale dovrà saper adempiere a funzioni: • di sostegno al fine di garantire rinforzo e restituzione positiva nei momenti di crisi, conferma e stima rispetto ai piccoli passi effettuati o aiuto a superare i fallimenti nel quale il minore si è imbattuto. 11 • di controllo rispetto all’andamento del progetto al fine di anche di rinegoziare modalità ed obbiettivi e poter esprimere la sua valutazione sull’evoluzione del percorso; • di raccordo rispetto al giudice che ha il compito di adottare le decisioni sul caso sulla base delle indicazioni tecniche ed il buon esito della prova, ma anche rispetto ai servizi territoriali e a tutte le risorse a cui è possibile attingere. 12 LE FASI DEL PROCESSO PENALE MINORILE L’ingresso del minore nel circuito penale ha solitamente come primo passaggio la redazione da parte della polizia giudiziaria di un verbale contenente la notizia di reato, che viene trasmessa immediatamente al P.M.. L’avvio dell’iter processuale (durante il quale il ragazzo sarà comunque seguito dai Servizi) si può avere a seguito di arresto, fermo (entrambi facoltativi1) oppure di “denuncia a piede libero”. Ricevuta la comunicazione dell’avvenuto arresto o del fermo, il P.M. dispone2 l’accompagnamento del minore di norma al Centro di Prima Accoglienza, la collocazione in una comunità autorizzata dal Ministero oppure, in relazione alle modalità del fatto all’età ed alla condizione familiare, che sia condotto nell’abitazione dei genitori ai quali sarà raccomandato di mantenerlo a sua disposizione per lo svolgimento delle indagini. Il Centro di Prima Accoglienza (C.P.A.), è una struttura intermedia concepita ex novo dal d.P.R. 448/1988 per superare concretamente il binomio arresto-carcerazione preventiva ed evitare l’impatto con la struttura carceraria che, soprattutto per i minori alla prima esperienza penale, rappresenta un evento emotivamente forte e stigmatizzante. Proprio 1 La Polizia Giudiziaria, nell’avvalersi di tale facoltà, deve valutare la gravità del fatto l’età e la personalità del minore in base al principio dell’adeguatezza della risposta. 2 Eccetto i casi in cui per esempio la P.G. non ha adempiuto al dovere di informare immediatamente gli esercenti la potestà, o i Servizi Sociali, se vi è stato errore di persona, se vi sono evidenti casi di non imputabilità, se ritiene di richiedere archiviazione o di non dover applicare alcuna Misura Cautelare tutte ipotesi nelle quali può disporre l'immediata liberazione 13 per questo i C.P.A. si trovano in luoghi diversi dagli Istituti Penali Minorili e comunque nei pressi degli uffici giudiziari minorili. In condizioni ideali il numero massimo di soggetti ospitabili contemporaneamente non deve superare le sei unità al fine di garantire una connotazione di tipo comunitario. Anche dal punto di vista dell’arredamento e delle strutture è prevista una diversificazione rispetto al carcere tradizionale (ad esempio l’uso di vetri antisfondamento al posto delle porte in ferro e delle grate). Al C.P.A. i minori arrestati, fermati o accompagnati sono ospitati, con il supporto di un équipe multiprofessionale, per un periodo massimo di 96 ore e comunque fino all’udienza di convalida dell’arresto. L’equipe raccoglie i primi elementi di conoscenza dei minori in relazione alle rispettive situazioni personali, familiari e sociali cercando anche di individuare le prime ipotesi d’intervento. Questi dati confluiscono in una relazione che sarà trasmessa al Giudice ed al P.M. all’udienza di convalida. Infatti, entro le prime 48 ore, il P.M. chiede al Giudice per le Indagini Preliminari (G.I.P.) la convalida dell’arresto (del fermo o dell’accompagnamento). Nelle successive 48 ore il G.I.P.(che è un giudice monocratico) fisserà appunto l’udienza di convalida che si svolge in Camera di Consiglio. Normalmente il P.M. illustra i motivi dell'arresto o del fermo, quindi il G.I.P, sentiti l’imputato, i Servizi, gli esercenti la potestà, ed il difensore può, motivandolo, convalidare o no l’arresto disponendo l'applicazione di una misura cautelare tra quelle previste agli artt.20-21-22-23-Dpr 448/88 o la remissione in libertà. Le misure cautelari possono essere disposte per esigenze di tutela della collettività, in altre parole: pericolo di inquinamento delle prove, di fuga o di reiterazione di gravi reati. 14 Avverso la decisione del G.I.P. l’imputato può inoltrare ricorso al tribunale del riesame che può pronunciarsi confermandola, modificandola o revocandola. Quando il Giudice dispone una misura cautelare l'imputato viene affidato ai Servizi della Giustizia Minorile con i quali collaborano quelli del territorio, al fine di svolgere attività di sostegno e controllo del ragazzo. Nell’applicazione delle suddette misure devono essere rispettati dei principi ben precisi: • legalità e tipicità: devono corrispondere solo a quelle previste dall'art.19 c.p.p.m. ; • facoltatività: la loro applicazione non è automatica, ma facoltativa; • discrezionalità: il Giudice nel disporle deve basarsi su criteri di idoneità rispetto alla personalità del minore e proporzionalità rispetto alla gravità del reato; • adeguatezza: devono essere considerate le esigenze del ragazzo al fine di non interrompere i processi educativi in atto; • gradualità: il Giudice, in caso di gravi e ripetute violazioni può disporre la misura immediatamente più grave. In ordine di gravità sono previste: 1. Prescrizioni: obblighi o divieti inerenti lo svolgimento di attività di studio o di lavoro utili all’educazione del minore. Le prescrizioni perdono efficacia decorsi due mesi dal provvedimento con il quale sono state imposte e non possono essere rinnovate più di una volta. Questa misura può essere presa anche in caso di scadenza dei termini di custodia cautelare. I Servizi della giustizia minorile si occuperanno di seguire il minore e di informare il giudice sugli sviluppi delle attività. 2. Permanenza in casa: obbligo di stabilirsi presso l’abitazione familiare o un’altra dimora privata in considerazione dei rapporti esistenti tra il 15 minore ed il suo ambiente familiare. In questo caso per il Giudice è di fondamentale importanza la conoscenza diretta o tramite i Servizi dell'ambiente di provenienza del ragazzo. Nel caso in cui la famiglia sia inadatta a svolgere il compito al quale è chiamata ovvero di vigilare le attività del minore e di collaborare con i Servizi o vi siano altri gravi problemi questa misura viene sostituita con il collocamento in Comunità. 3. Collocamento in Comunità: obbligo di permanenza presso una comunità pubblica o convenzionata, tra quelle che si occupano di problematiche giovanili e che presentano una organizzazione familiare e con utenza mista. All’interno della comunità il minore può partecipare ad attività ricreative, lavorative e di sostegno scolastico seguito da operatori sociali ed educatori. Anche in comunità il minore può essere tenuto a svolgere eventuali prescrizioni. 4. Custodia cautelare in carcere: può essere stabilita per quei delitti per i quali la legge ha stabilito l'ergastolo o la reclusione non inferiore a nove anni, e in ogni caso per il delitto di violenza carnale; oltre a questi casi viene applicata, come aggravamento del collocamento in comunità (per un mese al massimo), ed ancora se sussistono gravi e inderogabili esigenze attinenti alle indagini, e quando ogni altra misura risulti inadeguata. Conclusa la fase delle indagini preliminari, se il caso non viene archiviato, il P.M. deposita la richiesta di rinvio a giudizio alla cancelleria del Giudice per l’Udienza Preliminare (G.U.P., organo collegiale) cui spetta stabilire e comunicare la data, il luogo e l'ora dell'udienza ovviamente al P.M., all'imputato, agli esercenti la potestà ed ai Servizi. L’udienza preliminare normalmente è la seconda tappa, del processo 16 minorile, nello svolgimento di essa, in camera di consiglio, si è voluto garantire ulteriormente il minore, con la maggioranza della componente laica (due giudici onorari) rispetto a quella togata (un solo giudice), per analizzare in maniera più mirata i processi che stanno alla base del comportamento deviante. In questa sede il Giudice può disporre l'allontanamento o l'accompagnamento coattivo del minore, che, in ogni caso deve comunque essere sentito ai fini dell'art.9 c.p.p.m, ai fini degli accertamenti relativi alla sua personalità. Nel processo minorile non è mai ammessa la costituzione di parte civile della parte offesa. Nel caso di accoglimento da parte del G.U.P. della richiesta di rinvio a giudizio e comunque quando emerge la necessità di accertare in maniera più analitica l’evento delittuoso e la personalità del minore si giunge all’udienza dibattimentale. In sede dibattimentale il Tribunale è costituito in collegio giudicante composto da quattro membri: due togati (il presidente e un giudice a latere) e due laici (un uomo ed una donna giudici onorari). L’acquisizione della prova nel contraddittorio delle parti, con i criteri dell’oralità e dell’immediatezza, è la caratteristica saliente del dibattimento. I mezzi per conseguire la dimostrazione della prova sono le testimonianze, l’esame delle parti, i confronti, le ricognizioni, le perizie gli esperimenti giudiziali e le documentazioni. Alle udienze partecipa l’Assistente Sociale con un duplice ruolo: da un lato è interlocutore del giudice al fine di fornire ulteriori chiarificazioni o aggiornamenti rispetto alla condizione personale del minore; dall’altro svolge funzioni di sostegno e spiegazione riguardo le fasi processuali al minore e alla famiglia. La conclusione dell’iter processuale nel processo minorile, in fase preliminare o dibattimentale, si può avere con una sentenza di condanna, di assoluzione o di non luogo a procedere per l’irrilevanza del fatto o per la 17 concessione del perdono giudiziale. Nel caso di irrilevanza del fatto il reato compiuto deve apparire privo di significato criminoso e di concreto allarme sociale, per la tenuità delle conseguenze prodotte e l’occasionalità del comportamento deviante. Nel caso dell'istituto del perdono giudiziale, accertata la responsabilità penale del minore, il Giudice si astiene dal pronunciare condanna o da disporre il rinvio a giudizio, ritenendolo più vantaggioso per il recupero del minore. I procedimenti speciali ammessi nella procedura penale minorile sono: • il giudizio abbreviato: può essere avviato in fase di udienza preliminare dietro richiesta dell'Imputato e con il consenso del P.M.. Questo tipo di giudizio è ammesso quando in questa sede è possibile accertare la personalità del minore ed il collegio del G.U.P. ha sufficienti elementi per potersi esprimere con una decisione presa “allo stato degli atti”. Il ricorso a questo tipo di procedimento comporta in caso di condanna la riduzione della pena fino alla metà di quanto previsto dal minimo edittale. per il reato ascritto; • il giudizio immediato: si svolge direttamente nella fase dibattimentale (saltando quindi l’udienza preliminare); viene chiesto dal P.M., previo interrogatorio dell'imputato, quando le prove raccolte sono di particolare evidenza (ad esempio per la flagranza del reato); • il giudizio direttissimo: come il precedente si svolge direttamente nella fase dibattimentale; per la sua maggiore celerità e per il fatto che sacrifica la possibilità di approfondire la conoscenza del minore, è ammesso solo se gli accertamenti fatti sul ragazzo sono immediatamente esperibili e se risulta garantita la presenza dei Servizi e dei familiari; solitamente si ricorre a questo tipo di giudizio in caso di recidiva. 18 IL SISTEMA DELLA GIUSTIZIA MINORILE Il Ministero della Giustizia Il Ministero della Giustizia, oltre ad occuparsi dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi, espleta funzioni amministrative strettamente connesse alla funzione giurisdizionale sia nel campo civile sia penale. La nuova struttura centrale di questo dicastero, in seguito alle riforme che hanno introdotto notevoli innovazioni nell’apparato organizzativo dei ministeri a partire dalla seconda metà degli anni novanta, è costituita dagli uffici di diretta collaborazione del Ministro e da quattro Dipartimenti: • Dipartimento per gli Affari di giustizia; • Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi; • Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria; • Dipartimento per la Giustizia Minorile. (vedi schema allegato n.°1) 19 Il Dipartimento per la giustizia Minorile Il Dipartimento per la giustizia Minorile (previsto dal d.L.vo 30/7/1999 n.300, ha preso il posto dell’Ufficio Centrale della Giustizia Minorile con il d.P.R.55/2001) è il ramo del Ministero della Giustizia a cui fanno capo tutti gli ambiti delle politiche giudiziarie che hanno come destinatari i minori. Al vertice del Dipartimento, è stato nominato dal 2001 il giudice dott. Rosario Priore che per lo svolgimento dei propri compiti si avvale, altresì, dell’Ufficio del capo del dipartimento Il percorso che ha portato alla costituzione di un Dipartimento, dal punto di vista finanziario ed organizzativo autonomo, è stato graduale e, per certi versi ha coinciso con il percorso evolutivo della sensibilità verso il diritto minorile. Le competenze in materia minorile trovarono un’organica sede nel 1984 con l’istituzione, in seno a l’allora Ministero di Grazia e Giustizia, dell’Ufficio per la Giustizia Minorile; questa struttura sostituiva l’Ufficio Minorenni della Direzione Generale degli Istituti di Prevenzione e Pena al fine, secondo quanto si legge testualmente nel decreto ministeriale istitutivo, “….di dare rilievo sul piano formale e sostanziale alla peculiarità dei compiti…” che gli sono attribuiti. Successivamente con il D.L.36/1992 art.2, l’Ufficio per la Giustizia Minorile venne istituito come Ufficio Centrale ottenendo quindi la piena autonomia funzionale. 20 Il modello organizzativo del Dipartimento per la Giustizia Minorile, prevede, in sede centrale, tre Direzioni generali: (vedi allegato n.°1): La Direzione generale del personale e della formazione ; La Direzione generale delle risorse materiali, dei beni e dei servizi; La Direzione generale per l'attuazione dei provvedimenti giudiziari che copre le seguenti aree di competenza: • protezione giuridica dei minori ed attività inerenti i minori stranieri ed immigrati; • studi, ricerche e progetti, anche europei, sulla condizione minorile e sulla devianza; • valutazione dei modelli di intervento; • organizzazione, coordinamento e verifica dell'operatività dei servizi minorili; • esecuzione dei provvedimenti del Giudice Minorile; • programmazione tecnico operativa e rapporti con gli enti locali e con il terzo settore; • consulenze e convenzioni. La formazione del personale della Giustizia Minorile viene effettuata nelle Scuole di Formazione di Castiglione delle Stiviere (Mantova) Roma e Messina. Una ulteriore articolazione del Dipartimento si ha poi su base territoriale con i Centri per la giustizia Minorile strutture, presenti in undici regioni (vedi allegato n.°2). che svolgono le loro funzioni articolandole in tre 21 servizi: segreteria, servizio tecnico e servizio amministrazione, contabilità ed edilizia. I C.G.M. (così ridenominati dal d.L.vo 272/1989 in sostituzione dei Centri di rieducazione per i minori) hanno il compito di coordinare, su base regionale o interregionale, i servizi minorili della giustizia previsti dall'articolo 8 del decreto legislativo 28 luglio 1989 n. 272: • Centri di prima accoglienza (n. 25): struttura che accoglie i ragazzi in stato di arresto o di fermo per i quali si terrà l’udienza di convalida da parte del Giudice delle Indagini Preliminari. • Istituti penali per minorenni (n. 17):sono le strutture carcerarie in cui vengono ristretti i minori/giovani adulti in stato o di custodia cautelare in carcere o in espiazione di una pena alla reclusione divenuta esecutiva. • Uffici di servizio sociale per minorenni (n. 28) (vedi apposito paragrafo) • Comunità (n. 12): strutture ad organizzazione di tipo familiare in cui vengono accolti i minori sottoposti alla misura cautelare del collocamento in comunità o in altra misura penale. 22 L’UFFICIO DI SERVIZIO SOCIALE PER I MINORENNI L’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni interviene, con autonomia tecnico professionale a favore dei minori, prevalentemente, nell’ambito della competenza penale dell’Autorità Giudiziaria Minorile, promovendo e tutelando i diritti dei destinatari degli interventi coerentemente con le finalità del Dipartimento della Giustizia Minorile. Il Servizio è chiamato ad intervenire anche nell’ambito dell’abuso sessuale subito da minorenni, fornendo l’assistenza e il supporto necessari, e nelle controversie internazionali relativamente alla sottrazione dei minori da parte di uno dei due genitori. L’U.S.S.M. è il servizio con più lunga tradizione nell’ambito d’intervento verso i minori. Il servizio Sociale, nonostante fosse già previsto nel r.d. del 1934 istitutivo dei Tribunali per i Minorenni, fu costituito solo nel 1951 attraverso una circolare dell’allora Ministero di Grazia e Giustizia. Una successiva legge del 1962 (la n.1805) ha poi istituito gli Uffici Distrettuali di Servizio Sociale per i Minorenni, presso ogni capoluogo del distretto di Corte d’Appello, con competenze in ambito civile, amministrativo e penale. I riferimenti legislativi più importanti relativamente alle funzioni ed al ruolo dell’U.S.S.M. sono il d.P.R.616/77 con il quale ha assunto una competenza prevalente in ambito penale rispetto a quelle civili ed amministrative; la legge 354/1975 relativa all’ordinamento penitenziario;la legge 689/1981 riguardante l’applicazione delle misure sostitutive delle 23 pene detentive brevi; ed infine il fondamentale d.P.R.448/1988. e le relative norme di attuazione del d.L.vo 272/1989. La competenza territoriale di ogni U.S.S.M. coincide con quella di ciascun Tribunale per i Minorenni, l’Ufficio di Catania quindi ha una competenza sui comuni della provincia, e sulle quelle di Ragusa e di Siracusa ove opera con degli uffici distaccati. Attualmente ciascun Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni ha al suo interno ha una organizzazione per aree funzionale all’espletamento delle attività: • area di direzione e coordinamento; • area tecnica; • area amministrativo-contabile Nell’area di direzione e coordinamento è previsto il profilo professionale di direttore coordinatore o direttore di servizio sociale. Al direttore spettano i compiti di programmazione, organizzazione e verifica delle attività dell’intero ufficio, il coordinamento e l’amministrazione del personale, la rappresentazione dell’ufficio all’esterno, la promozione di strategie d’intervento relative al disagio giovanile. Nell’area tecnica sono previsti i profili professionali di assistente sociale, psicologo ed educatore. Questa area si occupa della progettazione della organizzazione e della attuazione degli interventi, del rapporto con l’Autorità Giudiziaria, della mappatura e dell’utilizzo delle risorse, l’attività di studio e di ricerca sulle problematiche minorili, la collaborazione con i servizi territoriali, la gestione di un sistema informativo di base e la supervisione dei tirocinanti. Nell’area amministrativa contabile sono previsti i profili di ragioniere, operatore amministrativo contabile e operatore di computer. Quest’area si occupa della gestione delle risorse dell’ufficio, della gestione delle segreterie minori e personale, della raccolta dei dati statistici, del 24 protocollo, dattilografia archiviazione dei documenti inerenti l’ufficio e dell’uso dei personal computer. L’U.S.S.M. di Catania oggi rappresenta un osservatorio privilegiato rispetto al fenomeno devianza minorile lavorando, nel bacino di utenza di uno dei Tribunali per i Minorenni che ha il maggior carico di procedimenti penali in corso; direttore dell’Ufficio è la dottoressa Vincenza Speranza. I servizi sociali della giustizia hanno cominciato la loro attività a Catania negli anni ’50, con del personale che veniva assunto “a parcella”. L’organico venne implementato per la prima volta, solo nel 1977 con l’immissione in ruolo di Assistenti Sociali vincitori di concorso. Attualmente all’U.S.S.M. di Catania, per quanto riguarda l’area tecnica, sono in servizio 32 Assistenti Sociali , tre educatori, uno psicologo e una consulente psicologa. I cambiamenti che a livello nazionale hanno interessato il pianeta della giustizia minorile, hanno avuto delle ripercussioni anche in questo ufficio che più volte, aldilà del cambiamento di denominazione ha dovuto reinterpretare il proprio ruolo e l’assetto di funzionamento. In particolare l’ufficio ha lavorato per coinvolgere sinergicamente gli enti locali negli obbiettivi perseguiti, e per raggiungere degli accordi informali con la Procura della Repubblica su alcuni aspetti dei trattamenti previsti. L’organizzazione del lavoro prevede la predisposizione di una programmazione annuale della politica del servizio e delle attività, entro gli ambiti delle direttive del Dipartimento. All’interno dell’Ufficio sono stati costituiti dei gruppi di lavoro intorno ad aree tematiche (per es. volontariato, lavoro,studio e ricerca ecc.) che operano attraverso progetti a costo zero. 25 Attualmente l’unico progetto finanziato dal Dipartimento è quello relativo alle “borse lavoro” per incentivare l’assunzione e l’apprendistato dei minori segnalati da parte di imprenditori o artigiani. Nell’ambito degli interventi previsti dalla legge 285/1997 nel territorio di Catania (città che dispone di finanziamenti extra in quanto comune riservatario) prosegue l’attuazione del progetto di”Educativa territoriale”, che consiste in un servizio di accompagnamento educativo personalizzato per i minori dell’area penale esterna. L’Ufficio inoltre, continua a seguire la progettualità ordinaria della legge 285/1997, partecipando alla predisposizione dei piani territoriali per la seconda triennalità, e della legge 216/1991 sia nel territorio della provincia di Catania che in quelle di Ragusa e Siracusa. Infine l’Ufficio cura rapporti di collaborazione oltre che con gli Enti Locali, con associazioni di provata esperienza come la U.I.S.P. il W.W.F, il C.S.I. e l’Arciragazzi. Le competenze e le funzioni La tipologia di utenza è costituita dai minori aventi età compresa tra i 14 anni e i 18 segnalati dalla Procura della Repubblica o dal Tribunale per i Minorenni; vengono inoltre seguiti i c.d. “giovani adulti”, cioè soggetti tra i 18 e i 21 anni, sottoposti a procedimenti penali o ad esecuzione di condanne detentive o in misura alternativa per reati commessi durante la minore età. Il servizio sociale della giustizia è chiamato a svolgere la funzione di aiuto e quella di controllo in relazione alle esigenze educative del minorenne, alle fasi processuali ed ai contesti di appartenenza nell’interesse del soggetto e della collettività. Questa duplice funzione rende l’intervento particolarmente delicato in 26 ogni sua fase. Quella dell’Assistente Sociale è una presenza costante dalla notizia di reato redatta da parte della polizia giudiziaria, (ancor prima quindi dell’eventuale svolgimento del processo) sino ad ogni stato del procedimento con l’esecuzione di indagini sulla personalità del minore. Anche quando il giudice dispone una misura cautelare affida l’imputato minorenne ai servizi in modo da poter predisporre dei piani di intervento che possano dare spessore alla misura cautelare stessa come attività di studio o di lavoro avvalendosi anche della collaborazione dei servizi territoriali. Il servizio sociale è chiamato a sostenere il minore, la famiglia di provenienza, attraverso un processo di consapevolezza e di cambiamento tentando di stimolare le risorse personali e familiari e di conoscere interpretare ed utilizzare quelle istituzionali e comunitarie. I servizi ministeriali devono porsi il perseguimento di alcuni obbiettivi: la partecipazione del minore ai sistemi interagenti positivi per il suo processo educativo, il chiarimento del significato dell’iter penale, l’attivazione di progetti nell’ottica di cambiamento, la responsabilizzazione del minore e della famiglia, la lettura approfondita dei bisogni che sottendono al disagio manifestato con la commissione del reato. In particolare le funzioni generali attribuite all'U.S.S.M. sono: • inchiesta, trattamento psicologico-sociale ed attività diagnostiche ed educative in relazione ai provvedimenti emessi dalla Autorità Giudiziaria; • attività di studio e ricerca nell'ambito della prevenzione della delinquenza minorile; • attivazione delle risorse, istituzionali e non, nell’ottica dell’intervento di rete. 27 Le attività specifiche dell’Ufficio riguardano: • l’esame della personalità del minore, dell’ambiente familiare e sociale di provenienza; • interventi di osservazione, assistenza, sostegno e controllo nei riguardi del minore in ogni stato e grado del procedimento penale; • la presenza in udienza: un aiuto volto a far sì che l'imputato minorenne partecipi consapevolmente alla dialettica processuale; • interventi nei riguardi di minori sottoposti a misura limitativa o privativa della libertà,; • rapporti con gli altri Servizi della Giustizia Minorile rapporti con le Autorità Giudiziarie Minorili; • attività di mediazione giudiziaria; • collegamenti con i Servizi locali; • lavoro di EQUIPE ed attività di studio e ricerca; • attività di formazione e aggiornamento dei dipendenti e dei tirocinanti. Il servizio inoltre mira a garantire la continuità delle sue prestazioni attraverso l’apertura dell’Ufficio durante tutti i giorni della settimana nelle ore antimeridiane e, per due volte la settimana, anche in quelle pomeridiane. Metodologia d’intervento: L 'attività dell'Assistente Sociale ha una funzione tecnico-professionale ovvero utilizza strumenti, tecniche e metodi specifici per offrire sia sostegno psicologico sia aiuto materiale. L’intervento viene modulato al fine di garantire il rispetto dei principi cardine del d.P.R. 448/1988, in altre parole la minima offensività del 28 processo, la continuità dei processi educativi in atto, la rapida uscita dal circuito penale e la residualità della detenzione. La metodologia dell’intervento prevede il ricorso alla contrattualità dei progetti, alla costruzione di ipotesi, alla valutazione dell’andamento della situazione ed alla definizione di modalità di controllo. La procedura con la quale avviene la presa in carico del caso prevede questo iter: una volta giunta la richiesta dell’Autorità Giudiziaria alla segreteria dell’U.S.S.M., il caso viene assegnato con un ordine di servizio del Direttore all’Assistente Sociale competente per territorio o, a seconda dei casi, in base alla quantità dei carichi di lavoro. L’Assistente sociale incaricato a questo punto si occupa della formazione del fascicolo nel quale sono contenute tutte le notizie sulla situazione personale e familiare del minore, copia dei provvedimenti dell’autorità giudiziaria che lo riguardano ed un diario degli interventi nel quale sono annotate sinteticamente le prestazioni effettuate. Il primo atto con il quale si avvia il rapporto con il minore è solitamente l’invio di una convocazione in ufficio per lui e per i genitori per il primo colloquio di conoscenza; a questo primo contatto seguiranno la visita domiciliare e gli ulteriori interventi del caso. Il materiale così raccolto confluirà periodicamente in una relazione. Gli strumenti utilizzati per la gestione del caso sono: • il diario degli interventi: si tratta di un modulo nel quale sono annotate sinteticamente tutte le azioni che riguardano la gestione del caso; lo scopo di questo strumento è quello di rendere immediatamente disponibili le informazioni di base necessarie alla gestione degli 29 interventi come fissazione di incontri e loro esiti, scadenze, visite domiciliari, telefonate ecc.; • il colloquio con l’utenza: rappresenta uno degli aspetti più significativi del rapporto tra Assistente Sociale ed utente; la condizione ideale prevede lo svolgimento in un setting relazionale che garantisca l’adeguata tranquillità ed il rispetto dell’utente. Solitamente il colloquio si svolge nella stanza a ciò predisposta presso i locali dell’U.S.S.M.; • la visita domiciliare: come il precedente strumento è una peculiarità del servizio sociale. La visita domiciliare è l’occasione ideale per conoscere l’utente nel suo ambiente e cogliere maggiori elementi di osservazione. L’assistente sociale si reca presso l’abitazione del minore ed interagisce con lui e con i familiari eventualmente presenti; • le registrazioni: consistono nella verbalizzazione per esteso, a seguito del colloquio con l’utente, dei contenuti emersi, ma anche degli atteggiamenti verbali e delle posture. Si tratta di uno strumento che consente all’assistente sociale di evidenziare le dinamiche, le ricadute emotive e le sensazioni che si sono innestate nel rapporto con l’utente e gli permette di trarre spunti importanti anche per i successivi incontri. • le riunioni: strumento operativo interno, di solito con frequenza quindicinale, finalizzato alla circolazione delle informazioni tra gli operatori dello stesso o di diversi ambiti professionali, funzionali all’organizzazione e alla valutazione del lavoro, programmazione ed alla verifica dei risultati. Catania lì, 9 settembre 2002 Lo studente tirocinante Il supervisore ____________________ __________________ 30 Allegato n.°1 Il Ministero della Giustizia, i dipartimenti e la giustizia minorile 31 Allegato n.°2 Centri per la giustizia Minorile e relative aree di competenza BARI (Puglia e Basilicata); BOLOGNA (Emilia Romagna e Marche); CAGLIARI (Sardegna); CATANZARO (Calabria); FIRENZE (Toscana e Umbria); MILANO (Lombardia e Liguria); NAPOLI (Campania e Molise); PALERMO (Sicilia); ROMA (Lazio e Abruzzo); TORINO (Piemonte e Valle d'Aosta); VENEZIA (Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige). 32 Allegato n.°3 Relazione sulle attività del C.P.A. di Catania e sulla partecipazione all’udienza di convalida del 28/6/2002. Il Centro di Prima Accoglienza è una struttura creata dal d.P.R. 448/1988, quello di Catania è attualmente diretto dall’Assistente Sociale Antonia Chiarenza. Durante la visita alla struttura sono emersi gli aspetti salienti di questo servizio della giustizia minorile e le difficoltà che ne hanno caratterizzato soprattutto nella fase di avvio il funzionamento. Infatti essendo questa una struttura completamente nuova gli operatori hanno di fatto avuto un ruolo creativo rispetto agli aspetti non previsti dalla legge o da una circolare ministeriale. Le tipologie di funzionamento dei C.P.A. sono solitamente due: struttura stabile come nel caso di Catania, o C.P.A. aperto all’occorrenza nel caso di città nelle quali gli arresti di minori sono più sporadici. L’organico del C.P.A. di Catania è composto dal direttore reggente (l’assistente sociale Antonia Chiarenza), quattro educatori, un assistente sociale ed una consulente psicologa oltre agli agenti di polizia penitenziaria. L’equipe ha un ruolo molto importante in quanto raccoglie i primi elementi di conoscenza dei minori in relazione alle rispettive situazioni personali, familiari e sociali cercando anche di individuare le prime ipotesi d’intervento. La modalità d’intervento prevede l’effettuazione di un colloquio congiunto di educatore ed Assistente Sociale con il minore “ospitato”per la redazione della relazione di prima conoscenza che verrà passata al P.M. ed al .G.I.P. che entro le prime 96 ore di permanenza nella struttura dovrà pronunciarsi sulla convalida dell’arresto. 33 In conclusione è emerso che nonostante il breve periodo di permanenza del minore presso questa struttura, il rapporto che viene instaurato con gli operatori è di particolare significatività: sia perché questo nei casi di “primari” è il primo impatto con il sistema penale, poi perché solitamente al C.P.A. si svolge il primo incontro tra il minore ed i suoi familiari dando la possibilità agli operatori di cogliere anche importanti aspetti relazionali tra i membri della famiglia in una situazione di forte accelerazione emotiva quale quella che segue l’arresto. Momento particolarmente interessante è stato poi assistere allo svolgimento di una udienza di convalida durante la quale il G.I.P. dottor Barone si è pronunciato riguardo l’arresto di un minorenne denunciato e arrestato dalla polizia giudiziaria in quanto trovato in un auto assieme ad un gruppo di maggiorenni (che si erano prestati per riaccompagnarlo dopo il lavoro) che detenevano sostanze stupefacenti. Dalla lettura della relazione dell’equipe del C.P.A. è emerso che il ragazzo non presentava una personalità “strutturata in senso deviante” anzi dimostrava di avere uno spirito collaborativo. Il G.I.P. avendo valutato questi elementi assieme al fatto che i maggiorenni coimputati si erano assunte per intero la responsabilità di quanto contestato, ed in considerazione anche della mancanza di precedenti, ha disposto la remissione in libertà del ragazzo motivando dettagliatamente quanto deciso. Il minore quindi, in attesa dell’eventuale rinvio a giudizio, rimarrà denunciato a piede libero. Catania lì, 28 giugno 2002 Lo studente tirocinante Il supervisore ____________________ __________________ 34 Relazione sulle visite agli Istituti Penali Minorili di Acireale (1/7/2002) e Catania (12/7/2002) Gli Istituti Penali Minorili ospitano minori e giovani adulti in stato di custodia cautelare in carcere o di espiazione di una pena alla reclusione divenuta esecutiva. Occorre precisare che le due strutture carcerarie in questione, quella di Acireale e quella di Catania, anche dal punto di vista strutturale sono molto diverse. La prima è ospitata all’interno di un antico convento riadattato a tal uopo ed integrata per altro nel contesto urbano della cittadina di Acireale. L’I.P.M. di Catania si trova invece presso una struttura nata appositamente per ospitare un carcere e un’aula “bunker” nella zona di Bicocca, e quindi decentrata rispetto al centro di Catania. A questo si aggiunga che la struttura ha un aspetto più marcatamente carcerario per la vicinanza al carcere di massima sicurezza riservato agli adulti. Questi aspetti strutturali connotano non poco anche le possibilità di stabilire contatti con le risorse del territorio ed avviare possibilità di interazione tra struttura carceraria e mondo esterno. Durante l’intera giornata sono previsti in entrambe le strutture la partecipazione dei minori ad attività di formazione a momenti ricreativi e di socializzazione. All’ingresso in I.P.M. l’educatore di turno si occupa dell’accoglienza del minore; successivamente in base ai criteri di divisione del lavoro il minore sarà preso in carico da uno degli educatori in organico della struttura. 35 In entrambi gli Istituti Penali Minorili sono presenti corsi per il completamento della scuola dell’obbligo per i minori che non avessero ancora completato gli studi e corsi di formazione professionale (falegnameria, pasticceria e ceramica); in alcuni periodi dell’anno sono inoltre organizzati spettacoli teatrali con l’utilizzo sia di risorse interne sia appoggiandosi a compagnie che operano in regime di convenzione o, più spesso, di volontariato. La normativa di riferimento è l’ordinamento penitenziario, il d.P.R.230/2000, il regolamento interno ed ogni altra norma che disciplina in maniera specifica il trattamento adottato nei confronti di alcune tipologie di detenuti (come ad esempio il 416 bis per gli imputati o condannati per associazione di tipo mafioso). Nella struttura di Catania sono ospitati circa 50 ragazzi un numero così alto ha imposto alla direzione, a seguito di gravi episodi, la divisione in quattro sottogruppi che svolgono le attività previste in momenti diversi. La struttura di Catania ospita per lo più giovani con condanne definitive. Gli educatori in servizio sono cinque coadiuvati da un consulente psicologo e da un’infermeria nella quale sono presenti un infermiere e un consulente medico. L’I.P.M. di Acireale ospita invece in maniera prevalente minori in custodia cautelare provenienti per lo più a seguito di pronunciamento dei Tribunali per i Minorenni di Catania e Messina. Attualmente sui quindici ragazzi ospitati solo cinque hanno una condanna definitiva. Questa tipologia di utenza influenza maggiormente le possibilità di poter avviare dei progetti a medio o lungo termine, ma di contro, il fatto che l’Istituto sia inserito in un contesto urbano permette forme di collaborazione con associazioni di volontariato ed occasioni di contatti con la realtà del mondo del lavoro o della scuola, per i detenuti per i quali il giudice di sorveglianza lo consente, 36 altrimenti non utilizzabili. All’I.P.M. di Acireale sono in servizio oltre al direttore vicario, quattro educatori, ed un consulente psicologo. L’ordinamento penitenziario prevede la possibilità per i minori detenuti di quattro ore di colloqui e due telefonate di dieci minuti al mese con i familiari, fatte salve altre disposizioni previste dalla magistratura. Catania lì, 12 luglio 2002 Lo studente tirocinante Il supervisore ____________________ __________________ 37 Relazione sulla visita alla struttura del Tribunale dei Minorenni e sulla partecipazione all’udienza preliminare presso il Tribunale dei Minorenni del 18/7/2002 La visita alle suddette strutture mi ha permesso la conoscenza diretta dell’organizzazione delle varie cancellerie: anello assai importante nel meccanismo giudiziario. La presenza all’udienza preliminare durante la quale sono stati trattati due casi ha rappresentato una valida occasione per osservare concretamente l’andamento di una delle fasi del procedimento penale, ma anche il comportamento e le reazioni dei minori imputati. Nella prima udienza si è valutata la situazione di tre minori, detenuti in regime di custodia cautelare in I.P.M., coimputati per una rapina in concorso, ai danni di una attività commerciale. Il collegio giudicante presieduto dalla dottoressa Vitale coadiuvata da due giudici onorari, ha acquisito la documentazione del P.M. (dottoressa Ledda) e dei Servizi Sociali rappresentati in udienza dall’assistente sociale dell’U.S.S.M. Rosano, ed ha sentito brevemente per qualche domanda di rito gli imputati i quali anche se con una diversa gradazione hanno di fatto ammesso la loro responsabilità. Le richieste avanzate da parte dei difensori di due dei tre imputati, hanno visibilmente mandato in escandescenze il terzo: infatti due dei ragazzi hanno chiesto la “messa alla prova”; questo strumento è stato ritenuto dal minore che probabilmente nel terzetto aveva una funzione di leadership come squalificante del suo “ruolo” e soprattutto del suo senso di appartenenza ad una cultura che non condivide la collaborazione con 38 l’Istituzione che, anche se a livelli minimi, deve instaurarsi proprio durante il ricorso a questo istituto. Il collegio giudicante ritiratosi in camera di consiglio, ha deliberato disponendo con ordinanza l’incarico ai Servizi di valutare la fattibilità di un progetto di messa alla prova per i due imputati che hanno avanzato richiesta, mentre ha accolto il rinvio a giudizio per il terzo. Catania lì, 9 settembre 2002 Lo studente tirocinante Il supervisore ____________________ _________________ 39 INDICE INTRODUZIONE NASCITA ED EVOLUZIONE DELLA LEGISLAZIONE MINORILE IL TRIBUNALE PER I MINORENNI la competenza civile la competenza amministrativa la competenza penale IL D.P.R.448/1988 la messa alla prova LE FASI DEL PROCESSO PENALE MINORILE il centro di prima accoglienza (c.p.a) l’udienza di convalida le misure cautelari l’udienza preliminare l’udienza dibattimentale la conclusione dell’iter processuale i procedimenti speciali IL SISTEMA DELLA GIUSTIZIA MINORILE il ministero della giustizia il dipartimento per la giustizia minorile centri per la giustizia minorile L’UFFICIO DI SERVIZIO SOCIALE PER I MINORENNI l’u.s.s.m. di Catania le competenze e le funzioni metodologia d’intervento gli strumenti utilizzati ALLEGATI il ministero della giustizia,i dipartimenti e la giustizia minorile centri per la giustizia minorile e relative aree di competenza relazioni indice 40 pag.1 pag.3 pag. 6 pag.7 pag7 pag.8 pag.9 pag.10 pag.13 pag.13 pag 14 pag.14 pag. 17 pag.17 pag.17 pag.18 pag.19 pag.20 pag.21 pag.23 pag.25 pag.26 pag.28 pag.29 pag.31 pag.32 pag.33 pag.40