Fortuna e Amore

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Fortuna e Amore
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I cardini della visione del
mondo: Fortuna e Natura
S
econdo il critico Mario Baratto l’uomo del Decameron si definisce entro
due forze: Fortuna, priva di caratteristiche
divine e provvidenziali, e Natura, che deve
aiutare l’individuo, mediante intelligenza
e industriosa energia, a capire se stesso e
a relazionarsi con la realtà del mondo.
terati pregiudizi culturali e di costume.
L’avventura è sollecitata, in quest’ambito,
dal carattere univoco e comune a tutti,
e quindi potenzialmente eversore di un
ordine costituito, del desiderio amoroso.
Proprio su questo tema, più che sull’atto sessuale, insiste anzi il Boccaccio. Non
sono reperibili nel Decameron, ed è stato
più volte notato, compiacimenti di natura procace o morbosa (l’attività sessuale è
colta con schemi rapidi e topici, ravvivati
solo dal gioco linguistico e metaforico):
è vero piuttosto che il Boccaccio ha individuato con chiarezza, senza ipocrisie,
senza mistificazioni o sublimazioni,
l’esigenza sessuale che anche la più alta
passione contiene in sé. Tale esigenza può
essere dominata e superata, ma amore
è sempre, all’origine, impulso erotico: è
questa una convinzione fondamentale
del Boccaccio [...].
Nel Decameron, in ogni modo, resta
acquisito che di fronte al pessimismo
provocato nella vita umana dal caso, dalla Fortuna, si spiega la bontà dell’esistenza vissuta come natura, come ottimistica
liberazione di forze a lungo compresse.
Parole come «piacere», «diletto», «sollazzo», e simili ricorrono nel libro con
gioia inesausta, e hanno la luce della
sanità non avvilita, la limpidezza di una
ragione che stabilisce una nuova armonia
tra istinto naturale e virtù. Perché la virtù
non è più mortificazione dell’istinto, ma
capacità di riconoscere, di appagare e di
dominare, gli impulsi naturali.
(Baratto, 1970)
1. VI, 2, 6: nella novella di Cisti fornaio e Geri
Spina, la seconda della Sesta giornata, dedicata
alla celebrazione dell’intelligenza che si esprime nella parola e nella risposta arguta, Natura
e Fortuna sono definite «ministre del mondo»,
governatrici del mondo, cioè fattori che determinano in tutto la vita degli uomini.
2. I, 1: è la novella di Ciappelletto (> A2 T40).
a. La Fortuna è una forza interna o
esterna all’uomo?
b. Che cosa è la Natura? In quale
impulso trova la sua prima
espressione?
>
Quali sono, allora, gli elementi orientativi di una moralità del Decameron?
Sono elementi che rispondono, in termini concettuali semplificati, alla visione
aperta e intuitiva che del mondo ha il
Boccaccio. [...]
I cardini sono essenzialmente due:
Fortuna e Natura, «le due ministre del
mondo» (VI, 2, 6)1. La vita è avventura
fortunosa, che impegna tutte le risorse
dell’uomo; ed è senso che non va negato
o eluso, ma disciplinato con un intervento razionale dell’uomo sulla propria reale
natura. L’uomo si definisce, innanzi tutto, entro queste due forze: una a lui esterna, la Fortuna, che lo condiziona continuamente; l’altra interna, la Natura, con
istinti e appetiti che deve riconoscere per
farne l’uso migliore. Ecco perché l’uomo,
colto tra queste due componenti fondamentali, ha bisogno di «avvedimento»,
di intelligenza per capirle, e di «forza»,
di industriosa energia per sfruttarle ed
agire [...].
Nel Decameron, la Fortuna interviene
insistentemente come rivelazione sensibile del mondo esterno, e delle possibilità ambivalenti di sorpresa che esso offre
all’agire degli uomini. Essa costituisce
subito l’animazione profonda della descrizione della peste nell’Introduzione,
ed è implicitamente e dolorosamente
ammessa come determinante nei primi
rilievi di Panfilo (I, 1)2. L’individuo potrà reagirvi in varia misura: il Decameron
passa in rassegna tutti gli aspetti di tale
reazione, da quelli più miseri e locali a
quelli più alti e generosi, da quelli che
suscitano il riflesso di un attimo a quelli
che riguardano tutta una vita. Resta però
fondamentale che il mondo esterno, nel
Decameron, costringe gli uomini a un
continuo gioco rischioso, a una vigilan-
za e a una tensione che difficilmente si
possono allentare. [...]. Il «giudicio» della Fortuna è solo ritenuto «occulto» per
gli uomini, frustrati nelle loro brame di
possesso e pur capaci di affermarsi anche
quando tale «giudicio» sembra contrastare con i doni della Natura (VI, 2, 3-6):
la problematica è soltanto mondana, e
implica l’abbandono, per un’analisi degli
eventi, di ogni logica provvidenziale. In
questo senso il disordine e il mutamento
con cui si presentano all’uomo le cose
temporali non solo legittimano la struttura di novelle in cui le vicende si svolgono come concatenazione imprevedibile
di «casi» e di «accidenti», ma spiegano
anche come l’uomo, se dev’essere consapevole di una legge generale intrinseca
alle cose, non possa sempre dominarne
il corso: può tutt’al più non provocarle,
o adattarsi a esse [...]; tra la Fortuna e
l’energia più o meno avveduta dell’uomo
non esiste armonia, ideale pacificazione,
ma lotta continua e serrata. In tale permanente dissidio tra uomo e fortuna
consiste l’autenticità anche morale del
racconto boccacciano, che testimonia la
sincera adesione dello scrittore al meraviglioso terreno, all’imprevisto immanente alla realtà mondana. [...]
La Natura è il secondo aspetto di una
realtà affrontata in tutta la sua concretezza: una realtà, ora, interna all’uomo,
vitale e possente, non tanto esaminata
in una concezione complessiva e con un
rigoroso approfondimento concettuale, quanto intuita nella sua forza senza
ombre di pregiudizio o mortificazioni.
[...]. La realtà naturale serve a stabilire un
nuovo rapporto tra l’individuo e sé stesso, e dunque tra l’individuo e il mondo,
perché questa realtà libera nuove energie
dell’uomo, anche quando viene in conflitto con un codice di convenzioni sociali. [...] La natura si presenta come una
realtà primordiale [...] la cui espressione
prima è Amore, impulso comune agli uomini, fonte di diletto e anche di dolore,
quando non può realizzarsi, occasione
di inganno e di sacrificio, di elevazione
e di morte; perché si tratta di una forza insopprimibile la quale, agendo nelle situazioni più varie e nei più diversi
strati sociali, può scontrarsi con inve-
PER LO STUDIO
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La voce del critico
| Giovanni Boccaccio | Decameron | 553
A2
T 40 