Scarica il pdf - Telefono Azzurro Rosa

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N° 7 - OTTOBRE 2006
Hina... e le altre
Lo chiamano primato
Volevo uscire
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Periodico di informazione a cura dell’ Associazione Telefono Azzurro Rosa - anno XVII - N°7 euro 1 - POSTE ITALIANE S.P.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - DL 353/2003 (conv. In Legge 27/2/2004 n. 46) art. 1, Comma 1, DCB Milano
030.3530301
800-001122
Ph. Favretto
Ph. Favretto
Sommario
Anno 17 - N° 7
Ottobre 2006
Direttore Responsabile:
Fernando Micieli
Direttore Editoriale:
Ivana Giannetti
Comitato di Redazione:
Mario Donati, Anna Fadenti,
Angela Giuliani,
Annalisa Pola,
Carlo Alberto Romano
RUBRICHE
3-4
5
Redazione, Direzione e
Pubblicità:
Via S. Zeno 174 - Brescia
Tel. 030.3530301
Fax 030.3531165
Prima pagina
Hina ... e le altre
Ivana Giannetti
Detto tra noi
Lo chiamano primato
Angiolino Donati
Hanno collaborato:
Ivana Giannetti,
Angiolino Donati, Mario Donati,
Gruppo Studio
Telefono Azzurro Rosa
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Volevo uscire
La nuova coppia
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Era la mia famiglia... forse
Cos’è l’integrazione?
Fotografie:
Umberto Favretto
Chiara Soana
Aut. Tribunale di Brescia 47/1990
del 29/9/1990
Abbonamento annuo
Sostenitore da euro 37 in su Benemerito da euro 52 in su
Impaginazione:
Annalisa Pola
Il nostro indirizzo è:
Telefono Azzurro Rosa
via San Zeno 174 - Brescia
tel. 030.3530301 fax 030.3531165
Fotocomposizione e stampa:
Parole Nuove - Brugherio (MI)
http://www.azzurrorosa.it
e-mail: [email protected]
App. Edit.
Stef.Al.Pe Srl - Vimercate (MI )
Informiamo i lettori che in ogni articolo pubblicato
viene espresso il libero pensiero dell’autore.
Informiamo i lettori che le foto pubblicate su tutti i numeri del giornale
non sono in alcun caso attinenti con gli articoli trattati.
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prima
pagina
Anno 17 - N°7 Ottobre 2006
Hina e... le altre
Ivana Giannetti
Io credo proprio che la religione non c’entri....
Ho conosciuto molte ragazze di
religione islamica nel corso della
mia professione di Funzionario di
polizia e con parecchie di loro mi
sono dovuta confrontare sui temi
della integrazione e del loro
desiderio di “normalità”.
Ho avuto modo anche di conoscere
Hina, una ragazza dolce, ma molto
determinata nella sua scelta di non
vivere più con i suoi, di non subire
più le violenze.
Ho cercato anche di farla riflettere
prima di prendere una decisione
definitiva, perché altre musulmane
che avevano intrapreso quella
strada, erano tornate indietro
perché alla fine si sono sentite sole;
non hanno nessuna Patria che le
difende e si trovano immigrate in
Italia e straniere a casa loro.
Quante volte ho chiesto a delle
giovanissime musulmane che
avevano subito violenze “Possibile
che tu non abbia una amica o
qualcuno a cui chiedere aiuto?” e
la risposta è stata sempre “ Sì,
un’amica ce l’ho – E’ la paura”.
Hina e le altre: le buone e le cattive
musulmane.
Onore e disonore secondo le
regole di ferro dell’Islam.
Ma che cosa c’entra l’Islam?
Un padre che sgozza la figlia non
ubbidisce al Corano, ma ai suoi
istinti tribali. Siamo nel Medioevo,
tra ignoranza profonda e
maschilismo violento. E la storia di
Hina non è un’eccezione perché sia
in Italia che in Germania o in
Inghilterra, ragazze come lei
subiscono il fanatismo e l’ignoranza
dei genitori e a volte, sì, sino alla
morte.
Anche la madre di Hina è
terrorizzata e dice quello che le
hanno imposto di dire: ha paura e
non è una donna libera.
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Ma si può morire così?
Per mano di un padre, complici altri
tre parenti fanatici, tra l’indifferenza
generale, sgozzata nel giardino di
casa, solo perché si voleva
integrare nel nostro Paese?
E che cosa si può fare per aiutarle?
Innanzitutto al primo posto va
messa l’Istruzione: l’85% delle
musulmane che arrivano nel nostro
Paese è analfabeta. Nessuno si
può “liberare” nell’ignoranza.
Queste donne non sanno né
leggere, né scrivere, sono sepolte
vive prede di genitori e mariti
fanatici, spesso private dei
documenti; un modo per impedire
qualsiasi denuncia.
Io credo proprio che la religione non
c’entri e che siano vittime di una
ignoranza tribale: non sono schiave
dell’Islam ma degli uomini.
Se Hina ormai è morta, dobbiamo
partire da lei, dal suo atroce
destino, per evitare che altre
giovani
ragazze
finiscano
sottoterra, solo per avere inseguito
il sogno di una vita normale.
Noi abbiamo da anni organizzato
un centro di ascolto affinché queste
ragazze e queste mogli abbiano un
posto dove andare e un numero da
chiamare per far sentire la loro
voce. Non sono figlie di nessuno e
vivono accanto a noi. Non
possiamo far finta di non vedere.
Sull’argomento è stato scritto un
libro edito da Marsilio “LA DONNA
NEGATA: DALL’INFIBULAZIONE
ALLA LIBERAZIONE”.
INIZIATIVA DEL TELEFONO AZZURRO ROSA
…ANCHE TU DICI DI ESSERE CADUTA DALLE SCALE?
SE NON RIESCI A TROVARE LA FORZA DI ANDARE OLTRE LE SOLITE
SCUSE…CHIAMACI !
Con questo slogan il TELEFONO AZZURRO ROSA – ONLUS, che da anni si occupa di violenza
ai bambini e alle donne, in collaborazione con l’associazione IL FILO D’ERBA – ONLUS e
grazie al cofinanziamento della regione Lombardia, attiverà presso la propria sede lo
SPORTELLO PER L’AIUTO PSICOLOGICO-LEGALE
a disposizione delle donne maltrattate di Brescia e provincia.
Dall’ 8 MAGGIO 2006, infatti, avvocati e psicologi saranno a disposizione presso la sede del
Telefono Azzurro Rosa di Brescia, Via S. Zeno n. 174 (a fianco del Palabrescia), ogni lunedì
pomeriggio.
Le donne interessate potranno telefonare per prendere appuntamento al numero
dell’associazione Telefono Azzurro Rosa: 030.3530301
mercoledì dalle 18.00 alle 21.00
giovedì dalle 09.00 alle 12.00
…TI AIUTEREMO…INSIEME POSSIAMO RICOMINCIARE !
Quest’estate e NON SOLO è aperto..
MORBIDO’
Il nuovo PARCO GIOCHI DEL TELEFONO
AZZURRO ROSA al coperto è aperto anche
dall’autunno, il sabato e la domenica dalle
16 in poi.
Aspettiamo tutti i bambini che vorranno
venire a trovarci in compagnia dei loro
genitori, e a divertirsi nel nostro giardino
con i meravigiosi giochi che la nostra
associazione mette a disposizione.
A RICHIESTA POSSIAMO ORGANIZZARE
FESTE DI COMPLEANNO.
Per informazioni telefonare a 030.3530301.
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detto
fra noi
Anno 17 - N°7 Ottobre 2006
Lo chiamano primato
Angiolino Donati
E’ allarme violenze in Italia. Le autorità sono già al lavoro e garantiscono che la sicurezza sarà garantita
Il nostro paese vanta un triste primato. Il numero di violenze e molestie sofferte dalle donne. Si legge
dalle statistiche dell’istat che sono
ben 118.000 i casi denunciati alle
autorità pubbliche o comunque registrati dalle strutture sanitarie o assistenziali.
Molti casi restano invece sconosciuti. E sono proprio quei casi in cui
l’autore della violenza è un amico,
un collega di lavoro se non addirittura un parente.
Durante l’estate scorsa si sono registrate un numero impressionante
di denunce. Le cronache hanno riportato il caso delle due turiste francesi che sono state avvicinate da
due tunisini che si sono offerti di
accompagnarle sul lago Maggiore
e che poi, invece, le hanno tenute
sequestrate in un casolare dove le
hanno violentate per una notte intera; si legge poi della giovane donna milanese che è stata aggredita
e violentata da un nord africano
mentre andava al lavoro la mattina
presto; ancora di una ragazzina di
14 anni violentata da un gruppo di
quattro rumeni di cui due di soli 12
anni; notizia scioccante arriva dalla
Svizzera dove si legge che due
bambini di 10 anni avrebbero tentato di assalire una bambina di 5.
I casi non si contano, le situazioni
nemmeno, e gli autori diventano
sempre più giovani, aggressivi e
spavaldi.
Aggressioni in mezzo alla strada
con le relative violenze dietro i cespugli. L’emergenza esiste e si fa
sempre più grave. Le autorità ri-
Ph. Favretto
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spondono prontamente e molto
spesso questi delinquenti vengono
arrestati nel giro di pochi giorni e
portati per direttissima davanti al
giudice dove piangono e piangono
dicendo che sono pentiti.
Amara e crudele è la violenza subita da una giovane omosessuale in
toscana in un luogo che solitamente accoglie le comunità gay con
estrema tolleranza.
La ragazza si trovava fuori con un
gruppo di amici per passare una
serata in compagnia. Prima di tornare a casa è stata avvicinata da
due uomini italiani che l’hanno trascinata di forza verso la pineta e qui
l’hanno violentata e, oltre allo spregio fisico, l’hanno insultata dicendole di stare zitta “brutta lesbica”.
Il male qui non è solo fisico, ma è
soprattutto mentale. Non mi riferisco alla ragazza che ha avuto il coraggio di reagire e di denunciare i
suoi assalitori. Il male è di queste
due persone che hanno violentato
non solo un corpo ma di più hanno
oltraggiato l’identità di una persona
che ha scelto una vita diversa. Si
dice che siano molte le violenze e
le molestie subite dalle donne omosessuali e che spesso vengano sottovalutate o come ridimensionate a
conseguenze del tutte prevedibili rispetto al loro stile di vita.
Mi viene da domandarmi se anche
questi due signori, nel fortunato
caso dovessero finire davanti ad un
giudice, avrebbero la faccia tosta di
piangere e di dire che sono pentiti.
Il pentimento vero è quello che incenerisce un’ intenzione immorale
prima che sia compiuta.
Dopo si può dimenticare, ma il dolore non passa. Bastasse piangere…
Volevo uscire
Una ragazza tunisina di 19 anni e
residente da tempo con tutta la
famiglia a Palermo ha richiamato
l’attenzione degli organi di stampa.
E non solo di questi. Si legge infatti
sui giornali che la giovane era da
qualche mese in disaccordo con il
padre che l’accusava di essersi
troppo occidentalizzata. La ragazza
ha 19 anni, sufficienti per essere
considerata maggiorenne dalla
legge italiana ma non sufficienti per
quella islamica che fissa il limite della
maggiore età a 20 anni.
Visto che la figlia è in certo senso
ribelle, il padre decide di chiuderla
in casa, così racconta la ragazza,
la quale non si dà vinta per nulla e
con il suo telefonino chiama i
carabinieri. Le forze dell’ordine
intervengono prontamente, e con le
chiavi che la ragazza stessa lancia
dalla finestra si fanno strada fino alla
“prigione”. Il padre viene portato in
caserma e accusato di sequestro di
persona. Le motivazioni si sapranno
solo in seguito e sembrano così
poco giustificabili da lasciare le
autorità senza commenti. Il fratello
della ragazza interviene per
difendere il padre.
Dice che non è vero che la sorella è
stata rinchiusa con la volontà di
volerla punire per la sua
occidentalizzazione, ma la ragione
sarebbe invece molto più banale e
comune a moltissime ragazze
italiane e non. La ragazza, racconta
sempre il fratello, voleva sempre
soldi per andare a divertirsi con gli
amici. Ad un certo punto il padre
avrebbe perso la pazienza. La
magistratura dovrà ora chiarire la
pozione dell’uomo.
Ph. Favretto
La nuova coppia
Le statistiche parlano di un nuovo
profilo della coppia contemporanea in Italia.
La lente di osservazione è stata
posta soprattutto sulle coppie di
fatto che sembrano in continuo
aumento.
Mentre la maggioranza dei matrimoni vengono celebrati ormai tra
“giovani” che hanno superato i 35
anni e la maternità, a volte, viene
spostata anche oltre, sono in crescita vertiginosa le convivenze.
Verso la fine degli anni ’70 poco
meno del 2% delle coppie non avevano regolato la loro posizione in
Chiesa o in comune.
Ora sfioriamo addirittura il 30%.
E il dato sembra oscillare ancora
verso l’alto. I motivi, dicono gli
Ph. Favretto
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scienziati, sono quelli che da tempo intaccano la “predisposizione”
a volersi prendere un impegno sul
serio. (Come se le coppie di fatto
volessero solo scherzare). Mancanza di un lavoro stabile e di fondi, spese faraoniche per allestire
una casa nuova.
Pare comunque che nella coppia
di fatto la donna abbia in un certo
senso una maggiore autonomia.
Lo dimostra il fatto che quasi un 1/
3 delle donne in coppie di fatto ha
un proprio conto corrente a dimostrazione di una verosimile indipendenza economica.
Le donne sposate che possono
staccare assegni da sole, e cioè
che non hanno neppure il conto
con il marito, non arrivano al 2%.
Era la mia famiglia... forse
Ha davvero dell’incredibile la storia accaduta ad una giovane ragazza austriaca che a soli 10 anni è
stata rapita. Il fatto in sé non avrebbe nulla di eccezionale, se non fosse che il rapimento è avvenuto nel
1998 e che il rilascio è avvenuto
solo poche settimane fa. La notizia
ha fatto il giro del mondo e tutto il
mondo ormai conosce la storia di
Natassia e ha visto la sua fotografia e quelle dello pseudo-bunker
dove il suo rapitore la teneva prigioniera. L’uomo era un amico di
famiglia. Quello che si direbbe una
brava persona. Uno di cui ci si può
fidare. Non si sa come, in un pomeriggio non diverso da tanti altri,
Natassia ha approfittato della distrazione dell’uomo per scappare.
Una macchina della polizia l’ha trovata mentre vagava per la strada.
Ha detto il suo nome ed è stata
portata in salvo.
L’uomo, sentendosi scoperto, ha
pensato di suicidarsi. Si è buttato
sotto un treno prima che la polizia
potesse raggiungerlo. Non una parola o una confessione per cono-
scere il perché di tanta crudeltà. La
ragazza ha reagito alla morte del
suo carceriere in modo che si potrebbe definire”comprensibile”.
-Lui era la mia famiglia-, avrebbe
detto in un momento di sfogo. -Non
era un mostro-, ha ripetuto più volte. Intanto i genitori aspettano di
accoglierla a casa. Nella sua casa.
-Non è ancora il momento- ha detto lei. La separazione non è stata
solo fisica. Da recuperare ci sono
8 anni di vita. L’immagine che i giornali hanno dato di questa ragazza
sembra comunque molto diversa
dalla giovane spigliata, persino sicura di sé, quasi serena che è apparsa in televisione per rilasciare la
sua prima intervista pubblica.
Ha parlato di rabbia, di panico, di
solitudine e di speranza. Di quella
speranza che aiuta a vivere.
Ph. Favretto
Cos’è l’integrazione?
Una donna indiana di 31 anni decide
di togliersi la vita. Ha due bambini e
da dieci anni vive nel nostro paese
come immigrata regolare. Lavora e
costruisce la sua famiglia. Succede
però che il destino le porta via il
marito e lei resta sola a crescere i
suoi figli. La legge non scritta del suo
paese è molto chiara a questo
proposito e i suoi parenti insistono
perché lei torni nel suo paese
d’origine per fare quanto deve. Lei
esita per un po’, poi le pressioni
sono tali che accetta. Torna in India
e dopo qualche tempo rientra in Italia
con il nuovo marito, un uomo di 70
anni che è fratello del marito defunto.
La donna non accetta la sua
condizione. Non ha avuto la forza di
ribellarsi alle regole del suo paese
ma neppure se la sente di affrontare
una nuova vita in questo modo.
Decide allora di cercare una via
d’uscita e l’unica che trova è un gesto
estremo. Lascia un biglietto con cui
chiede che i suoi bambini non siano
abbandonati e che possano restare
in Italia. Una storia terribile. Non solo
per il fatto in sé che priva due
piccolini dell’amore della loro
mamma, ma soprattutto perché
mette in evidenza il delicato
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problema dell’integrazione. Un
problema che non ha a che fare solo
con leggi e provvedimenti scritti, ma
che si basa invece sul
riconoscimento dell’identità e della
dignità altrui come elemento unico
ed indispensabile per avviare un
incontro. L’identità di un uomo vale
quanto l’identità di un paese. Se un
uomo che vive all’equatore decide
di andare a vivere al Polo Nord non
può pensare di riuscire ad andare in
giro con il gonnellino di paglia solo
perché nel suo paese si fa così, e
non può pensare che gli altri facciano
lo stesso
L’associazione Telefono Azzurro Rosa
ha inaugurato la propria attività nel 1988
per iniziativa di alcuni poliziotti aderenti al sindacato di Polizia.
Nata come punto di riferimento telefonico legato in particolare all’emergenza
ed al grave maltrattamento,
il Telefono Azzurro Rosa fornisce anche risposte specifiche ai bisogni più differenziati
sia dei bambini in stato di disagio che dei loro genitori e più in generale degli adulti, in un’ottica prevalentemente di
prevenzione.
Pur non avendo la presunzione di fornire soluzione a tutti i problemi della famiglia,
della violenza e dell’abuso sui bambini,
la nostra Associazione, che si occupa delle tutela all’infanzia,
svolge un ruolo significativo perché rappresenta una forma di supporto sociale,
un punto di riferimento importante.
Favorisce innanzitutto il coordinamento tra entità diverse che si occupano di tali problemi,
ognuno muovendo da una specificità;
sopperisce in più alle carenze strutturali e burocratiche delle strutture sociali,
sanitarie, giudiziarie ed educative esistenti,
le quali non sempre intervengono direttamente e tempestivamente.
Attualmente sono attivi presso il Telefono Azzurro Rosa
molti operatori di cui la gran parte impegnata direttamente nell’attività telefonica
e la presa in carico dei casi.
Questi operatori hanno seguito corsi di preparazione specifici su argomenti legali,
sociali, psicologici, mentre altri sono coinvolti in attività di relazioni esterne
(rapporto con i mass media, istituzioni pubbliche e private)
e raccolta di fondi.
Tutti gli operatori offrono attività di volontariato gratuita per la prevenzione e per far emergere,
attraverso l’offerta di un “aiuto telefonico”,
situazioni di violenza, disagio,
abbandono e trascuratezza in particolare dei minori.
L’Associazione Telefono Azzurro Rosa ringrazia:
Amelia Giordani, Maria Rosa Galli, Tina Shlude, Luisa Rivetta, Liliana Pizzicara e Luisa Ghidini,
Presidenti dei 6 Inner Wheel Club bresciani
(Brescia – Brescia Nord – Salò e Desenzano – Brescia Sud – Brescia Vittoria Alata – Val Trompia),
che per la prima volta si sono uniti tutti insieme nella grande iniziativa di raccogliere fondi
per terminare la ristrutturazione della “Casa Azzurro Rosa”
(4 bilocali e 9 monolocali presso la Cascina Botà sede della nostra Associazione)
per accogliere bambini e mamme in grave difficoltà, vittime di abusi, violenze e maltrattamenti.
Per tale scopo è stata organizzata una serata presso il Ristorante Carlo Magno di Brescia
con un incontro che visto protagonisti Vittorio Feltri – direttore del quotidiano Libero –
e il Senatore Sandro Fontana – docente di storia contemporanea –
moderati dalla Dr.ssa Luisa Monini Brunelli.
Ad un parterre eccezionale di oltre mille persone, è stata proposta una serie interessantissima di riflessioni
sul giornalismo italiano e sull’impatto che i mass-media hanno sul pubblico in rapporto alle tematiche di violenza.
Tutti i presenti sono stati generosissimi e, al termine della gara di solidarietà,
che ha fatto raccogliere una ragguardevole cifra, una donatrice bresciana (Mara Articoli),
in memoria del defunto marito grande sostenitore dei diritti dei bambini,
ha offerto una cifra pari al valore raggiunto dalla iniziativa dei Club Inner Wheel.
Da parte di tutti i bambini e le mamme che utilizzeranno la “Casa Azzurro Rosa”,
dei volontari che l’hanno ideata e voluta,
un grazie di cuore a tanta generosità e solidarietà.