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Stefania Lucamante 135 GUIDO BONSAVER IL MONDO SCRITTO. FORME E IDEOLOGIA NELLA NARRATIVA DI ITALO CALVINO Torino: Tirrenia, 1995. 298 pp. A oltre dieci anni dalla sua scomparsa, Italo Calvino e il fenomeno legato alla sua opera restano sempre un argomento di stringente attualità e studio per la critica italiana. Motivo valido per cui nei dipartimenti d'italianistica disseminati in vari paesi stranieri, soprattutto in Francia, negli Stati Uniti e in Inghilterra, ma anche in Spagna (come dimostra il convegno presso l'Università de la Mancha del 1995 interamente dedicato a Calvino), la narrativa così come la saggistica dello scrittore ligure suscitano sempre vivo interesse. Una ragione di tale interesse risiede probabilmente nella continua recherche di una forma nuova esercitata dalla scrittura calviniana, ricerca evidente persino nelle traduzioni delle sue opere, come nell'utilizzazione di tematiche che rientrano nel cosiddetto fenomeno postmoderno. L'opera di Calvino è, e rimane, attualità nella nostra letteratura e, in senso più generale, nella nostra cultura anche, e soprattutto, quando posta a confronto con quelle straniere. Come ricorda Filippo La Porta nei suoi recenti interventi sulla nuova narrativa italiana, vi è una forte corrente di calviniani doc come Del Giudice, Alessandro Baricco, e Andrea De Carlo, i quali perpetuano la ricerca stilistica intrapresa dallo scrittore ligure, che, fra tutti i narratori della generazione passata, certamente essi sentono come quello più vicino. Il titolo della monografia di Guido Bonsaver, Il mondo scritto. Forme e ideologia nella narrativa di Italo Calvino, esplicita i campi in cui si muove la ricerca. Il dichiarato obiettivo di essa risiede nel proporre una "visione a ' t u t t o - c a m p o d e l l a tecnica narrativa di Calvino. Questa viene infatti esaminata nelle sue evoluzioni formali 1 Stefania Lucamante 136 come nel tessuto ideologico-letterario a fronte della crescita e sviluppo di tali ricerche stilistiche. Ancora sul piano metodologico Bonsaver dichiara la complementarità di un indirizzo storico-letterario a un approccio stilistico-strutturale su cui si poggia una lettura di marca decostruzionistica. Quello di Bonsaver appare quindi come un discorso globalizzante (ma non certo sciatto) che, in ossequio ai canoni del lettore calviniano, parte dal piacere stesso della lettura per tendere verso una maggiore comprensione delle ragioni nascoste dell'opera dello scrittore ligure. La metodologia a cui si affida il lavoro dell'autore quindi è quella di un'analisi testuale come strumento primario della ricerca, in cui trovano fondamento e ragione d'essere gli altri strumenti critici e ne è testimone l'esame dell'apparato storico-ideologico della narrativa calviniana di cui si avvale il critico nel corso dello studio. Tale scelta viene in parte motivata dal critico in ragione della scrittura stessa di Calvino in cui "la forma dell'espressione cioè si propone con una valenza semantica che obbliga ogni volta a sollevare questioni d'ideologia letteraria" (13). Dopo l'introduzione in cui si chiariscono il metodo e lo scopo della monografia, Il mondo scritto è diviso in tre sezioni principali, scisse a loro volta in capitoletti dove vengono approfonditi i diversi argomenti che sostanziano la visione del mondo di Calvino. Il primo s'intitola "I percorsi narrativi," il secondo "Le forme," e l'ultimo "Tre approcci tematici" a cui segue la conclusione. Il primo capitolo, "I percorsi narrativi" esamina i campi di sviluppo della percezione della realtà in cui si muovono lo scrittore e la sua narrativa: il mimetico, il fantastico, il semiotico, e l'iperrealista, una "tipologia suggerita dagli stessi testi" (20), specchio della sensibilità di Calvino nel recepire le trasformazioni occorrenti nella cultura come nella letteratura di una società. Problematico appare il legame di Calvino con il neorealismo, e Bonsaver, che propende per la prima delle due citate, indica le tesi contrastanti di Giovanni Falaschi e di Lucia Re come due diversi modi d'interpretare l'impegno post-bellico neorealista dello scrittore ligure, che vede in Sentiero dei nidi di ragno il suo massimo esempio, pur nella dichiarata disomogeneità strutturale del romanzo e nell'assenza di un "ottimismo" di fondo a cui Bonsaver attribuisce il mancato risultato formale del Sentiero, soprattutto se messo a confronto con altri testi del periodo. Scrive il Bonsaver: Italo Calvino 137 L'affiorare a tratti del discorso ideologico non è tuttavia sufficiente a fare del Sentiero un'opera veramente forte di una morale costruttiva e progressista. Al discorso ideologico si contrappone infatti un sottile ma diffuso senso di mancanza, di sfiducia, che mina l'impianto progettuale del testo (26). 2 Rapporto fra la coscienza individuale e il corso della storia Nel passare alla seconda fase della scrittura calviniana, quella segnata dall'impiego del fantastico nell'analisi della realtà, si osserva una fase transitoria in lavori come La speculazione edilizia; Bonsaver chiarisce come il pessimismo di fondo dello scrittore si adoperi nel restringimento della sua visione che, pure essendo fondamentalmente illimitata durante la fase neorealista, va stringendosi intorno a quello che può definirsi come un territorio più autobiografico, personale. L'impotenza contro il fenomeno della selvaggia speculazione che segna la fine degli anni '50, e più in generale verso le mutazioni della società italiana, determina la chiusura verso l'esterno dello scrittore. Il rifiuto del mondo reale come unico soggetto di narrazione coincide con un graduale spostamento della scrittura verso tematiche e modalità narrative che indicano l'inizio di una seconda stagione narrativa. Questa viene contrassegnata da ricerche e esercizi legati alla letteratura fantastica, scelta di genere da cui scaturisce anche la diversa ricezione (positiva vs. negativa) delle sue opere da parte della critica formalista e quella della sinistra militante tesa a valori letterari legati alle teorie lukacciane, sia pure riviste nella nuova ottica proposta da Galvano Della Volpe. Trattando questi punti abbondantemente studiati dalla critica, Bonsaver si dedica allo studio dell'evoluzione delle forme del fantastico e ricerca legami fra i racconti precedenti agli anni cinquanta e la Trilogia degli antenati, in cui l'elemento propriamente fantastico viene circoscritto alla figura del protagonista. La varietà del tono narrativo e dell'impiego delle modalità del fantastico, innestate su una base profondamente realistica, fanno gioco particolarmente sull'incertezza del lettore nel collocare i fatti narrati in una data realtà. Seguendo fra l'altro la tesi di Carter secondo il quale Calvino utilizza l'elemento fantastico per "rendere il lettore più cosciente della tragicità del reale" (40), Bonsaver recupera anche l'idea di Calvino per cui l'immediatezza delle fiabe costituisce anche la loro caratteristica più attraente in una narrazione dove la velocità costituisce un fattore determinante. Ma Stefania Lucamante 138 nell'analizzare la ripresa di un genere che vede comunque una generale riscoperta nell'espressione letteraria italiana, Bonsaver rischia veramente di far apparire la trilogia come un divertissement quando, nello sforzo di trovare coerenza alla scelta di Calvino, afferma che fu un genere scelto dallo scrittore per compensare "il grigiore" della "realtà del secondo dopoguerra" (43). Tende comunque a riscattare il secondo libro della trilogia, Il barone rampante, un libro che trova forza nella volontà autorale di farne un "pastiche" storico nel quale si muovono referenti e tematiche diverse. Con il terzo romanzo Calvino inizia invece una sperimentazione che si affida al dato diegetico. In esso la narrazione si scinde in due racconti differenti per poi unirsi alla fine del romanzo, le cui implicazioni su un piano stilistico sono poi oggetto di studio nel capitolo successivo del libro di Bonsaver. L'innesto nell'articolazione del personaggio di Suor Teresa fra il real-fantastico e il semiotico si connota come il dato più importante secondo il Bonsaver di questo romanzo, "una tappa molto importante di quel processo di allontanamento da questioni di tipo politico-ideologico iniziato negli anni Cinquanta" (50). 3 4 5 Fra semiotico e metaletterario Bonsaver avverte un passaggio fluido della scrittura di Calvino quando il fantastico non viene più percepito come modalità di narrazione del reale, bensì come unica possibilità di vedere un mondo altro. Si parte quindi dalle Cosmicomiche in un percorso già teorizzato da Barilli, la cui opinione viene condivisa da Bonsaver, che conduce "alle geometrie delle Città." Il tramite viene offerto dalla "ricerca di conferire un nuovo ruolo alla letteratura, un ruolo di progettazione, staccato dalla realtà materiale" (50). Accade che l'avventura dell'uomo nello spazio si realizzi negli stessi anni dei due lavori fantascientifici di Calvino, Le cosmicomiche (1965) e Ti con zero (1967). Sono questi anni in cui, oltre a guardare alla Luna in termini molto più pragmatici di quelli leopardiani, si fa avanti anche la scoperta di nuove scienze umane, la cibernetica, la linguistica, lo strutturalismo, la semiotica. Lo scrittore sposta naturalmente verso le strutture narrative il proprio campo di ricerca, privando in qualche modo il lettore della ricchezza di contenuti dei libri precedenti. Dai nuovi romanzi, impegnati in narrazioni slegate da un ambiente reale, emerge la ricchezza di un razionalismo interiore, Italo Calvino 139 inscindibile dalla metafora, tropo postmoderno di cui si deve in gran parte proprio allo scrittore ligure il recupero nell'espressione letteraria italiana recente, insieme con il rinnovato interesse per la riscrittura/ reinterpretazione di opere passate. Nella presentazione del mode semiotico Bonsaver utilizza tale sintagma per quei lavori dove la "riflessione sulla letteratura" si fa più evidente (55), e dove la scrittura di Calvino, in quegli anni in Francia, e quindi vicino agli esponenti del nouveau roman e della nouvelle critique, presenta maggiori caratteristiche innovative. La posizione dubitativa di Bonsaver rispetto a un Calvino troppo preso dal gioco semiotico chiarisce anche qual è, secondo il critico, l'atteggiamento dello stesso scrittore rispetto alle novità proposte dalla critica di quegli anni: necessità di una profonda conoscenza di queste stesse novità che si traduce letterariamente in una "risposta a questi stimoli in maniera creativa" (61). Tali stimoli si esplicitano in quella trilogia "semiotica" che si compone de Il castello dei destini incrociati, Le città invisibili, Se una notte d'inverno un viaggiatore [...]. In essi, ribadisce il Bonsaver, si perpetua lo scontro metanarrativo fra la realtà del narratore e quella del narrato già iniziato, dalla figura di Suor Teresa ne Il cavaliere. Sempre in questi anni si sviluppa il concetto del macrotesto, dell'ossimorica enciclopedia aperta come contenitore atto alla registrazione della "frammentarietà di una moderna visione del mondo" che ne controlla "il caos attraverso un confortante ordine geometrico" (75) impiegato nella costruzione di tutti i testi succitati; è una tematica quella dell'ansia geometrizzante espressa dalla scrittura di Calvino che registra letture discordanti (Guglielmi, Hume, ecc.) puntualmente riportate da Bonsaver nel suo percorso di ricerca attraverso il motivo del multiplo inizio e delle particolari costruzioni dei romanzi calviniani di quegli anni, una parte svolta effettivamente molto bene. Palomar e il ritorno al reale Negli anni di Palomar si assiste a un ritorno al realismo della scrittura. Ma mentre Bonsaver avvicina il segno dello scrittore ligure all'impegno del pittore impressionista dove non esiste un tentativo di disumanizzazione, la mia tendenza sarebbe quella di avvicinarlo invece alle opere degli iperrealisti inglesi, soprattutto ai quadri di Lucien Freud, dove l'oggetto reale viene spietatamente analizzato oltre il reale sino a Stefania Lucamante 140 perdere ogni fattezza naturale pur conservando le sembianze del proprio effimero, quindi disumanizzandolo. Nella seconda parte del libro, Le forme del testo, Bonsaver, dopo avere fatto un'altra premessa d'ordine metodologico, affronta l'analisi formale delle tecniche narrative: 2.1.1 da un punto di vista linguistico, in cui si ribadisce il tentativo dello scrittore di eliminazione dell'eccessivo uso aggettivale che caratterizza la scrittura in lingua italiana a favore, invece di una scrittura "nominale" e della figura dell'elencazione; 2.1.2, neH'"ordine in cui le varie componenti del contenuto sono poste sul piano testuale" dove si analizza "il sovvertimento delle strutture narrative tradizionali" e "l'equilibrio tra sperimentazione e facilità di lettura" (162) e nei campi semantici 2.1.3. che impegnano il testo in cui il protagonista, come già ricordato nella prima parte del libro, si fa carico della sperimentalità di esso, come anche di ogni rapporto semantico nel rinnovato analizzarsi di temi dominanti la scrittura calviniana. Bonsaver poi opera un'analisi gremaisiana di tali campi semantici limitandola a tre lavori di Calvino, Marcovaldo, Se una notte d'inverno un viaggiatore [...], e Conte di Montecristo sulla scia dell'analisi precedentemente svolta da Maria Corti a proposito dei racconti di Marcovaldo. Dal risultato dei valori attanziali trovati, Bonsaver elimina un possibile tentativo pedagogico di Calvino nel presentare le coppie di opposizioni emergenti dal quadro delle strutture attanziali, e chiarisce invece il proprio intento di mostrare "il nodo del problema in chiave letteraria" (175). In Immagine versus testo Bonsaver indaga il tema dell'immagine come punto di partenza dell'opera calviniana e di come si concretizza al suo interno la "logica dell'immagine." L'importanza della nozione di visibilità, così centrale nei lavori di Calvino, è stata più volte concettualizzata dallo scrittore nelle varie autoriflessioni letterarie pubblicate su giornali, in riviste, e soprattutto nel saggio che reca lo stesso titolo nelle Lezioni americane. È perciò assai perspicuo questo capitoletto dello studio del Bonsaver, improntato a una completa visione, sia della scrittura calviniana che di quelle che sono state, e sono tuttora, le linee principali della critica (l'autore ricorda giustamente Leube, Lodi e Ricci quali maggiori teorizzatori di tale linea) nell'analisi della narrativa dello scrittore ligure, e che vede quasi unanimamente nell'uso dei tarocchi nel Castello dei destini incrociati l'esempio supremo di tale sforzo di sintesi fra parola e immagine. Trovano spazio nell'ultima parte del Mondo scritto delle tematiche 6 7 Italo Calvino 141 che secondo Bonsaver non erano quelle predilette dallo scrittore, Eros e scrittura, L'ombra del femminino e La morte, quest'ultimo recante un'interessante parentesi (del mondo-scritto). Scopo dichiarato dell'autore in quest'ultima parte è sempre quello di registrare le "tracce di una 'visione del mondo'" ma questa volta "tramite temi che lo scrittore non intendeva necessariamente privilegiare" (220). È un erotismo interamente affidato e controllato dall'intelletto, il cui esercizio si oppone e complementa il piacere della lettura (222 e sgg.). Il problematico rapporto della scrittura di Calvino con l'assenza di spessore nell'articolazione dei personaggi femminili costituisce argomento del secondo capitolo della terza parte. Non a caso Bonsaver parla di mancanza di "tridimensionalità" di tali personaggi, e di come, piuttosto, i problemi delle donne in Calvino rispecchino in gran parte quelli dei loro co-protagonisti maschili nei confronti del mondo che li circonda nella classica opposizione "protagonista vs. mondo reale." Il terzo capitoletto, che reca una variante rispetto al titoletto dato dall'indice, La morte (del mondo non-scritto), tratta del tema attraverso le varie fasi della narrativa calviniana marcandone l'incidenza che un "ottimismo positivista" non riesce, se ho ben capito la tesi di Bonsaver, ad esorcizzare, soprattutto nell'ultimo periodo. Così scrive Bonsaver: "Se l'ottimismo razionalista e l'angoscia esistenziale portano Calvino a puntare sul senso ultimo della continuità vitale — sul mondo dell'aprico — l'altra faccia del discorso, il mondo dell'opaco, la morte, non viene completamente rimossa" (265). Nel tracciare il percorso della narrativa di Calvino, il discorso critico-analitico va di pari passo con l'osservazione dei modi narrativi in essa impiegati, così come viene chiarito il continuo bisogno di sperimentazione delle forme narrative. La riconferma del valore delle varietà formali, così come di quello degli esperimenti, anche quelli "più azzardati" tentati da Calvino, occupa un cospicuo spazio nel libro di Bonsaver. È questo un testo specificamente di ricerca che trova sostanza e logica nel palinsesto con cui vengono presentati i diversi argomenti offerti al lettore in modo organico da una scrittura assai circostanziata. Come ricorda il critico, le caratteristiche proprie della critica calviniana lo hanno portato a comprendere un apparato bibliografico internazionale vastissimo, a riprova dell'interesse generale per la narrativa e la saggistica di Calvino, un interesse ingeneratosi sia nel lettore casuale, figura essenziale nella poetica dello scrittore ligure, che in quelli di professione. Lo studio di Bonsaver, in cui si percorrono l' Stefania Lucamante 142 diversi itinerari di lettura della narrativa di Calvino tenuti insieme dalla tesi della logica calviniana da cui traspare il particolare "illuminismo scettico" di questo scrittore, si rivela un ottimo testo soprattutto per coloro che desiderano avvicinarsi al "fenomeno Calvino" osservandolo secondo diversi punti di vista, avvalendosi di una cospicua bibliografia, oltre che di un'intelligente divisione del testo nei diversi argomenti. Penso che però gli studi di Biasin sul cibo, l'eros e la funzione erotica del cibo in Calvino offrano un notevole contributo alle tematiche analizzate da Bonsaver nell'ultima parte del suo studio, e che servano anche a chiarire forse meglio l'incidenza di questi temi legati all'antropologia nella scrittura calviniana. 8 9 STEFANIA LUCAMANTE Georgetown University, Washington, DC NOTE F. La Porta, "Gli ultimi vent'anni: nuovi romanzi per nuovi lettori," in AA. VV., Manuale di letteratura italiana. Storia per generi e problemi, Vol. IV (Torino: Bollati Boringhieri, 1996), pp. 616-34; id., La nuova narrativa italiana. Travestimenti e stili di fine secolo (Torino: Bollati Borhinghieri, 1995). Italo Calvino, Nota 1960, in Nostri antenati (Milano: Mondadori, 1991), p. 417; Bonsaver utilizza la Postfazione a I nostri antenati nella einaudiana del 1970, p. 270. Di questo fenomeno generale vissuto in quegli anni vorrei ricordare solo le fiabe di Elsa Morante, Le bellissime avventure di Caterì dalla trecciolina (Torino: Einaudi, 1941), poi ristampate con modifiche e con un titolo che maggiormente suggerisce l'istanza favolistica, Le straordinarie avventure di Caterina (Torino: Einaudi, 1959). Mi sembra che Calvino intenda il termine in tutt'altro modo. Parlando a proposito del Cavaliere inesistente scrive: "ma stavolta non mi sarei lasciato calare nella vicenda come nel Barone rampante, cioè non avrei finito per credere a quel che raccontavo; qui il racconto era e doveva essere quello che si dice un "divertimento.' Questa formula del 'divertimento' io l'ho sempre intesa che chi deve divertirsi è il lettore: ciò non vuol dire che sia altrettanto un divertimento per lo scrittore, il quale deve raccontare con distacco, alternando slanci a freddo e slanci a caldo, autocontrollo e spontaneità, ed è in realtà il 1 2 3 4 Italo Calvino 143 modo di scrivere che dà più fatica e tensione nervosa. Pensai allora di estrapolare questo mio sforzo dello scrivere facendone un personaggio: e feci la monaca scrivana, come se fosse lei a narrare, e questo serviva a darmi delle spinte più riposate e spontanee, e mandava avanti il resto" (Nota 1960, op. cit., pp. 420-1). Calvino, Nota 1960, op. cit., p. 418. "Dunque nell'ideazione di un racconto la prima cosa che mi viene alla mente è un'immagine che per qualche ragione mi si presenta come carica di significato, anche se non saprei formulare questo significato in termini discorsivi ο concettuali. Appena l'immagine è diventata abbastanza netta nella mia mente, mi metto a svilupparla in una storia, ο meglio, sono le immagini stesse che sviluppano le loro pontenzialità implicite, il racconto che esse portano dentro di sé. [...] Nello stesso tempo la scrittura, la resa verbale, assume sempre più importanza; direi che dal momento in cui comincio a mettere nero su bianco, è la parola scritta che conta: prima come ricerca d'un equivalente dell'immagine visiva, poi come sviluppo coerente dell'impostazione stilistica iniziale, e a poco a poco resta padrona del campo" (pp. 99-100). Cfr. Calvino, Visibilità, in Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio (Milano: Mondadori, 1993). Vorrei ricordare in questa sede il brillante studio di Eugenia Paulicelli sul rapporto immagine-parola scritta nella scrittura di Calvino, "Le città invisibili di Calvino: fra microstoria e immagini della memoria" contenuto nel suo recente Parola e immagine. Sentieri della scrittura in Leonardo, Marino, Foscolo, Calvino (Firenze: Cadmo, 1996), pp. 115-43. F. La Porta, Gli ultimi vent'anni: nuovi romanzi per nuovi lettori, op. cit., p. 621. G. Biasin, I sapori della modernità. Cibo e romanzo (Bologna: il Mulino, 1991); "Italo Calvino in Mexico: Food and Lovers, Tourists and Cannibals," PMLA 108, No. 1 (1993), 72-88. 5 6 7 8 9