VOGLIO ESSERE UNA LOCOMOTIVA

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VOGLIO ESSERE UNA LOCOMOTIVA
LELLO COLANGELO
VOGLIO ESSERE
UNA LOCOMOTIVA
APPUNTI
E SPUNTI DI VITA
DAI VICOLI DELLA DISABILITÀ
CONSIGLIO REGIONALE
DELLA
BASILICATA
Presentazione
“Voglio essere una locomotiva” offre l’occasione di “ascoltare” storie e testimonianze che aiutano ad avere un’idea reale del complesso mondo della disabilità, senza concessioni al sentimentalismo e alla retorica.
Vanno colte, innanzi tutto, alcune provocazioni: c’è ancora molto da fare, sul piano culturale e legislativo, perché si possa parlare di “diversabilità” e non più di
“disabilità”, di “integrazione” più che di semplice “inserimento”. Si impone un
mutamento radicale di mentalità: i disabili non più un “peso”, ma una “risorsa”
della società. Nel valutare l’invalidità non si deve più parlare di incapacità a fare qualche cosa, ma di valorizzazione delle competenze residue. È forte la richiesta
di miglioramento dei servizi e di adeguati sostegni economici alle famiglie con
disabili; è importante guardare agli aspetti sociali e non solo a quelli medicali.
In Italia, dei tre milioni di disabili 500 mila sono “prigionieri” in casa e con loro le rispettive famiglie, a causa di ambienti concepiti per i “normali”.
Le barriere architettoniche e sociali potrebbero essere eliminate. Ci sono le leggi, a livello nazionale e regionale, in grado di garantire la difficile normalità della vita quotidiana dei disabili, eliminando tutto ciò che la blocca o la impedisce.
La Basilicata è impegnata da anni in tale direzione. I risultati raggiunti, seppure abbastanza positivi, non sono quelli sperati, anche perché la gente fatica ad
entrare in una mentalità nuova nei rapporti con la disabilità. Permane, sul piano culturale, la separazione tra questo mondo e quello della cosiddetta “normalità”.
Una riflessione a parte merita il tema della riabilitazione.
Da alcune testimonianze raccolte in questo libro emerge anche la denuncia di
un approccio spesso ragionieristico con il problema da parte delle ASL italiane, sempre più preoccupate del pareggio dei bilanci. Gli interventi riabilitativi
vengono garantiti preferibilmente ai disabili in migliori condizioni, trascurando i casi più gravi. Per quanto riguarda il morbo di Alzheimer, sono circa
600.000 gli Italiani affetti da tale patologia, ma solo il 30% usufruisce del progetto
di cura sul quale lavorano da anni una Commissione a livello nazionale e Unità
di valutazione presenti negli ospedali.
È questa l’eredità che ci lascia il 2003, proclamato l’anno del disabile dall’Unione
Europea. Il libro aiuta a non dimenticare ed a cogliere il significato vero di una
ricorrenza ufficialmente chiusa, ma sempre attuale, fino a quando i disabili non
saranno più ritenuti solo vittime o eroi.
Vito De Filippo
Presidente del Consiglio Regionale della Basilicata
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associazione
amici di ypsilon
Avigliano (Potenza)
www.amicidiypsilon.org
[email protected]
Guardare il mondo
dal punto di vista “debole” della società
Disabile, diversamente abile, portatore di handicap, non vedente.
Tanti i modi per cercare di definire in maniera gentile una persona con problemi fisici, mentali o psicologici. In realtà abbiamo
paura di chiamare le cose con il loro nome per non essere costretti a porci il problema del diritto di cittadinanza di tutti, disabili compresi, nella nostra società. Una società in cui riesce
ad emergere e ad affermarsi solo chi non ha problemi e non
deve faticare per vivere.
Le cose più semplici, come uscire di casa, andare a scuola, prendere un autobus, andare in banca o a fare la spesa, diventano
imprese impossibili per chi non può camminare, è cieco o ha
un altro tipo di difficoltà. Le nostre città, le case, le scuole, i negozi, le chiese, sono pensati e costruiti per le persone “normali”,
non considerando il fatto che, in quanto cittadini che pagano
le tasse, tutti hanno diritto ad usufruire degli stessi servizi e ad
avere le stesse opportunità. Dimentichiamo troppo facilmente che tutti, da un giorno all’altro potremmo diventare disabili
temporaneamente o stabilmente e potremmo trovarci improvvisamente costretti a cambiare la nostra vita e ad affrontare tantissime difficoltà.
Gli Amici di Ypsilon, da sempre hanno affrontato il problema
sulle pagine del giornale, interrogandosi su cosa possono fare i ragazzi per convincere i grandi ad eliminare le barriere architettoniche che sono culturali prima che materiali. Mema
Perrotta sul numero 2 di maggio 1998 di Ypsilon dice che per
migliorare la propria città non occorre attendere passiva5
mente l’intervento dall’alto. Per non creare barriere a un non
vedente, ad esempio, basterebbe non far fare i bisogni al cane nel bel mezzo della strada, non parcheggiare l’auto con il
muso sul marciapiede. Sono piccole attenzioni indice di rispetto,
che possono davvero creare una città a misura di tutti.
Un’altra iniziativa interessante che i ragazzi di Ypsilon hanno
fatto alcuni anni fa è stato un laboratorio realizzato in collaborazione con la Società Acanto, con alcune classi della scuola elementare “Silvio Spaventa Filippi” e gestito dall’architetto
Concetta Santarsiero. I bambini delle prime classi della scuola sono stati aiutati a prendere coscienza della realtà della propria città dal punto di vista della vivibilità ed hanno evidenziato i problemi e le risorse esistenti. A conclusione del laboratorio i bambini hanno espresso il loro parere su come dovrebbe essere costruita una città a misura di bambini ribadendo
il concetto che se una città è a misura di bambino è vivibile per
tutti e che “la città di tutti” può essere costruita solo se tutti si
impegnano a fare qualcosa.
Guardare il mondo dal punto di vista del più “debole”, perché
bambino, disabile, anziano, non autosufficiente, ci aiuta ad avere una visione più ampia e completa della realtà e ad acquisire una mentalità più aperta e moderna. Per questo abbiamo deciso di dare un senso all’anno del disabile “sguinzagliando” i
nostri amici – piccoli e grandi – tra le strade della Basilicata,
tra le pagine di libri e giornali, tra i siti di Internet per raccogliere storie e testimonianze di gente che, nonostante la disabilità
e la… normalità, hanno dato e danno prova di voler costruire la “città di tutti”.
Un grazie sincero e sentito alla Presidenza del Consiglio regionale
della Basilicata che ha reso possibile la loro pubblicazione.
Vitina Ferrara
Presidente Associazione Amici di Ypsilon
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ypsilon
il giornale
che piace
anche ai grandi
L’associazione pubblica due
periodici e opuscoli nel settore
della promozione della lettura
e dell’educazione alla salute,
in senso lato.
Questo l’elenco dettagliato:
YPSILON
Bimestrale di attualità e cultura scritto dai ragazzi per
i ragazzi.
realizzata con il contributo del Dipartimento Sicurezza
e solidarietà sociale della Regione Basilicata.
STELLA DEL MATTINO
LABORATORIO
Quadrimestrale di attualità, cultura, economia e politica, rivolto in particolare a studenti universitari e giovani laureati.
Storia della Casa Famiglia – Potenza, Contrada Costa
della Gaveta - e dei protagonisti di una meravigliosa esperienza di solidarietà.
LA SCELTA DEL DONO
Opuscolo a fumetti realizzato per illustrare la nuova
legge sulla donazione e il trapianto di organi, con il
contributo della Regione Basilicata, Dipartimento
Sicurezza e solidarietà sociale.
CON LE ALI AI PIEDI
La vita dei ragazzi e dei loro giochi, la corsa della loro
fantasia nei versi del poeta lucano Leonardo Sinisgalli,
illustrate a fumetti da Renato Ciavola
(1. Le letture di Ypsilon).
APPESA A UNA GOCCIA
Opuscolo a fumetti realizzato per conto dell’AVIS di
Basilicata, per promuovere la donazione del sangue.
QUANDO PIOVE UNO PENSA
Ricordo del poeta lucano Rocco Scotellaro, nel 50^ anniversario della morte, mediante alcune sue poesie illustrate a fumetti da Renato Ciavola
(2. Le letture di Ypsilon).
La pubblicazione è stata realizzata con il contributo della Regione Basilicata (Dipartimento Cultura e Formazione)
e dell’UPI di Basilicata.
NON ANDARE IN FUMO
Tre cartoline con fumetti di
Giulio Giordano, Gianluca Lagrotta e Silvio Giordano
per una campagna di prevenzione del tabagismo,
Vagoni e locomotive
L’anno del disabile è una ricorrenza alla quale Marietta, costretta su una sedia a rotelle, non ha voluto dare importanza:
“Non lo condivido…non è giusto…Uno non è disabile solo per un anno, ma per tutti gli anni…Non lo condivido perché, in effetti, quest’anno si fanno tante cose per l’anno europeo del disabile. E dopo?...
Finisce tutto…Si fanno solo chiacchiere e basta”.
Non ha tutti i torti. Le ricorrenze rischiano di lasciare l’amaro in bocca per la ritualità, spesso di circostanza, che le contraddistingue.
Ha senso accendere i riflettori su persone e situazioni, parlarne
come se fossero l’ombelico del mondo, colmarle di regali e premure da supersaldi…se l’indomani, a riflettori spenti, le lasciamo
nel buio, solito e triste, della quotidianità?
Quando, insieme agli Amici di Ypsilon, ho pensato questa pubblicazione non mi ha sfiorato, neanche per un momento, l’idea di celebrare una ricorrenza di grande valenza sociale. Ho
voluto, invece, recarmi idealmente a casa dei disabili, dove si
consumano ogni giorno drammi e piccole gioie, speranze e sogni senza respiro…raccogliere le loro storie e quelle delle persone che, a diverso titolo, ne sono parte importante. Nel bene
e nel male.
Tante storie, tante testimonianze che invitano a rivedere radicalmente l’atteggiamento nei confronti della disabilità e richiedono una più articolata e funzionale organizzazione della società e dei servizi, in un contesto urbanistico senza barriere architettoniche.
Migliorare la qualità della vita, garantendo forme di normalità possibile: è questo il cuore del problema.
Davide è un ragazzo con gravi difficoltà motorie e una pessima esperienza di integrazione scolastica. Un giorno, all’uscita dalla scuola, disse al padre che era stufo di essere un vagone
e sognava di essere una locomotiva.
È brutta la vita del vagone, che viene spostato da un binario all’altro, da un convoglio all’altro, sempre agganciato alla locomotiva.
E non è uguale per tutti. Ci sono quelli fortunati, attaccati di9
rettamente alla motrice e comunque sempre in compagnia di
viaggiatori. Ci sono altri, meno fortunati, che vengono utilizzati per il treno merci. Oggetti tra gli oggetti. Poi ci sono gli sfigati, quelli che trascorrono buona parte della loro vita parcheggiati
sul “binario morto”, perché ritenuti di intralcio al normale traffico quotidiano. Ricordo i tempi in cui la locomotiva andava
a carbone e i vagoni erano di legno. Quando finivano sul
quel binario diventavano una sorta di giocattoli per noi ragazzi;
qualche volta, complici delle nostre prime trasgressioni.
Sempre e comunque solo oggetti. Di trastullo. Richiamavano
alla mente gli “scemi del villaggio”, che facevano divertire
con i loro tentativi maldestri di reagire alle provocazioni dei
normodotati.
Oggi i vagoni sono molto più confortevoli ed esteriormente somigliano addirittura alle locomotive. Solo esteriormente, perché il posto che occupano è sempre lo stesso: mai in testa, sempre dietro la locomotiva. Un ruolo marginale.
Sostanzialmente non è cambiato molto.Vagoni erano.Vagoni
sono. Vagoni saranno.
Di sera, ogni sera, ieri come oggi, nella stazione si ripete la scena di una tristezza unica. Il capostazione lascia i vagoni all’aperto e manda la locomotiva nel deposito. Al riparo dalle inclemenze della notte. L’ennesimo privilegio riservato a chi già
ha naturalmente di più. E non certo per sua scelta o merito.
Nella vita della stazione è possibile immaginare la situazione
dei disabili e capire il dramma di Davide e di un sogno destinato a rimanere tale.
Una mamma di Varese è disperata perché il figlio è finito sul
“binario morto” e sfoga così la sua rabbia: “La scuola lo condanna:
è sempre richiamato; è appena stato sospeso e non so se sia servito...
È sempre in castigo perché infastidisce i compagni; si comporta in
modo negativo pur di attirare l’attenzione...Le insegnanti sono
stufe. Io ho un lavoro part-time, per cui le maestre mi hanno chiesto di tenerlo a casa al pomeriggio, e questo penso non sia giusto...
Lui vuole restare a scuola e anche alla mensa ma dà fastidio.
Quando arrivo davanti alla scuola per prendere mio figlio, tutti mi
guardano male, come se fosse mia la colpa del fatto che mio figlio
sia così. La madre di un suo compagno di classe mi ha detto che io
e mio marito non sappiamo fare i genitori e che non è possibile che
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mio figlio quasi tutti i giorni disturbi sempre i suoi...
Vorrei scappare in un deserto e gridare...”.
Una mamma lucana parla dei suoi venticinque anni di solitudine trascorsi accanto al figlio disabile.
Franco e Paola, genitori veneti che hanno adottato un bambino disabile, affermano con molto realismo: “Abbiamo capito che il mondo che hai intorno ha paura della diversità; rifiuta i diversi, i problematici, gli handicappati. E’ più facile eliminare, puntare il dito, accusare, usare la cattiveria, anziché tirarsi su le maniche
e aiutare, comprendere, accogliere, amare, essere vicino, solidali”.
Quanti altri sogni ci sfuggono… quante esigenze ci rifiutiamo
di prendere in considerazione… Ci preoccupiamo essenzialmente dei problemi di integrazione scolastica, di inserimento nel mondo del lavoro, di accessibilità a uffici e mezzi di trasporto e di comunicazione…Ci siamo mai chiesti come vivono i disabili il problema della sessualità?
La mamma di una ragazza Down pone il problema del rapporto tra disabilità e sessualità. La figlia si è innamorata dei componenti di un gruppo musicale, ma come uomo da sposare pensa all’unico scapolo.
“Ogni notte, racconta la mamma, mia figlia sogna, dormendo, i suoi
innamorati ed è probabilmente durante uno di questi sogni, o nel dormiveglia, che ha scoperto l’autoerotismo. Io non ho avuto il coraggio di insegnarglielo, ma sono felice di sapere che è arrivata a scoprirlo da sola; questo per me è un segnale che mi dà la misura di quanto lei sia consapevole del proprio corpo e mi dice che, da sola, sa capire e gestire i messaggi che le invia il “piano fisico”. Naturalmente
la situazione non è sempre idilliaca. Ci sono dei momenti di crisi, dovuti anche alle difficoltà che le capita di incontrare nel suo cammino,
che determinano il bisogno di avere fisicamente vicino la persona amata; in questi momenti non le basta più sognare il suo innamorato, vorrebbe che lui arrivasse e la portasse via, per vivere insieme una favola d’amore”.
È un problema che, in genere, non ci si pone, perché, magari, consideriamo i disabili persone asessuate…non lo so…O incapaci di sentimenti…Rosanna Benzi è stata vent’anni nel polmone di acciaio all’ospedale “San Martino” di Genova. È
morta nel 1991, a 43 anni. Nel suo libro “Il vizio di vivere” (Rusconi
Editore – Milano, 1991) fa questa riflessione:“Agli handicappati
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è concessa la pietà. Anzi è elargita a piene mani; ne siamo beneficiati senza sosta. E poi è concesso l’affetto. L’affetto dei fratelli e delle madri, degli amici. L’affetto e la pietà, la pena che fanno i cuccioli randagi abbandonati; e più sono brutti, spelacchiati e soli, più
fanno pena. Ditemi, dobbiamo accontentarci di questo? Ognuno deve vivere la sessualità come crede. Non è vero che si fa l’amore in un
modo solo. Gli handicappati hanno il diritto di trovare il loro modo, e ognuno a modo suo (…) Con una legge possiamo risolvere il problema del lavoro, quello della scuola. L’amore non è un affare da giuristi” (…) Avevo 24 anni quando conobbi Mario. Fu un frutto che maturò in fretta e su un albero robusto…Ci trovammo a considerare i
pregiudizi della gente…a riflettere insieme se fosse più stupefacente
il primo raggio di sole che scavalca le nubi o la prima goccia di pioggia che tocca la strada, se fosse più effimero uno sciame di farfalle
o la felicità di un uomo…Il frutto era maturo, ho detto, sapevo che
era maturato in fretta. “Perché non mi dai un bacio?” gli chiesi. “Sono
sicuro che andresti in crisi…”. Non andò in crisi…Seppe accedere
al mio corpo senza bisogno di manuali …Desiderai, finalmente, di
essere portata via dalla sua forza, dalla sua voglia, di ascoltare all’orecchio il suo respiro grosso, di godere del piacere che sferzava me,
il mondo, la vita, i fiori, i campi di grano, i raggi di sole, le gocce di
pioggia…mischiando tutto. Dovevo solo respirare, non perdere il boccaglio e attendere le sensazioni al varco. O starmene col viso racchiuso
nella campana di vetro, oltre la quale l’aria si increspava e diventava lucida. I quadri mi raccontavano gridando le loro cose, i libri
inchinavano i dorsi austeri alla festa. Sono dieci anni che sto con Mario.
Lui si è abituato al polmone, ma ci è voluto del tempo”.
Chi avrebbe mai immaginato che, imprigionata in un polmone dal collo ai piedi, avrebbe vissuto fino in fondo la sua storia d’amore? Ebbene, ci riuscì e visse quei momenti come una
favola. Una favola vera. Una storia d’amore di una tenerezza sconvolgente. E con un’idea di sessualità che si esaltava ancora piacevolmente. Come quella di Giusi e Carmine, due disabili psichici, ospiti di una struttura residenziale di una Asl del napoletano:
la sera sentono il calore del loro sentimento dormendo su due
brande, tenute unite da un pezzetto di fune.
Virgilio, dopo anni di silenzio, ha cominciato a esprimersi con
il computer. Tra le prime frasi che ha scritto la più significativa è questa: “Io sono possibile di normalità!”.
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Una frase piena di speranza, che deve trovare riscontro nella
realtà e una sponda nei nostri cuori.
La speranza ha fascino immenso, perché accende un lumicino laddove il buio rischia di ingoiarti e il vento ha voglia di spazzare via anche il cuore. Con la forza della speranza tante persone hanno sfidato con successo la loro disabilità. Hanno
reagito e la vita ha ripreso ad avere un senso. Si sono integrati,
ma non si illudono di essere normali. Anzi, provano fastidio
se qualcuno li espone alla luce dei riflettori, come animali da
baraccone.
Alex Zanardi, il pilota con due protesi al posto delle gambe,
perse nel terribile incidente occorsogli sul circuito tedesco di
Lausitzring, nel 2001 è tornato in pista: “Ho letto una montagna
di sciocchezze sulla storia del sogno che si realizza. Capisco che c’è
la necessità di rendere questa mia decisione il più possibile romantica, ma io sono consapevole di poter affrontare un evento del genere.
Non è un sogno che si realizza, io vado in pista a divertirmi. Per me
è una cosa molto stimolante che so di poter fare benissimo. So benissimo
che, al confronto degli altri piloti, un piccolo svantaggio dal punto
di vista tecnico esiste. Modulare la frenata per me è complicato, rispetto a uno che non solo ha il ginocchio ma anche la caviglia. Io vedo la cosa dal punto di vista tecnico e agonistico, di tutte le altre considerazioni m’importa poco…In tutta onestà, le mie vere soddisfazioni sono quelle di mettermi le gambe al mattino e togliermele
quando è finita la giornata”.
Forse è il caso che riprendiamo a leggere insieme le favole, i
fumetti, perché offrono spunti interessanti perché ognuno, disabile o normodotato che sia, viva la sua normalità.
Ho chiesto a Gianluca Lagrotta e Giulio Giordano, due giovani e promettenti fumettisti potentini, di illustrare con le loro magiche matite, alcune favole moderne sul tema della disabilità. Quelle disegnate da Giulio sono tratte dal libro “Il lupetto cieco” e scritte da bambini di un paese del salernitano.
La storia disegnata da Gianluca ha per protagonista un motorino
che “arrancava in salita ed anche in discesa era facilmente sorpassato
da tutte le altre autovetture che si voltavano a guardarlo con curiosità
e compassione”. Lui che aveva solo due ruote, viveva in un
mondo abitato solo da macchine, di tutti i tipi e di tutti i colori e tutte con quattro ruote. Più quella di scorta. Un giorno
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-succede sempre nelle favole, ma non sempre nella vita - “i semafori impazzirono creando file chilometriche di automobili incolonnate sotto il sole...nessuno riusciva più a spostarsi dal suo posto.
Il motorino, pian pianino, svicolando tra tutte quelle macchine,
raggiunse la sua meta senza problemi. I suoi handicap erano
improvvisamente diventati punti di forza perché era cambiato
l’ambiente circostante”.
Le favole, e la letteratura per l’infanzia in genere, aiutano a guardare il mondo senza dar peso alle diversità. Immaginate cosa
sarebbe accaduto nell’arca di Noè se il dromedario avesse litigato con il cammello che di gobbe ne ha due... se il caprone
avesse ironizzato sull’albero di corna del cervo...se il millepiedi
avesse avuto problemi con tutti gli altri animali dotati in genere di due o quattro zampe...se il rospo avesse desiderato avere la voce dell’usignolo....
Raffaella Masini ha scritto un interessante saggio, “La rappresentazione dell’handicap nella letteratura per l’infanzia”
pubblicato sulla rivista “Pagine giovani” del “Gruppo di servizio
per la letteratura giovanile” di Roma.Ve ne propongo un estratto che, sono certo, aiuterà a non cadere nella trappola dell’egoismo, o della finta solidarietà nei confronti di persone che
hanno solo il diritto, non sempre riconosciuto, di essere presenti nella vita di tutti. E come tutti.
La Masini, a proposito della favola “Bellinda e il Mostro”, scrive:
“La lezione è chiara: è lo sguardo degli altri, delle persone capaci di
volergli bene , che può fare del diverso una persona gradevole e pienamente integrata; naturalmente, perché ciò possa avvenire è necessario
attribuire valore all’essere piuttosto che all’apparire”.
Nella fiaba “Enrichetto dal ciuffo”, di Perrault, il protagonista è
“così brutto e così male imbastito, da far dubitare per un pezzo se
avesse fattezze di bestia o di cristiano”; la principessa è “più bella del sole” ma senza “neppur l’ombra dello spirito (...) tanto stupida
quanto era bella”. La sorella minore della principessa era “talmente brutta da far paura, ma dotata di tanto spirito da non avvedersi
nemmeno della bellezza che non le era toccata. Sebbene la bellezza sia un gran vantaggio per una fanciulla, pure è un fatto che la
sorella minore aveva sempre il di sopra sull’altra, in società e in tutte le conversazioni. Sul primo, tutti si voltavano dalla parte della più
bella, per vederla e ammirarla; ma dopo pochi minuti la lasciavano
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per andare da quella che aveva più spirito, a sentire le cose che diceva”.
Ognuno dei tre personaggi, sottolinea la Masini, desidera
ciò che non ha: la bella principessa vorrebbe essere dotata dello spirito della sorella; Enrichetto è attratto irresistibilmente dalla bellezza della principessa al punto di volerla sposare nonostante la sua stupidità; la sorella minore vorrebbe essere bella come la sorella. Ognuno desidera essere apprezzato
dagli altri ed è disposto a rinunciare a tutto pur di possedere ciò che, a suo giudizio, lo può rendere gradito e stimato. La
bellezza, l’intelligenza e la saggezza non sono importanti e desiderabili in sé, ma per la considerazione che godono presso
gli altri e per l’apprezzamento che possono procurare.
Dopo un interessante viaggio tra i tanti personaggi delle fiabe, Raffaella Masini conclude che “se da una parte è sbagliato,
perché ingiusto e controproducente, sottolineare la minorazione
con la derisione o in altre forme, non si può d’altra parte far finta
di niente, o addirittura falsare la realtà per darne una rappresentazione più comoda e meno spiacevole”.
Ognuno tiri le sue conclusioni.
Questo è il mondo della disabilità, nella sua realtà. Un mondo in bianco e nero, con tantissime tonalità di grigio. Grigio come il cielo, quando non può sorridere, perché le nuvole hanno imprigionato il sole.
Noi siamo le nuvole dei disabili. E se il loro mondo non si colora di arcobaleno la colpa è anche nostra. Se l’anno del disabile
sarà servito almeno a farci prendere coscienza del problema
nelle sue diverse implicazioni, vuol dire che siamo sulla strada giusta per far uscire la disabilità dalla periferia dei nostri
cuori, dal buio della quotidianità.
Lello Colangelo
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