"Aumenta il bisogno di cure palliative "
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"Aumenta il bisogno di cure palliative "
16/07/2016 Pag. 6 Ed. Milano diffusione:234691 tiratura:339543 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato L'ANNIVERSARIO/I DIECI ANNI DELL' HOSPICE VIDAS "Aumenta il bisogno di cure palliative " Con la crisi economica è cresciuta la domanda di chi chiede accoglienza nella struttura protetta Nel centro a Bonola 20 pazienti ricoverati e 140 seguiti a domicilio tutti gratuitamente (al. cor.) DIECI anni dalla parte dei malati. Giovedì prossimo l'hospice Vidas spegnerà le sue prime dieci candeline: da quando nel 2006 ha aperto i battenti, la struttura in via Ugo Ojetti, zona Bonola, ha assistito migliaia di pazienti nell'ultimo tratto di vita, offrendo loro non solo cure palliative, ma anche sostegno e supporto. Nonché il rispetto della dignità del paziente, anche nell'ultimo, difficile, tratto di vita. L'hospice Casa Vidas è stato costruito a partire dal 2003 e nell'arco di tre anni: a farlo diventare realtà, l'associazione fondata nel 1982 da Giovanna Cavazzoni, scomparsa a fine maggio, anima e cuore della struttura, nella quale è ricordata all'ultimo piano, nella terrazza ogni giorno affollata dai malati ricoverati, dai familiari e dai medici. Nella Casa vi sono diversi servizi a disposizione dei malati: fisioterapia e consulenza psicologica in day hospice, e poi il "long day", un servizio che due volte alla settimana propone a tutti i pazienti attività come musicoterapia, arte-terapia, cucina, letture, organizzate da volontari con una terapista occupazionale. Ma non solo: attività fondamentale di Vidas, che in 30 anni e oltre ha assistito più di 29mila malati, sono le cure domiciliari. Accanto ai 20 degenti che sono ricoverati e seguiti, 24 ore su 24, nella struttura di Bonola, vi sono infatti 140 pazienti che ogni giorno vengono seguiti da casa, gratis, dai medici e dagli infermieri dell'associazione. «Dieci anni fa - ricordano da Casa Vidas - il 15 per cento dei pazienti raggiunti dal servizio di cure palliative Vidas viveva solo o in situazioni familiari a rischio e per loro si rendeva indispensabile un ricovero protetto. Una percentuale purtroppo oggi in aumento in una congiuntura che ha visto crescere le condizioni di gravi solitudini e povertà. Un'accoglienza fondata sui valori della gratuità, della giustizia e del rispetto delle differenze, sia di origine viste le oltre 30 le nazionalità dei pazienti assistiti, sia di fede, con le sette confessioni accolte in questo intenso decennio». Foto: LA CASA Compie dieci anni l'hospice del Vidas per le cure palliative al Gallaratese TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 18/07/2016 7 17/07/2016 Pag. 47 diffusione:305863 tiratura:387811 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Il commento superare il concetto di «cronicità» Roberto Bernabei* Il milione di pazienti cosiddetti «cronici», assistiti in Italia in residenze sanitarie assistenziali (RSA),con assistenza domiciliare, o in centri per le cure palliative e strutture per la post-acuzie/riabilitazione, è solo una parte delle persone che avrebbero bisogno di cure di lunga durata. I non autosufficienti, infatti, sono 2,5 milioni, circa 4 milioni il totale dei disabili. Quel milione di pazienti preso in carico dal Servizio sanitario nazionale costa 32 miliardi di euro, gli altri 3 milioni se la cavano con il «fai da te», tra badanti - chi può - e figli - soprattutto figlie femmine - chi non può. Ma anche il milione di assistiti dal Servizio Sanitario Nazionale risente del «fai da te», in parte a ragione perché ci sono meno RSA in Campania rispetto al Trentino - in parte per una mancata organizzazione generale e standardizzata dell a «Long-Term Care». Avviene allora che quel milione di cittadini in carico al Servizio sanitario si trovi a dialogare con una miriade di interlocutori differenti, spesso senza trovare il bandolo della matassa e atterrare in cure «garantite». Per organizzare un efficiente sistema di assistenza di lunga durata, la prima cosa da fare, intanto, è cancellare il concetto di cronicità, con la sua carica di rassegnazione e con il suo rinvio alla struttura tradizionale della sanità, cioè l'ospedale. Riferiamoci piuttosto alla «Long-Term Care», per sottolineare che l'obiettivo è individuare servizi concreti, da offrire a domicilio e a più cittadini possibile. Il Ministero della Salute sta lavorando a un Piano Nazionale per le Cronicità, che vedrà presto la luce. Questo documento, a mio avviso, introduce due principi basilari per qualunque tipo d'innovazione: un focus sull'avanzamento tecnologico e l'impegno per la misurazione metodica dei risultati. In sostanza, per curare a lungo anziani sempre più numerosi (e sempre più anziani), è indispensabile puntare sulle nuove tecnologie - che oggi consentono monitoraggio e prestazioni sanitarie a casa del paziente - e poi sulla valutazione dei risultati. Sinora, in Italia, la Long-Term Care non è stata valutata sistematicamente: immettendo tecnologia e misurandone i vantaggi, ma solo così si potranno individuare e replicare le esperienze più virtuose, e ciò genererà assistenza di qualità per i nostri anziani ed efficienza per il Servizio sanitario. *Ordinario di Medicina Interna e Geriatria Univ. Cattolica, Roma Presidente Italia Longeva TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 18/07/2016 5 18/07/2016 Pag. 11 Ed. Napoli <p>Sono attive soltanto nove strutture, in Lombardia ce ne sono 72</p> Esistono bambini in Italia che non hanno diritto a veder lenita la propria sofferenza. Sono bambini malati di malattie incurabili, che avrebbero bisogno di cure palliative almeno per rendere meno doloroso il cammino verso il «sollievo». Il luogo dove questi bambini vivono è la Campania, spiega Sergio Canzanella, direttore dell'Osservatorio regionale cure palliative e medicina del dolore. «Nella nostra regione - dice - non esistono hospice pediatrici, per questo molte famiglie sono costrette a spostarsi verso altre regioni». E i numeri di questo dramma sono enormi, basti pensare che in regione ogni anno si ammalano di cancro dai 160 ai 180 bambini, con una sopravvivenza che in media non supera il 50 per cento. Il che significa che alla fine un bambino ogni due muore. Questo è il dramma dei più piccoli, ma la carenza di strutture in regione è tale da creare un allarme generalizzato, per il quale di recente Canzanella ha lanciato un appello al presidente De Luca, da sempre molto sensibile si questi temi. «La nostra regione - afferma Canzanella - da questo punto di vista è drammaticamente ultima, abbiamo solo 9 hospice per malati che necessitano di cure palliative. La Lombardia ne ha 72». Ovviamente tale carenza, oltre a generare un mare di sofferenza e di disagi, produce anche un enorme spreco di risorse pubbliche. Il direttore dell'Osservatorio regionale cure palliative denuncia da tempo una condizione per la quale i pazienti finiscono ricoverati nei reparti di rianimazione, nelle medicine e in altri eparti che sarebbero deputati a compiti diversi. Secondo i dati diffusi alla fine di giugno nel corso dell'incontro dal titolo «Cure palliative, mai più ultimi», nella regione Campania l'incidenza dei tumori è di 735 casi l'anno per 100 mila abitanti. Il tasso standardizzato di mortalità per tumore è di 368 persone l'anno su 100 mila abitanti. Questo significa che ogni anno il numero dei malati terminali è di circa 19 mila 500, visto che il 90 per cento dei malati deceduti per tumore, 21.300 circa attraversano una fase terminale di malattia caratterizzata da un andamento progressivo irreversibile. «A questi - dice Canzanella - vanno aggiunti tutti quei pazienti che pur affetti da un tumore non sono in fase di "inguaribilità" e quelli affetti da forme inguaribili di patologie non oncologiche, come quelle neurologiche, polmonari, infettive e metaboliche». Senza adeguate strutture tutto questo si traduce in una spesa folle a carico dei contribuenti. Canzanella spiega che il costo giornaliero di un ricovero in hospice varia da 252 a 385 euro, contro i 2.000 euro della degenza in rianimazione. Senza contare l'inutile sofferenza dei pazienti. Il quadro che ne emerge è realmente da quarto mondo. Stando così le cose, l'unica alternativa possibile è spostarsi verso altre regioni. Partire per viaggi che non possono neanche essere definiti della speranza, ma che servono a conquistare almeno un po' di dignità nella sofferenza. L'auspicio è che presto, nel clima di ritrovato ottimismo che sta investendo la sanità, nonostante resti il dramma di un costante taglio della spesa da parte dei commissari di governo, possano nascere gli hospice programmati da tempo. E si potrebbe dare priorità alla creazione di almeno un hospice pediatrico, per poter garantire ai piccoli pazienti che soffrono cure palliative senza dover abbandonare casa. Sarebbe un gesto importante nei confronti di chi soffre e cerca almeno di non perdere il sorriso. Per cercare di migliorare l'assistenza ai pazienti che necessitano di cure palliative e di medicina del dolore è nato a gennaio 2016 il portale Hospicecampania.it. Uno strumento in più al servizio dei cittadini ma anche della politica. TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 18/07/2016 16 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Campania, un dramma nel dramma Niente hospice per le cure palliative 19/07/2016 Pag. 3 N.29 - 19 luglio 2016 tiratura:40000 Così Demetra monitora e misura le cure palliative Gianlorenzo Scaccabarozzi Il contesto demografico attuale di progressivo e rapido invecchiamento della popolazione generale e di costante incremento dell'incidenza e prevalenza di condizioni di cronicità complesse e avanzate configura necessariamente situazioni di estrema fragilità e un cambiamento dei bisogni. In tale cornice, il percorso assistenziale all'interno della Rete di cure palliative non può prescindere dall'identificazione dei malati con patologie croniche in fase avanzata e con bisogni di cure palliative, che costituiscono la popolazione di riferimento, dal punto di vista epidemiologico, per un approccio palliativo alle cure. Si stima in letteratura che la numerosità di tale malati è pari all'1,5% della popolazione complessiva. Come dimostrato nello studio osservazionale Arianna (2012-2015), un modello di cure integrato tra cure primarie e unità di cure palliative domiciliari, basato su identificazione precoce, valutazione multidimensionale e strumenti Ict condivisi permette di rispondere in modo adeguato ai bisogni di questi malati. Nei pazienti coinvolti nello studio si è registrata una consistente riduzione dei ricoveri ospedalieri, una maggior appropriatezza assistenziale in termini di intensità e durata, e una maggior probabilità di poter morire al proprio domicilio. Partendo dalle Raccomandazioni della Conferenza di consenso (Firenze, 27 giugno 2015), che definiscono i principi e le modalità operative per lo sviluppo di un modello di clinical governance per le Reti Locali di Cure palliative, nasce la nuova progettualità Demetra. Demetra, un'iniziativa promossa da Fondazione G. Berlucchi e da Fondazione Floriani, con il supporto del ministero della Salute, Centro di Collaborazione Who-Ico di Barcellona, Università degli Studi di Milano e Policlinico A. Gemelli - Università Cattolica del Sacro Cuore (Roma), vuole focalizzarsi essenzialmente su tre aree: ricerca, formazione e monitoraggio. Per quanto riguarda la ricerca, verranno condotti degli studi osservazionali prospettici e multicentrici nelle Reti Locali di Cp, sia nell'adulto che nell'ambito pediatrico, con l'obiettivo di monitorare la modalità e la qualità assistenziale dei malati presi in carico dalla Rete, l'agire dei professionisti coinvolti e le performance globali del sistema Rete, in termini di efficacia, soddisfazione ed efficienza. Demetra vuole inoltre avviare un processo di monitoraggio qualitativo e di benchmarking tra le reti locali di cure palliative italiane, per favorire la misurazione delle performance erogate e un confronto tra le strutture. La misurazione dei risultati, soprattutto relativamente all'appropriatezza, è ormai elemento imprescindibile per garantire servizi adeguati, consentendo la riduzione degli sprechi e una corretta riallocazione delle risorse disponibili. Per favorire il cambiamento professionale e organizzativo è necessario però che i professionisti coinvolti nella Rete siano in possesso delle adeguate competenze. Demetra vuole quindi favorire, soprattutto nell'ambito universitario del Corso di laurea magistrale in Medicina e chirurgia, la creazione di percorsi formativi definiti e mirati, che siano in grado di fornire ai futuri professionisti un'educazione alle cure palliative, così come previsto dalla legge 38/2010. Demetra si configura quindi come una progettualità ampia e ambiziosa ma che i cambiamenti demografici, organizzativi e professionali rendono necessaria. Gianlorenzo Scaccabarozzi direttore dipartimento Fragilità dell'Asst di Lecco TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 19/07/2016 10 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato BEST PRACTICE/ 2 20/07/2016 Pag. 74 N.8 - agosto 2016 diffusione:10415 tiratura:26740 IL DOLORE AL FIANCO DESTRO Un dolore al fianco destro in genere fa scattare un campanello d'allarme, sia che si tratti di un episodio acuto e improvviso sia nel caso di un fastidio che si presenta frequentemente. Spesso è associato ad altri sintomi come nausea, vomito e febbre, anzi è bene fare attenzione proprio a questi segnali, perché possono essere determinanti per capire la reale causa che ha scatenato il dolore . In molti casi l'origine è da ricercarsi nell'intestino, ma può dipendere anche dal coinvolgimento di altri organi, c Eliana Giuratrabocchetti Il motivo più frequente di dolore al fianco destro è imputabile alla sindrome del colon irritabile, caratterizzata anche da periodi di stipsi alternata a diarrea, meteorismo e gonfiore addominale. Un altro segno distintivo consiste nel fatto che questi sintomi tendono a migliorare dopo l'evacuazione. Di norma il disturbo, che può alternare fasi acute ad altre in cui è silente, non comporta gravi conseguenze né per l'intestino né per l'organismo in generale. Nella maggior parte dei casi si presenta infatti in forma lieve e per mantenerla sotto controllo è sufficiente cambiare la propria dieta introducendo una maggiore quantità di fibre, bere almeno un litro e mezzo di acqua al giorno e dedicare un po' di tempo all'attività fisica. Più raramente, invece, può compromettere la qualità della vita e necessitare della prescrizione di farmaci antispastici. Per diagnosticare la sindrome da colon irritabile il medico si basa principalmente sull'anamnesi, a meno che siano presenti sintomi di allarme, tipo perdita di peso, anemia, una massa addominale palpabile, che richiedono esami di approfondimento, come la colonscopia, per escludere la presenza di altre malattie. Può essere causato dalla si ndrome del colon irritabile Un dolore intenso al fianco destro, accompagnato da diarrea, crampi addominali e perdita di peso, può essere il sintomo del morbo di Crohn. Si tratta di un'infiammazione cronica di tipo autoimmune che frequentemente colpisce la parte terminale del piccolo intestino sopra la valvola ileocecale e provoca un restringimento della circonferenza del viscere, ulcere e, nei casi più severi, episodi di subocclusione intestinale. A oggi non sono ancora note le cause che scatenano questa malattia, ma sembra ci possa essere una certa predisposizione genetica e familiarità. Per capire se effettivamente si tratta del morbo di Crohn sono necessari accertamenti ed esami specifici, come la colonscopia, l'ecografia delle anse intestinali o la risonanza magnetica addominale con mezzo di contrasto. La cura consiste nella somministrazione di due distinte tipologie di medicinali, antinfiammatori e cortisonici per la fase acuta e immunodepressivi per quella di remissione. Se la terapia non dovesse portare alcun miglioramento, si può optare per l'intervento chirurgico. Potrebbe trattarsi del morbo di Crohn Magari dipende da una cisti Un problema comune nelle donne in età fertile è rappresentato dalle cisti, piccole sacche ripiene di liquido che si formano all'interno delle ovaie e che normalmente non creano problemi perché si riassorbono in maniera spontanea. In alcuni casi però raggiungono una dimensione tale da provocare fastidi, come dolore al fianco, destro o sinistro a seconda dell'ovaio coinvolto, minzione frequente, aumento del volume addominale e febbre. Ne esistono di diversi tipi: le più frequenti sono quelle legate all'attività di produzione e maturazione del follicolo, che vengono chiamate funzionali. Altre cisti, invece, non hanno alcun rapporto con il ciclo e sono neoformazioni dell'ovaio, come quelle endometriosiche, causate dalla presenza di tessuto endometriale all'esterno della cavità uterina (dove normalmente dovrebbe trovarsi) e i cistoadenomi, tumori benigni che possono essere pieni di siero o di muco. Un'ecografia è l'esame consigliato per stabilire la loro natura e l'eventuale trattamento: pillola anticoncezionale o, se non regrediscono, intervento chirurgico. E se fosse un calcolo renale? Un dolore acuto e improvviso, unito spesso a vomito, nausea e malessere, che dalla schiena passa al fianco destro e arriva fino ai testicoli o alle grandi labbra della vagina, può essere dovuto alla presenza di uno o più calcoli renali. Questi sassolini possono essere causati da una dieta troppo ricca di grassi o da squilibri nella composizione chimica dell'urina. Nella maggior parte dei casi sono formati da calcio, in altri sono composti da acido urico. Alcuni non si muovono dalla sede in cui si TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 21/07/2016 12 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato IL SINTOMO 20/07/2016 Pag. 74 N.8 - agosto 2016 diffusione:10415 tiratura:26740 TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 21/07/2016 13 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato sono formati e non provocano dolori né interferiscono con le funzioni renali. Se però si localizzano nell'uretere, si spostano dando origine a forti dolori, oltre a sangue e pus nelle urine. Se i calcoli sono pochi e piccoli, si può ricorrere alla litotrissia extracorporea, una tecnica basata sull'emissione di onde acustiche ad alta energia che frammentano i "sassolini" in pezzi più piccoli in modo che possano essere espulsi naturalmente. Se invece i calcoli sono grossi e duri, allora si opta per l'intervento per via endoscopica. Appendicite si o no? Contrariamente a quanto si possa pensare, l'appendicite non è il motivo più ricorrente di dolore al fianco destro. Anzi, quando si è soggetti a fastidi cronici, la causa è da ricercare in altre malattie. L'appendicite, infatti, si presenta solo in maniera acuta e riguarda una piccola percentuale di persone che si rivolgono al Pronto soccorso per fitte al fianco destro. Di cosa si tratta? Con questo termine si indica l'infiammazione dell'appendice, una struttura tubulare posizionata nell'intestino cieco (crasso), dovuta all'accumulo di germi e materiale fecale. Esistono segnali che permettono di capire se si tratta proprio di appendicite. Il dolore parte all'altezza dell'ombelico per poi spostarsi sul fianco destro ed è accompagnato da rialzo della temperatura, inappetenza, nausea, vomito e sofferenza quando si tocca la zona addominale interessata o ci si muove. Nei casi più seri la parete dell'appendice infiammata può perforarsi causando peritonite. In questa eventualità è necessario sottoporsi a un tempestivo intervento chirurgico per la rimozione dell'appendice. Forse è colpa dei diverticoli Responsabile di un dolore al fianco destro può essere anche la diverticolite, cioè l'infiammazione dei diverticoli, piccole estroflessioni che si formano nell'intestino a causa dell'aumento della pressione che spinge le feci verso l'esterno. La pressione si scarica sulle pareti intestinali facendo cedere la mucosa e formando una piccola ernia che dà origine al diverticolo. La certezza della diagnosi si ha soltanto effettuando la colonscopia o il clisma opaco. È importante riconoscere il problema al più presto per non andare incontro a serie complicazioni come ascessi e peritonite, cioè l'infezione della mucosa della cavità addominale. Spesso è necessario ricorrere ai farmaci, in particolare alla rifaximina, un antibiotico di ultima generazione che agisce in modo selettivo sull'intestino: la cura prevede una-due compresse al giorno per sette giorni al mese, sei mesi all'anno. Eliana Giuratrabocchetti con la consulenza del professor Vincenzo Savarino, direttore della Scuola di dottorato di ricerca in Medicina interna clinico-sperimentale dell'Università di Genova e presidente della Società italiana di gastroenterologia (Sige). 22/07/2016 Pag. 17 N.29 - 22 luglio 2016 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Antonio Polito / Finestra sul cortile Prima di farsi una canna per piacere L'Italia non fa abbastanza per rendere la marijuana terapeutica accessibile a chi ne ha bisogno, pur avendo una legislazione avanzata. Cominciamo da qui Arriva alla Camera, lunedì prossimo, una proposta di legge per la legalizzazione della cannabis. Anche se non è affatto detto che il Parlamento riuscirà poi per davvero ad approvare un testo su una materia molto controversa e potenzialmente esplosiva dal punto di vista politico, bisogna in ogni caso salutare il fatto che per la prima volta abbia deciso di occuparsene, avviando almeno il dibattito. Onore dunque a deputati come Benedetto Della Vedova che, in assenza di un'iniziativa del governo, si sono mossi raccogliendo le firme a Montecitorio. Il testo base che va in aula ha però un difetto tipico della vastissima produzione normativa italiana: si legifera, si legifera, ma senza mai verificare prima come ha funzionato la legislazione precedente. Con il risultato che nascono sempre nuove norme ma non si attuano mai quelle che già esistono. Nella legge si mescola infatti un po' superficialmente, e forse anche un po' per approfittare della pressione delle associazioni dei malati, l'uso della marijuana a scopo ludico e quello a scopo terapeutico. Si tratta di un errore. Sono materie molto diverse tra di loro, qualunque sia la nostra opinione sul "farsi le canne". L'Italia ha una legislazione avanzata per la marijuana terapeutica che risale al 2014; ma alla legge non ha corrisposto un'applicazione pratica adeguata, anzi si può dire che nei fatti le cose non vanno affatto bene. Il primo problema è la quantità di cannabis prodotta in Italia: troppo scarsa per la domanda sempre crescente dei malati. Ci sono due tipologie di persone che possono beneficiare del consumo di marijuana: i malati terminali, che combattono così nausea, inappetenza e umor nero; e malati cronici come quelli affetti da neuropatie, spasticità, cefalee, che spesso non trovano sollievo con altri farmaci. L'uso è dunque destinato a crescere, e di molto. Fino a due anni fa in Italia se ne consumavano venti chili all'anno. Oggi, racconta il dottor Marco Bertolotto, se ne consuma altrettanta nella sola Asl 2 di Savona, dove opera un centro della terapia del dolore all'avanguardia al quale ricorrono pazienti da tutt'Italia che non trovano aiuto altrove. Basti pensare che in Canada, Paese con soli 35 milioni di abitanti, se ne produrranno quest'anno ben quattro tonnellate. In attesa che l'Istituto farmacologico di Firenze, incaricato dal ministero della Difesa della sperimentazione, cominci a produrre la sostanza per l'uso interno, noi importiamo ancora marijuana a caro prezzo dall'Olanda. E purtroppo la soluzione al problema della produzione non può essere quella suggerita dalla nuova legge in discussione, e cioè l'autocoltivazione da parte dei malati. I medici che la somministrano sostengono infatti che l'uso di una sostanza psicotropa non può essere mai lasciata al faida-te, perché interferisce con altri farmaci, il dosaggio deve essere sotto controllo, il paziente va seguito costantemente. ISTRUZIONE PER I MEDICI. E qui arriva l'altro grande problema: la preparazione dei medici è scarsa. Sono pochissimi coloro che possono ricorrere con competenza a questo tipo di terapie. Con il risultato che i pazienti in disperata ricerca di chi li possa consigliare e assistere sono sempre troppi di più di quelli che i pochi medici disponibili possano veramente aiutare. Pur essendo garantito dal servizio sanitario, il ricorso alla terapia con la cannabis è spesso così sconosciuto che molte regioni non spendono nulla perché non hanno richieste. Sarebbe dunque molto importante, anzi urgente, avviare in tutt'Italia dei corsi per i medici. Capisco che il dibattito politico e culturale su legalizzare oppure no la marijuana è molto più seducente e più glamour, e che da lunedì di questo si occuperanno i politici. Ma c'è un aspetto molto concreto sul quale abbiamo già raggiunto un ampio accordo, quello terapeutico; salvo poi non fare abbastanza per renderlo accessibile a chi ne ha bisogno. Propongo che lunedì, prima di discutere dell'uso ludico della marijuana, i deputati comincino da qui. Foto: Cresce la domanda Fino a due anni fa in Italia si consumavano venti chili all'anno di marijuana. Oggi se ne consuma altrettanta nella sola Asl 2 di Savona, dove opera un centro della terapia del dolore all'avanguardia. TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 22/07/2016 6