Il Teorema Codazzi

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Il Teorema Codazzi
Salvio Fiore
Il teorema Codazzi
Costituzione della Repubblica di Uzupio
1. Tutti hanno il diritto di vivere vicino al fiume Vilnia e il fiume ha diritto di scorrere
2. Tutti hanno il diritto al ’acqua calda, al riscaldamento d’inverno e a un tetto
3. Tutti hanno il diritto di morire ma non è un obbligo
4. Tutti hanno il diritto di fare errori
5. Tutti hanno il diritto di essere unici
6. Tutti hanno il diritto di amare
7. Tutti hanno il diritto di non essere amati
8. Tutti hanno il diritto di essere mediocri e sconosciuti
9. Tutti hanno il diritto di oziare
10. Tutti hanno il diritto di amare un gatto e prendersi cura di lui
11. Tutti hanno il diritto di badare al cane fino a quando uno dei due muore
12. Il cane ha il diritto di essere un cane
13. Il gatto non è obbligato ad amare il suo padrone, ma deve essere di aiuto nei momenti di necessità
14. A volte si ha il diritto di essere inconsapevoli dei propri doveri
15. Tutti hanno il diritto di avere dei dubbi, ma non è obbligatorio
16. Tutti hanno il diritto di essere felici
17. Tutti hanno il diritto di essere infelici
18. Tutti hanno il diritto di stare in silenzio
19. Tutti hanno il diritto di avere fede
20. Nessuno ha il diritto di usare violenza
21. Tutti hanno il diritto di apprezzare la propria scarsa importanza
22. Nessuno ha il diritto di avere un progetto per l’eternità
23. Tutti hanno il diritto di comprendere
24. Tutti hanno il diritto di non capire
25. Tutti hanno il diritto di appartenere a qualunque nazionalità
26. Tutti hanno il diritto di celebrare o non celebrare il proprio compleanno
27. Tutti devono ricordare il proprio nome
28. Tutti hanno il diritto di dividere ciò che posseggono
29. Nessuno può dividere ciò che non possiede
30. Tutti hanno il diritto di avere fratelli, sorelle e parenti
31. Tutti possono essere indipendenti
32. Tutti sono responsabili della propria libertà
33. Tutti devono poter piangere
34. Tutti hanno il diritto di essere fraintesi
35. Nessuno ha il diritto di dichiarare colpevole il prossimo
36. Tutti hanno il diritto all’individualità
37. Tutti hanno il diritto di non avere diritti
38. Tutti hanno il diritto di non avere paura
39. Non deludere
40. Non combattere
41. Non cedere
Ogni grande amore auto contempla l’estrema misura della pubblica gogna.
Perché l’amore, quando è disperato, s’illude che la mediazione esterna possa
rinsavirlo.
Capitolo 1
«La cuenta por favor.»1
«1000 bolivares señor.»2
Marcus pagò, c’era un po’ di folla, prese il cibo
e uscì dalla trattoria per sedersi a un tavolino ale uscì dalla trattoria per sedersi a un tavolino all’aperto. Sul ripiano poggiò un piatto colmo di
una vaporosa matassa di crauti a lato della quale
si distendeva, appena uscito dall’acqua bollente,
leggermente ricurvo e gonfio come una camera
d’aria, un enorme wurstel fumante. In un altro
piatto vi era un misto di due dolci: uno strudel
alla mela e una Schwarzwälder Kirschtorte. 3
Marcus aspettava con impazienza la birra che
il cameriere tardava a portare, ma era affamato
e nell’attesa iniziò a consumare il suo pasto, una
colazione per il suo ritmo circadiano italiano,
un pranzo per l’orario locale.
Al tavolo in legno si avvicinò il cameriere che
portò con sé la birra da servire.
«Más vale tarde que nunca»4 disse Marcus,
sorridendo in uno spagnolo quasi perfetto.
«Entschuldigung für die Verspätung des
Bieres ein biβchen zu spat bringe…»5
1 Il conto, per favore.
2 Costa mille bolivares signore.
3 Torta della foresta nera.
4 Meglio tardi che mai
5 Mi scusi se sono in ritardo con la birra...
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Il cameriere gli parlò in tedesco, mentre lui aveva usato sempre e solo il castigliano.
Non parlava quella lingua, ma un po’ la capiva e gli parve di intendere che si stava
scusando per il ritardo.
«…Espera un minuto,» lo interruppe Marcus, poi gentilmente continuò, «io no hablo
en ale- man, seria tan amable de hablarme en castel- lano?»6
Il cameriere lo osservò con sguardo indaga- tore, non riusciva a capire se quell’uomo,
che parlava uno spagnolo perfetto, fosse esterno o interno alla colonia. Tuttavia, come
se stesse ac- cettando un compromesso, disse in castigliano:
«Pido perdon si he tardato un poco con la cer- veza, pero se nos ha llenado
inesperadamente la sala interior.»7
Poi, con la mimica facciale di chi sta per dire qualcosa di ovvio, aggiunse:
«En el salón hay televisión, y están a punto de emitir el partido entre Alemania y
Venezuela.»8
«Ahi! Supongo que es algo importante en estas partes»9 disse Marcus un po’
antipatico.
«Si, de hecho lo es…»10 disse il cameriere risolutivo.
6
6 Aspetta un attimo... Io non parlo tedesco, saresti tanto gentile da parlarmi in castigliano?
7 Mi scusi se ho tardato un po’con la birra, ma si è creato un improvviso affollamento nella sala
interna.
8 Nella sala interna c’è il televisore, e stanno per mandare in
onda la partita Germania-Venezuela.
9 Immagino sia un evento importante da queste parti.
10 S
ì, infatti lo è…
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Ma dentro di sé continuò… stupido turista, cosa ci sarà mai di divertente… ma a questo
pensiero non diede voce, lasciandolo sepolto dentro il gri- gio della sua testa.
Marcus intuì, nei toni del suo interlocutore, la crescente spigolosità del breve dialogo
e, con un gesto cortese, licenziò il cameriere, vol- gendo l’attenzione a quella birra
ghiacciata c h e sembrava prodotta e servita secondo tutti i ca- noni tedeschi, pur
essendo in pieno territorio venezuelano. La bevanda era ottima, fredda, e, come spesso
accade nei paesi tropicali, quando c’è vento, il bicchiere all’esterno sudava copiosamente acqua, tanto da lasciare una piccola pozzanghera sul tavolo.
Quella birra ghiacciata fece ribellare il suo sto- maco che si aspettava un caldo
cappuccino e cornetto alla napoletana. Marcus posò il boc- cale, fece un respiro
profondo e attese che la sua pancia si calmasse, sperando che non lo co- stringesse ad
andare in bagno di corsa. Restò seduto riuscendo tranquillamente a terminare cibo e
bevanda. Adesso doveva trovare un al- bergo per le due notti di quest’ultima tappa.
«Aufwiedersehen»11 disse Marcus, mentre an- dava via, attingendo al suo asciutto
serbatoio di lingua tedesca.
Si incamminò per le tortuose vie del paesino alla ricerca di una camera d’albergo.
11 Arrivederci
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Ne passò in rivista tre: l’Hotel Selva Negra, molto bello, tutto in legno di abete in stile
al- pino; l’Hotel Edelweiss e il Bergland. Alla fine, li scartò tutti e scelse una camera in
una piccola pensione un po’ defilata dal centro della citta- dina pieno di curiosi turisti
chiassosi: la Pension Bayern. Anche questa era tutta in legno.
Si sistemò in una cameretta al primo piano con vista su un bosco, non svuotò
completa- mente lo zaino, poiché in quel posto vi sarebbe rimasto solo due notti, ma
con un rapido cal- colo mentale, frutto della sua esperienza di viaggiatore, mise fuori
dal bagaglio solo il ne- cessario. Non si fece prendere dalla frenesia del turista, quella
sorta di smania che lo avrebbe spinto a voler vedere con produttività lavora- tiva tutti i
possibili luoghi turistici nel minor tempo possibile. Lui era in vacanza e decise, al- lora,
di passare un pomeriggio in albergo ad ac- carezzare il tempo che passava. Come un
gatto che inizia l’esplorazione dei dintorni immediati della sua tana, così lui decise di
dare un’oc- chiata alla piccola pensione.
Fece amicizia con il portiere, poi uscì a com- prare una bottiglia d’acqua per la notte
che si avvicinava, mentre il preludio di un purpureo tramonto tropicale era dipinto tra
le cime degli alberi. La sera lo raggiunse come un soffio deli- cato, lo affabulò con i
colori inusuali delle terre sconosciute, ma non si fece ingannare: sapeva che avrebbe
passato un’altra notte insonne.
10 Salvio Fiore
Era in Venezuela per un viaggio breve: sette giorni per cercare di liberarsi dalle
tensioni la- vorative, ne erano ormai trascorsi quasi quattro da quando era atterrato in
sud America.
Le prime due notti nella caotica Caracas non avevano minimamente “resettato” il suo
italia- nissimo ritmo sonno/veglia. E adesso che era iniziata la terza, come se non
bastasse, un vio- lento temporale tropicale si abbatté sulla citta- dina, tanto per
ricordargli che era a Colonia Tovar e non a Napoli. Le dimostrazioni meteo- rologiche
che, quella notte, la natura volle esibire attorno alla cameretta della sua pensioncina
sembravano orchestrate ad arte da un capric- ciosa dea greca per persuadere un fiero
mortale riluttante al suo amore.
Non riuscì a dormire molto e appena sve- gliato guardò l’orologio. Cazzo! Le due e
mezza, pensò. Il sistema nervoso di Marcus lo svegliò convinto che fosse l’ora di andare
a lavoro.
Ma invece delle sette e trenta erano le due e mezza di notte. Era sveglio, lucido,
eppure aveva ancora tanto desiderio di dormire e allora, alla luce della luna e di quella
psichedelica dei lampi che filtravano dalla finestra, iniziò a os- servarsi attorno con la
speranza che il sonno so- praggiungesse. Nella cameretta d’albergo, alle pareti in
legno, ricoperte di parati tipici di una casa di montagna delle alpi tedesche, vi erano
appese alcune stampe. Sul muro di fronte un quadro raffigurante tre boccali di birra,
sulla
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parete di lato un castello che a lui parve essere quello famoso di Neuschwanstein;
sull’altro muro, di fianco alla porta del bagno, una stampa di tre uomini, ciascuno
con in mano un boccale di birra, vestiti con i tipici vezzosi abiti bavaresi pieni di merletti
e sbuffi, calzerotti in lana e caratteristici calzoncini con bretelle.
Marcus sorrise fra sé, pensando alla buffa danza bavarese in cui ci si prende a ceffoni.
Tutto questo temporeggiare non bastò a Orfeo che non ne voleva sapere di
presentarsi al co- spetto di Marcus. Ormai rassegnato, accese la luce dell’abat-jour sul
comodino di fianco e prese a leggere la sua guida turistica sul Vene- zuela.
Colonia Tovar era adagiata tra le ondulate fo- reste della cordigliera della costa
venezuelana. Fu fondata nel 1843 da trecentosettantasei co- loni tedeschi provenienti
dalla foresta nera e guidati dal cartografo italiano Agostino Co- dazzi, il padre di
questo pacifico progetto di co- lonizzazione. Codazzi era un avventuriero, marinaio,
esploratore, corsaro, soldato e mer- cante, ma soprattutto un abilissimo cartografo.
Nacque a Lugo in Romagna nel 1793, dopo l’invasione di Napoleone si arruolò
nell’esercito del condottiero francese, per divenirne un bravo disegnatore di mappe.
Sconfitto Napo- leone, si diede al commercio marittimo, poi alla gestione di un casinò
a Istanbul. Girovagò, in
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seguito, per la Russia, fino quando approdò nel continente americano, dove fu
coinvolto dagli eventi storici. Appena seppe che Simon Bolivar stava reclutando
stranieri per un esercito vene- zuelano, si arruolò e si mise in luce grazie alle sue abilità
di cartografo.
Dopo un periodo da corsaro, contro i galeoni Spagnoli, fece ritorno in Italia, ma la sua
sete di avventura lo riportò nella bagarre della guerra per l’indipendenza sud
americana
al
fianco
di Santander
e Bolivar contro la Spagna. Dopo
l’indipendenza e il frazionamento della “grande Colombia”
negli attuali Venezuela Ecuador e Colombia, Codazzi fu assoldato dal governo
Venezuelano, affinché ideasse un pro- getto di colonizzazione per la ripresa socio economica di alcune zone del paese. Codazzi fece un sopralluogo in Venezuela, per
trovare un’area con condizioni climatiche ambientali che si adattassero ai
colonizzatori.
Poi si recò per l’ennesima volta in Europa, dove raccolse un gruppo di diverse
centinaia di contadini tedeschi, credendo che fossero natu- ralmente i più adatti a un
coatto adattamento di vita all’estero. Quindi nel 1843 fu fondata Co- lonia Tovar.
Agostino Codazzi continuò la sua attività di cartografo, fino alla morte per mala- ria,
dimenticato e solo, in un oscuro villaggio sperduto dell’odierna Colombia
settentrionale, Espiritu Santo, l’attuale Agustin Codazzi.
Il teorema Codazzi 13
Volutamente, non si costruirono strade per collegare la colonia al resto del paese e si
proi- bivano i matrimoni con gli “esterni”.
Per un secolo il villaggio si attenne scrupolo- samente alla lingua, alla cultura e
all’architet- tura dei suoi fondatori tedeschi. Poi, di recente, fu abolita le legge contro i
matrimoni misti e fu costruita una strada che collegava la colonia, che contava appena
milletrecento anime, a Caracas.
Si erano fatte le sette del mattino, il temporale si era attenuato e Marcus decise di
alzarsi per consumare la colazione e andare a fare un giro per la colonia.
Giù, nella piccola e modesta reception della pensione c’erano quattro tavolini in
legno adi- biti alla colazione per gli ospiti. Vi prese posto e attese il cameriere.
«GutenTagHe rPoenia,IhreZimmernummerbi te?»12
Marcus Poenia era un poliziotto, un dirigente
della Questura di Napoli, molto incline, per natura, all’apprendimento delle lingue straniere.
Seppur napoletano, era di origine bosniaca.
Nacque in un piccolo villaggio a pochi chilometri da Mostar, nel periodo tra la fine della peciosa unità Jugoslava e la nascita dell’ultimo
conflitto bosniaco. La sua infanzia, priva di ogni
aspetto fiabesco, fu invece vissuta tra bombe,
stupri e carneficine, fino a che un uomo da una
12 Salve signor Poenia, mi dice il numero della suastanza, per favore?
14 Salvio Fiore
lontana, piccola, tranquilla isola del golfo di Na- poli lo chiese in adozione, tirandolo
fuori da quell’inferno. Quell’uomo si chiamava Daniele Poenia e, fino alla morte, fu il
suo amorevole e rassicurante padre adottivo insieme alla moglie Isa. La storia
personale di Marcus lo aveva por- tato ad avere, dunque, una certa dimestichezza con
le lingue. Oltre l’italiano parlava fluente- mente l’inglese, lo spagnolo e il francese.
Conosceva un po’ di tedesco e aveva ancora un ricordo sommesso della lingua slava,
che di tanto in tanto esercitava con incertezza negli ambienti della questura di Napoli
per interro- gare gli immigrati irregolari dell’ex area jugo- slava coinvolti in reati.
«Mein Zimmer ist Nummer sechzehn.»13 gli rispose Marcus in tedesco.
E il cameriere annotò il numero su un foglio di carta, poi disse ancora:
«Kontinentales oder englisches Fruehstueck?»14
Marcus gli rispose in castigliano:
«Me gustaria un desayuno continental, gracias!»15
«Bueno como usted prefiere caballero!»16 e si
allontanò.
Marcus stava per entrare in polemica col ca-
meriere, poiché aveva sempre avuto la sensazione che in spagnolo l’uso del termine caballero
13 La mia stanza è la numero sedici.
14 Colazione continentale o inglese?
15 Preferirei una colazione continentale, grazie!
16 Bene, come vuole, cavaliere!
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potesse sottintendere massimo rispetto formale o anche un pizzico di sarcasmo. Ma
subito ar- rivò la colazione e non penso più all’uomo che serviva ai tavoli.
Consumò la colazione con gusto, lentamente, guardando spesso fuori dalle vetrate
della sal a che davano su un immenso bosco lussureg- giante del quale non si
discernevano i confini. Poi uscì per una giornata da turista.
Andò in giro per musei, chiese, piazze e sta- tue. Con occhio attento osservava i
monumenti, l’architettura, ma più che altro lo affascinava os- servare le persone, il loro
modo di vestire e il linguaggio corporeo.
A lui piaceva viaggiare, lo eccitava quella sensa- zione di smarrimento che solo la
lontananza dalla propria casa, famiglia, nazione e lavoro può dare. Liberarsi per
qualche settimana del cellulare, della posta, del mutuo, sin’anche della cosa più cara
che aveva, i suoi amici, gli permetteva di
essere un “nessuno”.
Senza il limite delle radici dell’io arrivava a
sentirsi un uomo senza identità per fondersi
leggero nel mondo e sentirsi in armonia con
esso. Inoltre, questo gli attenuava il peso delle
responsabilità.
Ma soprattutto quando viaggiava per piacere
c’era qualcosa che lo alleggeriva più di tutto: lasciare a casa pistola e distintivo.
16 Salvio Fiore
Camminava per strada con il suo zaino, respi- rava aria vivace, Colonia Tovar era a
milleotto- cento metri sul mare e, dopo il caldo asfissiante di Caracas, era un piacere
respirare un po’ d’aria fresca.
La chiesa di San Martino di Tours, nel centro,si mostrò essere un curioso edificio a
forma di elle costituito da due bracci ortogonali, uno riservato ai maschi e l'altro alle
femmine, con l'altare disposto nell’angolo tra i due corridoi. La statua del patrono si
affacciava, anch’essa ad angolo sull’alto dei due bracci, con faccia seria quasi a
controllare che si rispettasse la ridicola divisione tra uomini e donne. Poi fece una
visita accurata al museo di historias y artesiana.17
Si ritirò alla pensione verso sera un po’ stanco e con un discreto languorino. Si rese
conto di avere appetito più o meno all’ora della cena ve- nezuelana, dunque il jet lag si
sta attenuando, pensò . Salì in camera per posare lo zaino che gli era servito nei suoi giri
turistici, poi, prima di uscire per andare a cercare un ristorante, pensò di se- dersi alla
scrivania della stanza per scrivere
qualche cartolina che aveva già acquistato.
Era bravo a scriverle, riusciva a compilarne
tante e tutte molto diverse le une dalle altre.
Non faceva come alcune persone in vacanza
che scrivono una cartolina per una persona e
17 S
toria e artigianato.
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poi ne ripetono il contenuto per tutte le altre cambiando solo il destinatario. Iniziò a
scrivere.
Dott. Luca Raimondi
Vico Santo Spirito di Palazzo, 42
80132 Napoli - Italia
S ono in viaggio finalmente e del disorganico coro napoletano di urla, spari e grida sento solo la
mia voce, come un solista. Alleggerito del peso della mia fedele ma odiata pistola e di tutto quello
che rappre- senta, qui, in viaggio sono leggero nel corpo e nel- l’animo. Le colpe e i rimorsi
adesso appartengono all’immaginario, la faccia contorta della napoletanità e della sua grottesca
gestualità mi sembra una ma- schera teatrale terrificante che non arriva a toccarmi, qui, sugli
spalti delle Ande venezuelane. Luca! Il mio cammino è lieve, e il caos napoletano è solo vapore
ac- queo che mi lascio alle spalle, mentre cammino, a ogni mio respiro.
Luca Raimondi era il collega e amico di Marcus. Entrambi laureati, Marcus
all’ Orientale e Luca in ingegneria, si erano conosciuti all’accademia di polizia. “Già mi
chiedo cosa un laureato in lingue come me ci faccia in polizia, ma poi ad- dirittura tu,
un ingegnere…” Fu la prima cosa che disse a Luca poco dopo che si erano cono- sciuti.
Risero entrambi di questa osservazione. Tra i due, in poco tempo, nacque una straordinaria familiarità. Eppure erano molto diversi, lui era pura passione, Luca invece era un
“in- gegnere”, razionale, quindi, per forma mentis. Uniti, però, si completavano.
Insieme erano en18 Salvio Fiore
trati nella sezione “falchi”, dove divennero una delle migliori pattuglie.
Luca era un trentenne alto circa centottanta centimetri, pesava sui novanta chili,
come Mar- cus, era dotato di un fisico atletico ed era esperto di arti marziali, aveva
in più l’hobby dello yoga, passione quanto meno strana per un rude poliziotto della
sezione “falchi”. Al pari dell’amico odiava parlare in napoletano, nes- suno, infatti,
aveva mai udito i due comunicare in dialetto, ma in azione per strada parlare quel
linguaggio era una condicio sine qua non per es- sere rispettati dalla malavita
napoletana.
Luca, per molti anni, fu il pilota di Marcus fino a che questi non fu trasferito, per una
mi- steriosa incompatibilità ambientale, a un altro ufficio. Ma i due erano rimasti
molto amici, anzi erano come fratelli ed entrambi sapevano di poter contare uno
sull’altro fino alla morte. Marcus, una volta trasferito, riuscì strana- mente, senza
tante difficoltà, a ottenere che anche Luca lo seguisse.
Finì di pensare al collega e iniziò a scrivere la cartolina di Amanthi.
Amanthi Selvadurai
Vico Storto Concordia, 18
80132 Napoli - Italia
Mio amore, qui, sospeso a mezz’aria sento meno il peso della mia identità e mi confondo col
mondo. Sono in viaggio finalmente! Sei l’unica cosa che mi manca.
Ti amo.
Il teorema Codazzi 19
Amanthi, Marcus la vide per la prima volta, mentre era in servizio sulla sua moto tra
i vicoli dei Quartieri Spagnoli, quell’intrigato dedalo di stradine tra il corso Vittorio
Emanuele e via To- ledo che si adagia contorcendosi, sulla parte bassa della collina del
Vomero quando questa incontra Chiaja. A quei tempi Marcus era il se- condo uomo di
pattuglia sulla moto dietro Luca che guidava. Tra i loro due corpi, Marcus aveva
poggiati sulle gambe la paletta d’ordinanza e il walkie talkie.
Aveva notato da dietro i suoi occhiali scuri un movimento sospetto all’angolo di un
vicoletto “firme loco!”18 a
veva detto al suo pilota.
Era la tipica espressione in napoletano che usava per comunicare col suo collega,
quando vedeva qualcosa che non andava. Quindi il vei- colo frenò all’istante e Marcus,
come sempre i n jeans e scarpette, era già in piedi a lato della moto e volava di corsa
verso il tipo sospetto i n fuga. Il suo collega poggiò la motocicletta sul cavalletto e si
fiondò sul secondo uomo della coppia, che invece aveva scelto di non scappare. Luca
ebbe, senza difficoltà, la meglio sul suo so- spettato, gli puntò la pistola in faccia e gli
disse “sbatt’ sulamente l’uocchie e te spar’ ‘nfacc ” .19
Erano due poliziotti di esperienza. Ormai nei falchi da cinque anni, avevano la fama
di in- corruttibili e perciò erano ancora più temuti e
18 Ferma subito!
19 S
batti anche solo le ciglia e ti sparo in faccia.
20 Salvio Fiore
rispettati dai malviventi dei quartieri, per cui Luca, mentre minacciava l’uomo con la
pistola, non ebbe difficoltà a mimare un tale ghigno che al bulletto di quartiere gli si
ghiacciò il sangue, gli vennero le gambe molli e si fece pipì ad- dosso. Luca con la
coda dell’occhio notò, in basso, il liquido uscirgli dai pantaloni, sorrise e, abbassando
l’arma, disse “omm’ ‘e merd te si pi- sciato sotto! ‘o ‘i cca si na latrina?!”.20
Tutta questa operazione condotta da Luca durò pochi secondi e appena si sbarazzò
del- l’uomo, ammanettandolo alla moto pensò che il suo compagno potesse aver
bisogno di lui.
Si guardò attorno e vide lontano che il collega stava quasi per acciuffare il giovane e
non gli sfuggì che durante l’inseguimento il furfante si liberò di qualcosa.
Luca si fermò a raccogliere quegli oggetti. Erano delle porzioni di coca,
accuratamente cu- stodite, ciascuna in piccoli involucri di plastica trasparente. Le mise
in tasca, poi continuò di corsa verso Marcus che ormai era vicino al pre- sunto
spacciatore. Poi si fermò per capire me- glio cosa stava succedendo. Da una quarantina
di metri vide che il fuggitivo si fiondava verso l’ingresso di un “basso”21 e allora corse
ancora più forte in aiuto dell’amico.
20 U
omo di merda, ti sei fatto pipì addosso! Vedi che sei una latrina?
21 Tipica abitazione napoletana a livello strada, di solito
costituita da un unico vano con un bagno.
Il teorema Codazzi 21
La scena fu violenta, sulla soglia vi era una giovane donna asiatica che allertata dalle
urla e dalla scena concitata si era messa ritta a prote- zione dell’ingresso. Mentre
correva, il fuggia- sco alzò lo sguardo, la vide e senza rallentare la puntò deciso con la
spalla in avanti come a voler sfondare una porta. Il rumore dell’im- patto tra la spalla
dell’uomo e lo sterno della donna fu forte, ma sordo come quello prodotto da una
decisa pacca sul quarto posteriore di un cavallo. La violenza dell’impatto fu tale che
quando Marcus alzò lo sguardo e vide quello che stava accadendo, tutti i suoi sensi,
total- mente allertati dalla brutalità, registrarono ogni particolare e la sua mente fissò
la scena, per u n istante, immobile nello spazio e nel tempo, come un fotogramma
privo di suoni.
L’asiatica, colpita in pieno dalla spalla del- l’uomo a tutta velocità, fu spinta
all’indietro tal- mente violentemente che si sollevò da terra.
La parte superiore della donna che ricevette l’impatto si spostò anticipatamente
all’indietro rispetto al resto del corpo. Quando lui la vide era lì immobile, sospesa a
mezz’aria quasi in orizzontale; gli occhi aperti in una spaventosa smorfia di dolore
misto a stupore; i capelli lun - ghissimi e neri per inerzia mantenevano ancora la
posizione iniziale e, restando indietro rispetto al capo, davano alla scena l’effetto di un
corpo immerso in acqua con i capelli sciolti fluttuanti.
22 Salvio Fiore
Fu un millisecondo poi arrivarono i suoni, Mar- cus sentì il rumore dell’urto che come
a risve- gliarlo ridiede dinamicità alla scena, quindi il corpo della donna partì
all’indietro come un proiettile seguito dal furfante. I due sparirono, come inghiottiti,
nel buio del basso. Marcus pensò che l’uomo doveva avere una corpora- tura notevole
per produrre un tale contatto. Po i subito provenienti dall’interno del locale si udirono frasi in napoletano e altre in una lingua in- comprensibile. Marcus decise di non
buttarsi nel buio, preferì prendere tempo per capire, quindi si fermò e attese l’arrivo
di Luca.
Si misero fianco a fianco estrassero le pistole e le puntarono verso l’ingresso
dell’abitazione.
«Collega tutto okkei?» disse Marcus ancora in af- fanno, all’amico che
sopraggiungeva.
Poi, senza distogliere lo sguardo dall’ingresso dell’abitazione su cui avevano sempre
puntate le pistole, aggiunse:
«Collega questa volta a questo scemo lo inca- striamo, ho notato che hai raccolto le
dosi che ha buttato via, è fottuto, c’è flagranza di reato! E inoltre io l’ho pure
riconosciuto, è quello scemo arrogante di “‘o giust’ ” .22
«Jesce fore cu ‘e man aizate!»23 u
rlò Marcus. Le voci all’interno dell’abitazione erano
cessate, ma nessuna risposta all’ordine del falco.
22 “Il giusto” è un soprannome.
23 Esci fuori con le mani in alto!
Il teorema Codazzi 23
Passò qualche secondo, la solita folla di curiosi adesso taceva e un po’ indietreggiava
per la paura. Nel drappello di interessati Marcus notò quattro cinque asiatici,
dovevano essere parenti forse amici, o in ogni caso connazionali della donna colpita.
Poi qualcosa nel buio si mosse e i due si presentarono alla luce sulla soglia.
Lui le stava dietro e le cingeva l’addome con un braccio, mentre l’altro le circondava
il collo e con un coltello da cucina in mano le teneva la lama seghettata premuta sulla
gola.
Gli occhi della donna fissavano Marcus e gli parlavano di paura. Marcus non avrebbe
mai più dimenticato quello sguardo tanto impaurito in un corpo tanto fiero.
Non subiva, infatti, passiva l’abbraccio mi- naccioso dell’uomo, ma opponeva
resistenza al macabro intreccio di corpi in cui lei aveva una posizione di svantaggio.
«Ué… e ‘cca tenimm ‘e ghei!»24 fu il malvi- vente a rompere quel silenzio saturo di
terrore esordendo con un’aria da comico d’avanspetta- colo. La frase fece innervosire
ancor di più Mar- cus, lui sapeva che nell’ambiente illegale dei uartieri Spagnoli la
pattuglia dei falchi com- posta da lui e Luca era conosciuta e schernita con il
nomignolo di “i gay”, poiché era noto che oltre che colleghi erano grandi amici e la
sera dopo il lavoro uscivano spesso insieme.
24 Eh... e qui abbiamo i gay!
24 Salvio Fiore
«O giu’ ch’ ‘e fa’, t’avimme canusciuto, jamme ja, tanto avimme truvat ‘e dosi, mo’ te
sta’, nu fa’ strunzate e vien cu nuje ca è meglio pe’ tte»25 g
li disse Luca.
«Se,se mo vengo cu’ vvuje, accussì me facite ‘o servizio dint’ ‘e cell’… ma a mè me
piaene ‘e femmene e nu’ m’ ‘o facesse maj mettere n’ culo a duje ghei comme a
vuje!».26
«Uè e jà… nu dicere strunzate, stai facenne ancor peggio, lascia sta’ a ‘sta maronna e
vieni cu’ nuje!»27 si intromise Marcus.
Sembrava quasi un dialogo ilare tra bimbi che giocano a “guardie e ladri”, poi però,
senza av- visaglie, come una costruzione che collassa al- l’improvviso per una
subdola infiltrazione d’acqua che ne ha rotto gli equilibri statici, o’Giust perse il
controllo e fuori di sé urlò in modo disumano «No! Mai! Jatevenne e lassa- teme
sta’!»28
Il fuorilegge si spolmonò.
Nell’urlare spasmodico premette ancora più
forte la lama alla gola della donna.
25 Giusto, cosa credi di fare, ti abbiamo riconosciuto, dài su, tanto abbiamo trovato le dosi, adesso
devi arrenderti, non fare stupidaggini e vieni con noi che è meglio per te
26 Sì, col cavolo che vengo con voi così mi fate il “servizio”
nelle celle, ma a me piacciono le donne e non mi farei
mai sodomizzare da due gay come voi!
27 Ehi, dài… su, non dire sciocchezze stai peggiorando la
tua situazione, lascia stare questa poverina e vieni con noi!
28 No! Mai! Andate via e lasciatemi in pace!
Il teorema Codazzi 25
Forse non voluto, ma, sull’onda emozionale, il movimento della mano divenne
leggermente tangente e produsse un piccolo spostamento la- terale della lama. A
Marcus parve di sentire il rumore della pelle tesa che si lacerava.
Lei per la prima volta urlò e si dimenò. Allora senza pensarci, quasi come una reazione meccanica, l’uomo procedette stavolta al taglio della gola.
Marcus riuscì a vedere come, durante il mo- vimento laterale della lama seghettata, la
cute della gola, agganciata alla dentellatura della lama, ne seguiva la direzione sino a
tirarsi come la pelle di un tamburo, per poi lacerarsi in pic- coli tagli che si univano in
un unico grande squarcio. La donna urlò nuovamente, ancora più forte, e nel contrarre
i muscoli della laringe pompò il sangue facendolo sgorgare come una fonte dal taglio.
Che fossero a mandorla o tondi, chiari o scuri, per Marcus gli occhi parlavano una
lingua universale comprensibile a ogni uomo nobile del pianeta.
Lui, in quell’istante, lesse in quelli della donna un terrore senza fine, amplificato dal
rumore surreale di un gargarismo di sangue che lei pro- dusse nel tentativo di urlare
per liberarsi di quel terrore.
Marcus nella sua carriera aveva sopportato ben altro, senza mai perdere il controllo,
ma adesso quegli occhi gli parlavano e senza capire bene perché, sparò!
26 Salvio Fiore
C’era talmente tanta adrenalina nell’aria che davanti a sé Marcus riuscì a vedere il
proiettile che entrava nella fronte dell’uomo, i confini netti del buco che
immediatamente diventa- vano confusi dal sangue. L’uomo cadde a terra come una
vecchia corda d’ormeggio dismessa e gettata su un pontile, la donna lo seguì nella
caduta, la folla urlò. Dal gruppo di curiosi si staccarono quattro asiatici che piangendo
si precipitarono a soccorrere la ragazza.
«Amanthi!… Amanthi!…» indicò a Marcus una donna in lacrime come per dirgli che
si chiamava così.
Marcus era imbarazzato, inoltre la donna fe- rita non aveva mai smesso di guardarlo
dritto negli occhi, mai! Nemmeno adesso che giaceva in una pozzanghera di sangue.
Lo aveva sem- pre chiamato, voluto vicino in suo soccorso, con gli occhi la donna gli
aveva detto questo e molto altro ancora. Di fatto si accasciò su di lei e iniziò ad
accarezzarle il volto.
Per fortuna notò che il taglio non era pro- fondo, o meglio lo era, ma forse, fermato
dalla morte, il malvivente non aveva avuto tempo per far compiere alla lama un giro
più ampio del collo e farla giungere quasi sotto le orecchie dove passano le carotidi.
Invece ti hanno fatto una bella tracheotomia, mia bella Amanthi, stai tran- quilla non morirai,
pensò, e lei, che lo guardava ancora negli occhi come a leggere il suo pen- siero, rise e
si illuminò in volto.
Il teorema Codazzi 27
Accidenti quanto è bella, si disse Marcus, poi giunse Luca, che mettendogli una mano
sulla spalla osservò ridendo «Marcus ti sarai inna- morato?»
Lui, all’udire la voce dell’amico, si destò come da una trance, si girò verso di lui
rivelandogli le proprie lacrime.
«Che schifo, perché tanto orrore in questa città, cosa c’entrava questa povera
ragazza?»
«Marcus andiamo, ho già chiamato un’ambu- lanza, intanto sono arrivati quelli della
mobile, lo sai dobbiamo andare a fare rapporto.»
Uno scoiattolo giocherellava con una ghianda fuori alla finestra della sua camera
d’albergo. La bucolica visione lo riportò al presente e alla realtà venezuelana. Lasciò lo
struggente ricordo di Amanthi e iniziò a scrivere la terza e ultima cartolina.
Fabiola Teldu
Largo Tarsia, 19
80135 Napoli - Italia
Non vedo l’ora di ribeccarti su un tatami per spez- zarti le ossa... Ehi! Non fare quella faccia, sai
bene che scherzo, infatti sebbene tu sia donna ti temo come po- tenziale avversaria.
Sappi che la mia breve vacanza volge al termine ma per me sette giorni all’estero e lontano da
Napoli val- gono molto di più, tanto è vero che mi sembra di es- sere partito da molto più tempo.
Tvb tuo collega Marcus
28 Salvio Fiore
Fabiola era una poliziotta che lavorava con lui nel suo gruppo d’indagine. A volte
pattuglia- vano insieme per strada, in auto o in moto, ma per lo più lei faceva attività
di investigazione. Era una tipa così schiva e riservata che di lei non si sapeva quasi
nulla, se non che era venuta dalla Sardegna, perché trasferita d’ufficio. Aveva
ventisei anni ed era una poliziotta non molto colta ma intelligente, sveglia e aggressiva. Era una esperta di brazilian ju jitsu.
Questa arte marziale era di origini brasiliane. Nata in tempi recenti stava
velocemente sop- piantando le più svariate tecniche di difesa e of- fesa adottate dai
corpi di polizia di tutto il mondo. Essa si basa su un’infinità di tecniche di
immobilizzazione dell’avversario nella lotta a terra. La sua efficacia, infatti, verte sul
princi- pio che in un qualsiasi scontro corpo a corpo ci sono molte probabilità di finire
a terra.
Marcus era uno sportivo. Per tutta la durata delle scuole superiori e l’università
aveva sempre fatto sport. La sua fissa erano i pesi, la corsa, la bici e le arti marziali.
Un giorno, in palestra, durante uno stage di autodifesa in collaborazione con la
polizia bra- siliana, tutto il reparto falchi era attento alle di- mostrazioni. Il maestro, un
sergente piccoletto, delle forze speciali della polizia di Rio de Ja- neiro, forse aveva
notato qualche screzio tra i due e di fatto ordinò a Marcus di combattere proprio
contro Fabiola.
Il teorema Codazzi 29
Marcus non era un maschilista nella vita, ma a volte durante le lunghe giornate di
lavoro in questura, forse per banale cameratismo tra col- leghi, diceva frasi ironiche di
scherno sulle col- leghe. Un giorno, Fabiola era presente, lui pose a tutti con voce alta
un indovinello sulle donne:
«Sapete perché le donne hanno i piedi pic- coli?...» Disse, poi, creando un minimo
di pausa, dando per scontato che nessuno volesse provare a dare la soluzione,
aggiunse: «…Per poter stare meglio vicino ai fornelli». Era verso la fine della giornata
di lavoro e tutti, stanchi e desiderosi di distrarsi, sopravvalutando la co- micità della
battuta, scoppiarono a ridere, tranne Fabiola che, con una faccia tesa e ine- spressiva,
si avvicinò a Marcus, lo prese con la mano per un polso e lo strinse forte.
“Tu, il mio quarantuno di piede, lo vedrai molto da vicino! Te lo assicuro”. Parlò con
una sicurezza e con un tono così algido e sicuro, che nell’ufficio nessuno proferì una
parola, nes- suno, nemmeno chi avrebbe voluto farle notare che era solo una battuta.
Lei mollò il polso di Marcus, gli diede le spalle e uscì dall’ufficio sbattendo la porta.
Gli altri ripresero a ridere, Marcus si unì a loro. Ma il suo adesso era un sorriso amaro,
la collega lo aveva messo in ridicolo. Da allora lei lo trattava con freddezza, mostrando
quasi di non gradire i tentativi riconcilianti di lui. Questo fu troppo per Marcus che
iniziò a prenderla in antipatia.
30 Salvio Fiore
Di fatto su quel tatami ci arrivarono con i nervi tesi al limite e, cosa incredibile,
davanti a tutta la sezione “falchi”, Marcus le prese di santa ragione. Mentre verso la
fine dell’incontro lei lo teneva immobilizzato e prigioniero a terra gli portò un piede
alla faccia e gli disse a voce alta in modo che tutti potessero sentire: “Piedi piccoli da
poter stare meglio vicino ai fornelli? Lo vedi il mio? Te lo avevo detto che lo avresti
visto da vicino, ricordi? È quarantuno! Credi sia piccolo?”.
Tempo dopo, in una sera di una torrida estate napoletana, però accadde un episodio
inaspet- tato. Erano di pattuglia insieme, Fabiola era al volante, lui, dopo aver
intravisto un tipo evaso dagli arresti domiciliari, segnalato da una foto affissa sulla
bacheca della questura, le ordinò impetuosamente di accostare e si fiondò all’inseguimento. Fabiola, espletato il protocollo di abbandono momentaneo dell’auto di
servizio, un po’ in ritardo si unì alla corsa.
Quando li raggiunse, tra il collega e il ricer- cato c’erano circa tre metri, stavano uno
di fronte all’altro e Marcus aveva puntata una pi- stola all’altezza della faccia.
Fabiola sentì: «Ehi invertito stai per morire, io non mi faccio arrestare, io dentro non
ci torno e ti ammazzo perché non ho nulla da perdere!»
L’evaso aveva parlato in napoletano, Fabiola era sarda e aveva sempre un po’ di
difficoltà a capire il dialetto, ma intese il senso e allarmata
Il teorema Codazzi 31
notò un aumento della tensione nei tendini del dorso della mano che stringeva la
pistola.
Questi divennero più evidenti come a voler uscire fuori dalla pelle. Fabiola capì e si
lanciò con un balzo sulla traiettoria supposta tra Mar- cus e il proiettile. E in effetti lo
sparo ci fu e Mar- cus, in preda a uno dei tanti automatismi motori cui si era
allenato per anni, per un milli- secondo non si curò di sé e nemmeno di cosa fosse
accaduto alla collega, ma diede prece- denza alla reazione. Veloce come un dardo
estrasse la pistola e sparò anch’egli. Poi, per qualche secondo, un silenzio artico. E lui
in quel momento voleva essere davvero nell’artico, cir- condato da migliaia di
chilometri di candido e silenzioso bianco, invece che in quella calda su- dicia stradina
zuppa di sangue. E, come se dav- vero si fosse estraniato per essere altrove,
nauseato, per un attimo, non vide, ma forse non voleva vedere, non gli importava, che
i suoi due unici colpi erano andati a segno. Non si curò dell’evaso colpito ma si
precipitò su Fabiola.
In alto, ai confini estremi del concetto di bello, la bellezza si fonde in un tutt’uno con
la mo- struosità, come quando ridere e piangere, se esasperati, diventano la stessa cosa,
e Marcus, nonostante l’avesse giudicata male, guardò la collega insanguinata e resosi
conto del meravi- glioso gesto che aveva compiuto fu colto da un irrazionale impulso
sessuale. Lì, mentre lei san32 Salvio Fiore
guinava abbondantemente da una spalla, avrebbe voluto baciarla violentemente e
farci l’amore. Sì, lì! Proprio in quel momento e su quei luridi cubetti di porfido di quel
vicoletto sconosciuto, dove era arrivato durante l’inse- guimento senza capire in che
luogo fosse finito. Quello strano impulso fu breve come la vita
di una favilla. Ma destinate a durare erano la stima e la gratitudine che, in quell’ignoto
vico- letto, avevano fatto breccia nel cuore di Marcus. Imbrattandosi copiosamente di
sangue, abbracciò la collega in un pianto convulso carico di disperazione.
Rilesse le tre cartoline che aveva scritto, si compiacque con se stesso per come le
trovava belle. Viaggiare gli dava l’ispirazione per scri- vere. Rifletteva che ci sono certi
pensieri che non ci verrebbero mai seduti a una scrivania, con una penna, davanti a un
foglio bianco. Certi pensieri, i più belli, nascono dal movimento, dal trovarsi in posti
nuovi, dalla nostalgia dei ri- cordi, dalla memoria olfattiva, dal suono di una musica
già sentita in una esotica sera d’estate.
Adesso era ora di pensare a mangiare. Allora diede un ultimo sguardo a ciò che aveva
scritto e si diresse verso il bagno per fare una doccia.
Si spogliò e, come sempre faceva, buttò i v e - stiti disordinatamente a terra,
usandoli al- l’uscita della doccia come un tappetino per non bagnare a terra. Si
guardò allo specchio.
Il teorema Codazzi 33
Aveva un bel fisico, lo sapeva. Da piccolo era un bimbetto denutrito, magro ed esile,
ma il suo sguardo di fuoco già lasciava intendere che il suo sistema nervoso iperattivo,
alla fine della sua maturazione, avrebbe preteso di coman- dare una vivace massa
muscolare. E così fu. Adesso, alla soglia dei trent’anni, il suo corpo, incoraggiato dalla
continua pratica sportiva, era perfettamente atletico e muscoloso, ma non alla maniera
goffa di un culturista.
Dopo la quarta notte venezuelana, la seconda a Colonia Tovar, fece un giro a Ciudad
Bolivar nella Guyana. Lo scopo di quella meta ai confini della foresta amazzonica
venezuelana era una escursione nella jungla, per visitare salto Angel. La cascata più
alta del mondo. Di lì, fece tappa a Cumanà, per poi ritornare a Caracas e quindi in
Italia. La sua vacanza era finita.
Al check-in aveva chiesto un posto accanto al finestrino: guardare fuori da un aereo
che vola a undicimila metri di altezza contribuiva ad au- mentare quella sensazione di
distacco dalle cose terrene di tutti i giorni. Faceva un rapido rias- sunto del viaggio.
Gli era indubbiamente piaciuto, era riuscito a staccare la spina e a dimenticarsi di se
stesso e del suo affannoso lavoro. Ma in quel viaggio qualcosa in particolare lo aveva
colpito: un gruppetto di stranieri, incredibilmente, aveva cambiato la terra che li aveva
ospitati.
34 Salvio Fiore
Un manipolo di biondi coloni tedeschi era riu- scito a invertire il destino di una terra
distrutta da secoli di dura colonizzazione, lacerata da una sanguinosa guerra per
l’indipendenza dalla corona spagnola e da accese dispute in- terne. A lui, l’operazione
di Codazzi sembrò un benefico cavallo di Troia.
Quegli uomini vennero da lontano, si inse- diarono pacificamente, dapprima
seguirono le proprie tradizioni, poi, gradualmente, si inseri- rono nel tessuto sociale
venezuelano, dando ini- zio a un naturale processo di trasformazione, grazie al quale
l’efficienza tedesca si insinuò nel disordine latino.
Un’idea arrembò la sua testa: è possibile snatu- rare una terra. Pensò, allora, a suo padre
Daniele e al suo quasi surreale tentativo di cambiare Napoli .
Il teorema Codazzi 35
Capitolo 2
Al suo rientro all’aeroporto c’erano ad acco- glierlo Luca e Fabiola. Marcus ne fu
felice anche se immaginava che li avrebbe trovati a riceverlo. Luca gli parve rilassato,
aveva un’aria spen- sierata. Fabiola, invece, era ancora più affasci- nante. Abbronzata,
il bianco dei suoi occhi e quello della sua dentatura risaltavano a tal punto da
sembrare il colore finto di un poster
pubblicitario ritoccato al computer.
La bellezza di Fabi lo turbava e Marcus si
chiedeva se provasse qualcosa per lei. Ma subito scacciò quella idea. Lui piuttosto guardava
a Fabiola come un mite contadino pagano a una
dea guerriera che venerava: avrebbe sgozzato,
sacrificandoli, tutti i suoi montoni per offrirglieli, ma mai avrebbe pensato di poterla
amare. Si abbracciarono e si baciarono, poi decisero di andare subito al bar dell’aeroporto per
prendere un caffè e scambiare due chiacchiere
comodamente seduti. Appena accomodati, in
attesa delle bevande, Marcus aprì il suo unico
zaino e tirò fuori due pacchetti. Uno era per
Luca, l’altro per Fabiola.
Da un’amicizia forte, nascono sentimenti e curiosità forti, difficili talvolta da controllare, così
Il teorema Codazzi 37
i due colleghi scartarono i regali di Marcus con l’avidità di due bimbi che ricevono un
regalo desiderato da tanto.
Marcus li osservava divertiti.
«Mi sembrate due mocciosi» disse.
«Sta’ attento, non credere che questo regaluccio mi farà dimenticare quello che mi hai scritto
nella cartolina» minacciò Fabiola, con la mimica
di chi amorevolmente punzecchia un amico.
Ma Marcus sapeva benissimo che scherzava,
così come sapeva pure che comunque al prossimo allenamento, Fabiola lo avrebbe sfidato
per via di quello le aveva scritto. Rise divertito
all’idea. Luca fu il primo ad aprire il regalo. Era
una fontana in miniatura, di terracotta, alquanto spessa e pesante, alta circa venti centimetri e larga dieci. Era fatta di un muro in
mattoncini marroni con al centro, in basso, una
foglia verde modellata per contenere l’acqua
che, a mo’ di cascata, cadeva da un’altra fogliolina verde posta più in alto di qualche centimetro. Al centro del muro e ai lati della foglia
superiore vi erano, in bassorilievo, due puttini
dorati. Posteriormente, nello spessore del muro,
trovava alloggio, nascosta agli occhi di un osservatore anteriore, una piccola pompa idraulica elettrica, di quelle in uso nei filtri degli
acquari, che in un ciclo continuo riportava l’acqua dalla foglia inferiore a quella superiore.
«Sì, lo so, è un po’ kitsch, ma ho pensato che
il suono dello scroscio dell’acqua ti avrebbe
38 Salvio Fiore
fatto piacere durante i tuoi esercizi di yoga» disse Marcus, mentre con una mano
stringeva una spalla di Luca, guardandolo negli occhi.
«Ecco adesso ci scappa un bacio, e così tutti avranno ragione di pensare che siete la
coppia sbirra gay» disse sarcastica Fabiola.
Luca la guardò con un sorriso e lentamente fece salire la sua mano chiusa a pugno dal
basso fino a portarla davanti alla faccia di lei, quindi il pugno si aprì parzialmente nel
gesto del dito medio e allora disse:
«Fuck collega!»
«Sì, sì, fuck off brutta collega con i bicipiti da
trans!» si unì l’altro.
I tre iniziarono a ridere, l’armonia nel gruppetto era importante, non c’era mai posto per
battute rancorose. Fabiola ricevette un sacchetto
di plastica con dentro un qualcosa che le sembrava un collare poggiatesta gonfiabile per
aereo.
«Grazie Marchetiello», quando non si punzecchiavano, era questo il nomignolo affettuoso
con cui Fabiola lo chiamava.
«Prego Fabi, dài gonfialo!» Le disse Marcus,
facendo discretamente l’occhiolino a Luca.
A Fabiola non sfuggì quel segnale, ma iniziò comunque a gonfiare l’oggetto, con vigore, come fosse
il salvagente di un aereo durante un ammaraggio di
emergenza. Luca e Marcus ridevano da morire.
Fabiola non capiva, avendo l’oggetto così vicino, davanti al naso e agli occhi, ne perdeva la
Il teorema Codazzi 39
visione d’insieme e non si rendeva conto di che cosa stesse prendendo forma mentre
soffiava, quindi, stizzita e incuriosita dalle risa dei due, continuò a gonfiare, ma con un
ritmo più de- ciso e rapido, per porre fine alla tensione dello scherzo.
Era ormai evidente a tutti che era un enorme wurstel. Su di un lato Marcus aveva
scritto con un pennarello così forse sarai meno aggressiva.
La donna realizzò che era una salsiccia e fa- cendo gli occhi storti riuscì pure a leggere
che cosa c’era scritto e, resasi conto del riferimento sessuale, d’istinto smise di gonfiare
e involon- tariamente aprì le labbra. Davanti al bancone del bar dell’aeroporto
l’oggetto che ormai era già pieno d’aria partì come un razzo ed emise un sibilo,
descrivendo un ghirigori nell’aria.
Allora le risate di Luca e Marcus divennero convulse, miste a lamenti dolorosi tanto
gli a d - dominali dolevano loro. Non riuscivano a re- spirare ed ebri di gioia e
divertimento si accasciarono entrambi sul tavolino al quale erano seduti uno di fronte
all’altro. Nell’abbassarsi sul tavolino in metallo le loro teste cozzarono. Al- lora, senza
il minimo ritegno, per quanto fosse possibile, risero ancora più forte, mentre il rumore prodotto dalla testata riuscì a strappare un sorriso persino alla inviperita Fabiola.
«No, no... ehi…» Marcus cercava di dire qual- cosa a Luca ma non riusciva a parlare.
40 Salvio Fiore
«Ehi Marcus… che c’è?»
«No... no... ti... rendi conto che... ancora...
non… » e di nuovo risate.
Intanto la scena aveva attirato l’attenzione dei
molti presenti al bar, ma le risa erano talmente
forti e incontrollate che i più lontani, scambiando il fragore per il rumore di una rissa, si
spaventarono tanto che presero a guardarsi attorno circospetti stringendo protettivamente a
sé i bimbi. Ma i tre, come se fossero soli su tutto
il pianeta, continuavano imperterriti a giocare
cercando invano di comunicare tra loro.
«Ehi Marcus... ma… che vuoi dire?» anche
Luca rideva così tanto.
«Ohi, ohi... Luca scusa ma… ma… non riesco
a parlare… mi fa male… la pancia...»
«E basta voi due!»
Marcus stava cercando di farsi passare la crisi
di risa per poi riprovare a parlare:
«Ehi Luca, aspetta, forse adesso ce la faccio a
dirtelo…»
«Dimmi, dimmi!»
«Ti rendi conto? Quando dirò a Fabiola che le
ho preso la misura più grande, allora ci sparerà!»
E risero ancora per qualche minuto fregando-
sene del mondo intero.
Fuori dall’aeroporto, una volta in auto, si diressero verso casa di Marcus. Erano felici di ritrovarsi. Accidenti, pensò, ancora non aveva
riacceso il cellulare.
Il teorema Codazzi 41
Lo fece immediatamente e sullo schermo lam- peggiò un messaggio di Amanthi :
Marcus, sei arrivato? Marcus si sentì in colpa per non averla avvisata del suo avvenuto
rientro.
Congedati i colleghi, salì a casa. Abitava al terzo piano di un palazzo in via Monte di
Dio.
Il Monte di Dio era la strada principale di un piccolo promontorio impregnato di
storia fino all’ultimo granello di terra che lo costituiva.
Era noto anche come “la collina di Pizzofal- cone” e si ergeva come un
prolungamento del Vomero verso il mare a cui non poteva arrivare perché abbracciata
dolcemente, in basso, da via Chiatamone.
Lui adorava il posto in cui viveva. Sebbene ubicato tra due quartieri piuttosto agitati,
i Quartieri Spagnoli e il Pallonetto, il Monte di Dio era forse una delle poche zone di
Napoli dove la storica nobiltà e poi la borghesia, con- vivevano relativamente a
contatto e in armonia con il popolino, che era lì, a due passi, nei tene- brosi palazzi e
nei suoi angusti e umidi bassi.
Il Monte di Dio era un crocevia di illeciti traf- fici e storie di amori e amicizia tra gli
abitanti dei Quartieri Spagnoli e quelli del Pallonetto. Tuttavia nei secoli era riuscito a
rimanere una zona luminosa e distinta.
In un palazzo di quella strada c’era la sua abi - tazione, un’oasi di pace e silenzio, al
centro della caotica Napoli.
42 Salvio Fiore
Aprì la porta di casa, alle narici gli giunse su- bito un odore di chiuso, per cui si
diresse deciso ad aprire i balconi che davano su un lussureg- giante giardino. Una
fresca folata, odorosa di umido verde, lo investì,
Poi iniziò a espletare tutta quella peculiare serie di operazioni che si fanno in una
casa di ritorno da un viaggio. Aprì l’acqua, il gas, pigiò l’interruttore del contatore per
dare corrente alla casa, diede un’occhiata di qua, un occhiata di là, poi si sedette sul
divano per fare alcune telefonate. Lì, stravaccato comodamente, gettò un’occhiata di
lato, sul tavolino dove c’era il telefono fisso, e per l’ennesima volta si soffermò
nostalgicamente sulla cornice che conteneva, come a difenderla dal tempo, una foto di
sua sorella Claretta. Ormai da qualche anno si era trasferita con il marito a Modena, e
Marcus sorrise al ricordo della sorella, nonostante, adesso stesse riassaporando il
dispiacere del distacco di quando, un giorno di quattro anni prima, Claretta lo volle a
Procida per dirgli che di lì a poco si sarebbe trasferita in un’altra.
Accanto alla foto della sorella c’era quella di tutta la famiglia, del padre Daniele, della
madre Isa e di lui e Claretta da bimbi. In un angolo del- l’immagine, un po’ defilato, si
intravedeva per- fino Breen, il loro cane.
Avevano tutti il sorriso sulle labbra tranne Marcus che invece pareva stesse, come suo
so- lito, con la testa tra le nuvole. Isa indossava una lunga tunica verde acqua, con il
collo a “v”
Il teorema Codazzi 43
adornato con una striscia di piccolissime pail- lettes azzurre e turchesi, larga circa tre
centi- metri. Aveva i capelli lunghi, di un naturale nero corvino, raccolti in una robusta
coda di ca- vallo, ai lobi due vistosi orecchini. Teneva tra le mani una borsa di canapa,
con dentro delle in- salate appena colte dall’orto. Tra Isa e Daniele vi era la bella
Claretta. La timida sorellina era abbastanza alta per essere una bimba vietna- mita di
quattordici anni. Era magra, con una faccia regolare, certamente bella, ma lo sarebbe
stata ancora di più, se non fosse stato per l’aria da cerbiatto spaventato che aveva,
come un ta- tuaggio, perennemente stampata sul volto. Era in piedi poggiata, come
alla ricerca di prote- zione, al fianco sinistro del padre Daniele. Stava quasi aggrappata
all’unico braccio dell’uomo in un atteggiamento di timidezza verso l’obiettivo. Il
padre, era alto, grosso, anche un po’ grasso
ai tempi di quella foto. Lì doveva avere circa sessantadue-sessantatré anni, aveva i
capelli leggermente lunghi e una folta barba bianca.
Il cane parve muoversi e abbaiare senza pro- durre alcun suono.
Daniele era vestito in maniera tale da ricordare un colono della California ai tempi
del west.
Aveva un pantalone di cotone blu mare, largo, con una corda in vita al posto della
cin- tura. Sopra, una maglia bianco ghiaccio a ma- niche lunghe, di spesso cotone, un
po’ sporca
44 Salvio Fiore
come potrebbe esserlo la maglia di un qualsiasi contadino.
Marcus sentì il vento sulla faccia, poi in lon- tananza come il rumore di onde che si
frange- vano sulla costa.
Sulla maglia, attorno al collo, Daniele portava un foulard azzurro e un panciotto di
renna, che scendendo davanti si apriva su un pancione tondo e sodo che dava all’uomo
la fisicità di un Buddha.
Il cane sembrò abbaiare ancora…
«Eddai Breen smettila, ma non vedi siamo
solo noi? A cosa o chi stai abbaiando? al vento,
alle foglie? …vedi Marcus? In famiglia abbiamo
un cane poeta, questo testone abbaia alle foglie,
all’aria, alle nuvole» disse Daniele ridendo.
Tutti si unirono alle risa.
«Marcus, piccolo, dai una mano alla mamma
con la borsa della spesa
«Certo babbone!»
E lui, con l’irruenza dei bimbi, quasi strappò
la borsa di mano alla madre che dall’alto lo
guardò e sorrise ringraziandolo.
«Clara, perché non vai in cucina e inizi a disporre la tavola?» disse Isa amorevolmente rivolta alla figlia adottiva.
«Ma certo mammina, corro!»
Marcus li guardò a uno a uno, erano tutti felici, sereni. E poi quella fresca brezza marina che
investiva l’isola di Procida ancora un attimo
Il teorema Codazzi 45
prima dell’imbrunire. Era tutto così bello, tutta la famiglia insieme, tutto era leggero,
semplice...
Driiinnn…
Quel maledetto campanello lo riportò al pre- sente. Come a cadere dall’alto si ritrovò
sul di- vano di casa a fissare la foto. Riprese possesso del suo corpo. C hi cavolo sarà?
pensò infastidito. Si alzò e si diresse verso la porta di casa.
«Chi è?»
«Signor Poenia sono io Cecilia.»
Cazzo no pensò senza parlare, mentre invece disse:
«Ciao Cecilia aspetta che ti apro…»
Aveva parlato mentre le apriva la porta, nemmeno l’aveva ancora guardata in faccia.
Cecilia era la sua vicina di casa. Era single per aspetto e single pure per modo di fare,
parlava sputando parole come una mitragliatrice, era le- ziosa, grassa, tirava di
continuo su con il naso, anche d’estate, come se avesse un perenne raf- freddore, ed
era follemente innamorata di lui.
Marcus aveva sopportato sempre con genti- lezza quegli arrembaggi, ma quella sera
era ve- ramente stanco. E infatti, aprì la porta quasi a fatica.
«Ecco fatto… Ciao Ceci, come stai?»
Accidenti l’ho chiamata Ceci, invece di Cecilia
pensò tra sé. Si sforzava di mantenere un minimo di distanza da una vicina troppo invadente.
46 Salvio Fiore
«Scusa… volevo dire… ciao Cecilia, come va?»
«Eh capirai, ma chiamami pure Ceci, Marco-
lino mio, tutti i miei ex, mi chiamavano così»
disse lei con un fare lezioso che lo stizzì alquanto.
«Cecilia scusami non vorrei sembrarti scortese, ma sono appena rientrato da un lungo
viaggio e sono molto stanco. Volevi dirmi qualcosa?» disse lui, sforzandosi di produrre con la
mimica facciale un’espressione gentile che compensasse in parte la durezza delle sue parole.
Ravvide sul raggiante volto di lei un adombrarsi triste come al passaggio di un grosso nuvolone nero.
«Beh, sì certo, Marcolino… scusa Marcus…
Volevo solo dirti che, un giorno sì e un giorno
no, ho dato acqua alle tue piante qui fuori sul
ballatoio. E in particolare, a quelle grasse quattro giorni no e uno sì, ma tra le grasse ho notato
che Agatina, si stava un po’ rattristando, e
quindi…»
«Aga, che?... Scusa tesoro ma tu dai un nome
alle mie piantine grasse?»
Cazzo di merda! Ma sono così stanco? Adesso l’ho
chiamata addirittura “tesoro”!
Ora con quel suo involontario fraseggio con-
fidenziale l’aveva caricata come una palla di
cannone, ci sarebbero voluti dei pit bull per fermarla, era un fiume in piena, uno tsunami.
E infatti lei era diventata logorroica.
Il teorema Codazzi 47
«Allora Marcuccio, poi ho spazzato davanti alla soglia di casa tua; mi sono occupata
della tua posta, ho mandato a quel paese due testi- moni di Geova che insistentemente
bussavano alla tua porta e…»
«Ceci… Cecilia, scusami, ne parliamo domani adesso devo andare a dormire,
perdonami!» Chiuse deciso la porta dietro di sé, immagi- nando il volto di Cecilia
come un dorato campo di grano su cui calano definitivamente dei neri nuvoloni per
tutta la notte, se ne dispiacque, ma nel contempo sorrise tra sé.
Tornò sul divano per chiamare Amanthi. L’intermezzo inopportuno della vicina non
era bastato a cancellargli del tutto le reali sen- sazioni di quel tuffo nel passato: si sentì
male- dettamente solo al pensiero di aver perso già entrambi i genitori a trent’anni.
Come per una premurosa attenzione la mente lo traslocò di peso sul ricordo di
Amanthi.
E subito il vuoto lasciato dai genitori fu riem- pito dal pensiero dell’amore per lei.
Sorrise, prese il cellulare e la chiamò.
48 Salvio Fiore
Capitolo 3
«È arrivato un documento importante dal mi- nistero degli interni.»
Erano nel loro ufficio della Questura di Na- poli e Marcus ascoltava Luca che si era
seduto sulla sedia comodamente, come chi intende parlare a lungo.
«Tu sai che l’ufficio statistiche della Prefettura di ogni città, dopo aver ricevuto i dati
dalla pro- pria questura, li invia annualmente al Ministero degli Interni di Roma.»
«Sì, certo lo so» tagliò corto Marcus, come vo- lesse far capire all’amico che preferiva
un ritmo di conversazione più veloce e conciso.
«Okkei! In poche parole a Roma, qualcuno è andato a comparare i dati sulla
criminalità na- poletana di quest’anno con quelli degli anni a ritroso, fino a spingersi a
un decennio fa.»
«Allora ci è arrivata un’altra tiratina d’orec- chie da Roma?» sbottò Marcus, ridendo.
«No, no, è questa la cosa strana, si compli- mentano con noi!»
«Eddai Luca che storia è mai questa?»
«Ma no Marcus, parlo seriamente. Si congratulano con la Prefettura e, quindi, indirettamente con noi per il netto miglioramento della
situazione»
Il teorema Codazzi 49
«Ma se andiamo di male in peggio» rispose scetticamente l’altro.
«Ehi, ti ripeto sto parlando seriamente, se vuoi ti faccio vedere il fax del Ministero e
anche le statistiche sui Quartieri Spagnoli.»
«Aspetta Luca! Dunque quando parli di stati- stiche, comparazioni, miglioramento,
compli- menti e quant’altro, ti riferisci solo all’area dei Quartieri Spagnoli e non
all’intera città?»
«Sì!»
Marcus restò immobile, pensieroso, qualcosa
era andato a segno nel suo inconscio, Luca, for-
tuitamente, aveva gettato una chiave e questa miracolosamente si era infilata, al volo, nella toppa
di una porta che aveva aperto la sua mente.
In una sequenza talmente rapida che era più
una sovrapposizione, pensò ad Amanthi, la sua donna Srilankese, che viveva sui
quartieri.
Lei, appena arrivata a Napoli per sfuggire a un destino di miseria nel suo paese, fu
subito presentata da Hinni, un’amica dello Sri Lanka, a una ricca signora del Vomero
che aveva biso- gno di una governante. La signora incoraggiata dalle parole di
garanzia di Hinni e rapita dalla bellezza e regalità della nuova venuta, le offrì un
periodo di prova che Amanthi superò bril- lantemente.
«È incredibile! A casa mia non so mai in che posto si trovi perché riesce a spostarsi e a
lavo- rare senza fare il minimo rumore…» disse la vec50 Salvio Fiore
chia ricca ereditiera del Vomero a una sua canuta amica, mentre, insieme,
sorseggiavano una bol- lente tazza di tè nel vetusto salotto davanti a un camino spento
di marmo bianchissimo.
Amanthi ebbe in poco tempo il suo lavoro, dopo soli tre giorni che era arrivata
dall’oriente. Guadagnò da subito ottocento euro al mese, una cifra esorbitante per i
suoi standard econo- mici. Fu così che si poté permettere una casa in fitto, anche se in
una stradina dei Quartieri Spa- gnoli, vico Storto Concordia, uno dei luoghi più
inquieti dell’intero quartiere. A lei quell’intri- gato succedersi di vicoletti le sembrò
tanto strano, da essere pittoresco. Pensò che per es- sere una città della bella Italia quel
fitto doveva essere buono, e con l’occhio generoso della tu- rista, più ammaliato dalla
novità che spaven- tato dalla miseria, si accontentò di un “basso” per trecento euro al
mese.
Marcus quindi pensò a tutti quegli Srilankesi che vivevano nei Quartieri Spagnoli;
cinque anni di pattugliamenti, tra quei vicoletti, a bordo della sua moto con Luca
gli scorrevano davanti agli occhi.
Poi pensò a Colonia Tovar e a suo padre Da- niele. Dentro di sé gridava Eureka, bingo,
ho ca- pito cosa sta succedendo ai quartieri!
«Ehi, Marcus dove sei ? Ti ho perso... ma sei in trance?»
«Beh… è chiaro!» disse lui come effettiva- mente destandosi da uno stato di trance.
Il teorema Codazzi 51
«Cosa diamine sarebbe chiaro? Ehi torna sulla terra, fammi capire.»
«Nulla, scusa Luca, davo solo voce a dei pen- sieri, magari te ne parlo con calma.
Adesso mi è venuta un’irresistibile voglia di vedere Aman- thi. Stacco per pranzo e
vado a vederla. Ne par- liamo dopo guagliò, sperando ci sia pure Fabiola.»
Uscì dagli uffici della Questura e si diresse alla sua moto, era la stessa che usava
quando lavorava in polizia come falco. Durante la tele- fonata della sera prima, aveva
preso appunta- mento con Amanthi a una baghetteria del centro dove avrebbero
mangiato un’insalata in tranquillità. Per motivi di sicurezza, soprattutto di Amanthi,
lui evitava, tutte le volte che po- teva, di andare a prenderla a casa.
Lei abitava nel cuore dei Quartieri Spagnoli, e la faccia di lui, come la sua moto, era
ben cono- sciuta da molti malviventi che, quando era un falco, in un modo o nell’altro
avevano dovuto fare i conti con lui.
Non temeva per sé, aveva continuato a pas- sare per i Quartieri Spagnoli tutte le
volte che era necessario. E se qualcuno lo guardava storto o si lasciava sfuggire qualche
battutina, lui i n - chiodava la moto, scendeva con decisione e con cattiveria si
avvicinava fin quasi a toccare e a sentire il calore emanato dal volto dell’altro e,
sfoggiando il suo napoletano perfetto, diceva
52 Salvio Fiore
“Ma propje mo’, can un so’ cchiù falco, ‘e ‘a ri- cere sulo ‘na parola e t’accire ‘e
mazzate”2 .
9
Di solito, con questo suo modo di fare, aveva sempre la meglio e allora lui si
rimetteva fiero e dritto sulla moto come quando pattugliava quei vicoli e andava al suo
destino.
Li aggrediva, li affrontava sul loro stesso piano psicologico e dialettale.
Aveva imparato che, per lo più, la mentalità della gente cresciuta per strada porta
questa a usare come prima arma di offesa il bluff, cioè una serie di comportamenti
verbali e di lin- guaggio corporeo atti a intimorire il potenziale avversario, e in questo
il napoletano era il mi- gliore.
Arrivò alla baghetteria che già Amanthi era l ì ad attenderlo. La guardò in volto e
rivide nei suoi occhi lo stesso richiamo silenzioso di quel giorno in cui un balordo tentò
di sgozzarla.
«Mannaggia!» esclamò lui, la moto gli era par- tita di sotto con un guizzo,
spegnendosi.
Mentre, sorridendo, Amanthi lo fissava negli occhi, si era imbarazzato come un
bimbo alla prima cotta e, distratto, aveva sbagliato a met- tere in folle.
«Joe falchetto, vedi? Faresti meglio ad andare su una cuccia volante?»
29 Ma proprio adesso che non sono più un falco, devi dire una parola e ti uccido di botte.
Il teorema Codazzi 53
«Amore, sai che sono l’uomo più permaloso della galassia, dunque perché invece di
pren- dermi in giro non vieni subito qui e mi am- mazzi di baci?»
E lei gli si precipitò incontro annullando i pochi metri che li separavano in un istante.
Si baciarono per una ventina di secondi.
Lui fu pervaso dall’odore della pelle di lei,
dall’odore dei suoi nerissimi capelli. In bocca il
sapore della saliva di Amanthi gli parve un
nettare dolciastro che sgorgava bonario dalla
fonte più pura. Tutte quelle sensazioni estasianti lo fecero sentire perso, un animalesco impulso gli ordinò di fermarsi e di fermare lei.
Le mise una mano sullo sterno e dolcemente,
ma con avvertibile decisione, la allontanò. Ebbe
un fortissimo desiderio di guardarla in faccia
da vicino quasi a capire se fosse la sua Amanthi o una strega innamorata che lo stava seducendo con una pozione magica.
Lesse nel volto di lei il lieve stupore di chi non
capisce perché è stato interrotto un momento
magico senza un motivo.
«Scusa amore, mi è mancato il fiato per un attimo» disse lui, scusandosi e guardandola in volto.
Accidenti pensò Marcus, quanto cavolo era
magnifica la sua Amanthi. Si rese conto che non
si sarebbe mai abituato alla sua bellezza.
Amanthi aveva venticinque anni, era di carnagione leggermente olivastra, mediamente
alta e appena un po’ robusta.
54 Salvio Fiore
I lineamenti del volto non presentavano il mi- nimo difetto. Aveva un naso
proporzionato, con le narici molto tonde, tipiche dei popoli del- l’Asia. Appena più
su, come incastonati da mani divine, due occhi a mandorla un po’ più grandi della
media, verso l’esterno dell’ovale del volto puntavano decisamente verso l’alto,
dandole l’aspetto di una gatta. La bocca era tur- gida, carnosa e ben disegnata. Il labbro
sovra- stante correva da un lato all’altro, descrivendo una curva perfetta, quasi non
interrotta dal- l’arco di cupido, mentre quello inferiore ne era l’immagine speculare
come fosse il riflesso del superiore in uno stagno incantato. Le orecchie, piccole e dai
tratti perfetti, con pelle e cartila- gine disegnavano un gioco armonico di cavità, solchi
e depressioni, come la più bella delle pendici di una collina del paradiso. I capelli
erano liscissimi e nerissimi con incerti riflessi blu notte e, adesso che la vedeva, li
portava rac- colti in una lunga coda e aveva in testa, a raf- forzare l’ordine della
pettinatura, un cerchietto fermacapelli di plastica nera.
«No, tu non puoi stare in un basso, ti voglio portare via da lì!»
«Ehi Joe, ma cosa ti prende? Non ci vediamo da un po’ e la prima cosa mi dici è che
devo cambiare casa?»
«Amanthi, amore, hai ragione, scusami, ma io un fiore come te proprio non riesco a
vederlo in un basso.»
Il teorema Codazzi 55
«Marcus, io sono srilankese, per noi è diverso, io ci sto bene lì, tu sai come siamo
noi… Ci ac- contentiamo di poco.»
«Sì, lo so, e infatti non capirò mai come fate a sopportare quella gente che vive lì, a
subire da loro prepotenze, senza reagire.»
Marcus smise di parlare solo perché aveva notato uno scurirsi nel volto di Amanthi,
ed era cosa molto rara che lei si arrabbiasse.
E infatti con tono deciso, ma privo di sfuma- ture rabbiose confutò:
«Noi Srilankesi ci troviamo in un paese stra- niero del quale conosciamo poco la
lingua e nulla del dialetto locale, ignoriamo le usanze, e quasi nulla intendiamo del
perché le persone qui urlano e si agitano per un nulla o gestico- lano in quel modo così
esagitato. Spesso ci ag- grediscono verbalmente e fisicamente, ma noi per lo più non
reagiamo è vero, ma che ci gua- dagneremmo reagendo? Non fare l’errore, però, di
pensare che noi siamo un popolo vile e remissivo. Per contro, siamo abituati ai
30
conflitti, sappiamo combattere ed essere violenti, da quando Ceylon30 è stata creata
ci sono stati sem- pre conflitti interni, poi contro i colonizzatori portoghesi e olandesi
fino a oggi con la lunghis- sima storia di conflitti tra Srilankesi e tamil.»
30 Repubblica democratica dello Sri Lanka conosciuta anche come Ceylon.
56 Salvio Fiore
Lui l’ascoltava affascinato, pensava a come stesse imparando bene l’italiano, non
aveva commesso un errore. Poi lei, meno concitata- mente continuò:
«Ma, poi, i napoletani reagiscono? A me pare che di frequente la città di Napoli
finisca sui giornali, proprio perché, in seguito a qualche aggressione, nessuno dei
passanti ha soccorso le vittime.»
Smise di parlare e lo baciò, come a volergli fare intendere che si stava solo parlando e
non c’era nulla di cui arrabbiarsi. Poi aggiunse, con ancora il sapore di lui in bocca:
«Ma tu Marcus, non capisci qual è il nostro segreto?»
«No Amanthi, veramente me lo chiedo spesso.»
«Amore noi siamo il paese più buddhista del
mondo. E il buddhismo non è solo una religione, ma soprattutto una filosofia di vita. E se,
inevitabilmente, a casa nostra, per fame o tensioni religiose incappiamo in conflitti e guerre,
la nostra cultura buddhista ci ricorda sempre di
cercare la pace.»
Era vero! Marcus, una volta, era stato con
Amanthi nel suo paese di origine. Quando arrivò nell’isola di Ceylon la prima cosa che notò
fu la grazia del paesaggio e la gentilezza del suo
popolo. Il ritmo della vita era sorprendente, la
gente sembrava muoversi lentamente, le foglie
si agitavano con dolcezza e il mare accarezzava
silenziosamente la costa.
Il teorema Codazzi 57
Nulla sembrava avere fretta o la necessità di fuga da qualcosa. Immediato, in Marcus,
scattò il paragone con il mondo occidentale, dove ci si ammala di gravi malattie pur di
condurre una vita frenetica.
«Joe, noi cerchiamo la pace e la serenità nelle cose, in altre parole siamo alla costante
ricerca del bello.»
Marcus ascoltava la sua donna in silenzio, af- fascinato dalla capacità oratoria di lei
cui mai aveva fatto caso. Per un attimo provò fastidio all’idea di essere un napoletano.
Ma lei non si fermò, come se da tempo aspettasse l’occasione per liberarsi di un senso
di inferiorità.
«Inoltre, noi semplicemente rispettiamo le leggi, siamo educati da piccoli a farlo, e
non ci interessa se chi ci sta attorno le trasgredisce, non compete a noi educare il
prossimo specie se sta qui da sempre prima di noi. Falchetto r i - fletti! Se metti un
uomo che si cura della bel- lezza delle cose e che rispetta le leggi in una comunità dove
nessuno lo fa, vedrai che questi non disturba nessuno, anzi con la sua corret- tezza
entra meno in conflitto e in concorrenza con chi non osserva le regole.»
«Dài su, hai ragione, non ne parliamo più» la baciò tagliando gentilmente corto.
Odiava fare il despota, ma nonostante le belle e valide argomentazioni di Amanthi
lui cono- sceva i luoghi dove abitava la sua amata, molto
58 Salvio Fiore
meglio, ci lavorava. Sapeva che l’avrebbe por- tata via di lì, era un caso estremo, non
avrebbe accettato una mediazione.
Lei prese una baghette con tacchino e insalata, lui un cous cous con verdura e carne.
Parlarono per riempire con i loro racconti il vuoto di quei giorni in cui non si erano
visti. Ognuno dava al- l’altro, attraverso il proprio racconto, parte dei suoi ricordi per
dare continuità alla loro vita in- sieme. Lui le parlò di tutto e soprattutto di Co- lonia
Tovar, lei gli disse dei suoi giorni sereni, di una giornata al bosco di Capodimonte con i
suoi connazionali a giocare a cricket e badmin- ton e altri giochi strani. Mentre
discorrevano si guardavano negli occhi e bevevano un sorso e parlavano fissandosi
ancora e poi mangiavano un boccone. Alla fine furono sazi sia di cibo sia dei reciproci
racconti. Avevano collocato nella comune libreria del tempo quel volume di otto
giorni che mancava dallo scaffale di quell’anno.
Il teorema Codazzi 59
Capitolo 4
Arrivò in Questura e ad attenderlo nell’uffi- cio stavolta c’erano sia Luca che Fabiola.
«Marcus,» disse lei, «ho saputo da Luca di questa storia delle statistiche.»
«Bene, ma per favore ragazzi, acqua in bocca, non parliamone mai con nessuno.»
«Uuuh, ariecco il palloso Marcus!» disse scher- zosamente Fabiola.
«Ti prego collega, dài…» provò a risponderle serio. Ma Fabiola non mollava.
«Ti prego collega?! Accidenti, adesso mi chiamo collega e non più Fabiola? Dài
Marcus non esagerare!»
«Fabiola insisto! Non scherzare, che se rifletto sulla soluzione che ho trovato per dare
una spiegazione alla diminuzione della criminalità nei Quartieri Spagnoli mi vengono
i brividi. Vedo mio padre che si alza dalla tomba e inizia a ridere e cantare e a ballare»
«Ballare?… cantare?» Fabi stava iniziando a ridere quando: «…Ahi!... Cristo! Luca ma
sei impazzito?» urlò, perché il collega le aveva dato una violenta gomitata nel
tentativo di fermarla prima che continuasse con battute inopportune. Marcus si girò
verso la donna, si parlava spesso dello sguardo di fuoco di lui, ma lei non
lo aveva mai visto tanto vivido.
Il teorema Codazzi 61
La sarda capì al volo e tacque e nel silenzio percepì un leggero aumento della
lacrimazione negli occhi di lui. Si rese conto di essere stata inopportuna come non mai.
Fu Luca a rompere il silenzio in quello stallo imbarazzante.
«Marcus anche se ancora non ho la minima idea di cosa tu voglia da quelle statistiche,
per- mettimi di raccontare a Fabiola…»
«Sì, va bene, va bene, io vado a prendere un caffè» e uscì dalla stanza lentamente con
una postura leggermente ingobbita.
«Conosco Marcus, so che non se l’è presa con te, ma io ti consiglio di non scherzare
mai sulla sua famiglia.»
«Okkei, sì, ho visto la faccia di Marcus e me ne dispiace, e poi tu mi hai quasi rotto un
braccio con quella gomitata.»
«Ma dài Fabiola, ma può essere che non riesci a fare la persona seria nemmeno
quando degli amici te lo chiedono per un secondo?»
«Dài, sì, scusa… hai ragione, vai avanti, rac- conta!»
«Vedi la vicenda della famiglia di Marcus è una storia strana. È principalmente la
storia di un bimbo bosniaco, traumatizzato dalla guerra dei balcani, preso in adozione
da un falegname di Secondigliano che viveva nell’isola di Pro- cida» disse con calma e
chiarezza, come se fosse una storia che aveva rivisto molte volte.
«Sì, lo sapevo che Marcus era dell’ex Jugosla- via, anche se sono una testa di cazzo,
rispetto la
62 Salvio Fiore
privacy e non ho mai chiesto a lui, ma qui si parla molto dell’unico sbirro di Napoli
che parla la lingua slava dei Balcani.»
«Sì!» Continuò Luca. «Vedi, il fatto strano non è tanto che Marcus fosse un piccolo
bo- sniaco adottato.»
«Dài Luca e qui si fa notte …» tagliò corto la donna.
Luca si sforzò di restare calmo di fronte alla brutalità inopportuna di Fabiola.
«…Lo strano della storia della famiglia di Marcus è che Daniele, il padre, dedicò tutta
la sua vita alla realizzazione di due sogni. Lui, i n un incidente perse un braccio e
provò, al pari di una lucertola che perde la coda, a farselo ri- crescere…»
Luca si rese conto che non vi era più la benché minima traccia di cinismo o ironia sul
volto della collega, anzi vi lesse una struggente vo- glia di sapere di più. E allora le
raccontò tutta la storia come lui l’aveva appresa da Marcus.
«Accidenti che storia, quasi piango… quasi, no! Non ho ripreso a fare la bastarda, dico
sul serio, non scherzo. Luca è davvero una storia bella, seducente, ma triste… Scusa,
l’altro sogno in cosa consisteva?»
«Vedi, devi sapere che Daniele, era talmente convinto del suo sogno da arrivare a
credere che per attuarlo bisognasse vivere in un posto positivo, cioè in una città
rigogliosa di verde,
Il teorema Codazzi 63
alberi e boschi, dove le persone fossero in ar- monia tra loro e con l’ambiente,
insomma gente civile, pulita, silenziosa…»
«E quindi?»
«E quindi Daniele decise di cambiare Napoli.»
«Dài!… Ma come può essere?» disse lei in
preda allo stupore.
«Ti rendi conto Fabiola, venir tirati su da un
padre del genere?»
«Cavoli!» Disse lei. «Mi sembra di ascoltare
il racconto di un film surreale.»
Luca, constatando ancora il vivido interesse di lei, continuò a parlare dell’impresa di
Da- niele, della sua quasi elezione a sindaco di Na- poli. Le raccontò tutti i particolari
fino a che lei lo interruppe e disse:
«E Marcus? »
«Fabiola! Stiamo parlando dei primi anni novanta, lui arrivò poco dopo, grazie a una pratica di adozione richiesta dalla famiglia Poenia
dall’isola di Procida, dove Daniele e famiglia
nel frattempo si erano trasferiti.»
A interromperli fu il ritorno di Marcus, che li
guardò entrambi in volto, prima Luca poi Fabiola, soffermandosi con lo sguardo soprattutto
su quest’ultima alla quale disse:
«Suppongo Luca ti abbia parlato un po’ di
quanto, grazie alla mia famiglia, io sia legato a
Napoli» e le diede un piccolo pugno affettuoso
sul braccio.
64 Salvio Fiore
«Allora Marcus ci vorresti spiegare?»
«Certo Luca scusa, ma sai a volte mi sento ri- dicolo a fare certi pensieri e mi vien
difficile poi dirli a terzi» e guardò ai due per vedere se lo in- coraggiavano.
«Ehm... Quando sono stato in Venezuela...»
«Buuh» lo interruppe la solita Fabiola, «eddai tu e questi viaggi, ogni motivo è buono
per raccontarceli che noia mortale che sei Marcus…»
«Madò che martello sei Fabiola… e piantala!»
imprecò esasperato Marcus.
«Dài Fabiola fai la persona seria, basta!» disse
Luca, facendo la faccia come a dire: stupida ti sei
già dimenticata cosa ti ho raccontato poco fa?
E allora Marcus riuscì a raccontar loro della magica Colonia Tovar e dell’italiano
Agostino Codazzi, poi arrivò al punto:
«Cercherò di essere veloce, poi ridete pure, credo che la diminuzione degli episodi di
cri- minalità limitatamente ai Quartieri Spagnoli sia dovuto a un qualcosa di simile al
progetto di Codazzi.»
«No! Mica stai pensando di applicare il pro- getto di questo Agostino Codazzi anche
a Na- poli, nei Quartieri Spagnoli?!»
Luca lo aveva detto come a voler tagliar corto sull’ipotesi di un concetto assurdo.
«No, caro Luca, sarebbe assurdo…ma t’immagini? Fare richiesta al potente ed
efficiente governo tedesco di inviarci un migliaio di suoi cittadini, per farli insediare in
uno dei peggiori posti d’Europa a fini riproduttivi e di modifica della razza locale!»
Marcus rise beffardo p e r un secondo, poi continuò: «…del resto, se mai fosse
realizzabile, il piano non potrebbe avere carattere di ufficialità, perché sarebbe troppo
pericoloso per “l’agente esterno”, visto come un invasore, un virus.»
Fece una pausa, sorseggiò un bicchiere d’ac- qua preso arbitrariamente dalla scrivania
di Fa- biola, quindi riprese:
«A pensarci bene, sebbene in chiave violenta, questo concetto esiste da sempre nella
storia dell’umanità. A volte si chiama epurazione razziale, altre: purificazione o
selezione. E gli eserciti invasori lo hanno fatto fino ai nostri giorni… Vi dirò…»
aggiunse Marcus rabbuiandosi in viso, «in uno dei miei viaggi…»
«Ah, ci risiamo!» ironizzò lei, stavolta non per punzecchiare, ma per rendere meno
pesante l’atmosfera.
«…dei miei viaggi»continuò imperterrito, assaporando il traguardo della conclusione
del discorso, «sono stato in una capitale Europea, dove il distretto più pericoloso e
malfamato della città si è autoproclamato indipendente, di- venendo un quartiere
modello.»
«Marcus, è un’utopia!» urlò Luca.
«Ma no, quale utopia io ci sono stato, l’ho
visto con i miei occhi, funziona! Credetemi!»
66 Salvio Fiore
Raccontò loro di Vilnius, del pericoloso quar- tiere di Uzupis, divenuto poi repubblica
di Uzupio, e della statua dell’angelo che suona il corno posto a protezione
dell’omonima repubblica; di c o m e dapprima un folto gruppo di artisti poi di
intellettuali, in seguito alla crisi economica e al conseguente aumento vertiginoso dei
fitti delle case, si trasferì nel degradato quartiere di Uzupis, finendo per farlo
diventare, in pochi anni, una sorta di stato ideale con propri confini, inno, bandiera.
La repubblica di Uzupio era ar- rivata a dotarsi addirittura di una vera e pro- pria
costituzione.
«Insomma, ci sono esempi nel mondo che di- mostrano quanto sia possibile cambiare
le abi- tudini socio culturali di un popolo senza violenza.»
«E dunque, come vorresti portare clandesti- namente mille tedeschi, dritti dritti dalla
Ger- mania ai Quartieri Spagnoli?» domandò Luca.
«Accidenti Luca ci risiamo con questi crucchi? Mi ostacoli come Fabiola adesso?» lo
rimpro- verò Marcus.
«Ehi come ti permetti ti tirarmi in ballo, pro- prio io che non rompo mai…»
Marcus la ignorò: «Ma insomma ti sei fissato con questi tedeschi, chi ha mai parlato di
im- portare germanici?» continuò rivolgendosi esclusivamente a Luca con la
speranza che Fa- biola, sentendosi esclusa dal dialogo, si deciIl teorema Codazzi 67
desse ad assumere un comportamento più serio. Marcus continuò e raccontò loro di
un giorno che, finito di lavorare, uscì dagli uffici della Questura di Napoli per
dirigersi verso casa. Si stava incamminando per via Medina, prima di attraversare
piazza Municipio, Via san Carlo, piazza Plebiscito e salire, poi, a via Monte di Dio.
Era una mite sera di maggio, si provava an- cora, prima di assuefarsi, quel senso di
libertà scaturito dal piacere di indossare sul corpo solo pochi indumenti come un jeans
leggero e una maglietta a maniche corte di cotone.
Mentre, assorto nei suoi pensieri sui viaggi e sul lavoro, camminava procedendo
meccanica- mente, quasi senza vedere dove metteva i piedi, si sentì colpire, alla
gamba, più o meno al cen- tro della tibia, da un oggetto duro e pesante. Si destò, allora,
dai suoi pensieri. Poi, sentì parole in una lingua incomprensibile anche per lui che ne
parlava cinque. Si girò verso le voci, erano un gruppetto di circa dieci persone. Guardò
a terra tra i suoi piedi e vide una sfera delle di- mensioni di una boccia ricoperta di
pelle bianca. Gli sembrò una grossa palla da baseball, quindi riguardò in direzione
degli uomini e vide che alcuni di loro avevano in mano delle mazze da cricket e a
terra, impiantati nel prato dei giardinetti di piazza Municipio, c’erano dei bastoncini
di legno. Gli uomini continuavano a
68 Salvio Fiore
parlargli, ma lui non capiva, vedeva solo che avevano le facce sorridenti e indicavano
la palla a terra tra i suoi piedi. Poi uno di loro disse in italiano:
«Signore, per favore, la palla, ce la tira?» Marcus si chinò, raccolse la sfera e invece di
tirarla la portò gentilmente tra le mani del- l’uomo. Nell’atto di passargliela lo guardò
in volto. La faccia era scura di pelle. Capì dai tratti somatici che era un asiatico.
Quello sport lo incuriosivae allora restò lì, al bordo del prato, a guardare. Uno di loro
si staccò dal gruppo e gli si avvicinò:
«Grazie per la palla… vuole giocare con noi?»Parlava con un forte accento straniero.
«Mi piacerebbe, ma l’unica cosa che potrei
fare è cercare di colpire la palla con la mazza,
poi non ho capito nulla di questo gioco.»
«È cricket, nello Sri Lanka è lo sport nazionale, come il calcio qui da voi, è molto popolare
in tutta l’area del ex Commonwealth… noi
siamo Srilankesi» concluse lo straniero.
Mentre chiacchieravano, gli altri si avvicinarono e Marcus notò sul volto di tutti una espressione di serenità. Immediatamente gli venne in
mente l’imperturbabile sorriso del Buddha e
pensò che gli piaceva stare tra quella gente dai
movimenti silenziosi e discreti. Così come godeva della compagnia di Amanthi, la sua
Il teorema Codazzi 69
donna, anche lei Srilankese.
Marcus faceva il dirigente in Questura ormai da qualche anno e a sua memoria non gli
veniva in mente di persone appartenenti a quella razza che fossero state coinvolte in
qualcosa di illegale.
Insomma ai suoi occhi sembravano profon- damente diversi: non erano inclini alla
violenza e quando reagivano ai soprusi lo facevano in modo civile. Eppure la
maggioranza di questi immigrati abitava in appartamenti e in bassi nei quartieri più
poveri e difficili e la comunità più folta risiedeva proprio nei malfamati Quartieri
Spagnoli.
Era pur vero che non tutti i napoletani dei Quartieri Spagnoli erano criminali, ma
l’uomo che infrange la legge desta più clamore di quello che la rispetta. È un
assioma ingiusto, vero, ma efficace a spiegare l’esagerata cattiva fama di quel rione. In
definitiva gli Srilankesi ci vivevano bene in quella zona della città, anche se a volte
erano costretti a sopportare senza reagire.
«Ma scusa…tu Luca, che sei napoletano, ma anche tu Fabiola, che ormai vivi qui da
tanti anni, non avete mai fatto caso che sui Quartieri Spagnoli vi sono centinaia di case
abitate dagli Srilankesi?»
«Mmm… Sì, e con questo?»
«Il progetto Codazzi è già in atto! Gli Srilankesi si stanno mescolando a noi! Alcuni di loro si uniscono in matrimonio con i
napoletani, mandano i loro figli nelle nostre scuole, rie- scono a passare dal fitto
all’acquisto della casa dove vivono. Vi rendete conto? È questa l’unica spiegazione ai
dati statistici del Ministero degli Interni. E noi non dobbiamo far nulla, se non
incoraggiare e potenziare questo fenomeno…» Era evidente che questa storia lo
prendeva molto sul piano emotivo, si scaldava, si agitava. Aveva parlato come un liceale
alla prima interrogazione.
E allora raccontò loro pure del dialogo che
ebbe con Amanthi alla baghetteria.
70 Salvio Fiore
Il teorema Codazzi 71
Capitolo 5
«Che ne dici?»
Il funzionario dei servizi segreti parlava con
calma al suo collega.
«Qualsiasi cosa io possa pensare, dobbiamo
riferire i nostri sospetti a chi di dovere» rispose
Sergio.
«Giusto! Ma potremo rischiare di fare la figuraccia dei pivelli perché abbiamo creato allarmismo, basandoci sull’ “intercettazione” di un
dialogo tra tre stupidi poliziotti sognatori» rispose il primo.
Si chiamava Aldo.
Aldo, napoletano, era nato a Monte Calvario. Il padre, anch’egli del capoluogo,
lavorava come portiere di un condominio a Mater Dei, la madre era casalinga. I
genitori prestavano i soldi con interessi ai vari piccoli commercianti della zona,
facevano, insomma, gli strozzini. Aldo era entrato nell’arma dei carabinieri su- bito
dopo la laurea. Poi, divenne a tutti gli ef- fetti un agente dei servizi segreti italiani, in
particolare uno di quei personaggi oscuri e si- lenziosi che svolgono la loro attività di
intelligence al servizio della politica.
Il teorema Codazzi 73
Il suo collega, parigrado, era Sergio, un ometto di Venezia, figlio di emigranti
calabresi, parlava spesso veneto poiché conosceva molto poco l’italiano. Mentre Aldo
era un personag- gio tanto carismatico quanto bravo nel suo oscuro lavoro, il
veneto, per il suo carattere mu- cillaginoso, era odiato da tutti, tranne da quelli che
godevano dei suoi servizi. Sergio apparte- neva a quella tipologia umana, presente in
ogni angolo della terra, che professa il “sì a qualunque costo”.
Nel mondo, da qualche tempo, o forse è stato sempre così, esiste un ordine di persone
trasversale a ogni latitudine, razza, sesso e religione. È la setta degli uomini del "sí". Sí,
a priori e a prescindere.
Essi, dopo, faranno poco o nulla.
A questi infami distributori di false speranze, non importa della ricaduta dei loro "si",
sul destino degli uomini. Agli adepti interessa solo essere sbrigativi e farsi belli.
Sergio, fra questi uomini spregevoli era un campione.
Da quando si era svegliato, aveva già detto tre “sì” che sapeva invece sarebbero stati
dei no. Quella mattina il figlio, con quel faccino di amo- revole supplica, che
intenerisce e predispone alla concessione anche il padre più rigido, gli aveva chiesto se
lo avesse accompagnato al suo primo allenamento di judo. Che palle questi figli, che
rottura di coglioni! Ma, a differenza del pen- siero che non ebbe suono, gli rispose
“certo amore mio, però adesso fammi scappare a la- voro che è tardi”.
74 Salvio Fiore
Sull’uscio della porta, poi, lo aveva fermato la moglie per chiedergli di
accompagnarla dal dottore. Anche in quel caso, senza pensare ai suoi impegni
lavorativi, le disse sì con un per- fetto ma finto sorriso da attore navigato.
Arrivato in ufficio, come spesso accadeva, non trovava posto per parcheggiare.
Come stesse chiamando Fuffi il cane che si era allon- tanato troppo, fischiò per attirare
a sé l’atten- zione del parcheggiatore abusivo.
«Mi raccomando, trovami un parcheggio vi- cino e all’ombra» gli disse.
«Dotto’,» gli rispose in forte romanesco, «io glielo trovo pure, ma dopo me li molla
cinque sacchi?»
«Ma certo.»
Quello era stato il suo terzo infame “sì” della
mattinata.
«Aldo, io mi sono interessato di quel piccolo nucleo investigativo della Questura di
Napoli.»
«Sì, Sergio, anche io, e in particolare ho lavo- rato su quel Marcus. Come sai, ho
messo in piedi proprio io quella piccola squadra investi- gativa» disse Aldo con un
sorriso di chi la sa lunghissima. I fatti risalivano a tre anni prima.
Marcus stava pattugliando i quartieri Spa- gnoli. Quel giorno era da solo in moto,
Luca era impegnato a Roma in un’indagine.
Il teorema Codazzi 75
A volte il suo percorso di lavoro lo portava a uscire dai Quartieri Spagnoli, per
immettersi su una via più larga, via Toledo, che ne delimitava il confine inferiore.
Negli ambienti turistici, via Toledo era giudicata abbastanza sicura e per questo era
frequentata spesso dai turisti che da quella strada ai margini dei timorosi Quartieri
Spagnoli, ne potevano fotografare le stradine affascinati senza addentrarvisi.
Quel giorno Marcus stava percorrendo pro- prio quella strada.
Da un po’ di tempo si vedevano per le strade pedonali del centro di Napoli, gruppi di
eco tu- risti in bicicletta. A Marcus piaceva andare in bici, per cui, quando li incrociava,
spesso si sof- fermava a guardarli. Inoltre, per lui, vedere gruppi di tedeschi, francesi o
olandesi che gira- vano per la città in bici era motivo di grande or- goglio e di
speranza: nel mondo, nonostante la pessima fama, qualcuno ancora dava fiducia al
capoluogo campano. Quel giorno il gruppo c h e lui vide era costituito da circa una
quindicina di persone che, pedalando, si muoveva silen- zioso e composto, come un
lungo serpente co- lorato. Il primo della fila doveva essere il ciclista-guida che
conosceva il territorio e lavo- rava per l’agenzia turistica. Tutti erano vestiti con abiti
adeguati, pantaloncini e maglie colo- rate in lycra, e portavano accessori nel pieno rispetto delle regole di sicurezza, casco, para schiena, ginocchiere e gomitiere anti
caduta.
76 Salvio Fiore
Via Toledo è stata una delle prime isole pe- donali di Napoli, ma da sempre è
sistematica- mente violentata da motorini e auto, eppure quei turisti in bici, che si
muovevano in ordine, silenziosi, eleganti, parlando a bassa voce, riu- scivano in
quell’istante a dare a quella via l’aria tipica di una strada di una città del nord Europa.
All’occhio esperto di Marcus non sfuggirono tre giovanotti che camminavano sul
marcia- piede di destra. Erano delle griffe viventi: oc- chiali firmati, scarpe, pantaloni.
Camminavano con quella spavalderia tipica dei lazzari di un tempo che si recavano
alla festa di Piedigrotta solo per divertirsi, tormentando il prossimo con burla, insulti e
ceffoni. Fu un attimo, videro i tu- risti in bici e già sulle loro facce Marcus scoprì il
ghigno della superbia napoletana.
Per Marcus il napoletano, quello ignorante, incivile e aggressivo, era un soggetto che
non aveva la minima coscienza del mondo. Cre- sciuto in una città difficile, per vari
aspetti ad- dirittura invivibile, aveva per contro l’idea impressagli dalla cultura
popolare di vivere in una città stupenda, la migliore per il solo fatto di avere la pizza e
il mandolino, il mare e dei meravigliosi dintorni. Marcus odiava l’icona della pizza,
come pure quella del mandolino, e del golfo, perché rappresentavano l’unico pericoloso e sopravvalutato vanto del miserabile.
Il teorema Codazzi 77
Quel ghigno che lui ben conosceva portava il napoletano a guardare sempre, con aria
di scet- ticismo e superiorità, ai turisti.
Uno dei tre, quello vestito in modo più vi- stoso, si girò di scatto e prima ancora di
agire, già rideva. Quindi diede uno spintone fortis- simo al compare alla sua sinistra.
Questi sbi- lanciato, per non cadere, fece qualche brusco passo all’indietro, andando a
scontrarsi contro una donna alla guida di una bici.
La bici della turista impattò una seconda e questa una terza.
Marcus vide i tre ridere in modo scomposto e plateale. Gli parve di vedere una di
quelle scene in cui le tv riprendono le volate ciclistiche al- l’arrivo. Capitava a volte
che uno dei corridori in volata cadesse, perché urtato per errore o perché con la ruota
anteriore, per sbaglio, im- pattasse un piede di una transenna, allora, come in un
disarmonico domino, alla sua ca- duta si sommava la caduta degli altri corridori che
seguivano, in una scena tragicomica in cui le bici come fossero di cartapesta volavano
sopra i corridori riversi a terra.
Le bici non volarono quel giorno a via Toledo, perché la velocità era bassa rispetto ai
settanta chilometri all’ora di una volata, ma la scena, per la contrapposizione tra le
facce sgomente e ter- rorizzate dei turisti e quelle felici e soddisfatte dei tre bulli, agli
occhi di Marcus, parve di una drammaticità stridente.
78 Salvio Fiore
Poteva tollerare tutto, ma non che degli igno- ranti bulli griffati napoletani
trattassero male i turisti, meno che mai in quel modo gratuito e violento. Sentì la pece
nera della violenza sosti- tuirsi al sangue nelle vene. Scese dalla moto quasi buttandola
a terra, mise mano alla pistola ma, per fortuna, il professionista che era in lui
schiaffeggiò il nervoso giustiziere che pure sa- peva di essere, e la mano, quasi ad
averla toc- cata per errore, si allontanò dalla pistola come fosse rovente.
Marcus corse verso il luogo della caduta e vide nel frattempo uno dei turisti che, con
fare deciso, prendeva per il bavero della maglia il tizio responsabile della beffarda
caduta.
«No! No, please stop» urlò Marcus mentre correva.
Il turista, un uomo di mezz’età biondo e chia- ramente del nord Europa non sentì
nemmeno le parole di lui e collerico continuò la sua azione.
Era grosso il biondo, parlava in preda alla rab- bia, faccia a faccia con il bullo:
«Tu napoletano... merda… perché fatto que- sto… perché?»
L’altro rideva, i suoi due amici ridevano, e tra le risa disse:
«Uè guaglioni! Ma che vuole questo scemo? Mò gli faccio vedere io!»
E gli mollò una testata in faccia con tutta la violenza possibile.
Il teorema Codazzi 79
Marcus immaginò di udire il rumore del setto nasale del turista che si rompeva.
Adesso avrebbe messo nuovamente la mano sulla pi- stola, adesso lo avrebbe
ammazzato lui quel na- poletano di merda.
Poi tutto accadde in pochissimo tempo, o forse era la rabbia in lui che aveva alterato
il tra- scorrere del tempo, ma il turista colpito, con una maschera di sangue, si alzò
aiutato da altri ciclisti e si rimise in sella, nel frattempo quelli che erano caduti in
precedenza, già erano pronti. Poi tutti in silenzio, con le facce tristi e sbigottite,
alcuni scuotendo la testa come per dire “no, non è possibile”, come dietro a un cor- teo
funebre seguirono la guida per tornare in al- bergo, forse per non mettere mai più
piede a Napoli.
Accidenti, pensò Marcus, si era accorto che i tre si erano dileguati per i vicoli dei
Quartieri Spagnoli. Con un forte senso di impotenza, misto alla rabbia più cupa, salì
sulla sua enduro e si mise a girare per i vicoli alla disperata ricerca dei tre. Avrebbe
voluto che una bomba atomica cadesse sulla sua città, ammazzando tutti, li avrebbe
voluti bruciare tutti vivi col napalm, dare in pasto agli squali, spingerli vivi nei forni
crematori. Con questo umore nero salì in sella alla sua moto. Sapeva che questi scatti
di odio erano comuni a quella parte dei napoletani civili che non si riconoscono nella
metà oscura della città.
80 Salvio Fiore
Erano moti d’odio che coglievano chiunque, come nel traffico quando un motorino
con a bordo due persone senza casco, ti taglia la strada e poi ti manda pure a quel
paese perché magari non procedevi alla velocità che lui gra- diva; o al semaforo,
quando ti fermi al rosso e talvolta qualcuno dietro ti suona perché vuole che passi. Ma
sapeva pure di essere un poli- ziotto, e che meno degli altri poteva permettersi queste
esplosioni d’odio. Quel giorno, però, gli prese davvero male, girava sulla sua moto
aspettando che qualcuno gli desse il minimo motivo per farlo scendere e dare sfogo
alla vio- lenza.
Nessuna traccia dei tre lazzari. Era periodo pre-elettorale.
Nonostante lo storico totale disinteresse del popolino napoletano verso la politica,
strana- mente, invece, per i vicoli dei Quartieri Spa- gnoli, ma in generale per tutte le
aree urbane cittadine più povere, vi era una fortissima con- centrazione di cartelloni e
manifesti elettorali. Ovunque ci si girasse vi erano affissi alle mura in barba a ogni
“divieto di affissione” migliaia di manifesti. Personalmente Marcus era apoli- tico, anzi
detestava tutti i politici senza distin- zione di colore.
Altro fatto strano, per i Quartieri Spagnoli, nei periodi elettorali, era il germogliare
come erbacce di alcuni locali adibiti a centro di propaganda di uno schieramento
politico in particolare.
Il teorema Codazzi 81
Ancora fiero ricordò del padre che quando ebbe in pugno i politici della sua città li
mandò tutti a quel paese ritirandosi a Procida.
Perché si fanno vivi solo adesso con le loro pro- messe e poi spariscono dopo aver fatto incetta
di voti, pensò arrabbiandosi.
E la rabbia, scaturita da questi pensieri, si sommò a quella di un attimo prima per
l’ag- gressione alla ciclista. Era una rabbia cosmica.
Stava proprio passando davanti a uno di que- sti centri, quando, con la coda
dell’occhio, vide un movimento sospetto, inchiodò la moto e guardò con l’attenzione
di un vero rapace.
All’interno di un locale fatiscente agghindato alla meglio, che lui ricordava essere
stato una volta il basso in cui un vecchio poveretto sbar- cava il lunario aggiustando le
biciclette, vide un ragazzo che si muoveva vestito identico al tipo che aveva
importunato i ciclisti.
Gli montò tale la rabbia che non provò nem- meno a parcheggiare la moto da qualche
parte mettendola sul cavalletto, ma la buttò a terra nell’atto stesso di scendervi, lì in
mezzo al vico, talmente in un lampo che quando il manubrio toccò rovinosamente
terra lui era già dentro nel locale.
«Ehi ma che fate, chi siete?» urlò qualcuno.
«Ehi ma uscite fuori!» disse qualcun altro.
«Uscite di qui che chiamiamo la polizia!»
Erano quei rari momenti in cui Marcus non
era un uomo, era una belva assetata di sangue.
82 Salvio Fiore
Politici, traffichini di quartiere, portaborse, piccoli boss in odore di facile carriera
politica, si rese conto erano tutti lì e lui in preda a quel furore achillesco avrebbe
sparato a tutti loro, ma poi nel nebbioso aspetto animalesco del suo carattere, come
nella umida brutta Londra di Stevenson, arrivava puntuale il suo doctor Jeckyll a
liberarlo del suo Hyde.
«Io sono la polizia!» disse saturo di rabbia e con una voce tale che tutti
abbassarono lo sguardo e nessuno protestò più. Poi si buttò sul giovanotto che aveva
capito che quell’animale era lì per lui.
«E adesso vieni con me!» gli disse Marcus, ammanettandolo in un secondo.
Lo stava portando quasi di peso fuori, quando uno dei presenti gli si avvicinò e gli
disse a bassa voce affinché nessuno potesse sentire:
«Signore questo giovanotto lavora per noi e noi lavoriamo per un importante uomo
politico.»
Ma mentre Marcus ascoltava, approfittando della distrazione l’ammanettato tentò di
scap- pare verso una porta sul retro.
Fece giusto qualche passo prima che Marcus come in un placcaggio da finale
mondiale di rugby, gli piombò addosso, cingendolo alle gambe. Erano entrambi a terra
sdraiati, il gio- vane ammanettato giaceva supino e Marcus, ri- verso prono su di lui,
gli teneva ancora le gambe placcate.
Il teorema Codazzi 83
«Ma che vuoi? Lasciami stare!» e nell’urlare riuscì a liberare una gamba con la quale
colpì Marcus con un calcio in piena faccia.
Non ci vide più dalla rabbia, con uno scatto felino passò dalle gambe al torace del
tipo e lo colpì ripetutamente con un pugno, poi soprav- venne nuovamente Jeckyll e si
calmò. Smise di colpire il bulletto che nel frattempo era scop- piato pietosamente a
piangere e passata la rab- bia Marcus si guardò attorno.
Nella lotta si erano abbattuti su degli scato- loni e il contenuto adesso era a terra tutto
at- torno a loro. Marcus vide dei buoni benzina, poi più in là vide dei registri, e poi facsimile di schede elettorali ovunque.
Si tirò su e prese l’ammanettato per un gomito facendolo alzare. Il ragazzo adesso era
meno spavaldo, piangeva.
«Ma che vuoi da me?» protestò nuovamente.
«Che voglio? Io sono un agente di pubblica sicurezza della sezione falchi e ti ho visto dieci
minuti fa aggredire un gruppo di turisti.»
«Ah, stavate pure voi là?» disse asciugandosi
le lacrime e adoperando il fastidioso “voi” in
uso nel dialetto napoletano.
Adesso non piangeva più e il rispetto verso
colui che lo aveva ammanettato con giusta
causa era aumentato.
Fu un movimento silenzioso, lento, molto
prudente, ma a Marcus non sfuggì.
84 Salvio Fiore
Con la coda dell’occhio vide uno dei presenti raccattare furtivamente uno di quei
registri che erano caduti nel corso della colluttazione.
La cosa destò il sospetto di Marcus.
A volte il pensiero fa connessioni strane come i percorsi apparentemente casuali di
una biglia all’interno di un flipper. Talvolta capita che rie- sca anche a muoversi più
rapido della luce e quindi ne perdiamo la traccia, ma alla fine del percorso il pensiero
ha partorito un’idea, è l’ eu- reka di Archimede, l’intuizione lampo.
Come chiunque ha una intuizione geniale e dopo averla avuta resta con in bocca il
sapore del divino, meravigliato di sé, Marcus ebbe tutto chiaro.
Quel posto era una centrale di reclutamento di voti di favore.
Quei buoni benzina servivano a comprare il voto della gente dei Quartieri Spagnoli,
quel re- gistro contabile portava i nomi di tutti coloro che si erano prestati allo scambio
avendo rice- vuto come contropartita benzina o poche de- cine di euro.
Il predatore aveva fiutato la vittima e adesso fingeva indifferenza per non destare
l’atten- zione della preda.
Forse qualsiasi altro falco si sarebbe disinte- ressato a quello che lui aveva visto, cioè a
un probabile reato per voto di scambio.
Il teorema Codazzi 85
I “falchi” nacquero nei primi anni settanta per combattere il fenomeno delle
microcriminalità e in particolare degli scippi, tanto è vero che erano chiamati,
comunemente, anche col nome di “antiscippo”.
Ma lui era Marcus, il figlio di Daniele, il gio- coliere dei sogni, lui credeva nelle cose e
aveva degli ideali, era incorruttibile, aveva girato il mondo; era laureato, cosa rara tra i
falchi, e cre- deva nel cambiamento di Napoli così come suo padre.
Non disse nulla, prese il bullo che ormai ta- ceva, chiamò una volante e si mise in
attesa. Tolse per un attimo le manette al ragazzo per poi bloccarlo nuovamente con le
stesse vicino al malconcio manubrio della sua moto.
Nel frattempo un capannello di gente si era formato attorno al falco. Marcus era
agitato, ma non per la piccola folla accorsa. Era conosciuto e temuto e quindi sapeva
che nessuno avrebbe osato far nulla per liberare il ragazzo.
Ma sapeva pure, essendo chiaro che il “gua- glione” da lui fermato abitava nei
quartieri, che a momenti sarebbe arrivata la madre con qual- che familiare a darle
manforte in una sorta di ti- pica sceneggiata in cui, tra pianti e gemiti, nonché
offese alle forze di polizia, avrebbe ur- lato tra spasmi, lacrime e finti svenimenti l’innocenza del proprio figlio.
Era questo che temeva, lui era così, avrebbe affrontato a mani nude chiunque ma se
poteva,
86 Salvio Fiore
faceva dietrofront davanti alle lacrime di una donna, dunque richiamò la centrale.
«Sono Poenia, ‘sta volante arriva o no?»
«Che rompicoglioni ‘sto Poenia.» disse il centralinista! parlando lontano dal
microfono della cuffia affinché sentissero i colleghi,ma non Marcus.
Passò qualche istante ancora. Marcus sentì
delle urla disperate provenire da lontano,
guardò e capì subito che la madre piangente
stava arrivando.
Istintivamente, come avrebbe fatto qualsiasi
predatore all’avvicinarsi di una minaccia, tirò a
se la preda fatta già sua per ribadirne la proprietà. Marcus si irrigidì e si preparò a subire e
a interpretare il ruolo del cattivo.
Non dovette però nemmeno subire l’impatto
con la faccia piangente di quella mamma ancora in vestaglia e pantofole, con i capelli arruffati e il trucco del giorno prima smesso e
sbordato dalle lacrime, che sentì la sirena della
volante. Vi fece entrare il ragazzo, poi ripartì
per la Questura a tutta velocità assaporando
sulla faccia il vento che aumentava il suo senso
di libertà.
Poi arrivò il caos nazionale.
Marcus fece molto clamore, andò a fondo con
la sua indagine sui voti di scambio, coinvolse uffici importanti, nell’indagine richiese la collaborazione dei carabinieri.
Il teorema Codazzi 87
Un’onda d’urto che, inaspettatamente, tra- volse il Ministero degli Interni e l’intero
mond o politico. La potente fazione politica beneficiaria dei voti di scambio, si vide
all’improvviso tra- volta dalla vicenda.
Per sedare lo scandalo, fu necessario l’inter- vento dei servizi segreti, ovvero di Aldo.
«Non fu facile gettare fango e ombra sulla vita di Marcus per screditarlo.»
Aldo aveva parlato a Sergio guardando fuori dalla finestra, ma, se il suo collega
avesse visto i suoi occhi, avrebbe capito che solo in appa- renza guardava fuori
attraverso il vetro. In re- altà in quel momento Aldo guardava dentro d i sé al suo
passato al periodo in cui lavorava a Napoli.
«Dal punto di vista dell’onestà civile quel p o - liziotto era impeccabile, mai un
episodio di cor- ruzione, non una multa irrisolta, tutte le bollette erano in regola;
mutui, droga, nulla, nulla di nulla, persino il canone televisivo era regolar- mente
pagato ogni anno. E a me non rimase che attaccarlo sulla sua vita privata.» Aldo
continuò a parlare guardando fuori dalla finestra sui bei tetti di Roma, ma in quel
momento era come se stesse guardando ai tetti assolati dei palazzi dei vicoli
napoletani.
«Iniziai a screditare la sua famiglia, misi in giro la voce che il padre era un pazzo che
cre- deva di essere una lucertola.»
«Come?» disse incredulo Sergio.
88 Salvio Fiore
«Sì, una lunga storia, ma adesso non è impor- tante» disse secco e riprese: «Misi in
giro la voce che non era italiano, ma bosniaco, quindi m u - sulmano, che era un
estremista religioso, che parlava a stento l’italiano, e cosi via… insomma tu sei del
mestiere, sai come si fa in questi casi, la nenia è sempre la stessa: inquinare la fonte!»
«Io quell’arabo di merda lo avrei fatto fare fuori dalla camorra» disse Sergio.
«No! È un nemico, è vero, ma è un uomo va- lido, credo sia il miglior poliziotto di
Napoli» disse Aldo con un tono di ammirazione nella voce. Poi aggiunse:
«E tu Sergio, essere raccapricciante, hai mai provato rispetto e stima per qualcuno?»
«Solo per me stesso, mio caro Aldo.»
Aldo sebbene amorale, cattivo, cinico e calcolatore a volte non riusciva a stare dietro alla
perfidia del suo collega. Sergio era veramente
un sottoprodotto dell’inferno.
«Ma per quanto io facessi, per quanto lavorassi per ricoprire di merda l’onorevole figura
di quel poliziotto, lo scandalo travolse i vertici
del partito politico responsabile dei voti di
scambio a Napoli, fui frettolosamente richiamato e rimproverato dal Ministero degli Interni, il quale fece comunque la scelta di
investirmi di maggiori poteri e lasciarmi il compito di tenere sotto controllo quello strano poliziotto, affinché non smagrisse ulteriormente i
serbatoi di consenso politico nella città partenopea.»
Il teorema Codazzi 89
«Ma cosa stai guardando fuori collega? C’è forse il fantasma di Marcus?»
Quando lo humour sale su da una fogna, di- sturbato dal lezzo, non ti viene mai da
ridere, Aldo ignorò la battuta e continuò, stavolta ri- prese a parlare guardando dritto
negli occhi il suo spiacevole interlocutore:
«Per quanto odiato, il rispetto di cui godeva quel giovane poliziotto lo rendeva
inattaccabile, per cui decisi di cambiare ancora strategia. Riu- scii a far trasferire
Marcus per incompatibilità ambientale. Pensai di tenerlo buono e occupato altrove,
mettendo su una piccola squadra con la quale gli sarebbe piaciuto lavorare. In un
modo o nell’altro, perciò, riuscii a far trasferire con lui anche quel Luca e poi come
ciliegina…» tentennò, quasi temeva lui stesso di sentire quelle parole uscirgli di bocca,
«…l’azione più infame che avessi mai potuto fare e che ancora oggi mi toglie il sonno.»
Ecco Aldo aveva finito di parlare, adesso si sentiva meglio, si era un po’ come
alleggerito di un peso che lo tormentava.
«Il tuo capolavoro, vorrai dire, caro!» sibilò
Sergio.
90 Salvio Fiore
Capitolo 6
«Ehi Marcus, stasera andiamo a bere qualcosa?»
«No Luca, sono ancora stanco del viaggio, ti
ringrazio. Facciamo un’altra sera.»
«Okkei, tranquillo.»
Marcus se ne tornò a casa. Spiegare ai suoi
amici e colleghi quello che secondo lui stava avvenendo in quel quartiere napoletano gli costò
non poco stress. Aveva quasi dovuto combat-
tere per vincere lo scetticismo di Luca e come
sempre lo affannava sostenere lo humour martellante di Fabiola.
A volte pensava che la donna fosse innamorata di lui, era l’unica spiegazione che riusciva
a dare al comportamento di lei.
Fabiola, questa sconosciuta della quale nessuno sapeva molto, se la ritrovava come collega
e amica da tre anni. Lei era sempre con loro e
questo gli faceva molto piacere. Eppure oggi si
era comportata diversamente, per lo più, tranne
le solite battute, aveva taciuto quasi tutto il
tempo che lui aveva parlato, quasi a non volerlo
disturbare.
Si destò dalle sue riflessioni quando si rese
conto che stava per affrontare la scalinata che
lo conduceva alla porta di casa sua.
Il teorema Codazzi 91
Rifletté un attimo sul valore dei suoi ultimi pensieri riguardanti la bella collega e li
buttò nel dimenticatoio. La stanchezza si fece tangibile al- l’approccio del primo
scalino. Arrivato in cima, gli prese una paura tremenda, penso per un at- timo
all’eventualità di incrociare Cecilia e…
«Marcolinooo yiu-uuuu!?»
Cazzo no! Stavo appunto dicendo.
«Madonna che feeling, riconosco la tua presenza dal rumore dei tuoi passi, manco fossi
cieca d’amore per te.»
Dio santo.
« Ehi Marcolino ma adesso non ti lusingare
che io scherzo, mica crederai davvero che sono
innamorata di te?!»
Dio santo!
«No Ceci … ops… Cecilia, e come potrei pensare una cosa del genere?»
« Dunque Marco ti vorrei raccontare… »
Il cellulare di Marcus squillò. E vai grande fortuna, trilla! Trilla! lo incitò mentalmente , non si lasciò sfuggire l’occasione e
prontamente disse:
«Scusa tesoro mi chiamano... ciao!»
Tesoro? Forse ho esagerato e chiuse la porta dietro di sé come a lasciarsi alle spalle un’onda
anomala che si infrangeva contro l’uscio mentre
lui si era messo al sicuro per un pelo.
Il cellulare squillava ancora, lesse il nome di
Amanthi sul display. Da Cecilia ad Amanthi
dall’inferno al p a radiso, pensò ridendo.
92 Salvio Fiore
«Tesoro» rispose gioioso, ma dall’altro lato nessuna risposta, acuì l’udito, schiacciò
con maggior forza il cellulare contro l’orecchio e senti un rumore di pianto.
«Amore!» Urlò. «Parla, dimmi! Tutto okkei?»
«Oh Joe falchetto…»
Aveva sentito la sua voce e questo nonostante
tutto lo rassicurò, e con più calma disse:
«Amore dimmi! Fai un bel respiro profondo
e poi con calma prova a dirmi che è successo.»
«Oh Joe, quando ho finito di lavorare, ho
preso la borsa e sono andata in palestra, quando
sono tornata a casa, ho trovato la porta aperta,
evidentemente scassinata. Allora ho chiamato i
miei vicini…»
«Amore scusa ma perché non hai chiamato
me?»
«Oh Joe, certo che l’ho fatto, ma il tuo cellulare risultava irraggiungibile.»
Porca miseria, era vero, in alcuni uffici della
Questura il cellulare non aveva campo.
«E allora con il mio vicino siamo entrati in
casa e abbiamo trovato tutto sotto sopra e sul
muro c’era un scritta in pittura rossa…»
«Amanthi, cosa c’era scritto?… Amanthi
dimm?! Cosa c’era scritto!» disse Marcus collerico.
Era infuriato all’idea che qualcuno poteva
aver fatto del male alla sua Amanthi e non faceva caso che stava urlando mentre lei piangeva.
Il teorema Codazzi 93
«C’era scritto, “tornatene da dove sei venuta brutta bagascia asiatica”» disse incerta
Aman- thi, tra un singhiozzo e un altro, poi aggiunse:
«Firmato: “il comitato di quartiere non per- dona”.»
«Okkei amore, resta chiusa in casa, vedi se i t uoi vicini Srilankesi ti tengono
compagnia, non aprire a nessuno finché non vengo io, sto arrivando.»
Chiamò subito Luca e gli disse di avvisare Fa- biola che sarebbe passato a prenderli
con la macchina immediatamente.
Tutti e tre arrivarono nell’auto di Marcus senza sirene, avevano le facce scure di
rabbia, Marcus era visibilmente il più sconvolto, L u c a era controllato, Fabiola
sembrava la meno scossa. Avevano colpito un affetto di Marcus, avevano colpito tutti
e tre. Durante il percorso in auto lui aveva spiegato agli amici quello che la sua donna
gli aveva riferito per telefono. Adesso sarebbero entrati in casa e avrebbero co- statato
di persona. Prima di tutto Marcus si d i - resse da Amanthi per abbracciarla, lei lo
accolse e si sciolse in un pianto liberatorio, Fabiola girò il volto dall’altro lato, Luca li
abbracciò en- trambi e disse:
«Forza Marco, forza Amanthi! È solo la bra- vata di qualche tossico.»
«Ma certo tesoro» rilanciò lui, non credendo invece minimamente all’ipotesi del
collega.
94 Salvio Fiore
Per lui era evidente che l’ammonimento era per sé e non per Amanthi. Oltre
prendere atto che la donna stava bene e constatare quello che era scritto sul muro, non
ci fu molto altro da fare, ma chiamarono comunque la scientifica. Nell’attesa Marcus
prese la sua donna per mano e se la portò fuori.
Era una mite sera di giugno, l’aria fresca so- spinta da un venticello riusciva ad
arrivare tra i vicoli dei quartieri. Sulla pelle di Marcus ebbe l’effetto di una doccia che
lava via lo sporco. Chiuse gli occhi, assaporò quella sensazione e si sentì pronto per
parlare con Amanthi.
«Hai notato qualcosa di strano ultimamente?»
disse accarezzandola in volto con infinita dolcezza.
«No falchetto, nulla, ci ho pensato, ma tutto
come al solito.»
Nel frattempo, accolta da Fabiola e Luca, era
arrivata la scientifica che subito si mise all’opera.
I due fidanzati restarono abbracciati a chiacchierare ancora un po’ e, mentre parlavano, un
paio di persone gli si avvicinarono. Erano due
uomini Srilankesi e uno disse qualcosa ad
Amanthi nella loro lingua.
«Mi hanno detto che mi daranno una mano a
mettere in ordine la casa e che stanotte con me
resteranno le loro mogli a farmi compagnia.»
«Ma io voglio… » provò a dire lui ma lei lo in-
terruppe.
Il teorema Codazzi 95
«No Joe, tu domani devi lavorare.»
E Marcus effettivamente l’indomani aveva la
sveglia alle sei del mattino, e adesso erano le
due. Marcus chiese a Luca e Fabiola di avviarsi
all’auto, poiché voleva restare ancora un miall’auto, poiché voleva restare ancora un minuto da solo con Amanthi, almeno fin tanto che
fossero arrivate le donne a farle compagnia per
la notte.
In auto guidava Luca, Marcus era di fianco e Fabiola dietro. C’era tensione. Marcus fu
il primo a parlare:
«Che ne dite amici? Anche se credo fosse un segnale per me, porca miseria! Non
dovevano toccarmi Amanthi.»
«Sai Marcus,» disse Luca, «è tutto strano, aprire una casa, entrare dentro per scrivere
quella frase sul muro. Penso che tu abbia per- fettamente ragione, il messaggio era un
avver- timento per te… nessuna attinenza col mondo della droga o con il razzismo…»
«Sì, Luca, ma perché in questo momento? Deve essere successo qualcosa, devo aver
pe- stato i piedi a qualcuno. Fabiola tu che pensi?»
«Beh… non saprei.»
«Ma Fabiola che hai?» Chiese Luca. «È tutta
la sera che sei strana, adesso che vuol dire, non
saprei?»
«Luca ma ti sei rincoglionito?» Sbottò lei. «Non saprei, vuol dire non saprei, cioè, nel
caso specifico, che non ho ipotesi! Ma che cavolo ci vedi di tanto assurdo se uno non
ha ipotesi?»
96 Salvio Fiore
«Ehi calmi, siamo tutti nervosi, e io devo pen- sare, devo pensare…»
In effetti Marcus aveva notato qualcosa di strano. Mai in vita sua aveva sentito un
napole- tano, di quelli che parlano dialetto pronunciare la parola “bagascia”. E pensò
pure che non era un indizio molto significativo, ma che tuttavia rafforzava quello che
il suo istinto gli suggeriva: non era opera di gente dei Quartieri Spagnoli.
Il teorema Codazzi 97
Capitolo 7
«Pronto… Aldo?» L’uomo aveva già letto il nome di lei sul display.
«Ehi cara la mia Fabiola, qual buon vento?»
«Buon vento un corno… ma quell’irruzione
in casa di Amanthi la sera stessa del dialogo in
Questura da voi ascoltato grazie alla cimice che
ho istallato? Ti sei rincoglionito? Così mi sputtanate la copertura!»
Fabiola, nel parlare, strinse forte la cornetta
del telefono tanto che le nocche sbiancarono.
«Tranquilla ragazza, inizia a rivolgerti a me
come ti compete da grado.»
«Io lo conosco Marcus, Aldo tu non sai
quanto quell’uomo sa essere intuitivo e…»
«No Fabiola!…» l’uomo la interrupe bruscamente. «Tu non lo conosci, tu lo ami! È diverso.»
Lei fece uno sforzo doppio. In primo luogo
dovette reprimere la tentazione di confutare subito quanto l’uomo al telefono aveva appena asserito. Infatti, non lo fece perché la negazione
deve passare attraverso il bivio del sì e del no,
ma lei non voleva nemmeno prendere la strada
che portava a quell’incrocio, quindi non negò
per non prendere nemmeno in considerazione
l’ipotesi che amasse Marcus.
Il teorema Codazzi 99
Poi, si sforzò di non mandare il suo superiore a quel paese e di rimanere calma. Con il
dito medio destro si infilò l’unghia nella carne alla radice di quella del pollice della
stessa mano. Tentò di far tacere la rabbia che le stava mon- tando dentro con il dolore
fisico, quindi, ne as- saporò la fitta a occhi chiusi, poi fece un respiro profondo e con
calma riprese:
«… Dicevo io lo conosco, Marcus ha qualcosa in più e se solo considerasse la
coincidenza che la violazione della casa della sua donna è avve- nuta subito dopo la
rivelazione a me di questo suo progetto Codazzi, allora non so fin dove potrebbe
arrivare con le sue congetture…»
100
Salvio Fiore
Capitolo 8
Sul cellulare di Marcus comparve un sms. Luca :Vieni subito in ufficio. Novità importanti
dalla scientifica.
Marcus arrivò in Questura in circa dieci mi- nuti. Il palazzo era semideserto, erano
quasi tutti in pausa pranzo. Entrò in ufficio che Fa- biola e Luca parlavano mentre
esaminavano dei documenti.
«Ciao Luca, ciao Fabiola. Allora quali novità?»
chiese con il suo inesauribile entusiasmo.
«Ciao Marcus» ripeté la sarda.
«Ciao collega» aggiunse l’altro.
Marcus si meravigliò del tono sommesso con
cui i due lo accolsero.
«Ehi ragazzi, ma che succede?»
Fu Luca a rispondere:
«Abbiamo avuto il rapporto della scientifica
sulla vicenda della violazione di domicilio a
casa di Amanthi.»
«E dunque, che dicono? Ehi ragazzi, ma cos’è
quest’aria da funerale, cosa c’è di tanto grave…
dài parlate su, sapete che se c’è Amanthi di mezzo
io mi preoccupo… e porca miseria parlate, forza!»
«No, vedi Marcus… non è tanto il coinvolgimento di Amanthi nella vicenda bensì il fatto
Il teorema Codazzi 101
che probabilmente, dico probabilmente, a vio- lare l’abitazione della tua donna sia
stato uno di noi.»
«Cazzo dici?... io… tu… Fabiola?»
«Marcus non hai capito un tubo, la cosa non è
così mostruosa come hai immaginato. Non è
stato qualcuno di noi, nel senso di noi tre. Luca
voleva dire che è stato un poliziotto.»
«Ma come accidenti arrivano a fare simili ipotesi alla scientifica?»
«Un’impronta Marcus, tutto qui, dall’impronta di una scarpa.»
Luca vide la meraviglia sul volto dell’amico.
«Ma Luca che dici? Come si può…»
«Si può, si può, specie quando il caso e la fortuna aiutano chi fa le indagini. È successo che
una volta rivelata l’impronta e trasferito quella
notte stessa il campione nel laboratorio della
scientifica, un agente addetto allo sviluppo
delle immagini ingrandite delle prove acquisite,
ripetesse a voce alta il nome della marca e del
modello delle scarpe che la squadra aveva rilevato nella casa di Amanthi.»
«E con ciò?» disse Marcus.
Fabiola sembrava stesse sulle spine, taceva
ma ascoltava in disparte attentamente.
Poi il collega continuò:
«L’altro agente presente nel laboratorio nel
sentire il nome della marca disse al collega che
lui ne aveva un paio uguale, persino dello stesso
102
Salvio Fiore
modello. L’indagine lampo che ne è scaturita ha portato, questa mattina stessa, gli
investigatori della scientifica a chiamare l’azienda produttrice di quelle scarpe… ti
rendi conto Marcus che botta di fortuna quelli della scientifica?»
«Accidenti!» rispose semplicemente.
«Ma tieniti forte! il colpo di scena arriva
adesso!» Proseguì Luca. «L’azienda marchigiana produttrice ha risposto che quelle scarpe
sono state fabbricate apposta su commissione
delle forze di polizia, e che quel modello a Napoli è stato distribuito solo allo spaccio della caserma Nino Bixio del Monte di Dio, cioè a
cinquanta metri da casa tua.»
Un silenzio sepolcrale scese sulla stanza.
«Miei cari amici, questo è un bel rebus. Non
mi viene in mente nulla che io possa aver fatto
da scatenare le ire di qualcuno molto in alto.
L’unico episodio, che comunque io scarterei
perché troppo indietro nel tempo, è la questione
dei voti di scambio…»
“Crash!” D’improvviso un rumore, un bicchiere di vetro vuoto dal quale Fabiola aveva
bevuto dell’acqua, cadde a terra scoppiando in
mille frammenti luccicanti dalle traiettorie impazzite.
«Poi tutto questo succede in concomitanza
con la mia idea del teorema Codazzi» Marcus
riprese il filo del discorso da dove il rumore del
vetro infranto lo aveva interrotto.
Il teorema Codazzi 103
“Bum… bum... bum…” Il cuore di Fabiola bat- teva all’impazzata. Le sembrava che
Marcus subdolamente stesse giocando con lei al gio- cherello dell’ acqua e fuoco e se così
fosse stato, adesso lei, secondo la regola, avrebbe dovuto incoraggiare l’avversario e
dire dapprima “fuo- cherello, fuocherello”, poi “fuoco, fuoco”.
Invece, per la paura di essere scoperta, inter- venne con voce forte e decisa:
«Ma dài Marcus io ricordo quella storia, tutti la ricordano, era su tutti i giornali e tutti
ti chia- mavano l’islamico… ma no! È troppo tempo fa, non può essere!»
A volte quando siamo coscienti di considerare ipotesi azzardate o fare pensieri che
potrebbero avere in sé una parte di follia, basta poco, una piccola spallata, un semplice
parere contrario per far morire l’audace progetto di ipotesi an- cora nell’incubatrice.
Le parole di Fabiola infatti andarono a segno e Marcus riprese a parlare d’altro:
«Ragazzi devo fare qualcosa per il mio progetto. Io sta cazzo di città la voglio
cambiare!»
104
Salvio Fiore
Capitolo 9
«Pronto?…»
«Pronto?...»
«Pronto, Aldo mi senti?»
«Ciao Fabiola»
«Allora, ascoltami bene, te lo dico con le parole dure di chi sta rischiando la pelle per colpa
dell’incompetenza di un dilettante, per non dire
rincoglionito. Dunque…»
«Dunque un corno Fabiola, ti ho già detto di
portarmi il rispetto che esige il mio ruolo. Inoltre non dimenticare che il tuo destino è legato al
mio umore. Quindi, fai la brava e modera il linguaggio!»
L’unghia del suo dito medio cercò la lacerazione sul pollice che proprio in occasione della
precedente conversazione con l’uomo si era causata. La individuò e, penetrando nuovamente
nella carne con l’unghia, sentì una tale sofferenza che cancellò in un lampo le drammatiche
visioni della sua adolescenza in Sardegna. Il dolore della carne aveva sortito l’effetto desiderato.
L’aveva distratta da quello proveniente dall’anima. Ritornò più calma al presente e disse:
«Aldo, stattene buono per un po’, ieri Marcus
aveva quasi intuito un legame tra l’episodio dei
Il teorema Codazzi 105
voti di scambio, la sua folle idea di cambiare la città e la tua bravata nel cercare di
intimidirlo, fatto questo collegamento avrebbe iniziato a so- spettare di una talpa visto
che del suo teorema ne aveva parlato solo con me e Luca…»
«…Fabiola io credo che tu subisca troppo il fascino di Marcus, lo sopravvaluti, sì, lo
so, è un ottimo poliziotto, un uomo intelligente, intuitivo, ma la tua paura mi sembra
eccessiva, non vedo come possa arrivare a creare un collegamento tra questa sua idea
di cambiare Napoli e l’ipotesi che tu possa essere una talpa. Dài, resta tranquilla, io ti
dico che, per quello ci riguarda, per un po’ possiamo pure non sentirci, per un po’ non
faremo nulla. A noi questa cazzata del teorema ci fa proprio ridere, lasciamolo pure
fare, che se si scopre questo gioco, va a finire che si rovinerà da solo passando per
pazzo e poi, vedrai, sicuramente incapperà in qualche abuso d’ufficio.»
Fabiola tacque per un po’, non le riusciva d i capire se l’accondiscendenza del
superiore fosse una conseguenza dei suoi avvertimenti, o di una reale scarsa
considerazione della minac- cia che avrebbe potuto rappresentare il teorema Codazzi.
Ma lei aveva davvero paura di essere smascherata, per cui apprese con gioia che da
Roma non avrebbero fatto più nulla e disse:
«Va bene, grazie!» e chiuse la conversazione. Lei odiava questo lavoro.
106
Salvio Fiore
Odiava soprattutto Aldo, che l’aveva reclu- tata coattamente nei servizi segreti,
tenendola legata a lui con il guinzaglio del ricatto.
Oggi si trovava a dover tradire un uomo che lei ammirava.
Parlare con Aldo, suo salvatore e carceriere, le aveva riportato alla mente la sua
gioventù in Sardegna. Per non rispolverare i ricordi atroci del suo passato, si allontanò
decisa dal telefono, ancora caldo per il prolungato contatto con il suo orecchio, si
spogliò, indossò una comoda tuta e uscì in strada a fare una corsa di un’ora.
Il teorema Codazzi 107
Capitolo 10
«Adesso la tua infiltrata, quella bagascia, cre- derà di essere riuscita a persuaderci con
i suoi timori e la sua ammirazione per quello slavo di merda, adesso crederà di essere
ancora più brava, tanto da dire a noi, i suoi capi, cosa dob- biamo o non dobbiamo fare,
e per noi quella cagna diventerà ancora più ingestibile!»
Sergio parlò come era solito fare, con quel suo piglio irriverente, come se
l’amoralità fosse l’unico condimento ai suoi ragionamenti. «Ser- gio! Fabiola non è
una puttana, e Marcus non è uno slavo di merda!»
«Certo, certo, mio caro, santo collega. Tanto tu sei come me, anzi sei peggio di me…»
Touchè pensò Aldo, ma per non dargliela vinta concluse:
«Ah, tanto è inutile parlare con te!»
Ma sapeva che il collega aveva ragione. Erano
entrambi discepoli dello stesso precettore, il
Male.
Sergio e Aldo si conobbero mentre lavora- vano agli oscuri retroscena della strage di
via dei Georgofili a Firenze, nel 1993.
Si trovarono insieme per caso, non si erano mai conosciuti prima e subito furono
presi da una reciproca antipatia.
Il teorema Codazzi 109
Al lavoro però si completavano perfettamente e da allora sarebbero sempre stati
richiesti in tandem per le successive missioni.
«Stiamo perdendo tempo con una puttana e un branco di rincoglioniti sognatori,
abbiamo infilato un vicolo cieco, con questi rischiamo d i perdere tempo e faccia.
Abbandoniamo Napoli, e il suo popolo di merda, al suo destino. Occu- piamoci
d’altro, bruciamo Fabiola. Dimenti- chiamoci di quella fallita, lasciamola marcire in
quella fogna.» Sergio faceva leva sull’indeci- sione che trapelava dalla faccia del
collega.
«Sì, da questo caso non ci viene nulla, quel teorema resterà un’utopia e la gente di
Napoli rimarrà ignorante e noi potremo comprare i loro voti come sempre.»
Aldo parlò con simulata decisione per auto convincersi, ma in fondo al cuore
qualcosa lo turbava.
«Bene, mi fa piacere che, per una volta, ci tro- viamo d’accordo, resta solo da definire
come ci liberiamo di Fabiola» disse Sergio soddisfatto.
«Semplice, ignoriamola, mai più nessun con- tatto. Vedrai che se l’istinto non mi
tradisce, lei resterà accanto al suo musulmano, la conosco come fosse una figliastra,
non avrà mai il co- raggio di spifferare che ha lavorato per noi.»
Il cinismo e la cattiveria, come una spugna, assorbono dalla mente ogni linfa,
rendendola rigida come un vecchia fascina da camino e in110
Salvio Fiore
capace di riconoscere la bellezza dei voli e degli altrui sogni. Per questo non diedero
importanza al teorema di Marcus e decisero di aspettare il suo fallimento.
Il teorema Codazzi 111
Capitolo 11
Squillò il telefono sulla scrivania:
«Dottor Poenia?»
«Sì…»
«Dottore la chiamo dalla sala degli interrogatori, abbiamo qui, in stato di fermo, un soggetto
di colore che non parla italiano scenderebbe a
darci una mano?»
«Certo arrivo subito!»
Marcus attaccò il ricevitore e disse a Luca:
«Collega, accompagnami giù che hanno portato uno che non parla italiano. Su che ci sbrighiamo in due minuti e andiamo a prenderci un
bicchiere di vino.»
Scesero di sotto.
Bastò poco a Marcus per capirci qualcosa, con
un po’ di francese e inglese si mise in comunicazione con l’uomo di colore. Si chiamava Sari
ed era ghanese, aveva avuto un lavoro regolarmente denunciato, come aiutante in un negozio
di frutta e verdura, e questo gli aveva consen-
tito a norma di legge, di ottenere un regolare
permesso di soggiorno. Marcus capì che poi
Sari era stato licenziato e senza uno stipendio
per pagare il fitto si era visto costretto a fare il
venditore ambulante.
Il teorema Codazzi 113
Era un fermo banale, roba da assistenti sociali, normalmente, alla sezione falchi, in
casi del ge- nere, si viene rilasciati dopo una semplice ra- manzina.
Marcus lo guardò, era un ragazzo bellissimo, alto circa un metro e novanta, doveva
pe- sare all’incirca novanta chili. Il colore della pelle era mogano, i denti grandi,
perfettamente alli- neati e bianchissimi risaltavano moltissimo sulla pelle scura. Era
vestito di abiti larghi come voleva la moda del momento. Un jeans a vita non troppo
bassa, molto largo, consumato in parte alle estremità inferiori per il continuo strisciare a terra; di sopra indossava una maglia larga modello NBA di color giallo paglino
con delle fasce rosso amaranto sulle maniche a t r e quarti. «Che ne facciamo? Se lo
espelliamo, ne arrivano altri due al suo posto.» Disse Luca rompendo il silenzio dei
sotterranei della questura.
Marcus a sentire quelle parole gettate lì quasi per caso dal collega ebbe un sussulto,
come fosse stato colpito da una frustata. Quella frase ne arrivano altri due, fu per lui
come una chiave di lettura. Quattro parole che gli diedero la so- luzione che cercava da
quando era tornato dal Venezuela.
«Dài Luca, basta, lasciamo questi sotterranei che puzzano di pena, andiamo a bere
qualcosa.» Scelsero un locale tranquillo dove presero due bicchieri di Aglianico. Ne
bevvero un sorso as- saporandone il gusto tannico. Fu Luca a rom-
pere il silenzio:
«Che ti è preso in Questura?»
114
Salvio Fiore
«Luca mi hai dato la soluzione al problema. Adesso io so come poter mettere in atto il
teo- rema Codazzi e cambiare Napoli.»
«Fiuuu…» fischiò Luca, «…meno male che non c’è Fabiola, se no sai come ci avrebbe
preso per i fondelli.»
Già! Fabiola, è qualche giorno che la sento strana. Marcus diede un altro sorso e continuò:
«Ascolta Luca, dobbiamo acciuffare, arre- stare, imprigionare, censire il maggior
numero di Srilankesi possibile.»
«Ma che cazzo stai dicendo?»
«No amico, hai capito bene dobbiamo costringere questa gente a far arrivare a Napoli
quanti più connazionali è possibile…»
«E per far questo vuoi arrestarli tutti? Marcus,
mi stai prendendo in giro, smettila!» lo esortò
l’amico.
«No! Non interrompermi e ascolta: li fermiamo per un qualsiasi motivo o cavillo di
legge, li portiamo discretamente in Questura,
senza manette, con le buone gli facciamo capire
che il piccolo reato per il quale li abbiamo fermati comporta serie conseguenze. Dopodiché
trattiamo, gli diamo una via di uscita: ogni reato
sarà cancellato se ci fanno arrivare due connazionali. I connazionali che arriveranno a Napoli
avranno un supporto e un aiuto costante: faremo di tutto per trovar loro un fitto ai Quartieri Spagnoli, poiché è lì che lanceremo il sasso
nello stagno, sperando che i suoi anelli si propaghino per tutta la città.»
Il teorema Codazzi 115
Capitolo 12
Quattro anni dopo...
Marcus stava camminando per strada con
Amanthi.
«Aspetta un momento Ama!»
Marcus si fermò di scatto, e quasi violentemente si liberò di lei.
Marcus lesse: “Crollo a Napoli della coalizione di
governo”
«Guarda Ama il teorema funziona! La gente
non vende più il proprio voto!»
Passando distrattamente davanti a un’edicola,
Marcus era stato rapito da quel titolo sul quotidiano a lettere cubitali. Lo lesse con avidità.
Il sottotitolo continuava: “Nel capoluogo napo-
letano, la forza politica alla guida del governo incassa un meno trenta percento. Inspiegabile per i vertici politici la debacle”
Marcus era felice, erano stati quattro anni d i lavoro ostinato, duro, pericoloso… In
questi quattro anni lui e la sua squadra erano riusciti ad arrestare duecento immigrati
Srilankesi.
Li portarono in Questura per i motivi più sva- riati. Una volta ne presero in consegna
uno, per- ché aveva piantato un paletto fuori alla finestra
Il teorema Codazzi 117
del suo basso, per impedire che le auto si par- cheggiassero davanti. Un altro lo presero
per- ché aveva buttato un sacchetto della spazzatura al di fuori degli orari consentiti
dall’ordinanza comunale; una coppia la trascinarono in Que- stura, perché non aveva
preteso lo scontrino fi- scale da un negozio. Grazie alla collaborazione dei colleghi
della stradale che si prestarono alle richieste di Marcus e dei suoi, senza fare troppe
domande, un’altra quarantina di Srilankesi fu- rono tradotti in Questura per violazioni
del c o - dice della strada; altrettanti furono portati negli uffici di via Medina per
normali controlli sui documenti di immigrazione, permessi di sog- giorno, documenti
di lavoro, attestati di paga- mento dei contributi Inps.
A tutti questi, sotto minaccia di una pena, si offrì la possibilità di non subire la
sanzione di legge, qualora avessero fatto venire in Italia, e a Napoli, almeno due
compaesani che fossero pa- renti o amici, ma in regola con la legge del loro paese. La
cosa più difficile da incentivare fu- rono le unioni in matrimonio tra abitanti di
Ceylon e i napoletani. Gli Srilankesi erano una collettività piuttosto chiusa, ma, con
l’infolti- mento della loro comunità, presero maggior si - curezza e iniziarono a
guardare con meno diffidenza al partenopeo, di conseguenza, sep- pur lentamente, i
matrimoni misti aumentarono esponenzialmente.
118
Salvio Fiore
Il rischio di essere scoperti e radiati era alto, e un paio di volte la particolare
attenzione della squadra di Marcus al problema dell’immigra- zione dei cittadini
Srilankesi suscitò le curiosità di alcuni dirigenti. Di fatto nulla trapelò a Roma.
Fabiola, abbandonata a se stessa dai ser- vizi, per i primi tempi non sapeva come comportarsi, ma la voglia di lasciarsi alle spalle il suo tradimento, la portò, per deriva, a
conti- nuare quello che aveva sempre fatto, essere una della squadra. Si dimenticò di
Aldo e Sergio.
Quello che Marcus stava leggendo nella ve- trinetta dell’edicola lo riempi di una
gioia im- mediata e fu preso da una voglia irresistibile di dividerla con i suoi colleghi,
tanto che rivolto alla sua donna disse: «Amanthi vorrei consul- tarmi con Luca e
Fabiola, scusami ma devo or- ganizzare un incontro con loro in ufficio.»
«È pazzesco Marcus…» disse Fabiola, «ho fatto una banale ricerca su internet e ho raffrontato i risultati elettorali di queste politiche con quelle di sei anni fa. Il calo per il
partito lea- der è stato di trenta punti, ma la cosa interes- sante è… ricordate i dati che
ci arrivarono dal Ministero degli Interni quattro anni fa in cui per la prima volta
costatammo che solo i crimini commessi nella area dei Quartieri Spagnoli, in
controtendenza con tutte le restanti aree disa- giate della città e provincia, davano
quello che allora ci sembrò un inspiegabile calo?»
Il teorema Codazzi 119
«Sì, e dunque?»
«Pazienta, pazienta falchetto…»
«Fabiola! Non chiamarmi così!»
«E va bene scusa se ho usurpato il nome con
cui ti chiama Amanthi. Dunque…» - continuò
la donna - «…i dati sulla diminuzione dei crimini aggiornati a quest’anno danno un calo simile, in proporzione, a quello che il partito ha
beccato in politica.»
«Se ho capito bene Fabi,» disse Luca, «vuoi
ipotizzare un nesso tra invasione Sri Lankese,
diminuzione dei crimini e minor disponibilità
a vendere il proprio voto politico?»
«Sì, amici, esatto!»
«È incredibile come l’ignoranza del popolo favorisca la corruzione politica» aggiunse Marcus.
120
Salvio Fiore
Capitolo 13
«Suppongo lei si renderà conto della gravità dei fatti napoletani…»
L’uomo che parlò era seduto, in penombra, a un angolo della stanza, in uno dei
palazzi ro- mani del potere. Era in un doppio petto dal ta- glio impeccabile, non una
grinza o piega che non fosse contemplata dall’abile taglio sarto- riale. Sotto la giacca,
accuratamente chiusa per entrambi gli ordini verticali di bottoni, l’uomo indossava
una maglia aderente nera a collo alto che gli conferiva un’aria austera. Parlò con
calma, lentamente, scandendo in maniera quasi grottesca le parole, come se di fronte a
sé non avesse Aldo ma un figlio che, prima di castigare con una punizione corporale,
voleva intendesse bene i motivi della pena per non rendere vana e gratuita la violenza.
Aldo valutò l’ipotesi di tentare una difesa, ma rimase inerme a subire le conseguenze
delle pro- prie valutazioni superficiali sul progetto Codazzi. Maledetto Sergio se solo
fosse anche lui qui a subire le ire di questo bastardo.
Proprio Sergio che aveva insistito nel sottovalutare le idee della squadra di Marcus, proprio lui che lo aveva incoraggiato a mollare
Il teorema Codazzi 121
l’indagine partenopea perché la giudicava fa- sulla. Ma adesso dov’era quel verme?
«Adesso con la sconfitta elettorale napoletana si rischia un effetto domino, che
potrebbe por- tare a una crisi di governo ed esporre noi tutti alle indagini» riprese
l’uomo.
«Questa ipotesi è piuttosto remota» azzardò
Aldo.
«Non dica cazzate! Ha già fatto troppi errori
di valutazione. Lei ha permesso a tre uomini,
anzi due uomini e una donna, di farci uscire con
le ossa rotte dalla campagna elettorale!» Aldo
lo fece parlare, lo fece sfogare, non aveva paura
di quell’uomo. Sebbene fosse un politico potentissimo, in passato si era servito di lui per cui
sarebbe stato facile ricattarlo.
«Ammetto di aver sbagliato, ma me ne dia
atto… la prego… in passato non ha mai avuto
modo di lamentarsi di me…»
Senza una minaccia precisa, il leggero riferimento al passato comune tra i due fu una
mossa da manuale.
«Se prova una sola volta ancora a minacciarmi di lei non resterà nulla. Come può pensare che io metta in pericolo tutta la mia carriera
politica, i miei successi, il mio potere, la mia famiglia, fidandomi di un faccendiere amorale e
sanguinario come lei?»
Aldo era a un bivio, accettare adesso la bagarre e minacciare l’uomo a viso aperto o ab122
Salvio Fiore
bassare lo sguardo e continuare a essere un in- fimo opportunista schiavo del potere.
«Non dubiti mai di me, io la servirò fedele come sempre» disse con aria mesta e
servile.
Aveva scelto la seconda opzione.
«Allora Aldo le ripeto, vogliamo che lei distrugga quel piccolo nucleo investigativo della
Questura di Napoli.»
«Sarò fatto» rispose Aldo con un bagliore per-
verso di vendetta negli occhi. Aveva già le idee
chiare.
Fabiola l’aveva sempre odiata. Ci aveva pro- vato con lei dal primo momento, da
quando la reclutò in Sardegna, ma lei lo rifiutò. Poi ci aveva provato tutte le volte che i
loro corpi si erano venuti a trovare a distanza di contatto, ma era stato sempre
rifiutato. Lui era diventato la Eva del paradiso, lei la sua mela. Più Fabiola si negava a
lui, più Aldo avrebbe fatto di tutto per averla. L’aveva reclutata in Sardegna e le aveva
dato un’istruzione, poi, considerato il compito che lui ebbe dall’alto di controllare
Marcus, fece trasferire Fabiola a Napoli e la inserì come pro- pria spia nel gruppo del
poliziotto.
Romanticamente era riuscito a portare nel ca- poluogo campano anche la sua pupilla.
Ma quello che lui provava per la donna non era amore, anzi era tutto l’opposto, era la
somma di tutti i sentimenti più biechi che un essere
Il teorema Codazzi 123
umano possa provare. Era desiderio di pos- sesso, era non rispetto del volere e
dell’autono- mia altrui, era libido distorta e perversa. Ogni volta che lei lo rifiutava, lui
aveva una erezione tanto incontenibile quanto era l’odio che riu- sciva a provare nel
momento preciso del rifiuto. Odio e sesso, uno eccitava l’altro e riflettendosi si
caricavano a vicenda in un vizioso gioco di specchi.
Forse solo adesso si rendeva conto che l’amore malsano per quella donna lo aveva
por- tato al fallimentare confronto con l’uomo in doppio petto che lo aveva
schiacciato come un insetto.
Realizzò che tutto era colpa di Fabiola, eppure lui avrebbe sopportato ancora chissà
quanto quella condizione di schiavo d’amore. Il viverla giorno dopo giorno gliene
mitigava il peso, ma dopo il colloquio, quel peso, altrimenti diluito negli anni, gli
piombò addosso tutto insieme come un nero monolite Aveva sprecato troppo tempo a
inseguire una donna che invece non lo voleva. Occorreva una soluzione definitiva.
124
Salvio Fiore
Capitolo 14
Tutta la storia non quadrava, eppure lei stava andando proprio all’appuntamento con
l’infor- matore.
Era qualche anno che in Fabiola era presente uno strano atteggiamento
autolesionista. Aveva da tempo imparato a infliggersi piccole puni- zioni corporali,
come infilarsi le unghie nella carne, mordersi la lingua oppure la mucosa delle
guancie. E anche a fare molto di peggio…
Una volta, aveva fatto tardi a un impegno di lavoro. Doveva ancora finire di vestirsi
quando scoprì che mancavano solo venti minuti all’ap- puntamento. Aveva già
indossato un comodo jeans, le scarpette e una maglia bianca di cotone elasticizzata,
molto aderente, a collo alto. Diede un’occhiata fugace alla sua immagine riflessa allo
specchio e un gradevole senso di piacere l e nacque dentro nel vedersi ancora tanto
piacente e soda. Aveva trent’anni, non aveva figli, né s i vedeva all’orizzonte un
matrimonio, eppure era ancora molto bella e sexy .
Già, appetitosa… ma per chi? Per gli uomini chiaramente, ma a lei non interessavano gli
uo- mini, lei li odiava tutti, tutti, tranne uno, ma
Il teorema Codazzi 125
anche quell’unico era come se non esistesse per- ché già di un’altra . Maledizione è tardi
e mi metto pure a fare la vanitosa allo specchio.
Adesso aveva ancora più fretta, afferrò dalla gruccia del guardaroba l’ultimo capo di
abbi- gliamento che le mancava per scappare al la- voro. Era uno scialle di lana
marrone scuro, lo buttò sulle spalle, poi prese una spilla da balia di acciaio satinato
molto grande, la aprì sgan- ciandola e con foga infilò la punta acuminata tra i due
lembi dello scialle per tenerli uniti.
Ma “ahi!”, gemette. Nella fretta credette di es- sersi punta malamente. Fu una
frazione di se- condo, in quel tempo brevissimo ebbe la possibilità di scegliere tra
l’urlare fuori il dolore o tenerlo dentro e gustarlo. Non contrasse le corde vocali e non
fece passare l’aria fra di esse, invece chiuse gli occhi e assaporò la fitta, atten- dendo
che il brivido di dolore scendesse per la schiena giù fino ai piedi, quasi come fosse una
scossa elettrica destinata a disperdersi nella terra, dunque girò i tacchi e uscì dalla
porta. Scese di corsa le scale, arrivò all’auto in un mi- nuto. Nel salire avvertì una fitta
sopra al seno sinistro. Di nuovo ignorò il dolore e si mise se- duta al sedile di guida,
iniziò a condurre e quando fu più o meno a metà strada, quasi in- consapevolmente,
infilò la mano sinistra sotto lo scialle e quindi sotto la maglia aderente, prendendo a
salire verso la fonte del fastidio.
126
Salvio Fiore
Si rese conto che le punte delle dita della mano si erano bagnate. Non capendo mise
la freccia e accostò a destra, poi, senza scendere dall’auto, discretamente, si alzò la
maglia e capì. Fabiola era una donna poliziotto, aveva avuto diverse occasioni nella sua
carriera di mi- surarsi anche in violenti corpo a corpo con var i furfanti. Sapeva
benissimo che, durante una lite, nel sangue si liberano grandi quantità di adrenalina e
endorfine che annullano la sensa- zione del dolore. Spesso è solo dopo qualche
minuto, quando la rissa si è placata, che ci si deve toccare per prendere coscienza degli
even- tuali danni subiti. Anche in questa occasione, si rendeva conto solo adesso, che si
palpava, della ferita procuratasi.
La spilla aveva passato una plica di carne da parte a parte ed era rimasta dentro per
almeno
10 minuti. Atterrì all’idea. Cosa cavolo mi è preso? Questa non è stata un rissa! Perché non
mi sono resa conto del male che dovrei sentire? Certo che se ne rendeva conto, sì che lo
sentiva, anzi in realtà le piaceva. Emettendo un rantolo di sofferenza staccò la spilla e
un dolore caparbio, dal foro della carne, si irradiò a tutto il corpo e la per- vase come
una goccia di nera china in un terso bicchiere di cristallo colmo di acqua pura.
Alzò lo sguardo di un poco e scoprì la fascia luminosa del suo sguardo nello
specchietto re- trovisore. Le si ghiacciò il sangue. Stava sorridendo di piacere.
Il teorema Codazzi 127
Ormai erano passati mesi da quel giorno della
spilla e lei aveva cercato di spiegare a se stessa.
Era giunta a un’amara conclusione: il suo passato sardo, il suo oscuro lavoro, il suo sentirsi
fallita come donna, ma soprattutto il suo tradimento a Marcus e Luca costituivano tutti insieme il suo problema, la sua tossina.
E lei aveva dato un nome al veleno che la intossicava, era il rimorso. E adesso che lo aveva
individuato, quel rimorso era tale che la guardava in faccia ogni sera. Si accompagnava al
senso di colpa e al pentimento. Ora che conosceva la sua malattia, era riuscita a individuare
anche un farmaco: il castigo. Si puniva costantemente per espiare, ma il suo passato era un
buco nero che la risucchiava. Era per questo che
aveva provato piacere nel sentirsi la spilla nella
carne, ed era per questo che si stava recando a
quell’appuntamento folle.
“Le darò le informazioni stasera quando ci in- contreremo” aveva detto la voce al
cellulare. Poi aveva continuato “ci vediamo alle ventitré vicino ai ruderi di Villa Ebe,
nella piazzetta di Pizzofalcone al Monte di Dio”.
Era da tempo che Fabiola curava i contatti con quell’informatore.
Qualcuno le aveva detto che era un doppio- giochista, però le sue dritte si erano
sempre ri- velate vere.
128
Salvio Fiore
Quell’appuntamento proprio non la convin- ceva. Villa Ebe fu la residenza personale
di La- mont
Young un architetto e urbanista napoletano. Di padre
scozzese e madre indiana, dopo aver sognato per Napoli una linea metro- politana e
un rione Venezia tra calli e canali, morì suicida proprio a Villa Ebe.
Questa casa, a metà tra una villa e un castello, arroccata sulle pendici di Pizzofalcone
che guardano a Megaride, era conosciuta molto bene da Fabiola.
«Quando la sposerai?»
Fabiola lo disse con lo sguardo perso nel
vuoto del panorama che si gode dalle rampe di
Pizzofalcone.
Lei e Marcus si trovavano a Villa Ebe. Si erano
visti a casa di lui, poco distante dal Monte di
Dio, per una faccenda di lavoro, poi erano usciti
per un caffè e a fare due passi, e lui volle mostrarle quel capolavoro d’un rudere ignobilmente ignorato da tutte le amministrazioni
cittadine.
Lei parlò tenendolo per mano, in uno di quei
rari momenti in cui riusciva a stabilire un contatto fisico con lui.
«Intanto bisognerebbe chiederlo ad Amanthi se
mai volesse sposarmi» rispose Marcus beffardo.
«Non fare il finto tonto, lei vive solo per te!»
Marcus era evidentemente imbarazzato,
amava Amanthi, però quella conversazione con
Il teorema Codazzi 129
Fabiola e soprattutto il tocco della sua mano lo mettevano in difficoltà. Ma in un certo
senso amava pure Fabiola, soprattutto la stimava, e per lui la stima era la base della
piramide de l- l’amore. E mentre, distratto, ascoltava il suo im- barazzo, lei gli si
avvicinò.
«Marcus baciami…»
«Come?» Marcus sembrò non capire o meglio
intese perfettamente ma preferì fare il finto
tonto, non gli sembrò vero che lei, la glaciale,
bellissima Fabiola avesse potuto fargli una tale
richiesta, quasi gli parve che non fosse stata lei
a parlare, poi la guardò negli occhi, glieli vide
umidi di lacrime e in un attimo divino si rese
conto di tutto. Adesso sapeva dare un senso al
comportamento ambiguo della collega durante
tutti il tempo della loro amicizia. Il leggero gelo
tra Amanthi e Fabiola, le battute sempre pungenti, la sua freddezza in alcuni momenti e la
sua forza in altri, tutto aveva un senso. Fabiola
era innamorata di lui da sempre. Avrebbe voluto fuggire tanto era l’imbarazzo, ma più forte
provava l’impulso a baciare la donna. Le si avvicinò faccia a faccia con le labbra che puntavano dritto alle sue. In un ultimo guizzo di
orgoglio cambiò rotta e la baciò sulla fronte.
«Odio i baci sulla fronte» disse lei ridendo, preferendo dare all’imbarazzo una sottolineatura
comica.
«Io invece li adoro» disse lui, serrando le rughe
della fronte.
130
Salvio Fiore
Apprezzò molto il tentativo di Fabiola di al- leggerire la tensione con un minimo di
humour. Quindi le diede un fugace, infantile bacio sulle labbra e se ne andarono
seppellendo nella me- moria comune quell’unico momento di tene- rezza.
Fabiola arrivò al luogo dell’appuntamento. Era buio, faceva freddo, mentre si
incamminava verso la piazzetta al centro della piccola spianata in cima alla collinetta
di Pizzofalcone diede un’occhiata al panorama. Che città fantastica sembrava Napoli al
buio della notte. Arriv ò al centro della piazzetta ma non c’era nessuno, si spostò,
allora, alla ringhiera per guardare ancora meglio il paesaggio. In basso su un muretto
che guardava a ovest della città c’era posato, pe - sante, un grosso gabbiano che si
stiracchiava le enormi ali. Era bianco d’un candore fluorescente nel buio della notte.
Aveva sempre desiderato essere un gabbiano. Fabiola spesso sognava di essere uno di
quegli uccelli che, solitari, volteg- giavano tra il cielo, grigio e ventoso, e la ribol- lente
schiuma bianca di gelidi cavalloni oceanici che si infrangono contro un’altissima e
tagliente scogliera. Adorava i gabbiani, per lei erano la li- bertà che si faceva carne
viva.
E adesso avrebbe voluto essere uno di loro in volo sulla più alta falesia di Etretat o
posato so- litario sulla corona della statua dell’angelo guerriero di Mont Saint Michel.
Il teorema Codazzi 131
Si destò pensando alla contraddizione del mo- mento. Si rese conto che
probabilmente stava an- dando a un appuntamento con la morte.
Allora prese il cellulare e si decise a chiedere aiuto. Lo impugnò e si preparò a
chiamare che…
«Signorina Fabiola, salve, da un po’che non ci vediamo!»
Era il viscido informatore che le si era avvici- nato silenziosamente.
Fabiola trasalì e istintivamente rimise il cellu- lare nella tasca del jeans.
«Ehm… mi ha spaventato… Non si preoccupi, in tasca ho un cellulare, non impugno
una pistola. Dunque mi dica, perché ha voluto vedermi?»
Dopo lo spavento iniziale Fabiola adesso aveva recuperato un po’ di calma e la sua
voce vibrava meno di paura.
«Jamme, facimm’ ambress’, muovete pic- ciré’!»1 disse lui all’improvviso,
estraendo una pistola e puntandola al petto di lei.
La impugnava con il braccio piegato vicino al corpo tenendo così l’arma lontano da
eventuali attacchi di calcio o di mano da parte di lei.
Fabiola dunque decise di non provare a rea- gire e di seguirlo.
«Vada a villa Ebe, la conosce vero? Io la seguo molto da vicino, c’è una persona che le
vuole parlare, e niente scherzi, non esiterei a sparare!»
1F
acciamo presto, dài, muoviti piccolina!
132
Salvio Fiore
Fabiola annuì e iniziò a camminare mentre l’uomo la seguiva da un metro di distanza
pre- mendo la pistola contro la sua schiena.
Fabiola sapeva che se la attiravano in quel ru- dere era probabilmente per farla fuori.
Fu presa all’unisono da un senso di gioia e di panico, gioia perché morendo si sarebbe
sentita libera del rimorso; panico, perché non poteva repri- mere completamente
l’istinto di sopravvivenza. Dal confronto dei due sentimenti vinse quello atavico, il più
radicato, e allora pensò di digi- tare un messaggio sul telefonino che ancora stringeva
in tasca. Ma avrebbe dovuto farlo senza guardarlo, usando solo il tatto e la me- moria
visiva di una tastiera. Meno male stasera ho indossato un jeans molto largo pensò Fabiola.
E pensò di scrivere “aiuto, sono a villa Ebe”. Visualizzava i tasti a memoria. Ecco fatto
spe- riamo sia stato scritto correttamente, sperò fra sé. Non poteva immaginare, invece, di
aver digi- tato “aiuto, sono a villa dad”. Il sistema di scrit- tura intuitiva, invece di
facilitarla, stavolta l’aveva fregata. Ma adesso doveva assegnare un destinatario a
quell’sms, e questo non po- teva farlo senza guardare il displey del cellu- lare, dunque
aumentò leggermente il passo, prendendo un po’ di distanza in più dall’uomo, ed
estrasse il telefono, tenendolo basso all’al- tezza del bacino. Pregò che l’uomo non
avesse
notato la luce del telefonino.
Il teorema Codazzi 133
Scrutò il cellulare dall’alto, le bastò guardare la tastiera per orientarsi, schiacciò il
pulsante rubrica, selezionò il nome Marcus e inviò l’sms. Il tutto durò quattro/cinque
secondi e l’infor- matore non vide nulla. Mise il cellulare di nuovo in tasca, ma
continuava a temere per la sua vita e si preparò al peggio.
134
Salvio Fiore
Capitolo 15
Sms. Fabiola: aiuto, sono a villa dad.
Marcus era a casa sua e a leggere la parola
“aiuto” detta da una come Fabiola, si bloccò
come di ghiaccio. Marcus non le aveva mai sen-
tito chiedere soccorso, nemmeno nelle situazioni di lavoro più pericolose. Per l’idea che
aveva della collega non poté fare a meno di
pensare che stesse in pericolo di vita.
Ma … sono a villa dad, villa dad, dad, dad… dove
diavolo era questa casa?
Non aveva mai sentito di una villa con quel
nome a Napoli, certo “dad” in inglese voleva
dire papà, ma non cambiava nulla, era sicuro
che c’era un errore... Ma, ecco! Giusto!
Aveva capito, era il T9, la scrittura intuitiva
dei cellulari che spesso ha dei limiti evidenti
con i nomi propri.
Disperato e impotente prese ad andar su e giù
nervosamente per casa no! Fabiola no! Fabiola no,
non fatele del male vi prego!
Poi decise di aprire un nuovo sms sul suo cellulare e vi digitò le tre lettere, adesso aveva la
parola “dad” sul suo display e quindi premette
il tasto che gli dava, uno per uno, i nomi possibili dalla combinazione delle tre lettere.
Il teorema Codazzi 135
Premette una volta e “dad” divenne “fae”, no, nulla. Premette una seconda volta e
“fae” di- venne “daf”, no peggio. Quindi “dae”, ancora nulla.
Premette una quarta volta e uscì di nuovo l a parola “dad”. Porca miseria, mio Dio!
Fabiola dove sei? pensò disperato. Le combinazioni possibili erano finite, sgomento
premette ancora molte volte il tasto ma nulla, il cellulare impassibile ed estraneo alle
sue pene ripeteva sempre la stessa sequenza. Nessuna delle parole gli fece venire in
mente qualcosa. Era in preda alla rab- bia struggente, figlia dell’impotenza. Fabiola
stava morendo e non sapeva che fare per aiu- tarla.
Gli venne in mente la faccia rassicurante del suo amico Luca, lo chiamò. Gli bastò
tener pre- muto il tasto 3 del suo cellulare e la chiamata partì in automatico. Il tasto 2
delle chiamate ra- pide era per Amanthi, al 4 aveva assegnato il numero di Fabiola, e al
tasto 5 corrispondeva i l numero della sorella Claretta . Tutto il mio mondo racchiuso in
quattro tasti, pensò.
«Ehi Marcus, qualche problema?» Luca nel frat- tempo aveva risposto, scuotendolo
dal panico.
«Luca credo che stiano facendo fuori Fa- biola».»
«Dio! Marco, sei sicuro?»
«No, ma lo sento» e, per dare un po’ più credito a questa sua frase, spiegò a Luca del sms.
136
Salvio Fiore
«“Dad?” Nemmeno a me dice qualcosa… Ma aspetta Marcus, forse possiamo fare…
c’è una soluzione! Sai a volte mi arrivano messaggi con parole sconosciute frutto del
lavoro improprio del T9. Allora io prendo una penna e metto per iscritto su un foglio
dall’alto verso il basso le let- tere a colonne di tre, una colonna per le tre let- tere che
sono incise su ogni tasto. Viene fuori un piccolo schema tipo parole crociate, in cui ti
può capitare di trovare la soluzione per colpo d’occhio più che per ragionamento o
calcolo…» Luca scese dal letto e andò alla scrivania per
scrivere.
«Marcus, “ebe” ti dice qualcosa?»
Il teorema Codazzi 137
Capitolo 16
La recinzione di protezione della villa, che tanto somigliava a un piccolo castello, era
l’immagine riflessa dell’interesse che le istitu- zioni della città avevano verso il suo
patrimonio artistico e culturale. Chiunque poteva violare quel luogo e infatti, senza
nessuna difficoltà, i due furono dentro al maniero. Passarono p e r un giardino
rigoglioso poi scesero tre scalini tra l’erba spruzzata di umidità e Fabiola sentì bagnarsi le scarpe e i pantaloni.
«Entra in quella porta!» le disse l’uomo alle sue spalle.
Fabiola notò che stavolta non le si era rivolto usando il rispettoso “lei”.
Era senz’altro un pessimo segno.
Con un sorriso fuori luogo, segno del più
acuto cinismo, nel sentire quel tono confidenziale pensò che difficilmente un carnefice si rivolgerebbe con formale rispetto alla propria
vittima.
Si diressero verso una porta che sembrava essere quella principale della vecchia casa.
«Entra!» la incitò la voce dell’uomo alle sue
spalle, pungolandola forte alla schiena con la
punta della canna della pistola.
Il teorema Codazzi 139
Fabiola esitò un attimo sulla soglia della porta e subito avvertì nuovamente e molto
più ener- gicamente la punta dell’arma che le premeva forte contro la schiena nel
tratto toracico, tra i due polmoni, minacciando una traiettoria dritta al cuore. Non
doveva essere uno sprovveduto questo informatore. Non esitò oltre sulla soglia e quasi
alla cieca si addentrò nel rudere.
Procedeva lentamente, a tentoni, aspettava che la pupilla si dilatasse per permettere
alla massima quantità di luce di raggiungere la re- tina, nell’addestramento che aveva
ricevuto le avevano spiegato che era un processo di adat- tamento dell’occhio che
aveva bisogno solo d i qualche secondo. Nel frattempo pensò che anche il suo
inseguitore doveva vedere poco, per cui valutò l’idea di reagire, ma rifletté pure che,
proprio il buio aveva allertato al massimo i sensi dell’uomo e questi avrebbe sparato
senza esitazione al minimo suo movimento. Ecco, adesso vedeva un po’ meglio, era
nell’interno di quel meraviglioso castello, era un posto così romantico e in contrasto
con la natura della si- tuazione che stava vivendo. Adesso poteva scorgere i segni di
un incendio che, in passato, doveva essere divampato nella villa, un incen- dio
violento, probabilmente domato con diffi- coltà dai pompieri. Fabiola fece ancora
qualche metro tra i detriti, camminando doveva evitare di tutto, assi di legno
carbonizzate e precipitate
140
Salvio Fiore
dai solai, stemmi di famiglia e quadri appena riconoscibili, lattine asciutte, bottiglie
vuote e piatti di plastica. Passò un arco a tutto sesto, adorno di una cornice in legno
interrotta in alto, centralmente, per lasciare nuda alla vista la chiave in grigia pietra di
piperno, notò che stranamente, sebbene quasi interamente anne- rita, l’appetibile
cornice in legno era stata ri- sparmiata dalla voracità delle fiamme. La donna vide
che la nera fuliggine era presente ovunque e maggiormente verso le finestre. Per un
attimo visualizzò uno scenario di fiamme animate, urlanti come rondini stridenti che
nel tentativo di non soffocare si dirigevano verso le finestre alla disperata ricerca di
ossigeno.
«Vai un po’ più veloce, sbirra!»
Brutto ignorante d’un pezzente fai il supereroe
perché hai una pistola, ah! se potessi darti una lezione a mani nude...
«Prima ti rivolgevi a me dandomi del lei, poi
del tu, adesso mi chiami sbirra, sono vicina alla
fine forse?» disse Fabiola ironica.
Aveva parlato ridendo, senza mostrare la minima paura, alzando un po’ la voce, affinché
questa arrivasse chiara anche alle sue spalle.
Allora l’uomo, nonostante la sua posizione di
netto vantaggio, per la prima volta ebbe paura
di tanto coraggio e si augurò di consegnare presto la sbirra al suo committente.
«Ciao pastorella,» disse una terza voce, «ti
stavo aspettando.»
Il teorema Codazzi 141
All’udirla le fu chiaro che aveva intuito bene: stava per morire. Solo una persona la
chiamava col nomignolo di “pastorella”: l’uomo che l’aveva salvata dalla galera
solo per darle in cambio una vita da incubo.
«Entra pure pastorella!» disse ancora la voce. E lei, già oltre l’arco, entrò in un
ambiente, dove vi era un po’ più di luce. Da tre finestre alla sua sinistra entravano i
raggi silenziosi e vellutati della luna, le finestre erano tre magnifici archi a tutto sesto
di marmo annerito, che una volta do- veva essere bianco come il petto del gabbiano
visto poco prima sul muretto.
In corrispondenza di quella centrale, nella pe- nombra, vi era un uomo seduto su una
sedia.
«Sporco bastardo, non chiamarmi in quel modo!» disse inviperita la donna che
ormai era giunta vicino all’uomo.
«Ti ho già detto di portarmi il rispetto che esige il mio ruolo!»
Aldo parlò impassibile, ostentando calma. Fa- biola sapeva che quel lurido
faccendiere non ignorava che lei, poliziotta ben addestrata, avrebbe avuto
facilmente la meglio su di lui.
«Tu, schifosa spia, adesso sparisci, e voi ra- gazzi, venite fuori!» sbottò l’uomo.
L’informa- tore traditore non aspettava altro e subito se l a svignò, mentre da un
angolo buio dello stan- zone rettangolare sbucarono fuori due uomini. Ci fu silenzio,
Fabiola li guardò, suppose fos- sero i classici delinquenti degli ambienti ca142
Salvio Fiore
morristici napoletani, nessuno di essi le sembrò un poliziotto o un agente dei servizi.
Aldo si stava servendo della sua manovalanza più bassa.
Fabi pensò che poteva metterne sicuramente uno fuori combattimento, e con un po’
di for- tuna anche due, ma con Aldo erano in tre e prima o poi avrebbe ceduto al
numero dei suoi avversari.
Ma non le importò quello che aveva preco- nizzato e si preparò al peggio, chiuse gli
occhi, raccolse le forze, immaginò di indossare una tuta da ginnastica e sperò che
Marcus arrivasse in tempo. Già, quel sms! Chissà che cosa ne era ve- nuto fuori e chissà se
Marcus lo aveva letto, pensò.
«Avanti chi è il primo?» Ma nessuno si propose.
«Aspetta Fabiola, non ancora» disse Aldo, con calma teatrale, poi continuò:
«Consegnami Marcus e non ti succederà nulla per il tuo tradimento.»
«Io non ho tradito nessuno, sei tu che mi di- cesti che per voi la storia del teorema era
una cazzata e che quindi sareste spariti, lasciando Marcus vittima del suo ridicolo
progetto.»
«E così, noi spariamo per motivi tecnici, e tu ti ritieni libera da ogni dovere di
informarci?» la contraddisse convinto.
Fabiola taceva sapeva che aveva forzato la si- tuazione, aveva preso la palla al balzo
per get- tarsi alle spalle un pezzo di vita e quell’uomo
Il teorema Codazzi 143
orrendo… Dio che stupida era stata, come aveva potuto pensare di liberarsi così
facil- mente del suo passato
«Dammi Marcus e faremo finta che nulla sia suc- cesso, né adesso, né in Sardegna» la
incalzò Aldo.
«Mai brutto verme schifoso» urlò talmente forte che le parve si rompesse la gola, poi
fece uno scattò fulmineo in avanti, come a voler mettere le mani attorno al collo
dell’uomo. Lui si scansò senza troppa fatica.
«Mai farsi prendere dalla rabbia o diventi pre- vedibile, mia piccola pastorella.»
«Non chiamarmi così lurido verme!», lo disse di nuovo con la voce più alta che aveva.
Sembrò un’indemoniata: il suo autocontrollo aveva mollato i freni sulla discesa più
ripida e gli occhi le erano diventati rossi dalla rabbia.
«Prendetela!»
I tipi sinistri, che fino ad allora erano rimasti
in disparte ad ascoltare il breve dialogo fra i
due, si fecero avanti verso la donna. Fabiola liberò un calcio, e più che a un gesto violento
sembrò di assistere a un passo di danza moderna. Non si ebbe idea della potenza del movimento, finché il piede della donna non
impattò la mascella destra dell’uomo. Allora un
deciso “crack”, che sembrò essere amplificato da
un microfono ambientale tanto si sentì nitido e
chiaro, rubò la scena al silenzio e l’uomo si afflosciò a terra dolorante.
144
Salvio Fiore
La potenza espressa da quel calcio sembrò ri- cordare ad Aldo che, sebbene in tre,
non do- veva sentirsi completamente al sicuro da quella rabbia felinica. Una paura
folle lo assalì per cui si alzò in piedi e fece due passi indietro fino a urtare il muro con
le spalle.
«Dio che bello!… Avanti voi due, mica vi fa- rete prendere di nuovo a calci in bocca
da que- sta puttana? Forza! Bloccatela!» la voce di Aldo trasudava piacere e i due
uomini si guardarono in faccia dubbiosi, mentre Fabiola provò ancora più ribrezzo per
quell’uomo.
Sebbene uno dei due ceffi fosse ancora stor- dito dal calcio, stavolta, senza concedere
alla donna il vantaggio della sorpresa, ebbero la me- glio.
«Ecco, bravi guaglioni, tenetela ferma!» E s i avvicinò lentamente alla donna . «Ecco
vedi? Siamo alla resa dei conti, io volevo solo amarti, mentre tu non me lo hai mai
consentito.»
«Amare?… Tu non sai nemmeno lontana- mente cosa vuol dire questa parola. La tua
mente è così mostruosamente deformata che sa- resti capace di concepire un
assassinio come atto d’amore…» urlò la donna, e senza esita- zione gli sputò in faccia
colpendolo dritto al centro tra gli occhi, poi riprese:
«Non toccarmi brutto verme schifoso, prefe- rirei persino il tocco della pecora più
laida a quello della tua mano, maledetto pervertito fi- glio di puttana!»
Il teorema Codazzi 145
Quelle parole di spregio, ma soprattutto il ri- ferimento all’animale lo spinsero a
reagire.
«Spogliatela e mettetela stesa con la pancia su quel tavolo!» ordinò brusco ai due
individui e, mentre questi si mettevano all’opera, lui si di- resse verso un angolo buio
della stanza, dove aveva lasciato uno zaino. Appena entrato nel- l’ombra, nessuno dei
presenti poté vedere chia- ramente che cosa stesse tirando fuori dalla borsa, a
malapena si riuscì a intuire che stava indossando qualcosa. Dopo un po’, nel silenzio
dello stanzone crepato solo dai lamenti di Fabi, si capì che l’uomo aveva finito di
armeggiare nel buio. Allora Aldo si girò verso la donna e l a vide nuda sulla tavola a
pancia sotto con un uomo da un lato e uno dall’altro che la tene- vano per una mano e
un piede tirandola verso l’esterno.
«Adesso arrivo pastorella!»
Il tono della sua voce era cambiato, era diventato opaco e cavernicolo, agghiacciante e
prese a dirigersi verso il tavolo. Mentre camminava si sentiva un rumore che seguiva il ritmo
dei suoi passi, era un suono di campanacci.
Quando l’uomo rientrò nella luce della luna, un
senso di terrore colse i due uomini. Fabiola invece urlò come un’ indemoniata, era in preda a
convulsioni.
Aldo era vestito come un Mamuthones!
Aveva il corpo ricoperto di voluminose pellicce
146
Salvio Fiore
di pecora nera e in faccia portava una terrifi- cante maschera di spesso legno scuro che
era a metà tra Belfagor e Pulcinella, il capo era av- volto da un fazzoletto che gli
incorniciava la faccia di legno.
Su tutto il corpo, e specialmente sul dorso, aveva un’enorme massa di campanacci. Il
pro- filo della bestiale gobba creata dai sonagli, lo scampanellio a ogni passo, la
maschera orripi- lante gli conferivano tutti insieme l’aspetto della più spaventosa
bestia degli inferi. In una mano stringeva uno di quei giocattolini che ri- producono il
belare delle pecore.
“Beee… beee… beee… dlin… dlon… dlin... beee…” tutti i campanacci, a ogni salto produ- cevano
un rumore assordante, accompagnato dal belare di pecora prodotto dal
giocattolo.
Fabiola inarcò la schiena e si girò di lato verso la fonte dei suoni. La scena che le si
presentò era mostruosa. Terrore e sconforto l’aggredi- rono tanto che perse le forze e il
suo corpo si af- flosciò sulla tavola, la guancia si deformò schiacciata sulla fredda e
sporca superficie sotto di lei. Li riconosceva quei campanacci, li avrebbe
riconosciuti anche fra mille anni. Erano cinquanta sette, tanti quant’erano le pecore del
padre. Li aveva cuciti lei, nel freddo inverno dei pascoli, a uno a uno fino a riempirsi le
mani di piaghe e tagli per il continuo infilare l’ago nello spesso cuoio.
Il teorema Codazzi 147
“Beee… beee... dlin… dlon… dlin... beee… dlon…” Aldo agitava la scatoletta sbattendo forte i
talloni a terra, e rideva cattivo, attri- buendo alla maschera un ghigno malefico.
Fabiola ormai era fuori di sé e prese a sbattere la faccia sul tavolo, forte, sempre più
forte, ma stavolta la strategia di far tacere un dolore con un altro non sortiva effetto.
Non era possibile soffocarlo perché veniva dal passato.
«Ti prego Aldo, basta… ti supplico... basta… farò ciò che vuoi, ma ferma quei suoni, ti
sup- plico!»
«Dammi Marcus! Aiutami a incastrarlo e ti li- bererai per sempre di me» disse Aldo.
«Mai!» urlò lei.
Un’esplosione finale di rabbia travolse Aldo.
«Tenetemela immobile!» comandò ai suoi uomini.
Fabiola chiuse gli occhi. Era assente, non era
lì, era in un altro posto, in Sardegna, rapita da
quei suoni, ritornata ai suoi pascoli. Ma la pace
di quei campi non era la sua. Sentiva, soffocante, orrore aggiungersi a orrore.
Il suo ultimo pensiero fu per Marcus.
148
Salvio Fiore
Capitolo 17
«Ebe... ebe?» chiedeva Marcus al suo collega attraverso il cellulare.
«Sì Marcus! Non ne posso essere certo ma credo sia “ebe”, pensa prima a questo
nome, se non ti dice niente allora cercherò altre combi- nazioni.»
«Mmm… “ebe”... ma sì giusto! Villa Ebe» Marcus visualizzò il magnifico rudere e
quel- l’unico momento di intimità che ebbe con l’af- fascinante collega. Si commosse.
«Marcus hai realizzato?»
«Sì, Luca, mio Dio Fabiola è a pochi passi da
casa mia.»
«Come?»
«Sì, dietro la caserma Nino Bixio.»
«Ah! Sì, certo ho capito, alle rampe Pizzofalcone, la ex residenza di Lamont Young.»
«Sì, bravo Luca, adesso inizia col mandare una
volante sul posto, poi scendi subito che io sono
già in sella e sarò da te tra un minuto. Muoviti!
Fa’ presto, non c’è un secondo da perdere»
Sulla sua moto, Marcus sfrecciava come un
folle, Fa biola no!… Fabiola no! si ripeteva, mentre
correva suonando il clacson senza risparmio.
Arrivò sotto casa di Luca, lui era lì che lo aspetIl teorema Codazzi 149
tava, Marcus decelerò solo di poco, il collega salì al volo come solo loro sapevano fare,
e si di- ressero alla massima velocità verso il Monte d i Dio. Durante il tragitto
incrociarono una vo- lante a sirene spiegate. Due chiacchiere, senza fermare i mezzi,
tra lui e il pilota dell’auto della polizia col finestrino abbassato e si resero conto che
stavano andando nello stesso posto. La vo- lante era quella chiamata in soccorso da
Luca.
«Conosco bene la zona, non potete arrivare velocemente al rudere da sopra, la strada
è un susseguirsi di tornanti.»
Marcus parlava dalla moto, affiancato alla vo- lante a pochi centimetri, tanto è vero
che ogni tanto il contrappeso destro del manubrio urtava la fiancata dell’auto, la quale
nel frattempo aveva spento le sirene.
«Io vado con la moto, voi prendete Luca e bloccate la strada d’accesso dal basso, dal
Chia- tamone, dove iniziano le rampe.»
Marcus diede una leggera gomitata al suo passeggero per dirgli di prepararsi a
scendere. I due mezzi rallentarono senza mai fermarsi e Luca sotto gli occhi dei
passanti che avevano as- sistito all’inusuale scena, scese come un gatto dalla moto e in
un istante era già dentro la vo- lante che, riaccese le sirene e sgommando, ri- prese a
forte velocità la sua corsa verso la meta. Marcus era già a via Gennaro Serra, in un secondo girò per il magnifico Monte di Dio,
150
Salvio Fiore
quindi passò davanti al suo portone, e, sebbene in piena emergenza, gli parve di
sentire la quiete del suo appartamento con vista giardino e di sentirne l’odore umido
del verde, ma la- sciatosi alle spalle a folle velocità il portone di casa smarrì dentro di
sé quella sensazione di calma. Ecco, era su monte Echia dove Napoli ebbe inizio.
Percorse ancora veloce la spianata della collinetta, poi mise il motore in folle e lo
spense, poiché erano iniziate le nove rampe che portavano giù al Chiatamone. Villa
Ebe era al secondo tornante. Come un pazzo furioso si li- berò della moto e si avvicino
di corsa al rudere. Fu quando vide la cancellata di recinzione del- l’antica abitazione
che dopo un silenzioso dia- logo interiore decise di riprendere la calma e mettere da
parte l’adrenalina. Da adesso in poi era diventato il freddo poliziotto professionista. Si
aggrappò alle sbarre del cancello per scaval- carlo, avvertì il gelido contatto con il ferro
nel- l’atto di stringere la presa.
Fu solo in quel momento che si rese conto della temperatura fresca della serata. Passò
il muro di recinzione, estrasse la pistola e, con le gambe leggermente più piegate del
normale, iniziò a camminare con una pistola stretta tra l e due mani. La pistola era
tenuta con le braccia tese davanti a sé, la testa ruotava spesso a de - stra e sinistra
seguita dalle braccia che tenevano l’arma sempre in linea con lo sguardo.
Il teorema Codazzi 151
Arrivato a una porta che sembrava essere l a principale , svuotò i suoi neuroni di
qualsiasi pensiero e allertò tutti i suoi sensi, aveva sen- tito dei gemiti ed era certo che
erano di Fabiola. Se non altro era viva.
Si introdusse lentamente nell’interno, il cuore tuonava forte, pronto a inviare ai
muscoli grandi volumi di sangue e poteva sentirlo bat- tere nitido grazie al bavero del
giubbino che, premendo leggermente sulle carotidi del collo, ne rendeva possibile
l’ascolto. Procedeva in avanti verso i gemiti, passò una strettoia che dava in un
ambiente più grande illuminato a mala pena solo dalla luce della luna, ma la luminosità era sufficiente a vederla.
152
Salvio Fiore
Capitolo 18
Luca era seduto dietro nell’auto della squadra volante della Questura di Napoli,
passarono per Santa Lucia a circa centoventi all’ora.
«Collega,» disse Luca, «vai più piano altri- menti mettiamo sotto qualcuno»
Il giovane pilota che credeva di far bene il suo compito, rispose con aria delusa:
«Ma il musulmano ha detto che è urgentissimo!»
«Se chiami ancora il mio amico a quel modo, ti
mando a fare la ronda notturna alla stazione centrale fino alla pensione, e vai piano, è un ordine!»
«Certo mi scusi dottore…» decelerò, «...volevo dire il commissario Marcus.»
Arrivarono alla curva che da Santa Lucia immette in via Chiatamone, maledizione c’era un
ingorgo.
«Accosta che scendo!» disse deciso Luca.
La stradina che portava a Villa Ebe era ormai
a soli cinquanta metri più avanti e non c’era
tempo. Marcus, amico, sto arrivando e si mise ad
andare spedito verso la salita che lo portava al
castello. Quando era giunto in prossimità del
primo tornante vide un uomo con uno zaino
nero che con fare furtivo camminava veloce
verso la parte opposta da dove lui proveniva.
Il teorema Codazzi 153
Luca non esitò un secondo, aumentò la velocità della sua corsa al massimo, tanto da
avvertire l’aumento del vento apparente sul volto e le guance che prendevano a
traballare budinose sotto l’impatto dei passi al suolo.
Fece solo pochi metri, l’uomo era vestito in maniera comoda e di corporatura media,
per strategia non per paura optò per una cattura senza colluttazione, ma sotto
minaccia della sua pistola. Dunque diminuì la velocità, diede mas- sima tensione ai
muscoli quadricipiti e tibiali, affinché, insieme alla suola di gomma delle sue scarpette,
divenissero un ammortizzatore e si- lenziatore perfetto del suo passo, quindi prese la
pistola e senza che l’uomo se ne accorgesse gli puntò la canna gelida alla nuca.
«Fermo!» gli intimò e poi: «Dove andiamo di bello, “Black Block”? Anzi dovrei dire:
da dove vieni?»
«Meglio mi lasci stare… collega» gli disse l’altro.
«Col cazzo ti lascio stare… “collega”! Vieni con
me che ti faccio mettere seduto comodo in una volante che si trova pochi metri più dietro, mio caro
il signor “meglio mi lasci stare… collega”.»
154
Salvio Fiore
Capitolo 19
Marcus nel vederla stava per correrle incontro e urlare “Amica mia, eccomi!” ma si
controllò e prima di avvicinarsi alla collega indietreggiò d i un passo rifugiandosi in
una zona più buia e come un gatto in agguato scrutò attentamente l’ambiente. Con gli
occhi passò in rivista ogni centimetro quadrato dello stanzone, soffer- mandosi
maggiormente nei luoghi più bui. Poi, resosi conto di essere solo si avvicinò a Fabiola.
«Papà ti prego basta, smettila…» disse Fabiola non appena vide Marcus, ma era
evidente che non lo aveva riconosciuto.
Aveva parlato con un filo di voce, quasi un sussurro, tanto che, per sentire, lui si era
portato talmente vicino alla bocca, che ne poteva sentire il calore dell’alito di lei.
«Fabi mia cara, è tutto finito, sono io Marcus!»
«Marcus?» e la donna ruppe in un pianto pietoso.
Marcus le poggiò dolcemente due dita alla
gola e si accorse che il battito era quasi assente.
Dio Fabi che cosa diavolo ti hanno fatto.
Allarmato dal flebile battito cardiaco le diede
uno sguardo più accurato alla ricerca di qualche ferita. Non sembrava averne, eppure stava
morendo.
Il teorema Codazzi 155
Poi, quando il suo sguardo passò in rivista il bacino e le cosce, fu inorridito da un
rivolo di sangue che le scorreva fino alle ginocchia per staccarsi dalla pelle e
gocciolare a terra; le gambe e le natiche erano piene di ematomi e graffi, da qualche
ripostiglio, sigillato dal do- lore nel suo vissuto, riuscì a fuoriuscire, come aspirato dal
vuoto, il ricordo di una donna stu- prata davanti ai suoi occhi, dalle milizie serbe nel
suo villaggio nativo in Bosnia. Era la madre.
Ti prego Fabi non morire!
Si abbassò piangendo, era in ginocchio aggrappato a una gamba della donna, la fronte di
Marcus poggiando sulla coscia della donna si
era bagnata del sangue di lei.
«...Papà ti prego smettila…» sussurrò lei. Ancora il padre, pensò il falco.
«Fabiola, ti ripeto, tesoro, non preoccuparti,
sono io, Marcus…e qui siamo solo io e te, ed ètutto finito!»
«Tutto finito sì… tutto finito» e
lei sorrise a quel pensiero, recuperando
apparentemente un minimo di forze.
«Marcus, amore, allora sei tu… tu. Devi…
devi sapere… io sono figlia di un pastore sardo,
padrone violento, e di una madre vittima. Lui
ebbe me violentando lei. Poi riuscì, tra l’ignoranza e l’omertà del paesino a portarsela gravida con sé sulle montagne tra le sue maledette
pecore... Quando nacqui io, la vita di mia madre
156
Salvio Fiore
era un continuo “stare attenta” a non lasciarmi mai sola con quell’uomo, poi verso i
miei dieci anni lui la uccise e iniziò ad abusare di me. Per otto anni abusò di me tra le
mie lacrime e le sue pecore... quelle maledette pecore… Marcus, amore, sto morendo
di dolore!»
«Fabi, Fabi, è tutto finito, tra un po’ arriva Luca e ci facciamo due risate, poi appena
starai meglio ce ne andiamo a bere una birra tutti e tre, tra risate e cazzotti. Ma
Fabiola… adesso chi è stato a farti questo…lo sai?»
«…Il giorno del mio diciottesimo compleanno tenni per tutto il giorno un coltello infilato nella manica della maglia… quando mi
riprese con violenza, quel giorno non provai a
sottrarmi ma mi finsi inerte, mentre invece
dentro stavo morendo, sono morta mille volte
su quei pascoli, quindi presi il coltello e glielo
infilai in gola…»
La donna fu costretta a interrompere il suo
racconto, una fitta di dolore le attraversò il ventre, ma non era dolore fisico era un dolore diverso, era la sua energia vitale che le si stava
rivoltando contro.
«…Ricordo che, quasi felice per aver ammazzato mio padre con l’ingenuità dei miei diciotto
anni vissuti tra le pecore, scesi in paese per an-
dare a denunciare tutto. Il capitano della piccola stazione dei carabinieri del paesino era un
giovane napoletano di nome Aldo, come mi
Il teorema Codazzi 157
vide, notai nei suoi occhi un macabro bagliore come di voglia di saltarmi addosso, non
di- menticai mai il suo primo sguardo, quell’uomo finse comprensione e accolse la mia
confes- sione, ma poi minacciò di mandarmi in galera a vita per omicidio, se non lo
avessi accontentato. In quel periodo Aldo stava entrando nei servizi segreti e sotto
minaccia mi portò con lui, da al- lora non me ne sono più liberata.»
«…Tu lavoravi per lui?... dunque sei stata tu che… riportavi tutto!»
«Sì, è così! Io ero la spia, lui mi mise a spiarti subito dopo lo scandalo dello scambio di
voti… ma Marcus non volevo, ero costretta, sempre sotto minaccia… ma a casa mia c’è
un dossier segreto scritto di mio pugno in cui c’è tutto su me, il mio lavoro segreto e su
Aldo…»
D’istinto Marcus scostò la sua mano che ca- rezzava la fronte di lei come a rendesi
conto che stava carezzando il nemico di sempre, lei si rese conto del distacco e si
rabbuiò in volto e questo rifiuto accelerò la sua discesa veloce verso la morte.
Marcus riprese a forza dalla memoria tutti i momenti felici e le tenerezze,
disprezzandosi per quell’odio che stava nutrendo.
Gli sovvenne, poi, il bacio a villa Ebe. Combattuto tra il risentimento verso la spia e
l’amore per l’amica, si sottrasse a ogni princi- pio di giudizio e le disse “Ti amo
Fabiola”.
158
Salvio Fiore
Lei sorrise serena come pervasa di pace, lui chiuse gli occhi e la baciò sulle labbra a
lungo accompagnandola così fin dentro la morte.
Al passaggio del corteo funebre, gli uomini abbassano le saracinesche a metà, escono
fuori, qualcuno saluta la bara con il gesto militare, qualcun altro porta una mano al
petto, altri chi- nano il capo in un atteggiamento costernato, anche se il morto è uno
sconosciuto. Quando Marcus uscì fuori dal rudere, la natura non ab- bassò nessuna
saracinesca, anzi gli parve che era tutto sin troppo bello: la luna era piena, un
venticello di tramontana rendeva tutto nitido e terso tanto che il cielo intero, sembrava
puris- simo cristallo in procinto di vibrare per l’acuto potente di un soprano. Poi vide
un buffo mi- cetto che, goffo, camminava saltellando e un passerotto spensierato su
un muretto. No! La natura non mostrò la benché minima attenzione per la morte di
Fabiola, si irrigidì a quel pen- siero ma poi pensò che era giusto così: la natura non
aveva l’ipocrisia degli uomini.
Ancora una vibrazione lo svegliò dalla sua lu- gubre contemplazione del bello. Era un
sms. Luca: Marcus, credo di averlo preso. Lesse il mes- saggio con un po’ di sforzo, gli
occhi straripanti di lacrime gli indebolivano un po’ la vista. Ini- ziò a scendere le
rampe che lo portavano verso via Chiatamone, girò per quattro tornanti poi
Il teorema Codazzi 159
vide come un faro blu nell’oceano del suo do- lore, il lampeggiare di una sirena. Sì!
Doveva essere la volante di Luca che aveva bloccato la via d’accesso dal basso. Marcus
si avvicinò len- tamente con andare costernato, piccoli passi in- certi e schiena
leggermente in cifosi.
«Marcus, tutto okkei? » gli chiese l’amico.
«Abbracciami…»
Dio mio, pensò Luca, che cosa era accaduto? Ma
non disse nulla, si limitò a soddisfare la richiesta dell’amico. Gli andò incontro e già quando
gli fu vicino, lo udì piangere, quindi annullò la
distanza e lo strinse in un abbraccio fraterno e
caloroso, dandogli nel contempo delle leggere
pacche sulla schiena.
«Luca, Fabiola è morta» e l’abbraccio allora
durò a lungo, fino a che Luca indicando la volante ruppe il silenzio:
«Abbiamo il suo assassino…»
«Voglio guardarlo nelle palle degli occhi quel
verme schifoso» disse Marcus collerico.
Attraverso i vetri appannati dell’auto della
polizia, seduto sui sedili posteriori vide la sagoma confusa di un uomo ammanettato, fuori
dall’auto due agenti chiacchieravano. Marcus
con uno scattò violento aprì lo portiera dell’auto.
Era lui, glielo diceva il suo istinto! E nel vederlo tutti i suoi muscoli si contrassero, le mascelle si serrarono: voleva solo ammazzarlo.
160
Salvio Fiore
Luca lo conosceva come un fratello, gli ba- stava guardarlo in viso per capire:
«Marcus, non fare cazzate!»
«Luca lasciami da solo con questo figlio di
puttana, gli devo parlare.»
«Marcus è troppo rischioso, che mi invento
con i due colleghi, e poi sei fuori di te!»
«Ti prometto che non lo ammazzo» e lo
guardò dritto negli occhi a scovare la fiducia del
loro rapporto.
«Ehi! Aspetta ma, dove te lo porti?»
Il teorema Codazzi 161
Capitolo 20
«Ma Marcus perché ti ostini tanto a voler fare qualcosa per questa città senza
speranza?» Aldo parlò subito, non appena i due entrarono nella villa abbandonata
della Gaiola.
«Perché è la mia città!» rispose Marcus.
Nel rudere vi erano solo loro due, qua e là
tracce lasciate da vagabondi in cerca di un riparo, sparsi in giro vi erano vecchi mobili andati in disuso.
«La tua città?» Gli fece eco Aldo, poi aggiunse
Beffardo. «Ma se non sei nemmeno italiano, tu
sei musulmano!»
Marcus stava per scattare, avrebbe voluto
prendergli la testa e fargli fare due giri completi, uno per Fabiola e un altro per sé, ma si ricordò che a volte cedere alla violenza era come
ammettere le colpe di chi ci accusa, quindi si
fece forza e serenamente, quasi a bassa voce,
disse:
«Sono italiano, sono napoletano, ho vissuto a
Napoli da quando avevo sei anni, e mio padre
mi ha insegnato ad amare questa città nonostante i suo aspetti negativi»
«Già!…tuo padre… quel fottuto pazzo che
credeva di essere una lucertola…»
Il teorema Codazzi 163
“Sbamm!”Aldo non finì di parlare che un fe- roce pugno di Marcus lo colpì in pieno
sul naso. Il male era talmente forte che non riusciva a stabilirne il punto d’origine,
doveva appurarlo attraverso il tatto e dunque portò una mano al volto per capire che
cosa si fosse rotto. Tastò de- licatamente con le dita tremanti le sopracciglia, gli occhi,
poi gli zigomi e le labbra, ma non sentì lacerazioni e nemmeno un aumento del dolore
alla leggera pressione delle dita, ma quando passò a palpare il naso, ad Aldo vennero
meno le gambe e semisvenuto si afflosciò a terra, emettendo un animalesco rantolo.
Capì che il suo naso era il punto di origine del dolore e che
si era rotto.
Quel pugno non fu un semplice cazzotto.
Aveva in sé tutta la forza della rabbia accumu-
lata da Marcus in vita sua. Era il pugno vendicatore non solo di Fabiola ma di tutti i
napoletani, era il pugno delle vittime delle
stragi, del razzismo, della corruzione, degli innocenti perseguitati nella guerra di Bosnia. Aldo
aspettò che la fitta lancinante diminuisse, quindi
cercò di capire: un osso nasale, quello di destra,
staccandosi dal centro del volto, sotto l’impatto
con le nocche, era slittato di lato e sgusciando
tra i tessuti e le ossa della faccia era arrivato fin
quasi a invadere l’orbita oculare destra.
Dell’osso nasale sinistro non vi era traccia,
forse, pensò con un senso di raccapriccio, si era
inabissato nella sua cavità nasale.
164
Salvio Fiore
«Il mio naso, bastardo d’un musulm…» “bamm!” di nuovo non riuscì a finire la sua offesa che era stato colpito ancora. Marcus era di fronte a lui quando l’uomo riprese a
offenderlo e lui piegando il braccio destro portò il pugno al petto, sollevando il gomito
appuntito in fuori. Fece una torsione del busto, caricando il corpo come una molla.
Dopo, fece un piccolo saltello e mentre era in volo, liberò la rotazione. Il go- mito come
una guglia di acciaio si abbatté nel- l’esatto punto in cui, il pugno aveva colpito un
attimo prima.
«Questo è per Fabiola e per gli innocenti che hai ammazzato!»
Marcus gli diede uno sguardo, lo vide come un uomo contempla uno scarafaggio che
ha ap- pena schiacciato, con quel sentimento di soddi- sfazione misto a un minimo di
pietà.
L’astuto Aldo, seppur in preda a dolori lanci- nanti, quasi percependo la leggera
indecisione di Marcus ruppe il silenzio e a fatica, con voce tremante disse:
«Sì Marcus tu mi odi, lo so. Credi che io sia un indifferente superficiale figlio di
puttana. Sarà vero, ma non sono un insensibile alla bellezza. Infatti… Sì! Napoli ha
dintorni incantati, castelli sul mare, regge e palazzi meravigliosi, nonché preziose
opere di pittori e antichissime loco- motive… ma tutto ciò non è nulla di fronte all’incomparabile bellezza del poter attraversare
Il teorema Codazzi 165
sicuro, di notte,un incrocio fidandosi degli sco- nosciuti... Ti rendi conto, Marcus,
quanta umana bellezza c’è in questa azione? E il napo- letano per genetica non
arriverà mai a godere di questa armonia...»
Aldo, guardandolo negli occhi, fece una pausa per studiare il poliziotto. Marcus,
dal canto suo, avrebbe voluto ridergli in faccia per la sua ipocrisia, proprio quell’uomo
mostruoso aveva la faccia tosta di parlargli di bellezza. M a quelle ragioni gli
arrivavano dentro facendo leva sui suoi dubbi.
«... Capisci Marcus?» Riprese Aldo. «Questa città è essa stessa un’offesa alla bellezza
del mondo! Ed è per questo che vorrei che fosse rasa al suolo con tutti i suoi abitanti.»
Quel bugiardo, avrebbe voluto torturarlo fino a renderlo uno scheletro di ossa
frantumate, una poltiglia informe. Eppure le parole del- l’uomo lo avevano rallentato.
È più facile pen- sare che l’assassino che ci accingiamo a giustiziare sia una
belva insensibile piuttosto che un poeta. Inoltre a volte si chiedeva che senso avesse il
suo desiderio di migliorare Na- poli, che senso avesse combattere e rischiare in prima
persona per un popolo così indolente.
Spesso si rendeva conto che aveva scelto di fare il mestiere sbagliato. Sovente
pensava: io non dovevo andare in giro per questa città con i po166
Salvio Fiore
teri di un distintivo e una pistola… prima o poi ini- zierò a fare il giustiziere. Eppure Marcus
non avrebbe mai lasciato la sua città poiché, se era vero che odiava i napoletani, era
pur vero che al contempo li amava. E il prezzo da pagare per quest’amore era fingere,
come gli diceva suo padre, di non far sempre caso al male, mentre si operava nel bene.
Non vi è redenzione possi- bile, altrimenti, per un popolo come quello par- tenopeo,
dalla natura molesta e dal calore coinvolgente.
«Alzati!» lo prese da sotto un braccio e lo tirò su. Aldo si lamentò, era tutto un dolore.
«Adesso girati verme» gli ordinò
«Che vuoi fare?»
Marcus non rispose, ma lo ammanettò.
«Marcus ma sei folle, sai benissimo che arrestare un agente dei servizi della mia posizione
è roba da far discutere il parlamento per settimane.»
«No! Non è più così, i politici che ti spalleggiavano stanno capitolando grazie ai fatti di
Napoli, non puoi più salvarti…»
Il teorema Codazzi 167
Capitolo 21
Marcus stringeva tra le mani il dossier che aveva recuperato nella cassaforte di
Fabiola.
Stava lavorando con Luca, ma non erano nel loro solito ufficio della Questura.
Non se l’erano sentita di tornare così presto in quel luogo senza Fabi, quindi si erano
visti a casa di Marcus, e lui naturalmente aveva fatto entrare l’odore degli alberi per
diluire quell’aria luttuosa.
«Marcus, cosa succederà?»
«Aldo è in guai seri. Il dossier di Fabiola è incredibile, ci sono prove di tutto l’operato di
Aldo da Capaci ad Amelio, ai Gergofili, fino ai
nostri giorni…»
«E noi che faremo di lui?»
«Noi staremo in silenzio, non lo sputtaneremo
perché lui potrebbe svelare il teorema Codazzi.
Poi, certamente, altri arriveranno a lui e se non
dovesse succedere li guiderò io. Oggi vado in
carcere, gli mostro tutto il materiale in mio possesso e gli propongo uno scambio. Per guadagnare tempo prezioso al nostro progetto,
compro il suo silenzio in cambio dell’occultamento del dossier di Fabiola e lui, che non è uno
stupido, accetterà. Capirà che se non lo denunIl teorema Codazzi 169
ciamo è per convenienza e, sapendo che sta per perdere la sua protezione politica, ci
lascerà in pace.»
«Bingo, Marcus, non fa una piega!»
«Certo non fa una piega, ma io vorrei vederlo
morto, e poi quel Sergio…»
170
Salvio Fiore
Capitolo 22
Un trillo: sms.
Amanthi: Auguri amore mio, che fine hai fatto?
E lui subito pensò nervoso: Cristo, il mio amore.
Preso dagli ultimi drammatici sviluppi, se l’era
quasi dimenticata. Fu assalito da un senso di
panico simile a quello che ti prende quando
nella ricerca del portafogli tocchi la tasca senza
sentirlo.
Ma auguri di che? Porca miseria! Era san Marco, il suo onomastico e sentendo
un’orchestra di sensi di colpa suonargli nella testa, le rispose subito con un sms: Amore
scusa! Hai ragione, sono imperdonabile. Ci vediamo a pranzo alla baghetteria.
Arrivò a casa, posò la moto nel garage all’interno del cortile del suo palazzo, poi prese
l’ascensore e con quattro passi, mentre annusava i consolanti odori domestici, arrivò davanti alla porta di casa.
Di Cecilia nessuna traccia, quasi gli dispiacque, infatti quella cicciona dall’aspetto gioviale,
col tempo, era entrata a far parte della sua rassicurante quotidianità.
Entrò in casa e, come al solito, aprì i balconi che
davano sul giardino, nulla lo distendeva di più
della vista di quegli alberi.
Il teorema Codazzi 171
Poi andò a stravaccarsi sul sofà e diede la so- lita occhiata malinconica alle foto sul
comò. Non cedette alla tentazione di gettarsi anima e corpo in un bagno di ozio lì, sul
suo comodo di- vano, tra l’odore del verde che saliva dal basso e i nostalgici ricordi.
Dopo essersi dato una si- stematina, uscì con le chiavi della moto per a n - dare
all’appuntamento con Amanthi. Mentre scendeva le scale, un sms. Luca: Risultati
ultimo censimento: il numero di case occupate dagli srilan- kesi ai Quartieri Spagnoli è
arrivato a ottocento.
Marcus rispose: “Grande!” collega, continuiamo così. Ci vediamo oggi in ufficio subito dopo
pranzo.
Ogni anno, in anonimato, la squadra di Marcus effettuava un censimento per tutti i
vicoletti dei quartieri. Nell’ultimo , le case abitate da Srilankesi erano passate da
quattrocento a ottocento, era l’incremento massimo riscontrato in quattro anni. Adesso
potevano smettere di incoraggiare il fenomeno, sarebbe andato avanti da solo per
inerzia. Nel frattempo era già in sella alla moto e, come uscì attraverso il grosso portale
in pietra lavica del Vesuvio che cingeva il pesante portone in legno del suo palazzo,
assaporò il vento dalla moto.
Amanthi, arrivo.
Lei lo stava aspettando al consueto tavolino
della baghetteria, bella come una principessa di
un romanzo di Salgari.
172
Salvio Fiore
« Uffi falchetto ma che testa hai?» gli disse, get- tandogli al collo le sue braccia e
tirandolo a sé.
Lo baciò con le sue labbra carnose e umide.
Da quanto tempo non facciamo l’amore, pensò lui.
«Auguri Marcus» disse lei baciandolo ancora,
ma più intensamente. Lui chiuse gli occhi e si
lasciò andare al sapore di lei. Amanthi fu la
prima a slegare le labbra e Marcus riaprì gli
occhi e vide la donna prendere una grossa
busta.
«È per te falchetto» disse con un sorriso, piegando leggermente il capo in avanti e accennando a un rispettoso inchino alla maniera
orientale. Lo faceva raramente. Marcus aprì la
busta, dentro c’era uno zaino e ne fu felice.
«Grazie amore, sai che li adoro!»
«Certo che lo so, caro il mio strano fidanzato,
questo è il settimo zaino che ti regalo…»
«Fabiola è morta, o meglio l’hanno ammazzata»
Glielo disse così, all’improvviso nel bel mezzo
della consegna del regalo.
«Oh Joe, piccolo mio, vieni qua!» e tirò il capo
dell’uomo al suo seno.
Marcus si sciolse in un pianto incondizionato,
lei non lo aveva mai visto versare una lacrima.
Lui singhiozzava, le bagnava il seno di lacrime,
mentre lei gli carezzava i capelli.
«Amore andiamo via da questa città, scappiamo io e te, andiamocene tra i silenziosi elefanti e il verde dello Sri Lanka» le disse mentre
Il teorema Codazzi 173
continuava a piangere e i suoi singhiozzi per quanto sommessi attirarono gli sguardi di
altri avventori e allora aggiunse:
«Andiamo via da questo bar.»
Salirono sulla moto e andarono via veloce.
Il vento trascinava con sé le lacrime, portandole ad appiattirsi sulla bella faccia di lei che gli
sedeva dietro, alcune, sospinte impetuosamente, le si spiaccicarono sulle labbra. In un naturale gesto d’amore assoluto, le leccò come a
ingoiare il dolore di lui per non disperderlo al
vento. Poi da dietro lo abbracciò più forte.
«Amore, andiamo ovunque tu voglia, io ti seguirò!» gli confermò la donna.
Nel frattempo erano arrivati a casa di lei e si
fermarono ancora qualche minuto a parlare
fuori all’ingresso del basso.
174
Salvio Fiore
Capitolo 23
«Luca, non è uno scherzo, o meglio, certo che scherzo, ma devi sapere che…»
Gli raccontò tutto, gli disse che la morte di Fabi lo aveva troppo straziato e quindi
voleva partire, forse per non tornare mai più.
«Eh no, Marcus! Se hai intenzione di partire, ne dobbiamo parlare da vicino.»
«Certo Luca, hai ragione, ci vediamo più tardi» disse chiudendo la conversazione.
Quando incontrò Luca in ufficio era la prima volta che Marcus ritornava in quel
luogo dopo la morte di Fabiola. Non poteva immaginare che guardare la scrivania
vuota della collega gli potesse fare tanto male.
«È dall’infanzia che rincorro il desiderio di cambiare Napoli, a volte sento di affogarci
den- tro. Devo andare via per non restarne vittima, mi spiace per mio padre, ma voglio
andar via per adesso, poi si vedrà.»
Amare è lasciare liberi, pensò Luca.
«Marcus tu sei più che un collega e un amico,
tu, per me, sei un fratello… ma certo capisco,
va’! Io continuerò il tuo progetto, magari un
giorno tornerai…» e lo abbracciò.
«Mettimi dentro quel verme di Sergio» gli
sussurrò all’orecchio.
Il teorema Codazzi 175
Capitolo 24
Chi non ha visto Napoli alle sette del mattino non può immaginare quanto sia bella.
Se soffia la tramontana, grazie ai colori del mare che sembra di ghiaccio nero, la
metropoli mostra il gelido fascino di una città artica, se in- vece c’è la tipica bafogna
estiva, il capoluogo partenopeo porta in sé la fosca atmosfera di una città araba al suo
risveglio, quando il Mujahed- din intona le preghiere dall’alto del minareto.
Marcus era molto malinconico, inoltre la bel- lezza delle cose che ci accingiamo a
lasciare viene amplificata dalla nostalgia di immaginar- cele già perdute. Forse, rifletté
con un sorriso amaro, la città sembrava più bella solo perché di mattina presto non
c’erano i molesti napole- tani a violarne la magnificenza.
Marcus pensava a tutto ciò mentre, in groppa alla sua moto, stava andando al porto.
Prima di partire per l’oriente, doveva fare un lavoretto a Procida. Voleva recarsi
nell’isola per recuperare la protesi del braccio mancante c h e regalò al padre,
quando era ancora un bambino.
Per Marcus quel braccio finto rappresentava le ceneri del padre e voleva portarle con
sé.
Il teorema Codazzi 177
Sapere quell’oggetto lì vicino, a poche miglia da Napoli, lo rassicurava. Ma adesso
che an- dava nel lontano oriente, sentì forte la necessità di non abbandonarlo.
Arrivò al porto di Napoli, passò per l’edicola dove comprò un Topolino da leggere
lungo la traversata, poi consumò un cappuccino e un cornetto al bar, quindi comprò
un biglietto di andata e ritorno per Procida. Quando salì a bordo, scelse una comoda
poltrona vicino a un gran finestrone che dava sul mare a circa tre metri di altezza dal
pelo dell’acqua, quindi tirò fuori il fumetto e iniziò la lettura spensierata.
La navigazione procedeva tranquilla.
L’isola fu il primo posto dell’Italia che vide al suo arrivo, all’età di sei anni.
Provenendo dal caos bosniaco, quell’isola tanto tranquilla e un po’ monotona gli parve
un paradiso. Poi una volta cresciuto e dopo la morte del genitore, iniziò a desiderare
un ambiente un po’ più dinamico.
Quindi si trasferì a Napoli che forse era addirittura troppo vivace. Una volta
stabilitosi nel capoluogo, decise di recidere ogni legame con l’isola che continuava a
ri- cordargli troppo la morte del padre Daniele.
Marcus aveva finito il suo giornalino quindi lo ripose nello zaino e si incantò a
guardare l e onde della nave che, nascendo dalla prua, si univano tumultuosamente
con le altre che va178
Salvio Fiore
gavano disordinatamente per il golfo in tutte le direzioni. Nella spuma di un onda
intravide un delfino, poi un fiore. Nella schiuma di un’altra onda vide una farfalla, poi
tra le bolle, prese nitidamente forma la faccia del padre che tanto gli ricordava il
barbuto babbo natale. In fine vide se stesso bimbetto.
Sono i disegni che la matita dell’inconscio disegna sulla carta delle nuvole o delle onde.
Ma che si trattasse del cielo o del mare sempre vi vedeva il padre. Si stava avvicinando
a Procida.
Il padre di Marcus era una persona disabile. Gli mancava il braccio destro. Lo perse in
un in- cidente sul lavoro, quando lui ancora non era stato adottato. Il piccolo Marcus si
rivelò un bimbo molto intelligente e sensibile, anche se pestifero e disobbediente. Il
padre lo amò da su- bito e incondizionatamente, come se fosse stato suo figlio
naturale. Il bimbo che gli veniva dato in adozione dalla Bosnia, era dotato di grande
empatia. Questa facoltà era talmente accentuata che a volte sembrava la usasse quasi
fosse un potere divino. Daniele si rese conto ben presto che il suo piccolo figlio
adottivo intuiva quale inquietudine si dimenasse in lui, come viveva la sua condizione
di disabile e soprattutto che cosa realmente provasse al di la della versione verbale. Il
bimbo aveva la capacità di leggere le cose non dette. E a dimostrazione delle
sensazioni del padre, Marcus, nel giorno del settantesimo compleanno del genitore, gli
regalò un arto finto ma perfettamente funzionante, anche se inutile all’atto pratico in
quanto fatto con spago, lattine, molle e recipienti in plastica per detersivi. Poco dopo
Daniele morì e Marcus seppellì il braccio sotto il pioppo più grande e bello di Procida.
Quando il padre si spense, lui non partecipò alla cerimonia funebre, perché era
troppo occu- pato a organizzargli la sua personale e, non po- tendo disporre del
corpo, pensò bene di sotterrare la cosa più intima e personale che aveva di lui: il
braccio artificiale.
Alla cerimonia funebre parteciparono solo pochi intimissimi personaggi,
accuratamente selezionati. Fu anche una scelta molto sofferta, perché dalla funzione
decise di escludere la so- rellina Claretta. “Queste donne … non si sa mai che si metta a
piangere, sai che noia” confidò al cane.
Invece i selezionati furono lui stesso, in qua- lità di maestro della cerimonia; Breen
Elessedil, l’enorme labrador di famiglia; poi, in una sacca, il mustang e Megghy.
Il mustang era un modellino in plastica di u n aeroplano americano della seconda
guerra mondiale, che lui aveva costruito e verniciato insieme al padre. Dentro
all’abitacolo sedeva un minuscolo pilota che lui conosceva bene e chia- mava Joe.
Megghy era la bambola preferita della sorella,
180
Salvio Fiore
era di pezza con i capelli di lana rosso ruggine raccolti in due lunghe trecce. Indossava
peren- nemente un maglioncino di lana a collo alto color della canapa e una lunga
gonna con mo- tivi floreali. Lui non ci giocava con le bambole! “Roba da
femminucce” diceva spesso alla mamma. Eppure qualche volta, distrattamente, ci
aveva parlato con quella bambola di pezza. “Ma cosa hai da guardare?” le chiese un
giorno che si trovava da solo in stanza. La portò con sé proprio per sopperire alla
mancanza di Claretta. Quel giorno pioveva e nel giardino abbando- nato era tutto
fradicio. Marcus scavò il terreno con il mestolo più grande che aveva trafugato dalla
cucina. Finita la fossa prese la sacca e, come un mago che opera dottamente al cilindro
magico, vi tirò fuori prima il mustang che ada- giò su un muretto con la prua che
guardava verso la fossa, poi Megghy che poggiò di fianco all’aereo, seduta anch’essa
rivolta verso la buca.
“E adesso state tutti zitti!” disse.
“Magari potessi parlare” gli parve che la bambola avesse risposto.
Passò in rivista la surreale compagnia per l’ultimo controllo. Per prima Megghy che guardò
con un cipiglio serio, perché era certo che avesse osato parlare, dopo che lui aveva
richiesto il silenzio generale. Poi fu la volta dell’aviatore e,
infine, il cane che all’incrociare lo sguardo di lui
scodinzolò in cerca di carezze.
Il teorema Codazzi 181
“Non è il momento Breen, per favore serio, eh!”. Per ultimo si guardò tutto intorno
nel giar- dino selvaggio, nessun intruso, nessun ostacolo. Tutto era pronto per il saluto
estremo. Prese lo scatolone di cartone con il suo prezioso manu- fatto e delicatamente
lo adagiò come fosse di cristallo sull’oscuro fondo umido e farinoso della buca. Poi,
mentre il cane guaiva, lenta- mente, riempì la fossa di terra.
Addio babbo.
“Splash!” Talmente assorto in questi ricordi fu solo il fragoroso rumore della pesante
ancora, insieme al trambusto metallico dell’enorme ca- tena che si lanciava al suo
inseguimento, a de- starlo dai suoi pensieri. Era nel porto di Procida, era tornato
nella sua prima casa a dis- seppellire il suo struggente passato.
Lasciatosi alle spalle il ferroso ponte levatoio della barca mise piede sulla banchina.
Procida non è particolarmente vivace nemmeno ad ago- sto, figuriamoci alle nove del
mattino di inizio primavera. Era solo con i suoi ricordi, ogni pie- tra gli riportava
qualcosa alla mente dalla cali- gine del suo passato. Si maledì per aver deciso di
cimentarsi in questa impresa, ma subito dopo, nella più pura e innocente
incoerenza, si disse che voleva farlo perché era un piacere e un dovere. Salì su un taxi.
«Mi porta alla torre per favore?» disse all’au- tista con voce incerta.
182
Salvio Fiore
Procida è un isola piccola, non ci volle molto per arrivare nella campagna dei suoi
ricordi. Erano passati circa venticinque anni dall’ultima volta che Marcus aveva
percorso quel sentiero. Notò che la traccia si era quasi persa, ne ebbe piacere, poiché
dedusse che ancora poche per- sone andavano da quelle parti.
Arrivò al recinto. Gli venne un colpo! Non c’era più il vecchio steccato che facilmente
vio- lava da bambino. Per un attimo temette che una nerboruta pala meccanica avesse
scavato nel giardino selvaggio e con i suoi mostruosi denti di acciaio ricurvi avesse
morso il suo passato, distruggendolo. Alzò gli occhi al cielo, quasi a pregare che questo
non fosse successo, e vide il rassicurante profilo dell’enorme pioppo che era ancora lì a
sfidare le intemperie e il tempo.
La presenza dell’albero lo confortò e ripresosi dallo spavento, lasciò il sentiero per
entrare nel- l’alto verde del giardino incolto e abbandonato.
Ricordava bene che lo scatolone interrato e r a giusto ai piedi del grande pioppo.
Quindi, ri- volse lo sguardo verso terra e individuò il posto dove iniziare a scavare.
Appena si accovacciò, da quella nuova prospettiva individuò una pic- cola traccia rossa
che usciva a malapena dal ter- riccio. Subito tirò fuori dallo zaino un piccolo badile
pieghevole da camping e iniziò a scavare lentamente, con accuratezza, come un
archeo- logo che avesse fiutato il fragile vaso di antica
Il teorema Codazzi 183
Porcellana. O h Dio ma è... e continuò a scavare incredulo per quello che pensava di aver
tro- vato. Ormai gli era chiaro… è Megghy, è Meg- ghy. Ma che ci fai qui? pensava
eccitato.
Aveva dissotterrato la bambola di Claretta. Solo adesso ricordò che dopo l’ amen di
chiusura, venne giù un diluvio e, nello scappare, do- vette scegliere se portare con se il
mustang o la bambola, e chiaramente lasciò lì il giocattolo da femminuccia. Adesso
ricordava pure quanto s i pentì in seguito dell’affrettata decisione. Ma ora, quella
bambola, l’aveva di nuovo tra le mani e la stava tenendo con la stessa imbranataggine
ma infinita premura con cui un giovane padre regge per la prima volta la figlia che la
moglie orgogliosa e ancora stanca del parto gli ha passato per la prima volta.
Megghy era tutta umidiccia e sudicia, la spol- verò dandole dei colpetti con il palmo.
Pensò che avrebbe chiesto ad Amanthi di fargli una lavata e poi l’avrebbe spedita a
Claretta. Delicatamente, come fosse di cristallo, la mise nello zaino, avendo cura di
lasciare spazio per il braccio. Già! Il braccio! Era il momento di darsi una mossa! Puntò
il badile e iniziò a scavare.
Da piccino, di certo, non poté scavare una fossa profonda, usando solo un mestolo da
cu- cina, e infatti gli bastarono quattro attente spa- late e la punta della vanga urtò
delicatamente qualcosa che non era terra.
Allora continuò a scavare con le mani e gli ci volle poco per arrivare a vedere lo
scatolone.
184
Salvio Fiore
La traversata di ritorno a casa fu tranquilla. Dopo mezz’ora di navigazione, la sagoma
del- l’imponente Maschio Angioino gli diede il ben- venuto a Napoli e lui si alzò e si
diresse allo sbarco. Non ci fece caso, ma dopo il vuoto elet- tromagnetico del mare il
suo cellulare ritornò raggiungibile. E un sms errante finalmente rag- giunse la sua
meta. Amanthi: Amore è tutto pronto per la partenza di dopodomani?A che ora ci vediamo?
Marcus rispose: Amore mio sto tornando a casa ti aspetto lì.
Amanthi: okkei amore arrivo a piedi, dammi venti minuti.
Si ritrovarono a casa di lui, insieme scartarono il pacco dissotterrato e lui le mostrò il
prezioso manufatto.
«Amore è stupendo, è identico a come me lo avevi descritto,» gli disse la bella
amante, ac- coccolandosi teneramente al suo fianco sullo spesso cardigan di lana, «Joe
dovevi essere proprio un bel falchetto da bambino.»
Lui l’abbracciò tirandola ancora di più a sé e la baciò, poi giusto il tempo di aprire la
finestra del balcone e si ritirarono a letto a fare l’amore. L’indomani Marcus si dedicò a
sistemare le ultime cose in previsione di una partenza con biglietto di sola andata:
chiuse il conto banca- rio, fece disdetta delle utenze domestiche, si curò della pratica
di licenziamento dal lavoro,
Il teorema Codazzi 185
ma non fece nulla riguardo al mutuo per la casa. Decise, per sicurezza, di non
abbandonare la sua oasi napoletana, ma di affidarne le chiavi a Cecilia, affinché se ne
prendesse cura e l’affit- tasse per alimentare il mutuo. Quel giorno gli sembrò
interminabile e massacrante ma riuscì a fargli desiderare ancora di più la partenza.
Verso sera si ritirò a casa dove l’attendeva Amanthi. Il giorno dopo presero il volo
per l’oriente.
186
Salvio Fiore
Capitolo 25
...otto anni dopo...
«Amore! Oggi a che ora hai il controllo per Ki- ribaba?»
Marcus parlò rivolto ad Amanthi.
«Tra un’ora» gli rispose lei.
Lui era sempre un bell’uomo, durante questi ultimi anni i capelli brizzolati si erano
accen- tuati, ma le rughe non erano aumentate, anzi i solchi del tempo sul suo volto,
sembravano es- sere addirittura meno profondi. Forse perché abituato ai tranquilli
ritmi di vita dello Sri Lanka, per riflesso aveva rilassato i muscoli mi- mici del volto,
in passato spesso contratti dalle incazzature napoletane, ma anche dalle ansie e
frenesie dello stile di vita occidentale. Era in forma, nonostante non praticasse più
tanto sport. Lei, come al solito bellissima, era incinta. Dall’ecografia era risultata
essere una fem- mina e non ebbero difficoltà nel trovarsi d’ac- cordo sul nome. Non
solo il nome piaceva a entrambi, ma pure gli ricordava vagamente il
famoso dolce napoletano.
Del progetto Marcus non seppe più nulla, o
meglio, arrivato in oriente fu preso da una sorta
di totale chiusura verso il suo passato.
Il teorema Codazzi 187
Ormai viveva da otto anni in quel paese e si era bene integrato nel tessuto sociale,
della sua città non voleva più avere notizie, eppure ogni tanto gli arrivavano
all’orecchio notizie di Srilankesi che partivano alla volta di Napoli. Seb- bene si
rallegrasse di avere notizie delle sue radici, subito dopo si sentiva violentemente
infastidito. Era un po’ come aprire occasionalmente un vecchio cassetto e riprendere il
foulard preferito di una madre ormai morta.
La prima reazione è positiva, quell’oggetto per un attimo ce la riporta in vita
restituendoci il suo contagioso sorriso, ma poi subito ci adombriamo, il sangue si
gela, quel foulard ci ricorda il peggio, la sua morte e, come se al- l’improvviso avesse
assunto la temperatura della lava, con sfrenatezza, quasi bruscamente, rimettiamo il
fazzoletto nel cassetto per richiu- derlo con veemenza. Subito pensiamo a fare altro
per scacciare con l’azione il pensiero della morte.
Più viveva tra i sorrisi elargiti gratis a chiun- que nel mondo Sri Lankese e più non
riusciva ad accettare nemmeno il ricordo delle facce ar- rabbiate dei napoletani. Preferì
non sapere più nulla della sua città. L’aveva ripudiata.
Per andare dal ginecologo, un dottore Srilan- kese che aveva compiuto i suoi studi in
Sviz- zera, costeggiarono in autobus una strada che, come uno strappo su un tappeto
verde, percor188
Salvio Fiore
reva per due chilometri ininterrotti una rigo- gliosa pianura allagata da mille risaie.
Ogni tanto si ammirava qualche elefante al lavoro tra i campi. Alla vista di quello
spettacolo, Marcus mise istintivamente il palmo della mano sul pancione della moglie
che gli era seduta di fianco. Ricordò la sua prima infanzia trascorsa nel sangue
bosniaco, quindi preconizzò l’infan- zia di serenità che invece attendeva la figlia Kiribaba.
Il bus gracchiò, i vecchi freni si lamentarono per lo sforzo compiuto nel fermare la
carcassa di ferro e i suoi ospiti, Marcus e Amanthi sce- sero e bussarono alla porta dello
studio che era proprio lì nei paraggi. Li accolse la segretaria, una giovane e bella
ragazza che li fece accomo- dare, rassicurandoli di una breve attesa. Dopo cinque
minuti furono ricevuti dal dottore.
«Salve al mio amico italiano e alla sua bella moglie…» disse con un incerto italiano
dall’ac- cento tedesco del Canton Ticino. Aveva appena aperto la porta del suo studio e
parlò sulla so- glia, sollevando le braccia verso i due con fare molto affettuoso.
«…e visto ormai ci siamo, perché no, salve anche alla nostra piccola Kiribaba… ehm…
ri- cordo bene la chiamerete così?»
«Sì» disse Marcus ridendo. Non poteva fare a meno di ridere per la comicità di quello
Sri Lan- kese che parlava italiano con accento tedesco.
Il teorema Codazzi 189
«Allora accomodatevi e vediamo cosa dice la nostra piccola.»
La seduta durò poco, Marcus però si preoc- cupò molto per via dell’espressione
perplessa assunta dal medico, aveva smesso di ridere del suo accento germanico.
«Dottore, ma va tutto bene?»
«Oh certo signor Poenia, tutto va perfettamente, solo che da quello che vedo vi consiglierei di non aspettare altro tempo ma di
recarvi entro stasera in ospedale» poi fu lui a ridere con un ghigno beffardo ma benevolo e
concluse «È incredibile come la piccola Kiribaba
scalci per venire alla vita!»
«Ecco, vedi? Sarà una piccola furia proprio
come te!» disse la bella Amanthi, in realtà soddisfatta e allegra poiché la snervante attesa
degli ultimi giorni che precedono il parto era
ormai finita. Si trattava di aspettare poche ore.
Kiribaba venne al mondo in una mattina di marzo. Decise di abbandonare il più bel
posto dove vivranno mai gli esseri umani, il ventre materno, alle otto di mattina
regalando alla madre una notte serena e priva di dolori. Quando decise di lasciare
l’acqua della vita, per bruciarsi la pelle e i polmoni a contatto con l’os- sigeno della sala
parto, si mostrò risoluta.
Gli ostetrici rimasero a bocca aperta, a loro sembrò che quell’abbozzo di essere
umano, come una contorsionista di un circo, uscisse dalla madre, facendo tutto da sola.
190
Salvio Fiore
Al medico sconosciuto che effettuò il primo controllo della giovanissima Poenia e
lesse la scheda dei valori riportati dall’equipe dei neo- natologi non restò che dire nel
suo inglese co- loniale: «wow, she is a turbo!».
Sì, la piccola Kiri era davvero un turbo: iniziò a gattonare dopo tre mesi, a camminare
verso gli otto e a pronunciare la prima frase di senso compiuto a soli dieci mesi. A ogni
sorpresa che la figlioletta gli regalava, Marcus si commuo- veva fino alle lacrime.
Kiribaba mantenne le aspettative. A tre anni parlava che sembrava un’adulta. Ma fu
una, la frase che lasciò i genitori di stucco.
Erano in cucina, Amanthi che sbrigava le fac- cende domestiche, Marcus alle prese
con un aspirapolvere capriccioso; Kiribaba era nel sa- lotto adiacente, seduta su un
divano che gio- cava con delle bambole davanti alla televisione spenta.
«Voglio andare a Napoli… voglio andare a
Napoli… voglio andare a Napoli!»
La bimba era scesa dal divano e silenziosamente era entrata in cucina e si era avvicinata
ai genitori che le davano le spalle. I due perciò
ebbero un sussulto nel sentire quella vocina inebbero un sussulto nel sentire quella vocina invece tanto vicina.
Kiribaba lo disse così, tre volte di seguito e
mentre lo diceva prese a fissare dritto le pupille
del padre e per il tempo che parlò i suoi occhi
non batterono ciglio nemmeno una volta.
Il teorema Codazzi 191
Il primo “voglio andare a Napoli” arrivò da lontano ma entrambi i genitori lo
sentirono ni- tido, così che Amanthi smise di lavare le stovi- glie, le posò sul fondo del
lavandino, si tolse i guanti e si rivolse verso la bimba, Marcus lasciò quasi cadere
l’aspirapolvere, poi anch’egli si girò verso di lei. Il secondo “voglio andare a Napoli”
arrivò non meno deciso del primo, no- nostante l’interrogativo sguardo meravigliato
dei genitori che adesso non le davano più le spalle.
Il terzo, pur esso privo di esitazione sembrò uscire dall’anima della bimba. Da uno di
quei posti dove i bimbi all’improvviso scuciono pa- role e azioni inaudite per la loro
età, lasciando increduli gli adulti.
«Ma Kiri, dolce amore, perché mai questo de- siderio?»
«Voglio andare a Napoli, voglio andare a Na- poli…» ancora tre volte.
A volte i figli hanno un modo di chiederci le cose che anche se ci chiedessero la luna,
prima di qualsiasi altra riflessione, d’istinto gli ri- spondiamo di sì, poi son guai.
Marcus non le rispose di sì, perché nell’udire il nome della sua città un brivido gli
percorse la schiena, ma non le disse nemmeno di no.
«…ehm …Kiri adesso andiamo a prendere un gelato, poi ne riparliamo, okkei?» E
con lo sguardo rivolto alla moglie aggiunse: «Adesso piccola Kiri vai in camera a
vestirti, che si va subito.»
192
Salvio Fiore
La piccola salì su nella sua cameretta.
«Accidenti Joe falchetto…» era da tempo che
lei non lo chiamava cosi, evidentemente la richiesta della bimba, riportò alle labbra di
Amanthi quel nome ormai desueto, «…ti
avevo detto che non era il caso di raccontarle
tutte le tue avventure napoletane, adesso di
quella strana città ne avrà fatto un posto incantato.»
«Ma Amanthi, è la mia città, sono le mie radici, è normale che tendo a raccontargliele in
maniera un po’ favolesca, dài non farmene una
colpa!»
«Allora le dirai che non la porterai, vero?»
«Amore non saprei, io non sarei mai tornato a
Napoli. Eppure negli ultimi tempi, sto soffrendo di un po’ di malinconia e di sensi di
colpa, e poi me lo ha chiesto in un modo così
strano… insomma Amanthi, in verità io voglio
farle conoscere la mia città che poi è anche un
po’ la sua, però non so se mi sento pronto!»
Passò ancora qualche mese, un periodo in cui Marcus aveva perso il sonno. Non gli
riusciva più di dormire, spesso si svegliava sudato e in preda all’affanno, perché aveva
sognato del suo passato partenopeo, di Fabiola o di Luca, del golfo o della sua pistola,
di suo padre o della sua casa con vista su giardino. Sembrava che il desiderio della
piccola figlia fosse stato come uno scossone fatale alla bisaccia dei ricordi.
Il teorema Codazzi 193
Kiri aveva fatto saltare il tappo e da quel giorno i ricordi della sua vita napoletana
dila- garono e lui non trovò più pace al pensiero di avere abbandonato quella città al
suo destino.
194
Salvio Fiore
Capitolo 26
Erano tredici anni che non metteva piede a
Napoli.
Il vico era tutto bianco, lo era persino il pavi- mento. Qualcuno aveva riversato sulla
strada quintali di pittura, certo la strada era sporca per il via vai di pedoni e mezzi, ma
tuttavia era bianca come lo sono le tipiche stradine delle isole greche o di alcuni paesi
marini della costa brava in Catalunya.
La colata, pensò Marcus, dovette essere tal- mente copiosa che la superficie della
pavimen- tazione originale, costituita da grossi tabelloni di porfido, era stata sostituita
da uno spesso strato bianco. Le facciate dei palazzi, pur esse dipinte, erano bianche
come la neve più ver- gine, visto che non dovevano assorbire lo sporco dei passanti,
auto e scooter. Anche le persiane delle finestre erano bianche.
Conseguenza di un tale arredo era l’aumento della luce che invece nei vicoli di solito
era scarsa, soprattutto all’altezza della strada. Come la biglia di un flipper, la luce di
quella an- gusta stradina che penetrava dall’alto giungeva a terra amplificata dal
rimbalzo contro il bianco riflettente delle pareti dei palazzi.
Il teorema Codazzi 195
Quel vicoletto dei Quartieri Spagnoli era lu- minosissimo. Ai lati della stradina vi
erano dei marciapiedi, tanto piccoli e stretti da consentire il passaggio di un pedone
per volta, ma erano pur sempre dei marciapiedi. Poi fiori e piante ovunque,
Mentre Marcus osservava ammirato e stupito tutto ciò, sentì un campanellino di una
bici, si fermò e salì sul marciapiede, lasciando spazio al mezzo. Sulla bici c’erano due
bimbi entrambi con il casco da ciclista. Quello alla guida gli disse: “ …e te lieve ananz’
o noo?”.31 E quello seduto dietro che era asiatico aggiunse pur’egli in napoletano: “e
32
jamme a fa ‘mbresse!”.32
Quello era la stradina di Amanthi e dove i due si videro per la prima volta.
«Ma amore, era questa casa tua? Stento a ri- conoscerla!»
«Sì, falchetto! Era questa, ne sono certa» gli ri- spose Amanthi, poi la donna rivolta
alla figlia disse:
«Vedi Kiribaba, mamma ha vissuto in questo posto, ed è qui che ha conosciuto papà.»
La piccola annuì con un sorrisetto, mentre con avida curiosità si guardava attorno
rapita dal dinamismo di quelle stradine.
Al posto del “basso”, che fu la casa di Amanthi, adesso c’era un negozio di fiori,
candele, incensi e profumi. Dentro vi erano due asiatici.
31 Ma ti togli davanti, o no?
32 ... E facciamo presto, su!
196
Salvio Fiore
Dopo aver lasciato vico Storto Concordia, camminarono per vico Conte Di Mola e poi
pre- sero a sinistra per vico Lungo San Matteo.
Le strade e i palazzi non erano tutti bianchi, per il momento avevano visto solo il
vicoletto di Amanthi interamente dipinto così, però fe- cero caso che in altre stradine,
la gente aveva iniziato a pitturare i palazzi dello stesso colore, e ad altri incroci videro
pure impalcature con le insegne del comune di Napoli, sulle quali uo- mini dai caschi
gialli e in tuta blu, dipingevano di bianco le facciate esterne dei palazzi.
«Amanthi è tutto così strano, ma cosa è suc- cesso?»
Camminavano per le stradine che una volta lui percorreva vigile cavalcando la sua
moto. La memoria era incerta, stimolata dall’ambiente ri- portava alla luce mille
ricordi dei suoi giorni d i lavoro che cozzavano con quanto i suoi occhi vedevano
adesso. Strade pulite, marciapiedi, fiori e piante ovunque. Di auto se ne vedevano
meno in giro e i paletti abusivi sembravano scomparsi, ma soprattutto per strada
regnava il silenzio e di tanto in tanto da qualche finestra arrivava la musica di uno
stereo.
«Ma hai fatto caso che non ci sono più bassi?» Caspita, come poteva essere? Non ci
aveva fatto caso, ma era vero! L’ex poliziotto, artefice
della trasformazione rimase senza parole.
Il teorema Codazzi 197
Una moto con a bordo due falchi, all’improv- viso, gli sfrecciò di lato. Forse più per
l’eccita- zione della visione che per protesta, non riuscì a fare meno di urlargli dietro
spavaldo:
«Ehi! Ma guardate dove andate…»
La moto frenò di brutto fece inversione e
tornò verso Marcus. Come un atavico istinto
Marcus mise mano al fianco, ma non trovò
nulla, quella pistola l’aveva lasciata a Napoli,
quando partì per l’oriente ben tredici anni
prima. Li guardò in volto, ormai erano vicini,
ma impenetrabili. Avevano occhiali da sole di
quelli usati per fare sport. Indossavano jeans
larghi e scarpette bianche da ginnastica. Sopra,
il pilota indossava un comodo e largo giubbotto
di pelle nera, mentre il passeggero indossava
un giaccone verde militare, entrambi portavano
un kefiah che partendo adagiato sulle spalle si
arrampicava largo su per il collo, proteggendoli
dal vento fin sopra al naso. I due così conciati
avevano un aria di affascinanti guerrieri arabi
dei tempi moderni, eppure…
Il passeggero scese e stranamente ignorò Marcus ma disse con voce cortese anche se alterata
dal filtro del foulard arabeggiante:
«Per cortesia, dobbiamo effettuare un controllo.»
Marcus stava di lato all’uomo, non lo vide bene
in volto, ma ne scorse il sorriso rivolto a sua figlia
e pensò: questo comportamento non ha senso.
Poi il falco mise mano alla pistola e la puntò
dritta al volto di Marcus, dicendo:
198
Salvio Fiore
«Ehi! Firme loco!»33
«Firme loco?... ma tu…» ribadì dubbioso.
«Statte zitto e nu parlà..»34 si arrabbiò il falco e
aggiunse: «Sient, o’ saje ca’ nun o saccje si me
pare chiù nu musulman o nu ghei?»35
Musulmano? Gay? Marcus aveva ascoltato sin
troppo, non importava che non lo avesse riconosciuto, era lui, poteva essere solo lui, ma era
incredibile, una commozione fortissima lo
espugnò in un baleno e mai lacrime uscirono
dai suoi occhi tanto in fretta.
«Luca! Fratello mio!»
Giusto il tempo per rimettere la pistola nella
cintola dietro la schiena e i due si annodarono
in un abbraccio.
I due si tennero stretti per qualche secondo,
Marcus di proposito prolungò l’abbraccio per
avere il tempo di asciugarsi le lacrime.
«Ehi collega! Siamo alle solite e qui adesso di
nuovo ci prenderanno in giro con la storia della
coppia gay!»
33 Ehi ferma subito!
34 Statti zitto e non parlare
35 Senti, lo sai che non lo so se mi sembri più un musulmano
o un gay?
Il teorema Codazzi 199
Capitolo 27
I due si sedettero a uno dei tavoloni di un bar nelle vicinanze, Luca con fare sicuro,
Marcus con modi incerti. Amanthi e la piccola Kiribaba, dopo i saluti e le
presentazioni di rito, conti- nuarono, invece, la loro passeggiata.
«Ehi collega ma ti senti bene?» chiese Luca.
«Sì, perché?»
«Ti guardi continuamente attorno, come fossi
uno di quei turisti impauriti che giungono a
Napoli per la prima volta.»
Marcus nel frattempo si era seduto comodo e
quindi rispose:
«Ma no, è che qui tutto mi sembra diverso,
non riconosco quasi più i Quartieri Spagnoli di
una volta, non ci sei andato lontano, un po’ mi
sento davvero un turista!»
«Ma sì, certo, immagino, avanti caro amico,
dimmi, chiedi, che vuoi sapere?»
«La domanda è semplice, amico… ma che
cazzo è successo qui?»
Luca lo guardò con premura come si guarda
chi non ricorda più il suo nome.
«Ma come, il progetto Codazzi, non era quello
che volevi?»
Il teorema Codazzi 201
E Luca gli raccontò dell’ottimo sviluppo del progetto durante quei tredici anni e di
come, circa sette anni fa, l’afflusso di Srilankesi fu tale che per non destare sospetti di
legami col fenomeno, si vide costretto a sparire di circolazione per un anno.
«Tu invece sei stato davvero un bastardo a far perdere le tue tracce, io ci sono stato
male e non ti nascondo che un po’ mi son sentito tradito.»
«Hai ragione Luca, ma vedi, nonostante l’odio che nutrivo per Napoli, io qui ci avevo
lasciato il cuore e per non sentire l’irrazionale nostalgia di questa città ho dovuto…»
Luca annuì, piegando lentamente e profon- damente il capo in avanti, fin quasi a
descrivere un inchino, in un gesto che esprime compren- sione più che consenso, poi
cambiando ritmo alla conversazione:
«Vieni, andiamo via da questo bar!»
Si alzarono e a piedi come due fratelli si incamminarono per i vicoli che li avevano visti
già mille volte insieme a bordo di una moto.
Camminarono verso una zona dei quartieri che
da sempre era considerata la peggiore, cioè
“Santa Maria Ogni Bene”, la zona dove il dedalo intrecciato di stradine perdeva la sua geometria regolare.
Era l’area dei Quartieri Spagnoli dove Marcus all’inizio della sua carriera si smarriva
e al ri- cordo fece una smorfia.
«Dove mi stai portando?» fece all’amico.
202 Salvio Fiore
«Zitto e non fare domande»
Marcus represse stizza e curiosità. Mentre si
inoltravano in alto verso il corso Vittorio Emanuele, andando a inerpicarsi per i vicoletti,
Marcus si rese conto che anche lì si vedevano
palazzi e strade pitturati di bianco come pure
marciapiedi e fiori ovunque.
Un’emozione forte gli salì dalla bocca dello
stomaco alle guance. Arrossì. Si rese conto che
stava percorrendo la tenebrosa via della Noce,
davanti a sé vedeva il vico di Santa Maria Ogni
Bene che la intersecava, in prossimità del bivio
Luca si fermò e ruppe il silenzio.
«Guarda un po’ che hai combinato!» disse Luca facendogli l’occhiolino.
Marcus dapprima fece spallucce come per
dire modestamente io non ne so nulla, poi
pensò bene di prendersi qualche merito e lo corresse: «…Vorrai dire cosa abbiamo fatto noi tre…caro Luca.»
«Giusto, la dolce Fabiola…»
Aveva pronunciato quel nome senza volerlo.
L’effetto fu immediato: tacquero e tirarono
dritto senza riuscire a guardarsi.
Poi, un odore proveniente dalla strada ruppe
il muto equilibrio di falcate e silenzio. Marcus si
riprese come da una trance, lui conosceva quell’odore, era l’incenso inconfondibile dei templi
buddhisti…
Una sorta di eccitazione lo scosse.
Il teorema Codazzi 203
Aveva una voglia irrefrenabile di rientrare a far parte del suo mondo, di un mondo
colpe- volmente ripudiato. Si sentì come il bimbo che aveva urlato alla mamma tutto il
suo odio per un capriccio non concesso e poi, pentitosi, av- vertiva il desiderio di
prenderle la mano. Adesso voleva riprendere la mano di Napoli.
Si sentì a suo agio tra quelle stradine che lo avevano conosciuto “guerrierio”.
Per la prima volta avvertì un senso di pace e armonia salire dal pavimento stradale.
Visto papà cosa son riuscito a fare?
«Luca voglio ritornare a Napoli, credi mi reintegrerebbero in polizia?»
204
Salvio Fiore
Indice
Capitolo 1
7
Capitolo 2
37
Capitolo 3
49
Capitolo 4
61
Capitolo 5
73
Capitolo 6
91
Capitolo 7
99
Capitolo 8
101
Capitolo 9
105
Capitolo 10
109
Capitolo 11
113
Capitolo 12
117
Capitolo 13
121
Capitolo 14
125
Capitolo 15
135
Capitolo 16
139
Capitolo 17
149
Capitolo 18
153
Capitolo 19
155
Capitolo 20
163
Capitolo 21
169
Capitolo 22
171
Capitolo 23
175
Capitolo 24
177
Capitolo 25
187
Capitolo 26
195
Capitolo 27
201