La quercia caduta. Fra grammatica e simboli in

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La quercia caduta. Fra grammatica e simboli in
LA QUERCIA CADUTA. FRA GRAMMATICA E SIMBOLI IN UNA POESIA DI
GIOVANNI PASCOLI
di Gaetano Chiappini
La vecchia grande quercia è stata abbattuta e ora non darà più ombra né sfiderà la forza del
vento e dei temporali... la gente la guarda e la loda, quanto alla sua grandezza e bontà, perché
ospitava anche tanti piccoli nidi. Intanto, tutto questo è finito e ognuno taglia qualche ramo da
ardere. È sera, il poeta solo si accorge del pianto di una piccola capinera, che non troverà più il
suo nido.
Bastano poche righe a descrivere il tema di questa famosa poesia di Giovanni Pascoli, un
testo esemplare per la sua forte intensità simbolica, la cui semplicità è naturalmente il risultato di
molteplici fattori, che la seguente lettura grammaticale aiuterà forse ad apprezzare.
Dov’era l’ombra, or sé la quercia spande
morta, né più coi turbini tenzona.
La gente dice: Or vedo: era pur grande!
Pendono qua e là dalla corona
i nidïetti della primavera.
Dice la gente: Or vedo: era pur buona!
Ognuno loda, ognuno taglia. A sera
ognuno col suo grave fascio va.
Nell’aria, un pianto… d’una capinera
che cerca il nido che non troverà.
Le righe-versi sono 10: le parole 67.
Sostantivi: 14 (20% del totale), ciò vuol dire che le sostanze, i nomi sono abbondanti e fitto ne è
il brano, denso di presenze, cioè, degli attori del dramma; l’ultima essendo la capinera in cerca del
nido, che occupa la scena da sola, nell’aria, simbolo del nulla, del vuoto. Che cerca quello che non
c’è più (“non troverà”). Nel verso dove compare la “capinera” i sostantivi sono perfino tre:
“aria”, “pianto”, “capinera”. La capinera può solo volare, ma quell’aria che l’avvolge è anche
segno di solitudine impotente. Turbini e aria fanno sì che l’aria sia vista come minaccia-lotta e
inesistenza… si noti quel “pianto” in ellissi del verbo… basta questo “pianto” che si perde nella
sera e nessuno, tranne il poeta, raccoglie. Nella poesia sostantivi e verbi riferiti alla quercia – “sé”
pronome personale aggiunge un’altra occorrenza alla quercia; “tenzona” con soggetto sottinteso;
e sottinteso nelle frasi “era pur grande”, “era pur buona” – evidenziano il suo lato buono e
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generoso come aiuto difesa e protezione di chi vi si rifugiava: la lotta contro i turbini; la difesa dei
nidi (appunto, ora che non c’è la quercia i nidi spariscono e i turbini imperversano); in più, anche
morta la quercia offre la sua generosità, con i gravi fasci di legna per ardere che ognuno taglia per
sé e si porta via (in questo senso, la quercia che lotta contro i fulmini dell’aria è feconda del fuoco
lasciando i suoi rami alla gente che ne fa dei fasci). La quercia rappresenta il ristoro generoso
dell’ombra, la bontà e la forza guerriera (“tenzona”), i fulmini sono avversari di lotta; la gente
minuta e individualista (due volte la folla della “gente” che si sminuzza poi in “ognuno”; già
sottintesa in due occorrenze “or vedo” per un totale di 5); i nidi (plurale vezzeggiativo “nidïetti”;
più quello della capinera). L’unico dato patetico è della capinera isolata e abbandonata a sé stessa
nel sostantivo metonimico “pianto” nell’“aria”, smarrito e solo – una solitudine di lutto, di
sofferenza, di dolore ribadito anche dal chiasmo con gli estremi verbali capovolti; “che cerca il
nido – che non troverà”: i due pronomi relativi uno con funzione di soggetto; e uno di
complemento oggetto. Quanto agli estremi va rilevato anche che essi compongono il quadro del
tempo: “dov’era” diventa “non troverà”, cioè il “non” del futuro, mentre il presente “cerca” fa in
modo che questa ricerca sia destinata ad un eterno presente che gira a vuoto, “cerca” “cerca”…
non avrà un futuro senza riscontri.
Aggettivi: 4, cioè, minimi, avendo più bisogno il poeta di presenze attive (o passive) che di
colorirle, di qualificarle. Due sono molto forti: “morta” in enjambement, come predicativo
dell’oggetto: “(sé) spande / morta”; e “grave”, come misura del bottino di rami nel saccheggio
della gente. Gli aggettivi sono però assegnati alla lode (“buona”, “grande”, “grave” del peso
consistente dei rami portati via): in definitiva, l’unica ad essere qualificata è la quercia,
sarcasticamente, quasi a presa di giro, l’unica figura positiva è la vittima… In più appare una
specie di chiasmo: “morta – pur grande – pur buona – grave”: la condizione della quercia morta
si flette nei due aggettivi positivi della lode, così sembra che il suo morire abbia elevato il grado di
valutazione del sacrificio della quercia (“grave”). E gli aggettivi sanciscono questa eroica valenza
dell’albero: la quercia morta viene riconosciuta coralmente come grande e buona; e ciascuno,
carico e gravato della legna, forse coglie il bisogno della lode proprio in quanto gravato del
beneficio ottenuto dalla morte dell’albero: anzi, “morta” diventa il termine di riferimento, ed ogni
apprezzamento risulta anche ironico: la quercia è morta, che brava che generosa; ed io la lodo
sotto il peso della sua ultima generosità. Ipocrisia confermata!
Verbi: 13 sono molti, quasi quanto i sostantivi, quindi c’è forte tensione articolatoria attorno alla
quercia protagonista passiva nella maggioranza dei casi, gran daffare attorno ad un albero morto,
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come se su di esso s’affollassero le azioni altrui. Alla quercia si riferiscono due verbi in negativo:
un “tenzona” riferito ad un passato scomparso e uno “spande” relativo ad un presente
trasfigurato: anziché l’ombra l’albero ora sparge a terra se stesso, disfacendosi. Allo stesso modo
anche la capinera e il suo nido si perdono nell’aria, svaporano, sono semplice aria. Mentre per
l’albero e l’uccello che l’abitava tutto è fine e “pianto” per quella fine, quanto movimento attivo
attorno alla quercia caduta!, quanto moto anche nella “gente” che intanto “loda”, “taglia” e se ne
“va”. Anche la capinera come la quercia ha due verbi, che si respingono e si annullano: “cerca” e
(non) “trova”. Due vittime della gente ipocrita, che dimentica sia la condizione della quercia sia
quella della capinera e dei “nidïetti”: due e più creature vitali che vengono ignorate e spente… la
quercia dell’“ora” e dell’“era”, di un passato scomparso che è proprio la “capinera” – che
contiene il gruppo fonico “era” – a portare in un cielo di pianto senza più speranza. La poesia è
dunque dominata da un attivismo frustrato (della quercia e della capinera) e da un attivismo
passivo (quello della gente). Albero e uccello si uniscono materialmente nella parola “nidïetti”
(parola chiave della lirica pascoliana) in quanto fatti di ramoscelli, e in un solo destino, quello del
fuoco. Il due grandi simboli della famiglia (albero e nido) scalderanno case altrui e non
rinasceranno più, non vedranno altre primavere. La “corona” non è più regalità ma segno di
lutto.
Di contro alla morte dei protagonisti si sprigiona soltanto l’egoismo della “gente”, che è
l’unica a non perdere, anzi a guadagnare dalla morte altrui: un albero e un nido…
Articoli: 13, di cui 11 determinativi e solo 2 indeterminativi. Quelli del “pianto” e della
“capinera”, la cui genericità diventa subito unicità: un solo pianto una sola capinera. Tutto il resto
scompare: solo la capinera, infatti, dovrebbe lamentarsi per la quercia caduta; certo, non la gente,
che porta a casa la legna, gratuitamente…
Preposizioni: 2 semplici + 4 articolate. “A” serve nella locuzione avverbiale “a sera” che segnala
il passaggio del tempo, concluso della spogliazione della quercia; “d’una” serve a fissare la
pertinenza del nido: senza equivoci esso è solo della capinera. Le articolate sono “coi”, “dalla”,
“della”, “col”: la prima conferma il rapporto quercia-turbini, in quanto “tenzona coi” è specificità
precisa dell’attività generosa del passato della quercia; “dalla corona” conferma che i nidïetti sono
legati alla chioma dell’albero (“pendono” altrimenti cascherebbero!); “della primavera” accertano
il destino comune tra nidi e chioma; “col fascio” unione tra gente e legname, cioè le rispettive
pertinenze e vincoli. Minimo il collegamento e tanto più essenziale: i rami che prima servivano a
fabbricare dei nidi ora vengono intrecciati per fare delle fascine da ardere.
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Congiunzioni: solo 2, quindi, collegamento con due proposizioni per minima ipotassi. La
seconda (“né” più “tenzona”) segnala la stretta dipendenza tra la morte e la fine della lotta con le
intemperie); ma la prima (“dov’era”) è il centro della poesia: l’ombra ristoratrice di un tempo è la
morte attuale, il dove dei nidïetti, dove la gente preleva i rami, il dove del nido della capinera: il “dove”
ora è il segno del non più, il dove cercato e non più trovato e non più trovabile… il dove che non
esisterà più. La poesia è la fine assoluta di un “DOVE”, un “ubi” della vita che diventa morte,
vuoto, abbandono, spogliazione.
Avverbi: 4 + 3 particelle aggiuntive asseverative di rafforzamento. 2 “pur”, che significa
‘davvero’ (come a dire ‘veramente’, ‘in verità’, per una verità scoperta tardi ed ora diventata
impraticabile; 1 “più” che rafforza il negativo del “mai)”. I 4 avverbi: 2 temporali dell’“or” della
morte dell’albero; “qua e là” di luogo della diffusione dei nidi sparsi nella “corona”; il “non” del
mai del nido perduto. A saldo del “troverà”.
Pronomi: 8, un numero non irrilevante, che conferma come la poesia – breve – si fondi sulla
trama di sostantivi riferiti agli operatori attivi; accanto ad essi funzionano i verbi –
proporzionalmente intesi a dimostrare l’attivismo di tutti i numerosi soggetti. Il pronome
personale “sé” è interessante in quanto la quercia, anziché l’ombra, offre ora l’immagine della sua
morte, un’ombra di rami abbattuti, sebbene la sua natura sia ancora quella di offrire qualcosa a
chi passa. I “vedo” sintetizzano il globale giudizio che la gente dà della quercia morta; e il giudizio
visivo-morale pur apparentemente rimesso al passato (ora “vedo” ciò che non sapevo) è
oggettivamente visto, oggettivamente riconosciuto. I 3 “ognuno” indicano l’individuale del
collettivo (“gente”) distribuito su ciascuna delle persone che osservano e rubano la quercia
caduta… tanti, non solo i 3… come un coro funebre. Solo la capinera ha 2 relativi, uno soggetto
ed uno c. oggetto, ancora, a conferma della chiusura del doppio verbo (“cerca / non trova”)
senza scampo, senza rimedio, senza possibilità di salvezza per la capinera stessa e per il suo nido
perduto. Dove il “non” avverbio di negazione molto forte ed unico nel testo (a parte il “né coi
turbini tenzona” dove la negazione è mero fatto narrativo, con il valore di “più”, particella
aggiuntiva). Qui, il “non” nega di fatto qualunque riscatto per il nido disperso.
***
Ombra, quercia, gente, nidi, pianto, capinera... ogni elemento finisce per comporre comporre
il quadro di morte, di perdita, di smarrimento, di vuoto senza rimedio, essendo questi, col dolore,
i componenti della storia poetica del Pascoli, circondato da morti, senza casa, distrutti i legami
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familiari in preda ad una umanità che sfrutta e non sa, che distrugge e non ricupera nulla della
propria vicenda ed anima. “Non” è l’ultima particella di una storia che è tutta “non”: “nid ïetti”,
“nido”, “ombra” si trovano di fronte solo la morte senza pace e quella morte è data dalla “gente”,
forse essendo la quercia abituata alla lotta per il bene, ed ora ridotta a subire solo il passivo del
male. Mentre la sua natura particolare era l’offerta dell’ombra e la lotta contro le tempeste
generosamente affrontata; sempre pronta alla generosità la quercia anche da morta. Fino a cedere
i rami tagliati alla gente anonima capace solo di prendere, di ricevere, senza mai dare, se non lodi
inutili. E non senza, in fin dei conti, un po’ di invidia.
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