luci sulla città

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N. 5 - 2010
Pag. 4
GLI INDIRIZZI PER
I VOSTRI INTERVENTI, FOTO E…
Ricevo e doverosamente giro. Rita Rocca*
La scrittrice albanese Elvira Dones scrisse questa lettera aperta al
premier Silvio Berlusconi in merito alla battuta del Cavaliere sulle "belle ragazze albanesi".
In visita a Tirana, durante l'incontro con Berisha, Berlusconi attaccò gli
scafisti e chiese più vigilanza all'Albania. Poi aggiunse: "Faremo eccezioni solo per chi porta belle ragazze".
Egregio Signor Presidente
del Consiglio, le scrivo su
un giornale che lei non
legge, eppure qualche parola gliela devo, perché
venerdì il suo disinvolto
senso dello humor ha toccato persone a me molto
care: "le belle ragazze
albanesi".
Mentre il premier del mio paese d'origine, Sali Berisha, confermava l'impegno del suo esecutivo nella lotta agli scafisti, lei ha puntualizzato che
"per chi porta belle ragazze possiamo fare un'eccezione."
Io quelle "belle ragazze" le ho incontrate, ne ho incontrate a decine, di
notte e di giorno, di nascosto dai loro magnaccia, le ho seguite da Garbagnate Milanese fino in Sicilia. Mi hanno raccontato sprazzi delle loro vite
violate, strozzate, devastate.
A "Stella" i suoi padroni avevano inciso sullo stomaco una parola: puttana.
Era una bella ragazza con un difetto: rapita in Albania e trasportata in Italia, si rifiutava di andare sul marciapiede.
Dopo un mese di stupri collettivi ad opera di magnaccia albanesi e soci
italiani, le toccò piegarsi. Conobbe i marciapiedi del Piemonte, del Lazio,
della Liguria, e chissà quanti altri.
E' solo allora - tre anni più tardi - che le incisero la sua professione sulla
pancia: così, per gioco o per sfizio.
Ai tempi era una bella ragazza, sì. Oggi è solo un rifiuto della società, non si
innamorerà mai più, non diventerà mai madre e nonna. Quel puttana sulla
pancia le ha cancellato ogni barlume di speranza e di fiducia nell'uomo, il
massacro dei clienti e dei protettori le ha distrutto l'utero.
Sulle "belle ragazze" scrissi un romanzo, pubblicato in Italia con il titolo
Sole bruciato. Anni più tardi girai un documentario per la tivù svizzera:
andai in cerca di un'altra bella ragazza, si chiamava Brunilda, suo padre
mi aveva pregato in lacrime di indagare su di lei.
Era un padre come tanti altri padri albanesi ai quali erano scomparse le
figlie, rapite, mutilate, appese a testa in giù in macellerie dismesse se osavano ribellarsi. Era un padre come lei, Presidente, solo meno fortunato.
E ancora oggi il padre di Brunilda non accetta che sua figlia sia morta per
sempre, affogata in mare o giustiziata in qualche angolo di periferia.
Lui continua a sperare, sogna il miracolo.
E' una storia lunga, Presidente... Ma se sapessi di poter contare sulla sua
attenzione, le invierei una copia del mio libro, o le spedirei il documentario, o farei volentieri due chiacchiere con lei. Ma l'avviso, signor Presidente: alle battute rispondo, non le ingoio.
In nome di ogni Stella, Bianca, Brunilda e delle loro famiglie queste poche
righe gliele dovevo.
In questi vent'anni di difficile transizione l'Albania s'è inflitta molte sofferenze e molte ferite con le sue stesse mani, ma nel popolo albanese cresce anche la voglia di poter finalmente camminare a spalle dritte e testa
alta. L'Albania non ha più pazienza né comprensione per le umiliazioni
gratuite.
Credo che se lei la smettesse di considerare i drammi umani come materiale per battutacce da bar a tarda ora, non avrebbe che da guadagnarci.
Questa "battuta" mi sembra sia passata sottotono in questi giorni in cui infuria la polemica Bertolaso , ma si lega
profondamente al pensiero e alle azioni di uomini come lei Berlusconi, pensieri e azioni in cui il rispetto per le
donne é messo sotto i piedi ogni giorno, azioni che non sono meno criminali
di quelli che sfruttano le ragazze albanesi, sono solo camuffate sotto gesti
galanti o regali costosi.
Mi vergogno profondamente e chiedo scusa anch'io a tutte le donne albanesi.
Merid Elvira Dones
P.S.: Tutte le persone che ricevono la presente comunicazione spero sentano l'obbligo civile e morale di trasmetterla ad altre persone.
Grazie, Elvira
*N.d.r. Dott.ssa Rita Rocca (del Comitato “la Cittadella per la qualità
della vita” che, com'è ben evidente qui, non si preoccupa solo di
“poter dormire sonni tranquilli” e quindi di protestare contro gli
sbandati/disperati “eroi” della movida nostrana...)
N. d. R. tutto bello, ragazzi, forse TROPPO (per essere vero...): il nuovo mercato libero e globale, la green economy gestita dagli stessi
che prima gestivano la black economy del petrolio e carbone (con
l'apparato statuale che fa la sua parte, cioé GARANTISCE comando e
controllo perché tutto funzioni, e accompagnata da un "saggio" ritorno all'energia nucleare, NECESSARIA per chi sa quanto sia illusorio,
DENTRO questo modello di economia e SVILUPPO, affidarsi soltanto
al sole e al vento...)... certo, tutti convertiti, anche perché c'è più tecnologia e meno manodopera VIVA, e quindi è perfettamente funzionale a scaricare altri milioni di persone (la forza-lavoro ormai troppo
cara nei paesi "avanzati", mentre ce n'è a iosa, e quasi gratuita, in tre
quarti del mondo...) per ripartire verso alti profitti... attenzione, caro
Buccione, che il GREEN non si trasformi pian piano (com'è nella REALTA'...) in SHOCK!!!
Da pag. 1
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Nel prossimo numero
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di Salvatore Buccione
La miopia, come si sa, è un disturbo della vista tanto fastidioso quanto comune. Il miope ha difficoltà a “vedere lontano”. Gli occhiali, in genere, risolvono con efficacia il problema.
Una miopia più difficilmente risolvibile è invece quella che potremmo definire “economica”, e dalla quale sembra piuttosto afflitta la classe dirigente del
nostro Paese. Eppure “guardare lontano”, in questo particolare momento
storico, non sarebbe soltanto auspicabile, bensì necessario.
Un momento storico caratterizzato da una profonda crisi economica (e non
solo), come ci ricordano continuamente, e con un certo sadismo, giornali e
televisioni. La crisi economica italiana è diretta conseguenza di quella che
sta attraversando l’intero globo. Le cause sono note, e le cifre non fanno
stare tranquilli. Secondo l’ISAE, ente pubblico di ricerca che svolge principalmente analisi e studi a supporto delle decisioni di politica economica e
sociale del Governo, le previsioni per il 2010 e per il 2011 sono infatti
tutt’altro che rosee:
a) il Pil, ossia il valore della ricchezza prodotta in un paese, passerà infatti
da -4,9% del 2009 all’1% del 2010 e poi solo all’1,4% nel 2011; in pratica il
Pil italiano, se la tendenza dovesse essere positiva, potrebbe tornare ai livelli pre-crisi, cioè al livello del 2007, soltanto nel 2013. Nell’area euro, invece, il Pil sarà dell’1,1% nel 2010 e dell’1,6% nel 2011;
b) il tasso di disoccupazione balzerà dal 7,8% del 2009 all’8.8% previsto nel
2010 e nel 2011;
c) il rapporto debito/Pil, che rappresenta la solidità finanziaria di un paese,
nel 2009 era “fermo” al 114,9%; si impennerà al 117,2% nel 2010 e arriverà
poi al 118,2% nel 2011. Siamo cioè molto vicini al cosiddetto “default del
debito”, ovvero al fallimento. Basterebbe ricordare che l’Argentina è andata
in default con un rapporto debito/Pil pari al 138%.
In questa situazione particolarmente critica bisognerebbe, dunque, guardare lontano. In altre parole bisognerebbe investire nel futuro. Il futuro per
l’Italia può essere, e deve essere, fra le altre cose, un massiccio investimento nel settore energetico, anche come volano per l’intera economia, con
ovvie ripercussioni sulla ricchezza del Paese e sull’aumento dell’occupazione.
Sarà cioè necessario, in un futuro che si spera prossimo, fare investimenti
soprattutto nel settore delle cosiddette energie rinnovabili e pulite, in primo
luogo solare ed eolico. Puntare invece, come sta avvenendo oggi,
sull’energia nucleare appare come un grosso errore di valutazione, per almeno tre ordini di ragioni. Prima fra tutte, la più evidente: si tratta di ingenti
investimenti che porteranno alla nascita delle prime centrali in un periodo
medio-lungo (8-10 anni, secondo il Governo), mentre è necessario affrontare il problema del costo dell’energia e della ripresa economica in tempi brevi. Altra ragione, la più critica: la sicurezza. Nonostante il susseguirsi delle
varie generazioni di centrali nucleari, e nonostante il progresso tecnologico,
sicurezza e pericolo di contaminazione sono tuttora problemi reali e strettamente legati a questa tipologia di produzione energetica. Ultima ragione,
ma non meno importante, è quella relativa alle difficoltà nello smaltimento
delle scorie radioattive; argomento, questo, che i sostenitori del nucleare
tendono a non considerare affatto o a trattare in modo superficiale, ma che
comporta alti costi e rischi enormi per l’ambiente e per la salute. Lo sviluppo
delle energie rinnovabili deve essere dunque la strategia prioritaria, grazie
ai suoi effetti benefici sia sull’economia sia sull’ambiente del nostro Paese.
Per dare un impulso forte e serio a tale linea di sviluppo potrebbe essere
utilizzato un organismo di natura pubblica, diverso però dalle vecchie ed
inefficienti aziende statali, spesso usate come dei veri e propri ammortizzatori sociali oltre che come terreno di lottizzazione politica. Dovrebbe trattarsi, al contrario, di soggetti economici con una mission precisa, e cioè la produzione di energia con fonti “veramente” pulite e rinnovabili, e poi il reinvestimento di gran parte degli utili nella ricerca e nello sviluppo di nuove forme
di produzione di energia pulita. Visti i fallimenti di un liberismo tanto rapace
quanto privo di regole, uno strumento considerato vetusto come l’azienda
pubblica, strutturata però in maniera moderna, potrebbe costituire, tra l’altro,
un valido mezzo per ridurre la dipendenza energetica italiana dall’estero,
con un forte risparmio di risorse pubbliche.
Per una centrale da 10 MW servono 4600 camion da 20 t all’anno [...]. Come
mai un’attività con tali caratteristiche sfavorevoli suscita comunque interesse?
La risposta sta in un sistema di incentivi eccessivi, che non ha eguali in altre
nazioni europee e non è accompagnato da un adeguato corollario di limitazioni.
Manca la valutazione dei costi ambientali dell’attività, che dovrebbe essere, al
contrario, vincolante nei processi decisionali.Ciò che ci si prepara a fare è una
grossa speculazione economica, con effetti ambientali devastanti. Francesi,
svizzeri e austriaci, nostri vicini lungo l’arco alpino, pur utilizzando i boschi regolarmente, non si sognano di produrre corrente elettrica da biomasse forestali,
ma si limitano a sfruttare intelligentemente i residui di lavorazione del legno a
fini termici. [...]»; fatto questo però possibile solo con l’uso domestico-familiare
o per la chiusura di cicli aziendali agricoli su scala assolutamente locale.”
Comunque, rispetto alla Regione Piemonte, la Regione Toscana è andata anche oltre, prevedendo la possibilità di realizzare in un’area già assai critica, come quella di Livorno, una «centrale a biomasse» alimentata da olio di palma
proveniente dal Sud del mondo (Tanzania e India), un clamoroso esempio di
sfruttamento neocoloniale toscano, con buona pace di tutta la retorica terzomondista dell’ex presidente della giunta Martini, a San Rossore e oltre.
Comunque, per questa centrale livornese sono previste anche altre fonti combustibili, per esempio non meglio definiti «oli di recupero» e, sempre per questa
centrale, risulta essere assai interessante la previsione, che la stessa Agenzia
ambientale regionale è costretta a fare, del futuro contributo che questa centrale darà all’inquinamento da polveri PM10, diventando la seconda fonte di emissione Toscana, dopo la megacentrale termoelettrica di Piombino. Il problema
dell’inquinamento, e dei danni alla salute che questo causa, è del resto cruciale. Un problema aggravato dalla informazione, quantomeno parziale, che viene
fatta in questo campo: tipico è il caso dell’Assessore regionale toscano
all’ambiente quando afferma essere, il contributo all’inquinamento da polvere
degli inceneritori, un minuscolo 0,27% del totale. Dati che servono a dimostrare
lo scarso contributo delle sorgenti puntuali («centrali per biomasse», inceneritori e altri impianti industriali), rispetto alle sorgenti diffuse (traffico veicolare, riscaldamento domestico, etc.). I dati ambientali citati dall’assessora Bramerini
vengono tratti dal cosiddetto inventario Irse, e sono di una qualità ridicolmente
scadente, i calcoli sono fatti per estrapolazione grossolana, per esempio nel
caso delle sorgenti lineari (autostrade e strade), sui dati delle vendite di carburanti; altrettanto scadenti i dati sugli impianti di riscaldamento e le altri fonti definite «diffuse»; mentre le sorgenti puntuali complessive prese in considerazione sono per tutta la Toscana, “ben” 86 (ottantasei) e si basano soprattutto sugli
autocontrolli.
Nel contempo l’assessora Bramerini si guarda bene di citare quella che sarebbe davvero una fonte di studi ambientali attendibili, una delle poche esistenti in
Italia, quella del progetto PATOS. Il Progetto toscano PATOS, voluto e finanziato dalla regione Toscana, è successivo a un precedente, e piú ristretto «Progetto PASF», realizzato a Sesto Fiorentino, e aveva come finalità quella di fornire
un quadro finalmente attendibile, sul versante tecnico-scientifico, delle caratteristiche chimiche puntuali, e quindi anche della provenienza, delle polveri PM10
(e, in parte, anche delle PM 2,5), questa esigenza nasceva da alcuni amministratori locali dell’interland fiorentino e da quelli regionali toscani, a seguito di
alcune inchieste giudiziarie, da cui erano scaturiti anche rinvii a giudizio, a carico di questi amministratori, per comportamenti omissivi, relativamente al numero eccessivo delle giornate nelle quali avveniva il superamento dei valori limite
delle concentrazioni delle PM10, che non erano diminuite, nel corso degli anni,
nonostante le azioni messe in atto dalle amministrazioni (soprattutto blocchi del
traffico veicolare privato, che erano risultati essere del tutto inefficaci).
Le analisi laboratoristiche e le relative considerazioni in ordine a origine e provenienza del particolato, vennero affidate alle Università di Firenze e di Pisa (e
non all’Agenzia ambientale regionale), la campagna di rilevazione venne effettuata tra il 2005 e il 2006, i risultati furono questi:
•
il traffico è responsabile solo del 25-35% del totale del PM10 (dato in accordo con quelli piú accreditati, come quelli americani dell’Epa);
•
i processi di combustione (legno, biomasse ed anche rifiuti) sono responsabili del 40-60% (autunno-inverno);
•
la componente naturale è del 10-15%.
È evidente che sulla base di questi risultati i governanti della Regione Toscana
hanno silenziato il Progetto PATOS ed evitato accuratamente di fare ulteriori
analisi con questa metodologia. Il problema non è però esclusivamente tecnico,
in quanto la responsabilità ultima appare, in ogni caso essere, quella del politico, che ha chiesto (e ottenuto) i dati tecnici che lo giustificassero nella scelta di
costruire impianti sicuramente nocivi e nel contempo costosi, inutili e superflui,
come sono le «centrali a biomasse» di tipo industriale e gli impianti di incenerimento. Impianti che avvelenano, in modo odioso e vigliacco, i nostri cibi, la nostra aria, la nostra acqua, perché ci impongono nocività del tutto inutili, superflue e facilmente eliminabili: e in questo il caso degli inceneritori è emblematico.
Bisognerebbe sempre aver presente che è in atto un avvelenamento generalizzato (ammesso e perfettamente legale, sul versante delle leggi ambientali
dell’“ecologica Europa”) di inquinanti persistenti, che entrano nei cicli biologici,
che si accumulano nei nostri corpi e di quelli che verranno dopo di noi, e che i
frutti di questi veleni sono, e saranno, malattie, sofferenze, morti.
Michelangiolo Bolognini,
Medico igienista - Medicina democratica
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