la terapia occupazionale

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LA TERAPIA OCCUPAZIONALE
Essere animatori significa esprimere
(vale a dire “spremere fuori”, “tirare fuori” da sé), ciò che si ha e ciò che si è; occorre essere coscienti del fine del proprio operato, non solo possedere una conoscenza tecnico­teorica, e comunicare in modo equilibrato, essendo sempre al servizio degli altri. Se un animatore si limita ad avere una mera conoscenza, seppure approfondita, di diverse tecniche, non mette in gioco nulla che faccia parte di sé e della propria personalità; se riesce, invece, ad “essere”, può anche comunicare. Nelle case di riposo, in particolare, è essenziale per le persone anziane sentirsi accolti e ascoltati; l’intervento animativo comincia da qui. L’anziano ha il diritto – dovere di essere se stesso: l’animatore può incominciare una relazione d’aiuto prima di tutto riflettendo su
di sé ed entrando in sintonia con i propri fini; solo in una prospettiva di profonda comprensione e rispetto della condizione di “ospite” è possibile iniziare una comunicazione e intraprendere un cammino. Chi abbia avuto modo di entrare in contatto col mondo della terza età può facilmente rendersi conto delle difficoltà che si incontrano, volendo in qualche modo aiutare l’anziano a riscoprire se stesso. Paradossalmente, accade che l’animatore venga a provare in prima persona, seppure con altre motivazioni di fondo, il senso di frustrazione che tocca da vicino l ’anziano.
Riassumendo, all'animatore spetta il compito di:
­valorizzare la persona anziana, facendo emergere dal suo intimo quello che ancora può dare innanzi tutto a se stessa, e quindi agli altri.
­aiutare l’anziano a inserirsi nella struttura, favorendo i rapporti con gli altri ospiti e gli operatori.
–fare sì che la casa di riposo e i suoi abitanti siano in costante rapporto col territorio.
Tutto questo non è per nulla facile da attuare.
Il percorso è pieno di ostacoli posti dagli anziani stessi e, purtroppo, a volte, anche da chi opera all’interno della struttura e all’esterno di essa. Ecco perché si rimarca l’importanza del lavoro di équipe, dell’interazione dell’animatore con le altre figure professionali e, possibilmente, dei parenti degli ospiti, per potersi più facilmente aprire al territorio.
Per portare a termine il suo compito, l’animatore deve disporre di una approfondita conoscenza delle persone che ha di fronte, grazie a interviste e alla compilazione di schedari; deve poi programmare il proprio lavoro, attuare interventi mirati, sia su un campo pratico (attività, laboratori , ecc…), sia su uno più nascosto, ma molto più importante (sviluppare dinamiche di gruppo, portare l’anziano da una passività o aggressività iniziale a una maggiore consapevolezza di sé, all’apertura verso l’esterno, scoprire le potenzialità nascoste, attivare amicizie, ecc...). Per questo, è fondamentale cercare di verificare continuamente il proprio lavoro, operando se occorre una riprogrammazione adeguata alle esigenze. Poiché il percorso animativo è, però, pieno di imprevisti e di difficoltà, l’operatore è spesso colpito da una tremenda sensazione
di impotenza e di scoraggiamento che lo porta ad entrare in crisi.
Insomma, il lavoro dell’animatore, è molto più complesso di quanto potrebbe apparire. Il mondo in cui egli opera è in continua evoluzione, soggetto a variazioni di rotta spesso brusche e impreviste; ma, se si riesce a darsi una buona impostazione, sia a livello teorico, sia a livello di equilibrio interiore, questo lavoro arricchisce tantissimo dal punto di vista umano, grazie al contatto col mondo ricchissimo, a volte triste, a volte imprevedibilmente gioioso, del la vecchiaia.
L’ANIMATORE: “ESSERE” PER “AIUTARE AD ESSERE”.
La frase sopracitata può facilmente essere ricondotta sia al lavoro e all’essere dell’animatore, sia al mondo degli anziani. Secondo Jung, prendere coscienza di se stessi è sinonimo di evoluzione della propria personalità: durante tale trasformazione, la coscienza dei singoli non è più schiava dell’io, ma si rende partecipe del mondo circostante.
In parole povere, quindi, lo sviluppo e la realizzazione della persona equivalgono alla formazione della personalità e al raggiungimento della maturità interiore. L’anziano, per esempio, abituato durante tutta la vita a pensare a se stesso in termini di rendimento nei confronti della società, si trova all’improvviso a non potere più contare sulle capacità ritenute importanti durante l’attività lavorativa.
Da ciò può nascere smarrimento, delusione e rinuncia; tuttavia, si potrebbe interpretare la perdita di alcune capacità solo come possibilità di rimettersi in gioco e rinascita verso un altro essere.
Invecchiare diventa, perciò, un modo per crescere: “avere o essere” diventa, così, la scelta da compiere, un modo nuovo di vivere ed agire.
Dove si colloca, allora, in tale discorso, la figura dell’animatore? Chi abbia avuto modo di entrare in contatto col mondo della terza età può facilmente rendersi conto delle difficoltà che si incontrano, volendo in qualche modo aiutare l’anziano a riscoprire se stesso. Paradossalmente, accade che l’animatore venga a provare in prima persona, seppure con altre motivazioni di fondo, il senso di frustrazione che tocca da vicino l’anziano.
Essere animatori significa, allora, esprimere, vale a dire “spremere fuori”, “tirare fuori” da sé, ciò che si ha e ciò che si è; occorre essere coscienti del fine del proprio operato, e non solo possedere la conoscenza di diverse tecniche, e comunicare in modo equilibrato, essendo sempre al servizio degli altri.
Se un animatore si limita ad avere una mera conoscenza, seppure approfondita, di diverse tecniche, non mette in gioco nulla che faccia parte di sé e della propria personalità; se riesce, invece, ad essere, può anche comunicare.
Nelle case di riposo, in particolare, è essenziale per le persone anziane sentirsi accolti e ascoltati; l’intervento animativo comincia da qui.
L’anziano ha il diritto – dovere di essere se stesso: l’animatore può incominciare una relazione d’aiuto prima di tutto riflettendo su di sé ed entrando in sintonia con i propri fini; solo in una prospettiva di profonda comprensione e rispetto della condizione di “ospite” è possibile iniziare una comunicazione e intraprendere un cammino.
LA COMUNICAZIONE IN ANIMAZIONE
La condizione che permette di realizzare quanto teorizzato nel paragrafo precedente (vale a dire, come si è detto, che l’animatore sia in grado di comunicare ed esprimere, per poi conoscere e quindi animare), nasce innanzi tutto dal sapersi autovalutare, vale a di re riconoscere i propri limiti e caratteristiche; quindi, occorre sempre prestare attenzione alla qualità della propria comunicazione, inviando messaggi comprensibili all’interlocutore e individualizzandoli, tenendo, perciò, conto dell’altrui stato d’animo e della matrice culturale.
E’ impor tante evitare una comunicazione generica ed imprecisa, che porta facilmente a false interpretazioni (i problemi nascono spesso dal fatto che non si riesce ad adeguarsi all’altro); bisogna, allora, essere in grado di decodificare il segnale di ritorno dal ricevente, che può essere interpretato sia in senso verbale, sia non verbale. Il primo si identifica con il linguaggio di chi abbiamo di fronte, mentre il secondo si esprime nella corporeità, la mimica e la gestualità.
Esso fornisce informazioni quando non è utilizzata la parola; d’altra parte, sono principalmente non verbali le modalità attraverso cui vengono espresse le emozioni e gli atteggiamenti. Il rapporto tra due persone o più è cosparso di segnali non verbali, dei quali, spesso, gli stessi interlocutori non si rendono conto.
MODALITÀ ESPRESSIVE DELLA COMUNICAZIONE NON VERBALE.
Poiché, molto spesso, l’animatore entra in contatto, in casa di riposo, con persone anziane con scarsa o nulla comunicazione verbale, e visto che è comunque molto interessante e, in alcuni casi, utile saper notare i vari tipi di modalità espressive, apriamo una parentesi per approfondire il discorso.
• La postura: tale termine definisce la posizione del corpo. Può essere eretta, rannicchiata e in ginocchio o distesa; ad ogni postura corrispondono differenti atteggiamenti degli arti e diverse angolazioni del corpo.
Si è visto che una persona dominante tiene le braccia in posizione asimmetrica (per esempio, in tasca) , oppure si inchina lateralmente e le gambe (una o entrambe) non si appoggiano al pavimento. La postura di sottomissione è, invece, meno eretta e col busto abbassato.
E’ curioso rilevare come le persone che si sentono “in sintonia”, come ad esempio due amici, tendono ad assumere, inconsciamente, posture molto simili, durante una conversazione.
Anche in campo terapeutico, si è, per esempio, notato che, se un paziente sta seduto in silenzio, col busto in avanti, le braccia incrociate sul petto e lo sguardo fisso, è più facile che un terapeuta entri in comunicazione assumendo una posizione analoga, piuttosto di restare dietro a una scrivania.
• I gesti: con essi si trasmettono idee, emozioni e sentimenti. Con questa definizione si intendono i gesti delle mani, ma anche quelli delle gambe.
Se, per esempio, una persona è annoiata, estende al massimo le gambe e le incrocia sopra la caviglia.
L’ansia, inoltre, può essere comunicata da mani contratte, o tese ad aggrappare i braccioli di una sedia. La depressione è individuata da movimenti lenti e privi di enfasi; l’euforia da movimenti veloci, ritmici, affettuosi.
• L’espressione del volto: la mimica facciale è un mezzo di comunicazione molto efficace a distanze ravvicinate. Alcuni movimenti possono essere involontari, così che tradiscono i veri sentimenti della persona.
Per fare un esempio, si verifica che la felicità in un volto umano è espressa da:
labbro superiore abbassato, palpebra inferiore corrugata, narici dilatate, labbra aperte, angoli della bocca sollevati e tirati indietro.
• Lo sguardo: i vari tipi di sguardo giocano un ruolo fondamentale nella raccolta e l’invio di informazioni e nell’instaurare relazioni con gli altri.
Si è constatato che, in un’intervista a due persone, quella che viene più osservata dall’intervistatore si considera la preferita, oppure, durante una conferenza, l’oratore tende a guardare più spesso coloro dai quali si sente gratificato, per esempio perché riceve cenni di approvazione.
• Il contatto corporeo: è la più antica forma di comunicazione, ed è la più importante per i bambini. Esso può aiutare a stabilire relazioni amichevoli o a esprimere aggressività, mentre alcune forme di contatto non implicano alcun particolare sentimento verso l’altro (i saluti, le congratulazioni).
Esso viene utilizzato in terapia per aumentare le capacità di comunicazione ed esprimere le proprie emozioni in soggetti fortemente inibiti.
• Il comportamento spaziale: comprende la vicinanza, l’orientamento, il comportamento territoriale e il movimento nell’ambiente.
Se, per esempio, una di due persone tende a diminuire la distanza con l’altra, significa che vorrebbe aumentare l’intimità. Se, poi, un soggetto intende iniziare un incontro con un altro, gli si avvicina; se, però, si avvicina troppo, l’altro si sentirà a disagio e si allontanerà.
I malati mentali, per esempio, hanno bisogno di un maggiore spazio personale, rispetto ad altre persone.
• Le vocalizzazioni non verbali: l’aumento del tono della voce, per esempio, è valutato come una manifestazione di allegria, mentre un abbassamento è negativo (la maggior parte delle persone depresse usa un tono basso). Un aumento eccessivo può esprimere rabbia ed ostilità.
• Abiti, fisico ed altri componenti dell’aspetto esteriore: il tipo di abbigliamento dà precise informazioni riguardo alla personalità, allo status sociale, l’aggressività e così via. Alcuni oggetti ed accessori, poi, servono ad indicare il gruppo di appartenenza o la professione (l’anello di matrimonio o di fidanzamento indica il legame affettivo). Addirittura il taglio dei capelli ha un significato sociale: per gli uomini, per esempio, i capelli lunghi indicano una sorta di trasgressione.
L’aspetto esteriore, insomma, comprende molti aspetti e messaggi che trasmettono alcune caratteristiche della personalità della persona.
QUALE RUOLO PER L’ANIMATORE?
Se essere anziani può voler dire perdere memoria, progettualità, diversificazione e complessità di ruoli, tutti fattori che aumentano la qualità della vita, purtroppo, spesso, l’entrata in casa di riposo peggiora questo stato di cose.
L’ideale sarebbe che la persona stessa si attivasse per meglio conoscersi, in un processo di ricerca che promuovesse l’impegno a trovare un ruolo nella propria vecchiaia; molti, avendo investito tutto il proprio essere per dare il massimo nelle altre stagioni della vita, si trovano, invece, impreparati di fronte alla senilità e alla frequente perdita d’indipendenza che porta al ricovero in istituto.
Può l’animatore operare per mitigare o, forse, evitare tale stato di cose?
Molto spesso, il ruolo di coloro cui è affidato tale settore in istituto non è ben chiaro, proprio perché va al di là di una facile interpretazione estesa solo al “visibile”. L’animatore dovrebbe possedere la capacità di leggere i bisogni all’interno dell’istituzione, la quale li leggerà a sua volta. Il rischio, spesso, è invece quello di dare risposte stereotipate a bisogni solo presunti e non realmente verificati; si potrebbe, allora, dire che l’animatore “anima soprattutto i bisogni”.
Egli, inoltre, introduce una grande novità nell’ambito lavorativo: l’affettività.
Il fatto che l’affettività sia il vero metodo rappresenta sicuramente una sfida, ma è l’unico modo per partire da un istituto e ottenere una “casa”.
Tra i passi da compiere per arrivare a questo traguardo deve porsi una scomposizione dei momenti istituzionali, che devono poi ricomporsi, tramite l’intervento degli ospiti stessi della struttura.
OPERAZIONI PRELIMINARI
Alcuni cardini su cui l’animatore deve impostare il proprio operato sono i seguenti:
• Non si lavora per diminuire la malattia, ma per aumentare la salute, tramite la socializzazione, il recupero delle capacità dei singoli e l’incremento delle possibilità di ognuno, nel rispetto delle individualità e evitando l’imposizione delle attività.
• Non bisogna tanto possedere tecniche, quanto avere “competenze” (“competere”= lavorare insieme), vale a dire interagire con gli ospiti e rispondere ai loro reali bisogni.
• E’ fondamentale l’opera di collaborazione e di mediazione con l’amministrazione del la struttura; in tale prestazione, può anche accadere che egli diventi una figura conflittuale, ma, d’altra parte, il conflitto implica cambiamento. Date tali premesse, si può ora configurare, nella pratica, quali debbano essere le operazioni da svolgere nel momento in cui la figura professionale dell’animatore entri a far parte dell ’organico.
ANALISI DELLA SITUAZIONE
Si possono verificare tre differenti evenienze:
1. Nel la struttura in cui l’animatore si trova a lavorare, non è mai esistita, prima d’allora, la sua figura professionale.
2. Il professionista sostituisce o collabora con un collega già operante.
3. Egli deve iniziare il proprio lavoro in una casa di riposo di nuova apertura.
Per procedere alla stesura di un programma vero e proprio di animazione, sarà,
quindi, necessario procedere all’analisi dell’istituto in cui si opera: oltre a verificare ciò di cui sopra, occorrerà fare una visita preliminare, per conoscere il tipo di struttura, la disposizione dei locali, la composizione del personale, la tipologia degli ospiti ricoverati e lo schema di una loro giornata tipo.
Sarà, poi, di fondamentale importanza, convocare un incontro preliminare con le altre figure professionali, in modo da rendere chiaro a tutti il ruolo dell’animatore e la sua professionalità, impostare la possibilità di un lavoro di équipe e specificare gli eventuali dubbi, o annotare idee e impressioni: chiarendo, fin dall’inizio, il tipo di lavoro che s’intende svolgere e sottolineando l’importante ruolo della collaborazione tra i dipendenti, si potrebbe rendere più semplice l’attuazione del servizio.
Riassumendo, l’analisi della situazione deve prevedere i punti seguenti
• Analisi dell’ambiente in cui si opera: istituzione, ambito geografico, ambito strutturale.
• Possibili relazioni con altri ambienti del territorio.
• Valutazione di capacità e possibilità dell’équipe di lavoro.
• Valutazione dei fini da raggiungere.
• Possibilità economiche.
• Valutazione dei singoli e del gruppo di lavoro.
LA PROGETTAZIONE DELL’INTERVENTO.
Si è visto come la definizione del lavoro dell ’animatore sia piena di sfaccettature: questo perché egli, fondamentalmente, è un progettatore e un rielaboratore di interventi, in continua evoluzione; egli sa “connettere”, e proprio per questo la sua opera è inscindibile da quella delle altre figure.
La progettualità all’interno della struttura è fondamentale: ci vuole il consenso– appoggio della di reazione per chiedere agli altri operatori di entrare a far parte del processo animativo. L’animatore non deve essere circoscritto o addirittura confinato nel proprio ruolo, perché, in tal modo, il suo lavoro diventa inutile: gli anziani hanno bisogno di una stimolazione a 360°.
Non sarà, poi, importante dove si arriverà, ma come sarà impostato il cammino.
La progettazione vera e propria verrà a coinvolgere non solo la struttura e le figure in essa operanti, ma fin dall’inizio dovrà prevedere il coinvolgimento del territorio: sarebbe buona cosa prendere contatto con le associazioni presenti nella zona e, possibilmente, conoscere la realtà delle varie scuole, stando però attenti a non “spaventare” questi possibili volontari o collaboratori con richieste impossibili, ma anche chiarendo la serietà della decisione di occuparsi del mondo degli anziani. In sostanza, si potranno fissare orari e momenti più o meno strutturati, a seconda della loro disponibilità.
Un’altra annotazione riguarda l’atteggiamento da tenere durante tutto il lavoro di animazione: il migliore progetto diventerebbe carta straccia se intendessimo seguirlo sempre alla lettera, senza compensarlo con l’osservazione di ciò che accade giornalmente.
Un animatore necessita di grande sensibilità ed empatia: non basta decidere come agire all’inizio, bisogna sempre avere il coraggio di autovalutarsi, eventualmente rivedendo le proprie opinioni, verificando periodicamente i risultati che si ottengono, senza cadere in un atteggiamento di onnipotenza e pensando, quindi, di poter lavorare in completa solitudine; ciò potrebbe portare addirittura l’animatore ad entrare in “corto circuito” e a “bruciarsi” prima di avere iniziato un lavoro sufficientemente buono.
• CONOSCERE L’OSPITE.
Nel momento in cui avviene l’incontro con l’ospite, bisognerà avvicinarsi ad esso con umiltà, cercando di rompere quella sottile barriera o il disorientamento che lo prende all’entrata in istituto. Una scusa per un primo colloquio può essere la compilazione della “SCHEDA DELL’OSPITE”; la raccolta dei dati ha, come risultato, di conoscere la persona anziana sia anagraficamente, sia sotto il profilo psicofisico, sia da un punto di vista più strettamente animativo.
Nel caso in cui alcuni problemi fisici o mentali impediscano all’ospite una facile comunicazione, saranno coinvolti nella compilazione i suoi parenti o conoscenti: essi stessi possono rappresentare un prezioso punto di riferimento per meglio conoscerlo ed, eventualmente, sostenerlo od aiutarlo, per quello che compete all’animatore. Alcune parti della scheda prevedono, poi, un incontro con le figure del settore medico, infermieristico e fisioterapico, che possono fornire dati importanti sulla situazione sanitaria dell’anziano.
Una volta impostato questo tipo di lavoro, lo schedario rimarrà sempre aperto, visto che debbono essere previsti continui aggiornamenti e valutazioni, da effettuarsi periodicamente. Un lavoro di questo tipo permette di rendere conto con più facilità dei progressi o degli svantaggi di ogni persona, anche nell’ottica di incontri con il resto delle figure professionali (un’altra voce da inserire nella scheda potrebbe infatti essere “Collaborazioni interprofessionali”).
Occorre, infine, fare un’ulteriore precisazione: nel caso, sempre più frequente, in cui si abbia a che fare con anziani non autosufficienti, e nell’ottica della collaborazione interprofessionale, potrebbe essere di aiuto, nella valutazione delle capacità residue dell’ospite, la diagnosi funzionale, con la compilazione di una scala di valutazione del comportamento (adattata agli anziani), in cui si potrebbe coinvolgere anche il resto del personale, visto che può essere di ausilio per la valutazione dei progressi ottenuti e per approfondire la conoscenza della persona.
Accade spesso, nelle case di riposo, che l’ospite sia trattato come un paziente, un numero, un “oggetto”, le cui necessità sono di essere nutrito, lavato, curato delle patologie di cui soffre. Così facendo, però, spesso, ci si dimentica di avere a che fare con una persona, che ha avuto una vita piena di esperienze, belle e brutte, e che non solo ha il diritto di essere trattato come un essere umano, ma che può anche insegnare qualcosa, pure in presenza di condizioni fisiche e mentali non più ottimali.
Ecco perché potrebbe essere utile, in qualche modo, “costringere” gli altri operatori ad osservarlo e considerarlo da questo punto di vista.
LA STESURA DEL PROGRAMMA
Una volta impostato il lavoro di approfondimento della conoscenza degli ospiti, si passerà a uno schema di progettazione vero e proprio, che prevede una scansione della giornata e una più ampia visione sulla settimana e sul mese lavorativo.
Le attività possibili sono molteplici e possono essere raggruppate, a grandi linee, come segue:
• Attività di stimolazione sensoriale: comprendono l’ampio campo dei laboratori manuali e creativi, con uso di tecniche e materiali diversi (costruzioni, manipolazioni con materiali e tecniche diversi, cucito, laboratori di cucina, giardinaggio, ecc.).
• Attività grafico­pittoriche: possono collegarsi alle attività di stimolazione sensoriale e comprendono l’uso di vari tipi di colore e supporti. Potrebbe essere una buona idea dividere gli ospiti in gruppi, a seconda delle loro predisposizioni, ed utilizzare il lavoro di ogni gruppo per costituire un unico prodotto finale.
• Attività musicali: ad esempio, ascolto di musica, (come da richieste degli
ospiti), canto, costruzione di semplici strumenti musicali, giochi musicali, ecc.
• Attività legate all’immagine: uso della fotografia; visione di diapositive o videocassette.
• Attività di lettura: comprendono la lettura collettiva del quotidiano o del libro, scelto insieme.
• Attività centrate sul corpo: ginnastica e psicomotricità (eventualmente in collaborazione col settore fisioterapico); giochi di squadra, tornei, ecc.
•Attività di festa: con tale termine si possono riassumere i momenti gioiosi, quali le feste a tema, la festa dei compleanni, ecc.
• Attività rivolte all’esterno della struttura: possono riguardare, per esempio, i lavori svolti in collaborazione con il territorio (la scuola e i bambini, ecc.), le uscite, le gite, gli incontri con altre strutture simili o le scuole, ecc.
Molte di queste attività possono essere raggruppate nella stesura di un giornalino, che consente la partecipazione di coloro i quali, per problemi fisici, non possono esprimersi in attività prettamente manuali o, in generale, coinvolgenti la loro fisicità: attraverso la raccolta dei loro ricordi, esperienze di vita, ecc..., anche queste persone potranno dare un contributo e sentire di esprimere delle capacità.
Inoltre, potranno essere compresi nel giornalino i disegni di altri anziani, il racconto di uscite o feste, un calendario delle attività future, articoli da parte degli ospiti stessi, di loro familiari o di altre figure operanti in struttura o esterne, ecc...
A questi gruppi di attività andrà aggiunto, molto probabilmente, il giro camere: con ciò, si intende l’incontro con gli ospiti costretti temporaneamente o stabilmente nella propria camera: è un momento molto importante, sia per meglio conoscere le persone che, per vari motivi, non possono raggiungere il resto del gruppo, sia per ideare un programma di animazione personalizzato, specialmente nel caso di chi sia costantemente costretto a letto.
La stesura particolareggiata del programma sarà, naturalmente, effettuata personalizzando le attività sull’ambiente operativo e andrà plasmata su quelli che sono i desideri degli ospiti e le loro inclinazioni.
Non andrà mai abbastanza ripetuto, infatti, come l’animatore non debba mai imporsi alle persone a cui si dedica, ma, anzi, sia suo preciso dovere dare all’anziano la possibilità d’essere protagonista della propria esistenza e la capacità di ridefinire un proprio ruolo.
LA PREDISPOSIZIONE DEGLI STRUMENTI DI VERIFICA
La realizzazione di un programma non può prescindere da una verifica costante dei risultati ottenuti: durante lo svolgimento dell’attività, essa permette modifiche e cambiamenti che riequilibrino la situazione, nel caso in cui sia necessario, evidenziando difficoltà e problematiche.
Al termine dell’attività, una verifica consente una valutazione e permette il confronto tra le eventuali aspettative iniziali e gli effettivi risultati raggiunti; inoltre, l’analisi di ciò che è accaduto può dare l’avvio a nuovi spunti ed idee.
Dalla verifica, nasce, quindi, la riprogrammazione.
Quali possono essere, allora, gli strumenti che facilitino la raccolta dei dati di verifica? Non è molto facile riuscire a elaborare un sistema valido, visto che, spesso, il giudizio su ciò che è stato realizzato nasce dalla sensibilità stessa dell’animatore. E’ per questo che, ancora una volta, il confronto con gli altri professionisti operanti nella struttura può facilitare il commento alle attività.
Inoltre, dopo vari anni di esperienza, la sottoscritta ha elaborato alcuni possibili supporti, basati su un semplice schema di osservazione del tipo di partecipazione dell’ospite all’attività; l ’anziano può apparire:
• Partecipe: egli segue con partecipazione e attenzione i lavori, e/o interviene più o meno attivamente nel gruppo;
• Partecipe distratto: egli si dimostra abbastanza interessato e partecipe, nonostante ci siano momenti in cui la sua attenzione si rivolge altrove (è, tuttavia, da sottolineare che l’animatore deve sempre tenere presente che l’anziano difficilmente riesce a concentrarsi su un’attività per lungo tempo);
• Osservatore: l’ospite non interviene direttamente e non contribuisce attivamente all’arricchimento dell’attività, ma dimostra un certo interesse;
• Indifferente: è questo il caso di chi preferisce fare altro, senza per questo osteggiare lo svolgimento dei lavori e la partecipazione altrui;
• Ostile: da esperienza, si è visto come sia possibile constatare, in alcuni anziani, atteggiamenti decisamente ostili nei confronti dell’attività proposta: starà, allora, all’animatore comprendere i motivi di un tale rifiuto e decidere come agire in proposito;
• Assente: l’ospite, a causa di patologie (ad esempio, demenza senile) non è in grado di partecipare, né comprendere ciò che accade intorno a lui.
Periodicamente, anche a seconda della disponibilità di tempo dell’animatore, questo tipo di osservazione sarà completato e supportato dalla constatazione del numero di presenze all’attività (esse possono comunque essere influenzate da malattie, uscite o degenze al di fuori della struttura, quindi di ciò bisogna sempre tenere conto), e dal tipo di socializzazione dimostrata (buona, discreta, sufficiente o nulla; con evoluzione positiva, in decremento o costante). Saranno anche visualizzate eventuali collaborazioni ed aiuti da parte di altri ospiti, di familiari o del personale; sarà anche utile riassumere i problemi incontrati ed eventuali strategie di animazione individuale, a breve, medio o lungo termine.
Questa osservazione particolareggiata potrà anche essere supportata dalla compilazione di un diario settimanale, che permette di riassumere brevemente le attività giornaliere e di fare un consuntivo del lavoro settimanale, dando modo all’animatore di riflettere, in generale, sull’andamento del proprio intervento, segnalando, anche qui, problemi ed idee.
Come si può notare, in tutta questa opera di verifica, è sempre sottolineata l’importanza non solo di un intervento altamente professionale e personalizzato, ma anche e soprattutto il grande lavoro di riflessione su se stessi ed il proprio operato: non sempre è facile ritagliare momenti, durante il lavoro, in cui fermarsi a considerare ciò che si sta facendo, ma non si può non comprendere come la mancanza dei momenti di verifica ed autovalutazione possa inficiare seriamente il complesso dell’intervento.