Press Release - INDIPENDENZA ROMA
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Press Release - INDIPENDENZA ROMA
Adriana Lara Let’s not jump into concrete A cura di Eva Svennung 21 febbraio – 15 aprile 2014 Indipendenza è lieta di annunciare la prima personale in Italia dell’artista messicana Adriana Lara. Il progetto è frutto di una nuova commissione curata da Eva Svennung, ed affiancherà ad alcuni lavori precedenti un nucleo di opere inedite realizzate appositamente per lo spazio espositivo. La mostra comprende diversi media – dalla pittura al video, dalla scultura all’installazione – e offre un affondo nella ricerca dell’artista, incentrata sulla messa in discussione dei rapporti tra forma e superficie, linguaggio e significato. Il lavoro di Lara sposta l’attenzione dall’oggetto-opera al contesto più ampio che l’arte rappresenta, giocando con le convenzioni artistiche, manipolando la materia reale e concettuale per aggiungere alle forme livelli di interpretazione e generando tensioni visibili tra superficie e forma. Le Standard installation views, out of the blue sono panoramiche di una mostra temporanea realizzata da Lara presso la galleria Standard (Oslo) nel 2009, allestita soltanto per il tempo di essere fotografata e filmata. Insieme alle opere – più vicine a oggetti di scena realizzati per l’occasione – l’artista aveva realizzato alcuni wallpainting di colore blu per ottenere un effetto in chroma key (chiave cromatica), la cui superficie è stata intagliata e rimossa dalle attuali stampe lasciando trapelare l’ambiente espositivo. In queste foto è lo stesso format della mostra a essere utilizzato come ready-made; un riferimento anche alla circolazione massiva di immagini che rende le esposizioni sempre più esperienza virtuale, comodamente fruibile online. I Corner Tubes, slanciati nella loro verticalità, sono un gruppo di tre casseri edili da cemento armato, sui quali sono state avvolte delle grandi tele. I dipinti rappresentano in modo schematico spigoli di stanze: lo spazio tridimensionale è così appiatto, ridotto a tre campi cromatici. Il cilindro – una delle forme più semplici presenti in natura (gli alberi, il letto dei fiumi…) – si colloca all’esatto opposto della superficie artificialmente bidimensionale della tela. Forzando l’immagine dipinta fino a un angolo di 360°, il cilindro introduce una dimensione che combina spazio fisico e temporale e impedisce una fruizione totale dell’opera. In Cave of Hands (Cueva de las manos) la superficie dell’omonima caverna in Argentina è riprodotta sullo stesso volume convesso, ulteriore manifestazione del fallimento dello spazio nella rappresentazione. Allo stesso tempo, l’immediatezza dell’esperimento preistorico di pittura collettiva rimane inalterata. Spaghetti. Allontanandosi da queste sculture cilindriche, in una drastica inversione di scala, l’osservatore si imbatte in metri di sottile tubo di lattice raccolti sul pavimento, simili a spaghetti sparsi qua e là. Alcuni sono atterrati anche sulle pareti. Questi tubi, che generalmente costituiscono l’involucro esterno dei cavi che trasmettono dati e informazioni – che fanno funzionare il network al quale siamo costantemente connessi – fanno riferimento al potenziale dell’arte come veicolo. In un’altra parte della mostra, tre laser da discoteca proiettano su tele grezze pattern luminosi in continuo movimento, come a trasmettere la fluidità del contenuto di cui sono svuotati i tubi incontrati in precedenza e mettendo in discussione i limiti dello spazio pittorico. Allo stesso tempo, il gesto artistico è affidato a una macchina programmabile, che richiama implicitamente alcune delle attuali tendenze dell’arte contemporanea, sempre più incline alla spettacolarizzazione. L’idea che guardare un oggetto artistico sia guardare qualcosa di più ampio è alla base delle opere in tessuto Scribble, scratch, scrawl, doodle, textile e Sheet, glass, metal, plastic, textile, i cui pattern richiamano alcune delle forme tridimensionali già presenti in mostra. I tessuti – conservati normalmente in rotoli e venduti al metro in diversi colori – sono stati intelaiati ed elevati allo status di opere (il profilo è quello irregolare del taglio di quando sono stati venduti), continuano a mostrare la propria natura di ready–made: materiali per abbigliamento prodotti a livello industriale. Nella stessa sala, le sedie a forma di mano sono una replica indonesiana di quelle degli anni Sessanta del designer messicano Pedro Friedeberg. L’una di fronte all’altra, con un filo di nylon teso tra le dita come in un gioco di abilità, The Thinkers è una magnifica reinterpretazione della pratica della tessitura e un tributo alla mano come strumento tecnologico ancestrale. Il video Art Film 2, Unpurposely with purpose colloca lo spettatore al centro di un ciclorama e allo stesso tempo all’interno di un altro “show”. Davanti ai nostri occhi, in loop, scorre una compilation di materiali artistici e riferimenti vari, come porzioni di moquette, corteccia e sughero, brani di found footage e riprese di un tappeto filmato con una piccola telecamera. Tutto si apre come una finestra su uno sfondo in continuo movimento e animato da visioni differenti; da immagini del pianeta Marte a un’infinita canvas di Photoshop, da una strada filmata da un punto di vista ravvicinato ad alcuni aborigeni che preparano la corteccia da utilizzare come superficie pittorica e sequenze di altri film d’artista… Ciò che emerge da questo collage su diversi livelli e dai riferimenti convergenti è come la nostra comprensione delle cose sia profondamente influenzata dalla superficie e dalla forma. Il profilo irregolare dei ritagli di tappeto appesi alle pareti della stanza diventa leggibile se avvicinato ai dipinti aborigeni su corteccia, come alle finestre che compaiono nel video. Frammenti di un’opera più imponente (un lavoro prodotto per Documenta 13), tutti gli elementi si riferiscono a un contesto più ampio che risulta mancante. Il mainstream è un frenetico tentativo mentale di mappare il modo in cui diverse sfere di influenza tra cultura e realtà si contaminano tra di loro. Intagliare questo diagramma personale e spontaneo su marmo è soltanto un’idea dell’ultimo minuto. Adriana Lara è nata a Città del Messico, dove vive e lavora. Dopo gli studi compiuti in Olanda e un anno trascorso a Parigi per il post-graduate program del Palais de Tokyo, Lara ha co-fondato a Città del Messico, in parallelo alla propria pratica artistica, il gruppo di produzione no profit Perros Negros, curando mostre e pubblicando una fanzine dal titolo Pazmaker. Di recente ha presentato mostre personali presso la Kunsthalle Basel, lo Utah Museum of Fine Arts, la galleria Algus Greenspon (New York), la galleria Air de Paris (Parigi) e la House of Gaga (Messico) e partecipato a numerose collettive, come Documenta 13, New Jerseyy Basel, MOCA Miami, Wattis institute for Contemporary Art, San Francisco (group shows) Via dei Mille, 6 00195 Roma www.indipendenzaroma.com [email protected] + 39 06 44 70 32 49 Da mercoledì a sabato, ore 14.00 – 19.00