Bonifica, recupero ambientale e sviluppo del territorio

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Bonifica, recupero ambientale e sviluppo del territorio
supplemento alla rivista quadrimestrale micron (N. 29 / Luglio 2014 ) di Arpa Umbria Agenzia regionale per la protezione ambientale
Bonifica, recupero
ambientale e sviluppo del
territorio: esperienze a
confronto sul fitorimedio
II workshop nazionale
atti del convegno
Rivista trimestrale di Arpa Umbria spedizione
in abbonamento postale 70% DCB Perugia
supplemento al periodico www.arpa.umbria.it
(Isc. Num. 362002 del registro dei periodici
del Tribunale di Perugia in data 18/10/02).
Autorizzazione al supplemento micron in data 31/10/03
Direttore
Svedo Piccioni
Direttore responsabile
Fabio Mariottini
Redazione
Francesco Aiello, Markos Charavgis
Comitato scientifico
Donatella Bartoli, Gianluca Bocchi, Marcello Buiatti,
Mauro Ceruti, Pietro Greco, Carlo Modenesi,
Francesco Frenguelli, Giancarlo Marchetti,
Francesco Pennacchi, Svedo Piccioni,
Cristiana Pulcinelli, Adriano Rossi, Gianni Tamino,
Giovanna Saltalamacchia
Segreteria di redazione
Alessandra Vitali
Tel. 075515967 - 207
Direzione e redazione
Via Pievaiola San Sisto 06132 Perugia
Tel. 075 515961 - Fax 075 51596235
www.arpa.umbria.it - [email protected]
twitter: @RivistaMicron
Progetto Grafico
Paolo Tramontana
Impaginazione
Emanuele Capponi
Fotografia
Paolo Sconocchia
Stampa
Grafox, Perugia
stampato su carta Fedrigoni freelife cento g 100
con inchiostri K+E NOVAVIT 3000 EXTREME
© Arpa Umbria 2014
INDICE
Presentazione
07
Adriano Rossi (Arpa Umbria, Direttore Dipartimento Provinciale di Terni)
Biorimedio fitoassistito come strategia innovativa per il
recupero di suoli contaminati da PCB
09
Paola Grenni, Anna Barra Caracciolo (CNR-IRSA,)
Angelo Massacci (CNR-IBAF)
Prove di fitorisanamento in laguna di Venezia: risultati
preliminari di uno studio su sedimenti lagunari
21
Emanuele Ponis, Rossella Boscolo, Alessandra Feola, Andrea Bonometto, Federico Rampazzo, Daniela
Berto, Claudia Gion, Seta Noventa (ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, Chioggia)
Paola Renzi, Antonella Tornato, Serena Geraldini, Massimo Gabellini (ISPRA – Istituto Superiore per la
Protezione e la Ricerca Ambientale, Roma)
CLEANSED: Una metodologia innovative ed integrate per
l’uso di sediment fluviali decontaminate nella produzione
vivaistica e per la costruzione di strade
31
G. Masciandaro, C. Macci , S. Doni(CNR ISE) R. Iannelli (Dipartimento di Ingegneria dell’Energia, dei
Sistemi, del Territorio e delle Costruzioni, Università di Pisa), C. Garcia, T. Hernandez (CEBAS-CSIC,
Group of Soil Enzymology, Bioremediation and Organic Wastes, Murcia, Spagna), M. Losa (Dipartimento di Ingegneria Civile, Università di Pisa), G. Caridi, N. D’Andretta (Navicelli S.p.A), F. Ugolini,
L. Massetti (CNR IBIMET), G. Renella (Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agroalimentari e
dell’Ambiente, Università di Firenze)
PHYTOSCREENING. Individuazione e monitoraggio della
contaminazione da solventi clorurati nel sottosuolo attraverso
il campionamento e l’analisi dei tronchi di albero
37
Luchetti Lucina, Diligenti Antonio (ARTA Abruzzo Distretto di Chieti)
Crescenzi Emanuel (ARTA Abruzzo Polo laboratoristico di Pescara)
Bonifica dell’Area “Ex-Cooperativa Fiascai della Bufferia
Toscana” mediante Phytoremediation
Beatrice Pucci (Hydrogea Vision S.r.l. - Firenze)
Cristina Gonnelli, Ilaria Colzi (Università di Firenze, Dipartimento di Biologia)
51
La fitodepurazione a Castelluccio di Norcia
63
Paolo Felici (Regione Umbria: direzione: programmazione, innovazione e competitività dell’Umbria)
Micorisanamento di suoli altamente e storicamente inquinati:
un approccio sostenibile
75
Maurizio Petruccioli, Stefano Covino (Dipartimento per la Innovazione nei sistemi Biologici, Agroalimentari e Forestali (DIBAF), Università degli Studi della Tuscia), Riccardo Melfa (Eni Mediterranea
Idrocarburi SpA), Paolo Belfanti (AECOM Italy srl), Alessandro D’Annibale (Dipartimento per la Innovazione nei sistemi Biologici, Agroalimentari e Forestali (DIBAF), Università degli Studi della Tuscia)
Fitodisidratazione/fitorimedio in ambiente confinato:
realizzazione di un sistema pilota per la messa a punto delle
strategie di disidratazione del sedimento presente nella laguna
di olmeto
85
Dario Liberati, Paolo De Angelis (DIBAF, Dipartimento per l’Innovazione dei sistemi Biologici, Agroalimentari e Forestali - Università degli Studi della Tuscia, Viterbo)
Monitoraggio fitoecologico e geobotanico in un’area
antropizzata
95
Romano B., Ranfa A., Cagiotti M.R., Ferranti F., Gigliotti G., Bodesmo M.
Università degli Studi di Perugia, B.go XX giugno, 74 - 06121 - Perugia
Piano di risanamento ambientale e riqualificazione
paesaggistica di un’area a forte impatto antropico
107
B. Romano A. Ranfa, M.R. Cagiotti, M. Bodesmo
Università degli Studi di Perugia, B.go XX giugno, 74 - 06121 - Perugia
Effetti sinergici dei microrganismi e della specie foraggera
Medicago sativa sulla degradazione dei PCB in un terreno
contaminato
Anna Barra Caracciolo, Martina Di Lenola, Gian Luigi Garbini, Paola Grenni1, Valeria Ancona
(CNR-IRSA, Istituto di Ricerca sulle Acque, Consiglio Nazionale delle Ricerche )
Angelo Massacci (CNR-IBAF, Istituto di Biologia Agroambientale e Forestale, Consiglio Nazionale
delle Ricerche)
113
Le fitotecnologie applicate al campo della bonifica dei siti
contaminati (fitorimedio) stanno incontrando un interesse
sempre maggiore fra gli addetti ai lavori ma anche fra gli
amministratori pubblici che devono trovare soluzioni
economiche, sostenibili e a basso impatto ambientale.
A due anni dal primo appuntamento organizzato
sull’argomento, che ha suscitato grande interesse e
partecipazione, Arpa Umbria, il Dipartimento per
l’Innovazione nei Sistemi Biologici, Agroalimentari e
Forestali (DIBAF) dell’Università della Tuscia e l’Istituto
di Biologia Agroambientale e Forestale (IBAF) del C.N.R
propongono un nuovo incontro formativo volto ad
aggiornare il quadro delle esperienze progettuali e applicative
sviluppate nel campo del fitorimedio nel nostro Paese, che si
è tenuto a Terni il 28 e 29 novembre 2013.
Obiettivi specifici dell’incontro sono stati:
offrire strumenti di valutazione dell’applicabilità
e della qualità degli interventi basati sulle
fitotecnologie;
favorire l’aggiornamento tecnico e la condivisione
delle informazioni su scala nazionale;
fare un punto sulle strategie di monitoraggio
applicate ai siti;
valutare le problematiche amministrative/
autorizzative dei procedimenti in materia;
valutare l’interesse per la creazione di un
osservatorio permanente sul fitorimedio, utile
ad un confronto sulle criticità riscontrate nelle
diverse realtà e sui differenti approcci impiegati.
Questa pubblicazione raccoglie una selezione degli argomenti presentati nel corso del Workshop nazionale tenutosi a
Terni il 28 e 29 novembre 2013.
Vista la nutrita partecipazione ai lavori si può affermare che
tale appuntamento si sta consolidando come momento di
confronto e scambio di esperienze tra tutti i soggetti interessati all’approccio “Phito” nella gestione dei siti contaminati.
Per questa ragione si è ritenuto utile mettere in evidenza
le esperienze che hanno avuto riscontri pratici a seguito di
applicazioni in campo.
Il comitato scientifico
Remediation / Energy Production / Soil & Carbon Management
II Workshop / Bonifica, recupero ambientale e sviluppo del territorio:
esperienze a confronto sul fitorimedio
Terni, 28-29 novembre 2013
Programma
28 novembre
29 novembre
Ore 14:00 – Accoglienza e registrazione dei partecipanti
Ore 9:00 – Indirizzi di saluto e apertura del convegno
Ore 14:30 – Inizio dei lavori: introduzione al workshop
a cura del comitato scientifico
Il quadro normativo e gli indirizzi di politica ambientale
Ore 09:20 – L’attuale orientamento europeo in materia
di bonifica dei siti inquinati e interventi sostenibili
Luca Montanarella, European Commission -DG
JRC Ispra (VA)
Ore 14:40 – Biorimedio fitoassistito: una strategia innovativa per il recupero di suoli contaminati da PCB.
Paola Grenni, IRSA-CNR
Ore 14:55 – Fitorimedio applicato ad un sito industriale
contaminato da idrocarburi aromatici
Frank Volkering, TAUW bv (The Netherlands)
Ore 15:15 – Esperienze sul campo per l’applicazione
della tecnica di Phytoremediation
Carlo Montella, ENI-Syndial
Ore 15:35 – Prove di fitorisanamento su sedimenti in laguna di Venezia: risultati preliminari di uno studio pilota
Emanuele Ponis, ISPRA (STS Chioggia)
Ore 15:50 – Il progetto CLEANSED: Innovative
integrated methodology for the use of decontaminated
river sediments in plant nursing and road building
Giancarlo Renella, Università degli Studi di
Firenze – DISPAA
Ore 16:30 – Phytoscreening: individuazione e monitoraggio della contaminazione del sottosuolo attraverso il
campionamento dei tronchi di albero
Lucina Luchetti, ARTA Abruzzo
Ore 16:45 – Bonifica dell’Area “Ex-Cooperativa Fiascai
della Bufferia Toscana” mediante Phytoremediation
Beatrice Pucci, Hydrogea Vision Srl
Ore 17:00 – La fitodepurazione a Castelluccio di Norcia
Paolo Felici, Regione Umbria
Ore 17:15 – Micorisanamento di suoli altamente e
storicamente inquinati: un approccio sostenibile
Maurizio Petruccioli, Università degli Studi della
Tuscia - DIBAF
Ore 09:40 – Le linee di indirizzo nazionali in materia di
bonifica dei siti inquinati
Laura D’Aprile, Ministero dell’Ambiente e della
Tutela del Territorio e del Mare
Ore 10:00 – Il ruolo degli enti locali nella promozione
di interventi sostenibili nell’ambito della bonifica e
riqualificazione del territorio
Fabrizio Bellini & Matteo Stoico, Provincia di
Terni
Prospettive future: fra sostenibilità e innovazione
Ore 10:40 – La sostenibilità ambientale delle bonifiche
Marco Falconi, ISPRA
Ore 11:00 – Gli sviluppi della ricerca sul fitorimedio a
livello internazionale
Angelo Massacci, CNR – IBAF
Ore 11:20 – Discussione
Gli strumenti per lo sviluppo del fitorimedio in Italia
Ore 11:45 – Il ruolo degli incontri tecnici per l’innovazione nel settore delle bonifiche: l’esperienza di
RemTech
Silvia Paparella, RemTech Expo e Enecor S.r.l.
Ore 12:05 – La rete di collaborazione RECONnet
Renato Baciocchi, Università degli Studi “Tor
Vergata” - DICII
Ore 12:25 – Collaborazione e condivisione delle esperienze di fitorimedio nella bonifica dei siti contaminati
Andrea Sconocchia, Arpa Umbria
Ore 17:55 – Sessione poster: presentazioni brevi (3 min)
Ore 12:30 – La raccolta delle informazioni sull’applicazione del fitorimedio: ipotesi di database
Paolo De Angelis, Università degli Studi della
Tuscia – DIBAF
Ore 18:30 – sessione poster
Ore 12:50 – Discussione e chiusura lavori
Ore 17:30 – Domande e risposte
Poster inseriti nella pubblicazione
Fitodisidratazione/fitorimedio in ambiente
confinato: realizzazione di un sistema pilota
per la messa a punto delle strategie di disidratazione del sedimento presente nella laguna
di olmeto
Dario Liberati, Paolo De Angelis (DIBAF, Dipartimento per l’Innovazione dei sistemi Biologici, Agroalimentari e Forestali - Università degli Studi della Tuscia, Viterbo)
Monitoraggio fitoecologico e geobotanico in
un’area antropizzata
Romano B., Ranfa A., Cagiotti M.R., Ferranti F., Gigliotti G., Bodesmo M.
Università degli Studi di Perugia, B.go XX giugno, 74 06121 - Perugia
Piano di risanamento ambientale e riqualificazione paesaggistica di un’area a forte impatto
antropico
B. Romano A. Ranfa, M.R. Cagiotti, M. Bodesmo
Effetti sinergici dei microrganismi e della specie foraggera Medicago sativa sulla degradazione dei PCB in un terreno contaminato .
Anna Barra Caracciolo, Martina Di Lenola, Gian Luigi
Garbini, Paola Grenni1, Valeria Ancona (CNR-IRSA,
Istituto di Ricerca sulle Acque, Consiglio Nazionale
delle Ricerche ) Angelo Massacci (CNR-IBAF, Istituto
di Biologia Agroambientale e Forestale, Consiglio
Nazionale delle Ricerche)
Comitato scientifico
Angelo Massacci (CNR / IBAF), Paolo De Angelis (Universitè della Tuscia / DIBAF),
Andrea Sconocchia (Arpa Umbria), Paolo Sconocchia (Arpa Umbria).
Presentazione
Adriano Rossi (Arpa Umbria, Direttore Dipartimento Provinciale di Terni)
A due anni di distanza dal primo Workshop sul fitorimedio il tema ambientale dei
siti contaminati è tristemente diventato di grande attualità, basti pensare alle criticità legati all’ILVA di Taranto, alla terra dei fuochi in Campania o al recentissimo
fatto della discarica di Bussi in Abruzzo.
In questo ambito di emergenze ambientali la scarsa disponibilità di risorse, le difficoltà amministrative legate alla gestione di queste enormi aree nonché la scarsità
di fondi pubblici legata alla contingente crisi economica, ha spinto le amministrazioni a valutare l’impiego di nuove tecnologie e di nuovi approcci al fine di
garantire, nel modo più sostenibile possibile, recupero o la messa in sicurezza delle
aree contaminate.
Sulla base di questi fatti l’attenzione degli operatori di settore si è in parte indirizzata a nuovi approcci definiti come gentle remediation options ovvero strategie
basate sull’impiego delle piante, più in generale del fitorimedio, per eliminare o
immobilizzare la contaminazione nei terreni o nelle acque.
L’obiettivo del Workshop tenutosi a Terni il 28 e 29 novembre 2013 è stato quello
di condividere i passi avanti fatti sull’applicazione del fitorimedio nel nostro Paese
con l’intento di individuare dei nuovi orizzonti per la definizione di buone pratiche nell’ottica della sostenibilità delle bonifiche, per poter dare risposte concrete
ed efficaci alle necessità di risanamento dei nostri territori.
Un ringraziamento va a tutti coloro che hanno collaborato a questa iniziativa e che
con il loro impegno operano in questo settore con la prospettiva di trasformare le
criticità derivanti dal passato in una nuova occasione di sviluppo per il futuro.
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Biorimedio fitoassistito come strategia innovativa
per il recupero di suoli contaminati da PCB
Paola Grenni, Anna Barra Caracciolo (CNR-IRSA,)
Angelo Massacci (CNR-IBAF)
Riassunto
Il Biorimedio è un intervento di recupero che promuove i processi biologici
naturali di degradazione dei contaminanti presenti nel suolo, acqua e sedimento,
in linea con la sostenibilità ambientale ed incluso nella cosiddetta Green
Remediation (USEPA, 2010).
Il Biorimedio fitoassistito è una tecnologia di Biorimedio che sfrutta l’azione
sinergica che si instaura nella rizosfera tra apparato radicale delle piante e
microorganismi per rimuovere, trasformare o contenere le sostanze tossiche
presenti. La pianta, attraverso le radici, rilascia essudati radicali e modifica le
proprietà chimico-fisiche del suolo contaminato (es. maggiore aerazione ed
aumento del carbonio organico), stimolando la proliferazione dei microrganismi.
Questi ultimi hanno un ruolo chiave nella degradazione del contaminante, poiché
sono gli unici in grado di metabolizzare le molecole contaminanti organiche fino
alla loro completa mineralizzazione.
L’efficienza del Biorimedio fitoassistito si basa non solo sull’utilizzo di specie
vegetali tolleranti, cioè che non subiscano gli effetti tossici del contaminante e che
abbiano una crescita dell’apparato radicale tale da sequestrarlo e/o rallentarne il
movimento, ma anche che siano in grado di contribuire alla sua trasformazione
grazie al rilascio di enzimi e a promuovere lo sviluppo dei microrganismi della
rizosfera.
L’applicazione del Biorimedio fitoassistito è oggetto di una sperimentazione
attualmente in corso, nell’ambito di un’attività di collaborazione tra IRSACNR e IBAF-CNR, riguardante un terreno storicamente contaminato da
policlorobifenili (PCB), localizzato in provincia di Taranto.
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Biorimedio come tecnologia utilizzata per il recupero di suoli contaminati
La contaminazione del suolo è stata riconosciuta come una delle principali
cause della perdita della sua qualità (Turbé et al., 2010) poiché può causare
una riduzione della biodiversità (scomparsa di specie) ed alterare le relazioni
trofiche tra gli organismi, con conseguente perdita di importanti funzioni e
servizi ecosistemici di regolazione (es cicli biogeochimici, riciclo della sostanza
organica) e di supporto (produzione primaria, formazione del suolo) i cui
responsabili principali sono le piante e i microrganismi. Questi ultimi, grazie
all’elevata abbondanza e diffusione, al rapido tasso di crescita, all’ampia gamma
di capacità funzionali, non solo hanno un ruolo chiave nella fertilità del suolo,
ma mostrano grande adattabilità e capacità omeostatiche nei confronti dei
contaminanti organici, rimuovendoli (Barra Caracciolo et al., 2013). L’utilizzo
di microrganismi naturali e la possibilità di sfruttare le loro capacità di recupero
e di degradare un’ampia varietà di contaminanti sono alla base delle strategie di
biorimedio o biorecupero. I microrganismi sono gli unici in grado non solo di
biodegradare un contaminate organico in un’altra molecola (biotrasformazione),
ma anche di mineralizzarlo a costituenti inorganici; solo quest’ultima possibilità
assicura la sua completa rimozione dall’ambiente.
Il Biorimedio fitoassistito o pianta assistito è una tecnologia di biorimedio
che sfrutta l’azione sinergica che si instaura nella rizosfera tra apparato
radicale delle piante e microorganismi per rimuovere, trasformare o contenere
sostanze tossiche presenti nei suoli, sedimenti, acque. La fitotrasformazione o
fitodegradazione o rizodegradazione possono essere considerati sinonimi di
biorimedio fitoassistito, in cui il contaminante può essere degradato ed anche
completamente eliminato grazie all’azione dei microrganismi (batteri e funghi)
presenti nella rizosfera associata a specifiche piante vascolari (Zhuang et al.,
2007). Le specie vegetali, attraverso l’apparato radicale, migliorano le proprietà
chimico-fisiche dei suoli contaminati e possono sequestrare i contaminanti e/o
rallentare il loro movimento. Le piante inoltre, attraverso l’apparato radicale,
producono sostanze ricche di carbonio organico (zuccheri, acidi, proteine) ed
enzimi che sono in grado di stimolare la proliferazione dei microrganismi nella
rizosfera; questi ultimi degradano i contaminanti, anche fino alla loro completa
mineralizzazione, utilizzandoli come fonte di nutrimento, e al contempo
contribuiscono a migliorare la qualità del suolo (Susarla et al., 2002).
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L’efficienza del Biorimedio fitoassistito si basa sull’utilizzo di specie vegetali che
abbiano una crescita delle radici che possano favorire lo sviluppo di una comunità
microbica e di essere in grado di supportare la degradazione del contaminante nella
rizosfera. I limiti a questa tecnica sono legati principalmente alla tolleranza delle
piante agli effetti tossici dei contaminanti nel suolo e pertanto è fondamentale
individuare specie vegetali che siano tolleranti a ogni specifica sostanza tossica
(Zhuang et al., 2007).
Biorimedio fitoassistito dei PCB
I policlorobifenili (PCB) sono composti organici prodotti attraverso la clorazione
dei bifenili, sintetizzati a partire dal benzene. Sono sostanze aromatiche
variamente clorurate (1-10 atomi di Cl, 209 congeneri in totale) che, in base
al numero degli atomi di cloro e alla loro posizione nella molecola del bifenile,
hanno un differente comportamento chimico, fisico e biologico. Il loro grande
utilizzo nel passato (commercializzati come miscele di congeneri conosciuti con
nomi commerciali quali Aroclor, Clophen, Kanechlor e Apirolio), associato alle
loro caratteristiche (elevata stabilità, bassa volatilità e solubilità in acqua, elevata
solubilità in oli e lipidi o solventi organici), hanno determinato la loro larga
diffusione, bioaccumulo e biomagnificazione (Smith et al., 2007). A causa della
loro elevata persistenza ambientale e presenza ubiquitaria i PCB sono stati messi al
bando nel con la Convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti
(POP) ed inseriti in una lista di priorità per una loro eliminazione entro il 2025
(Fiedler, 2008; Decisione 2006/507/CE del Consiglio, del 14 ottobre 2004,
relativa alla conclusione, a nome della Comunità europea, della convenzione di
Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti). Inoltre, recentemente sono stati
inseriti nel gruppo dei distruttori endocrini (WHO/UNEP, 2013), composti
che possono influenzare negativamente la salute delle specie animali o le loro
progenie (incluso l’uomo), attraverso l’interazione con il sistema endocrino.
La contaminazione ambientale è dovuta a prodotti commerciali che
contengono contemporaneamente fino a 90 congeneri, insieme ad altri additivi.
Sebbene i PCB non siano facilmente bioaccessibili, sono stati studiati alcuni
microrganismi in grado di degradali. Per i congeneri con meno di 6 atomi di
cloro la degradazione può avvenire per via aerobica. In particolare, i congeneri
con più di un atomo di cloro sono generalmente coinvolti in processi co-
11
metabolici, mentre i monoclorobifenili (oltre ai bifenili) sono utilizzati come
substrato dal quale è ricavata energia per la crescita (metabolismo). I prodotti
finali di degradazione aerobica sono l’acido cloro-benzoico e l’acido 2-idrossi-2pentadienoico. Quest’ultimo può essere successivamente degradato in piruvato
ed acetaldeide ed, infine, a CO2; l’acido clorobenzoico non viene generalmente
metabolizzato dagli stessi batteri degradatori dei PCB, ma da altri, specializzati
nella sua degradazione (Rodrigues et al., 2006). La degradazione aerobica
di PCB è stata osservata sia in batteri Gram-negativi (generi Pseudomonas,
Burkholderia, Acinetobacter, Alcaligenes, Achromobacter, Comamonas, Ralstonia,
Sphingomonas) che Gram-positivi (Rhodococcus, Bacillus e Corynebacterium),
(Field e Sierra-Alvarez, 2008; Luo et al., 2008).
I bifenili altamente clorurati non sono biodegradabili in condizioni aerobiche;
la loro trasformazione richiede un elevato consumo di energia per la rottura dei
legami altamente stabili tra carbonio e cloro e può avvenire microbiologicamente
in condizioni anaerobiche, mediante dealogenazione riduttiva. Tale processo è in
grado di rimuovere gli atomi di cloro dalla posizione meta (3,3’, 5,5’) e para (4,4’)
dalla molecola di PCB, rimpiazzandoli con atomi di idrogeno con conseguente
accumulo di congeneri orto-sostituti (2,2’) con basso grado di clorazione (Field
e Sierra-Alvarez, 2008; Sylvestre e Toussaint, 2011). La dealogenazione riduttiva
è stata riscontrata in molti generi di batteri, due dei quali sono stati associati
alla dealogenazione dei PCB, in particolare Desulfitobacterium dehalogenans è in
grado di dealogenare atomi in posizione orto e PCB idrossilati (Utkin et al., 1994),
mentre un ceppo di Deahlococcoides è in grado di effettuare la dealogenazione in
posizione meta e para di un gran numero di congeneri di PCB (Adrian et al.,
2009). Tuttavia, poiché è difficile isolare i microrganismi coinvolti, il completo
pattern degradativo ed i parametri ambientali che lo influenzano non sono
ancora del tutto chiari (Sylvestre e Toussaint, 2011).
Le piante, rilasciando essudati radicali come terpeni e i carotenoidi che hanno
similarità strutturali ai PCB, possono funzionare da co-metaboliti o induttori
della degradazione di tali composti da parte dei rizobatteri (Xu et al., 2010).
Ad esempio batteri del genere Pseudomonas, comunemente riscontrati nella
rizosfera, possono essere stimolati o indotti a degradare i PCB in presenza di
specifiche piante o da composti purificati estratti dalle radici (Leight et al., 2006).
La rimozione nel suolo dei PCB può essere influenzata anche dalla presenza di
12
sostanza organica di varia origine (es. compost) e può in alcuni casi migliorare in
presenza di scarti vegetali, mentre in altri la presenza del carbonio organico non
risulta influenzare la degradazione (Luo et al., 2008).
Il biorimedio dei PCB, sebbene abbia grandi potenzialità, non è una tecnica ad
oggi sufficientemente ben studiata ed applicata al suolo (Luo et al., 2008). In ogni
caso, l’abbinamento tra il potenziale degradativo dei microorganismi del suolo
con la capacità delle piante di resistere agli effetti tossici e di creare una rizosfera
in grado di promuovere la loro degradazione da parte delle comunità microbiche,
risulta ad oggi la strategia “green” con maggiori possibilità di successo (Xu et al.,
2010; Sylvestre e Toussaint, 2011).
Applicazione sperimentale del Biorimedio fitoassistito in un’area
contaminata da PCB
Dal 2013 è in corso un’attività di ricerca di collaborazione tra due Istituti del
CNR, quali l’Istituto di Ricerca sulle Acque (IRSA) e l’Istituto di Biologia
Agroambientale e Forestale (IBAF), volta a studiare la possibilità di recupero
di un’area contaminata da PCB attraverso il Biorimedio fitoassistito. L’attività
sperimentale prevede una fase preliminare di studio in microcosmi in serra ed
una seconda applicativa in campo e mira allo sviluppo di soluzioni innovative per
studiare e ridurre la contaminazione del suolo da PCB. In particolare, la ricerca
ha come obiettivo quello di stabilire una strategia di Biorimedio fitoassistito
ottimale da applicare in un’area storicamente contaminata da PCB in provincia
di Taranto. L’area individuata (circa 5000 mq2) è risultata contaminata in maniera
diffusa da PCB (100 μg/kg, > 60 μg/kg limite D.lgs 152/2006) e da tracce di
metalli pesanti (Be, Sn, Pb, Cu, Zn), riconducibile sia ad un suo utilizzo per
diversi decenni come discarica incontrollata, sia per la presenza di trasformatori
elettrici.
La sperimentazione in serra, che è attualmente in corso, consiste di due set
sperimentali che utilizzano due specie vegetali (Medicago sativa e Populus),
selezionate per la loro capacità di favorire la degradazione dei PCB (Rein et al.,
2007; Bianconi et al., 2010).
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Primo set sperimentale in serra – Microcosmi con Medicago sativa
Al fine di studiare la degradazione dei PCB e gli eventuali effetti sinergici tra i
microrganismi presenti nel suolo e la specie foraggera M. sativa sono stati allestiti
microcosmi, mantenuti in serra, con il terreno proveniente dall’area in esame
e microcosmi con lo stesso terreno e la specie vegetale suddetta, in presenza/
assenza di compost (Figura 1).
Figura 1. Primo Set sperimentale in serra – Microcosmi con Medicago sativa
Secondo set sperimentale in serra – Microcosmi con talee di Populus clone
Monviso
Al fine di studiare la degradazione dei PCB e gli eventuali effetti sinergici tra i
microrganismi presenti e la specie arborea Populus sono stati allestiti microcosmi
mantenuti in serra (Figura 2) con il solo terreno proveniente dall’area in esame
ed altri con lo stesso terreno in cui sono state piantate talee di Populus.
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Figura 2. Secondo Set sperimentale in serra – Microcosmi con talee di Populus clone Monviso.
In quest’ultimo set sperimentale sono state considerate 4 diverse condizioni:
1. terreno microbiologicamente attivo aerobico con un contenuto costante di
acqua (circa 60% della sua massima ritenzione idrica);
2. terreno microbiologicamente attivo anossico, mantenuto costantemente
in saturazione di acqua al fine di creare possibili condizioni di anossia per
promuovere la degradazione anaerobica;
3. terreno sterilizzato prima di piantare le talee, al fine di eliminare la comunità
microbica naturale;
4. Terreno di controllo (senza talee).
I microcosmi sono stati mantenuti in serra a temperatura e contenuto di acqua
controllati. Al fine di valutare la degradazione dei PCB e la risposta della
comunità microbica, campioni di terreno sono stati prelevati a tempi prestabiliti
per analizzare i PCB e la comunità microbica (abbondanza, struttura ed attività)
della nelle diverse condizioni.
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Terzo set sperimentale - talee di Populus clone Monviso e piante di Tamarix
gallica in campo
La sperimentazione in campo di Biorimedio fitoassistito ha previsto l’utilizzo
di due specie arboree (Populus clone Monviso e Tamarix gallica) idonee per
impianti agro-forestali ad alta densità (fino a 10-12.000 piante per ettaro) ed a
turno di taglio breve (due o tre anni) che favoriscono un’elevata ed omogenea
produzione di radici nel suolo (fino a 0,7-1,5 m di profondità) e massimizzino la
produzione di biomassa (Bianconi et al., 2010).
La specie Populus è stata selezionata perché la sua capacità di recupero di
suoli, degradati a causa della presenza di contaminanti organici, è ampiamente
documentata (Bianconi et al., 2011). Tamarix gallica (Tamerice comune),
invece, possiede un’elevata tolleranza a numerosi stress abiotici, tra cui la salinità
e la siccità (stress che sono caratteristici dell’area da biorecuperare) e può essere
utilizzata per la fitoestrazione o fitostabilizzazione di suoli contaminati da metalli
pesanti e/o suoli salini.
Dopo una preparazione del terreno (diserbo a mano, scarificatura, fresatura,
aratura, rimozione di sassi e di rifiuti ingombranti, concimazione di fondo
con compost pari a 25,78 t/ha; pacciamatura e impianto di irrigazione) sono
state messe a dimora circa 600 talee clone Monviso in un’area di 785 m2 (sesto
d’impianto 2 m x 0,5 m) e circa 400 piantine di Tamerici in un’area di 1340 m2
(sesto d’impianto 2 m x 2 m).
Metodiche analitiche utilizzate nei set sperimentali
Vengono qui di seguito descritte brevemente le analisi che vengono utilizzate nei
diversi set sperimentali, sia di campo che in serra, per valutare sia la degradazione
dei PCB nel suolo, sia la composizione e struttura delle comunità microbiche del
suolo, nelle diverse condizioni sperimentali.
Analisi chimiche dei PCB: Metodo di estrazione dal suolo: ASE (Accelerated
Solvent Extraction) ed analisi quantitativa dei congeneri secondo metodo
European Standard prEN 15305 (2005), mediante gas cromatografia accoppiata
a spettrometria di massa in tandem, (GC/MS/MS) ad alta risoluzione.
Analisi microbiologiche: Abbondanza batterica (metodo della conta diretta in
epifluorescenza), e Vitalità cellulare (metodo live/dead), (Grenni et al., 2009),
Analisi filogenetica della comunità batterica (Fluorescent in situ hybridization,
16
Barra Caracciolo et al., 2005), Attività microbica totale (misura della deidrogenasi
nel suolo, Grenni et al., 2009), Respirazione edafica (misurazione della CO2).
Considerazioni sull’attività sperimentale in corso
Microcosmi con Medicago: i risultati preliminari (a 133 giorni) evidenziano
un effetto positivo sia della pianta che del compost sulla trasformazione dei
PCB; tuttavia tale effetto varia a seconda del congenere di PCB considerato. La
comunità microbica della rizosfera mostra un’attività e funzionalità maggiore
rispetto a quella di controllo (senza pianta) che può essere associata a processi
degradativi dei PCB. Sono in corso di analisi i campioni di terreno e di pianta del
campionamento di circa 10 mesi (termine della sperimentazione).
Microcosmi con clone Monviso: attualmente è stata effettuato un primo
campionamento del suolo e delle talee che si sono sviluppate dopo circa 7 mesi
dall’impianto e le analisi chimiche dei PCB e della comunità microbica sono in
fase di ultimazione.
Sperimentazione in campo: il clone Monviso ha avuto uno sviluppo vegetativo
rapido e rigoglioso sul terreno cronicamente contaminato da PCB e
l’attecchimento delle talee è stata maggiore del 99%, nonostante le condizioni
climatiche locali piuttosto aride. Purtroppo il successo dell’impianto delle
tamerici è stato compromesso dal fatto che l’impianto delle plantule, per problemi
logistici, è stato effettuato in primavera inoltrata quando le temperature erano
già troppo elevate tali da compromettere il loro attecchimento. La possibilità di
testare lo sviluppo e la capacità di biorimedio di tale specie è rinviata alla prossima
primavera.
Ringraziamenti
Si ringrazia tutto il personale CNR che ha contribuito attivamente alla
realizzazione di tale sperimentazione: V. Ancona, G. Bagnuolo, D. Bianconi,
A. Calabrese, G. Mascolo, V.F. Uricchio. Inoltre si ringrazia M. Di Lenola,
M. Cinicia, G.L. Garbini, S. Tariciotti, J. Rauseo, F. Cattena, F. Falconi del
Laboratorio di Ecologia Microbica del Suolo dell’IRSA-CNR di Roma.
17
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19
Prove di fitorisanamento in laguna di Venezia: risultati
preliminari di uno studio su sedimenti lagunari
Emanuele Ponis, Rossella Boscolo, Alessandra Feola, Andrea Bonometto, Federico Rampazzo, Daniela Berto,
Claudia Gion, Seta Noventa (ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, Chioggia)
Paola Renzi, Antonella Tornato, Serena Geraldini, Massimo Gabellini (ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, Roma)
Introduzione
La laguna di Venezia, una delle aree umide naturali più estese ed importanti
d’Europa e dell’intero bacino mediterraneo, è costituita da un complesso di
ecosistemi di elevato pregio ambientale che risentono di molteplici pressioni e
impatti di natura antropica, tra i quali:
- le numerose attività industriali, commerciali e portuali che insistono
nell’area di gronda lagunare;
- la presenza dei centri storici di Venezia e Chioggia;
- gli apporti di diversa origine (principalmente agricola, industriale,
urbana,) che concorrono a determinare fenomeni distrofici, locali o
diffusi;
- la perdita di strutture morfologiche lagunari quali barene e velme in
conseguenza di molteplici fattori (riduzione dell’apporto di sedimenti
dal bacino idrografico, subsidenza, eustatismo, prevalenza dei fenomeni
di erosione rispetto a quelli di sedimentazione);
- il turismo di massa e i conflitti tra i diversi usi lagunari, legittimi e non,
che determinano un impatto sugli ecosistemi (es. navigazione, pesca,
venericoltura).
A fronte di queste criticità la laguna di Venezia è oggetto di differenti azioni di
risanamento ambientale, disinquinamento e recupero morfologico.
In questo contesto l’utilizzo di tecniche di fitorimedio per il miglioramento
qualitativo di sedimenti lagunari risulta di forte interesse, dato che le sue
applicazioni bene si inseriscono in un’ottica di sostenibilità ambientale.
Le tecniche di fitorimedio sono state già applicate nell’area della laguna di Venezia,
con risultati positivi, per il trattamento di siti localizzati caratterizzati da suoli
fortemente contaminati (es. area dell’ex-poligono di Campalto, area industriale
21
di Porto Marghera); il potenziale di questo insieme di tecnologie, nel riutilizzo
dei sedimenti lagunari, nell’ambito degli interventi di ricostruzione morfologica
e per il trattamento di aree barenali artificiali moderatamente contaminate, resta
in gran parte da valutare.
ISPRA, nell’ambito di una convenzione con il Ministero dell’Ambiente
(MATTM), sta svolgendo alcuni approfondimenti relativi alla capacità da parte
di essenze vegetali alofile autoctone lagunari (piante di barena) di ridurre la
concentrazione di inquinanti in sedimenti provenienti dalla laguna di Venezia. Le
attività hanno previsto: 1) una fase preliminare di caratterizzazione di sedimenti
lagunari di potenziale interesse per le attività di fitorisanamento; 2) due cicli
di prove sperimentali di fitoestrazione in mesocosmo utilizzando il sedimento
individuato in precedenza 3) monitoraggio del processo di fitorisanamento in
natura su barene artificiali (fase attualmente in corso).
Caratterizzazione dei sedimenti lagunari
La ricerca del sedimento da caratterizzare si è concentrata in un’area della laguna
centrale conosciuta come “lago dei Teneri” (Figura 1), posta in prossimità del
Sito di Interesse Nazionale di bonifica di Venezia-Porto Marghera. Questa zona
è collocata all’interno di una grande area barenale, caratterizzata da un fondo
soffice e da una profondità media di 1.2 – 1.5 metri in condizioni di alta marea.
Studi precedenti condotti su quest’area (Apitz et al., 2007) hanno evidenziato
una potenziale tossicità dei sedimenti, stimata sulla base delle concentrazioni dei
contaminanti (metalli) e sulla base di saggi ecotossicologici condotti su anfipodi,
echinodermi e batteri.
Figura 1. Canale lagunare, velma (area lagunare emersa solo in condizioni di bassa marea generalmente
non vegetata) e barena (area lagunare soggetta a inondazioni periodiche legate alla marea) nei pressi
dell’area del “Lago dei Teneri”. Sullo sfondo il Sito di Interesse Nazionale di Venezia - Porto Marghera.
22
La scelta del sito di prelievo del sedimento da utilizzare per le prove in mesocosmo
è stata effettuata a seguito di un’attività preliminare di caratterizzazione (marzo
2011) condotta su 6 stazioni presenti nella suddetta area in cui sono state
effettuate analisi chimico-fisiche del sedimento, profilo CTD della colonna
d’acqua e valutazione delle specie e delle coperture vegetali presenti.
Il sito identificato, posto in prossimità del canale Volpego, presentava un
sedimento caratterizzato da una tessitura prevalentemente fine, con un
contenuto pelitico prossimo al 90%, un contenuto di carbonio organico e azoto
totale elevato e caratteristiche generali tipiche delle aree lagunari confinate, a
ridotto idrodinamismo. Dal punto di vista dei contaminanti è stata effettuata
una valutazione comparata con i limiti tabellari previsti per il sedimento dalla
normativa di riferimento (colonne A, B e C del “Protocollo d’Intesa sui Fanghi”,
siglato il 08.04.93 dal Ministero dell’Ambiente, la Regione Veneto, la Provincia di
Venezia, i Comuni di Venezia e Chioggia, noto come “Protocollo Fanghi”; Tabb.
2/A e 3/B del DM 260/2010). Tale raffronto ha evidenziato alcuni superamenti
relativamente a diversi metalli. In particolare Cr, Zn, Hg e Cu sono risultati
superiori al limite posto per la Col. A del “Protocollo Fanghi”; nel caso di Cu si
sono osservati superamenti anche rispetto alla Col. B; rispetto agli standard di
qualità indicati nel DM 260/2010 si sono osservati superamenti relativamente a
Pb, Cd e Hg. I contaminanti organici analizzati (sommatoria IPA, sommatoria
PCB, IC>12) sono invece risultati in genere bassi.
Prove sperimentali di fitoestrazione in mesocosmo
Presso la sede ISPRA di Chioggia è stato allestita una installazione per effettuare
i due cicli di sperimentazione in mesocosmo (Figura 2).
Figura 2. Installazioni per le sperimentazioni di fitoestrazione in mesocosmo. A sx. prima sperimentazione;
a dx. seconda sperimentazione.
23
I moduli unitari utilizzati sono costituiti da vasi di PVC di base quadrata (volume
45 litri) collegati ad un impianto di irrigazione alimentato da acqua MilliQ.
Come essenze vegetali sono state identificate tre specie di graminacee alofile
autoctone [Spartina marittima (Aiton), Puccinellia palustris (Seen.), Phragmites
australis (Cav.) Trin. ex Steud.] caratteristiche di quote differenti degli ambienti
barenali della laguna di Venezia; per tali specie, perenni e facilmente sfalciabili,
sarebbe tecnicamente eseguibile, in fase di applicazione del trattamento in situ,
un taglio dei fusti con cadenze regolari ed il loro smaltimento. In ciascun vaso
sono stati piantumati 9 ciuffi di piante (in media 35 fusti per vaso), recuperate
presso un vivaio presente in laguna di Venezia.
Le tre specie vegetali alofile identificate sono già state oggetto di alcuni lavori
sperimentali sul fitorisanamento:
- S. maritima. È stata dimostrata la sua capacità di fitostabilizzazione
per il trattamento di barene contaminate da Cd e Cu, riuscendo ad
accumulare questi analiti nella parte aerea della pianta (Reboreda e
Caçador, 2007). Anche per questa specie è stata rilevata una variabilità
stagionale, con valori di contaminanti nel sedimento che incrementano
in primavera ed estate e decrescono in autunno ed inverno (Duarte et
al., 2009). Per questa specie è stato inoltre osservato come la capacità di
assorbire determinati metalli vari in funzione anche della composizione
del terreno e della presenza di altri metalli (Weis et al., 2004).
- P. palustris. È stato osservato come la pianta sia in grado di incrementare
l’efficienza di assorbimento di metalli in funzione dell’arricchimento di
nutrienti del sedimento (Leendertse et al., 1996). In uno studio di recente
pubblicazione la specie è stata utilizzata per prove di fitorisanamento a
Venezia presso una barena in zona Campalto, caratterizzata da elevata
contaminazione di Pb, ma con risultati non soddisfacenti (Bini et al.,
2013).
- P. australis. È una specie già utilizzata per il trattamento di suoli/
sedimenti contenenti contaminazioni da metalli pesanti e contaminati
organici (Weis e Weis, 2004; Hechmi et al., 2014; Bragato et al., 2009);
concentra i contaminanti metallici principalmente a livello delle radici,
ad eccezione del Zn (Hechmi et al., 2014). Uno studio condotto su di
un’area umida ricostruita sul Delta del Po ha evidenziato come il livello
24
di metalli pesanti (Cu, Zn, Ni, Cr) nelle foglie presenti una variabilità
stagionale, raggiungendo i valori massimi in inverno (Bragato et al.,
2009).
Ciascuna condizione sperimentale è stata sottoposta a sperimentazione in
triplicato e sono stati aggiunti controlli costituiti da vasi non piantumati; all’inizio
(tempo T0) ed alla fine (tempo T1) delle sperimentazioni sono stati analizzati
diversi parametri su sedimento (granulometria, contenuto d’acqua, carbonio
totale ed organico, azoto totale, fosforo totale e metalli), acqua interstiziale
(nutrienti disciolti) ed essenze vegetali (parametri fenologici, biomassa). A fine
sperimentazione la biomassa vegetale è stata raccolta e conservata per consentire
di effettuare eventuali analisi chimiche successive, sulla base delle risultanze
analitiche ottenute sul sedimento.
Relativamente al primo ciclo sperimentale, della durata di 4 mesi (luglionovembre 2011), si riportano in Tabella 1 i risultati delle analisi eseguite sui
metalli al tempo T0.
Tabella 1. Risultati delle analisi dei metalli eseguite sui campioni di sedimento raccolto all’inizio della
prima sperimentazione in mesocosmo.
A ¿ne sperimentazione i risultati ottenuti sul sedimento (analisi su 3 diversi
livelli di profondità: 0-5 cm, 5-10 cm, >10 cm), non hanno indicato trend
complessivi ben de¿niti, sia in relazione alle specie sia in relazione ai livelli
analizzati.
Nel confronto con il controllo non piantumato alcuni analiti (Cr, Cu, Ba,
Ni, Zn, Pb, As) hanno mostrato alcuni modesti decrementi (max. 16.4%),
maggiormente legati a Spartina e al livello >10 cm. Le moderate performance
di ¿toestrazione rilevate possono essere conseguenza della ridotta crescita
vegetale osservata nei mesocosmi.
Nel confronto tra il sedimento T1 e quello T0 si evidenziano per alcuni analiti
(Cu, Ni, Pb, As) modesti decrementi (max. 8.2%), con l’eccezione di Fe e Mn,
25
per i quali i decrementi sono risultati diffusi e generalizzati in tutte le vasche
sottoposte a trattamento, compreso il controllo non piantumato (in media
80.1%). Il calo di Fe e Mn potrebbe essere legato a processi anaerobici a carico
della componente batterica; ulteriori approfondimenti (sull’acqua interstiziale,
sulla componente microbica) sarebbero necessari per avvalorare tale ipotesi.
In considerazione dei risultati ottenuti nella prima sperimentazione, nella
seconda prova sono state apportate alcune modifiche al piano sperimentale:
- la durata della sperimentazione è stata allungata (6 mesi, maggionovembre 2012), per poter meglio sfruttare la fase primaverile-estiva di
maggior crescita fenologica delle specie sottoposte a trattamento;
- sono state selezionate due delle tre specie utilizzate nella sperimentazione
precedente (S. maritima, P. palustris), escludendo la specie P. australis, la
cui presenza in laguna è circoscritta alle aree a minore salinità, di limitata
estensione;
- parallelamente alle prove di fitoestrazione sul sedimento “tal quale”,
una delle due specie vegetali prescelte (S. maritima) è stata piantumata
utilizzando sedimento addizionato con ammendante organico
(compost da lombricoltura, aggiunto al sedimento in proporzione
volumetrica 1:20). È stato inoltre aggiunto un controllo non piantumato
ammendato.
- Sono state apportate alcune migliorie all’impianto di irrigazione,
al fine di consentire una idratazione più omogenea del sedimento.
I campionamenti del sedimento a fine sperimentazione sono stati
effettuati, sempre in triplicato, ma su livelli differenti: 0-10 cm; 10-20
cm; >20 cm, allo scopo di meglio valutare l’attività delle radici su uno
strato più profondo della rizosfera.
I risultati delle analisi dei metalli al tempo T0 della seconda sperimentazione
sono riassunti in Tabella 2.
Tabella 2. Risultati delle analisi dei metalli eseguite sui campioni di sedimento, non ammendato e
ammendato,, raccolto all’inizio della seconda sperimentazione
p
in mesocosmo.
26
Nel corso delle prove sono stati registrati alcuni abbattimenti dei contaminanti
(rispetto ad inizio prova, rispetto al sedimento non piantumato), di entità
variabile per analita e per i diversi campioni sottoposti a trattamento.
Rispetto al controllo non piantumato, a fine sperimentazione, gli analiti che
hanno mostrato i maggiori decrementi sono stati Cr (media 9.2%), Ba (8.7%)
e Cd (7.1%). Riguardo al fattore “livello” i maggiori decrementi sono stati in
genere rilevati nello strato più profondo mentre riguardo al fattore “specie” nel
sedimento ammendato piantumato con Spartina; nel confronto tra quest’ultimo
ed il sedimento non ammendato piantumato con Spartina si evidenziano
riduzioni significative per Cr, Cu e Cd (test post-hoc di Tukey; p< 0.05).
Rispetto alla Fase T0 i sedimenti non piantumati hanno evidenziato variazioni
simili a quelle registrate per i sedimenti piantumati sebbene con decrementi
inferiori. Gli analiti dei sedimenti piantumati che hanno mostrato i maggiori
decrementi sono Ba (media 22.2%), Cd (21.5%), Hg (14.9%) e Zn (12.6%). Le
maggiori riduzioni sono state osservate nei sedimenti ammendati piantumati con
Spartina dove i decrementi significativi (> 5%) sono stati rilevati sull’insieme dei
livelli, ad eccezione di As. La riduzione massima (33.8%) è stata registrata per il
Ba nel sedimento superficiale non ammendato piantumato con Spartina.
Al fine di facilitare il confronto tra i campioni analizzati, i dati di concentrazione
dei metalli sono stati normalizzati rispetto al contenuto di Fe ed è stata valutata
la variazione rispetto al controllo non piantumato mediante il calcolo del fattore
di arricchimento (EF), secondo la seguente formula:
EF = (conc. Metallosed. vegetato/conc. Fesed. vegetato)/(conc. Metallosed. nudo/conc.
Fesed. nudo)
I risultati più significativi sono stati ottenuti per i campioni di sedimento
ammendato piantumato con Spartina (Figura 3); i decrementi riguardano
principalmente Cr (EF= 0.83), Ba (EF= 0.79), Ni (EF= 0.86) e Cd (EF= 0.80).
27
Figura 3. Fattore di arricchimento (EF) per il Fe nel sedimento ammendato piantumato con Spartina.
Variazioni delle concentrazioni (media con d.s.) rispetto al controllo non piantumato ammendato nei tre
livelli verticali (0-10 cm, 10-20 cm, > 20 cm).
Nel complesso, le modifiche apportate rispetto alla prima prova in mesocosmo
(implementazione del sistema di irrigazione, prolungamento della durata della
sperimentazione, utilizzo di ammendante) hanno incrementato le performance
di fitorisanamento. La Spartina trattata con sedimento ammendato esercita
l’attività di abbattimento più significativa e diffusa, con decrementi sia rispetto
al sedimento di partenza (T0), sia rispetto al sedimento non piantumato. I
decrementi rilevati nelle concentrazioni dei metalli sono comunque rimasti
piuttosto contenuti, indicando la necessità di incrementare la scala sperimentale
(durata del processo, scaling-up dell’impianto di trattamento).
Monitoraggio del processo di fitorisanamento in natura
È in corso la caratterizzazione di aree barenali artificiali, caratterizzate da
blande concentrazioni di metalli e patch vegetazionali costanti nel tempo, sulle
quali valutare la differenza di concentrazione dei contaminanti in campioni di
sedimento prelevati in aree vegetate e non vegetate, al fine di verificare l’eventuale
effetto di fitoestrazione da parte delle specie autoctone naturalmente presenti in
barena. A questo proposito sono state identificate aree barenali con sedimento
28
dalle caratteristiche chimico-fisiche similari a quello utilizzato per le prove in
mesocosmo. Le possibili differenze di concentrazione dei contaminanti tra aree
nude e aree vegetate, sono state valutate ricercando specie alofile caratterizzate da
fasi di crescita analoghe a quelle utilizzate per la piantumazione in mesocosmo.
Le barene artificiali di potenziale interesse, identificate in base ad informazioni
bibliografiche e all’analisi di foto aeree, sono state oggetto di una fase preliminare
di caratterizzazione (pre-survey) delle matrici sedimento (caratteristiche
chimico-fisiche e concentrazioni di inquinanti inorganici) e della matrice
vegetale (tipologia, copertura, sviluppo).
Tale fase ha portato all’identificazione del sito oggetto dell’approfondimento
(barena dei “Teneri”). Le analisi relative alla caratterizzazione del sedimento e
delle piante sono tuttora in corso.
L’utilizzo di piante autoctone barenali negli interventi di ripristino morfologico
non solo riveste un ruolo fondamentale nella ricostruzione dei tipici habitat
barenali ma allo stesso tempo potrebbe favorire il miglioramento qualitativo del
sedimento utilizzato.
Ad oggi il tipo di sedimento da utilizzare per la ricostruzione delle barene è regolato
dal punto di vista della qualità chimica dal “Protocollo Fanghi” che sulla base
della concentrazione di alcuni contaminanti quali metalli, IPA, PCB e pesticidi
organoclorurati (POC) individua per ciascun analita 3 limiti (Colonna A, B, C).
In particolare solo i sedimenti di classe A o B possono essere riutilizzati in laguna;
in particolare i sedimenti utilizzati per gli interventi di ripristino morfologico
comportanti il contatto diretto o indiretto dei materiali di escavazione con le
acque della laguna devono essere conformi ai valori della colonna A, mentre quelli
di tipo B possono essere utilizzati per interventi realizzati in maniera da garantire
il loro confinamento permanente così da impedire rilascio di contaminanti nelle
acque lagunari.
Favorire il processo di miglioramento qualitativo dei sedimenti lagunari
attraverso tecniche di fitorimedio potrebbe contribuire favorevolmente nella
gestione complessiva dei sedimenti lagunari.
29
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del Territorio e delle Costruzioni, Università di Pisa), C. Garcia, T. Hernandez (CEBAS-CSIC, Group of Soil
Enzymology, Bioremediation and Organic Wastes, Murcia, Spagna), M. Losa (Dipartimento di Ingegneria Civile,
Università di Pisa), G. Caridi, N. D’Andretta (Navicelli S.p.A), F. Ugolini, L. Massetti (CNR IBIMET), G. Renella
(Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agroalimentari e dell’Ambiente, Università di Firenze)
Introduzione
L’attività vivaistica in Italia è un settore produttivo agrario di primaria importanza
per ricchezza prodotta e per numero di operatori ed aziende attive nel settore,
rappresentando il 6.1% dell’intera produzione agraria. La produzione in valore,
secondo i dati ISTAT è stata, nel 2008, di 3 miliardi di euro suddivisa in 1.7
miliardi per fiori e piante in vaso e per quasi 1.4 miliardi per i prodotti vivaistici
quali alberi e arbusti. Nel nostro Paese si contano oltre ventimila aziende che
operano direttamente ed indirettamente nel comparto, localizzate soprattutto
in Liguria e Toscana. In particolare, quello Pistoiese è il distretto di produttivo
vivaistico più grande d’Europa, ed è in continua espansione grazie alle favorevoli
condizioni pedo-climatiche unite alle spiccate professionalità sviluppatesi in
oltre un secolo di fiorente attività.
Oltre la metà della produzione vivaistica pistoiese è basata su coltivazioni di
pieno campo di piante arboree ed arbustive, che richiede un pratica intensiva
in termini di uso di energia ed acqua ma anche di suolo. È stato stimato che la
produzione vivaistica, comporti in Europa il consumo di 5.2.106 m3 di suolo ogni
anno. È chiaro che la pratica vivaistica tradizionale non è sostenibile e necessita di
innovazione non rischiare bruschi rallentamenti per mancanza o accresciuti costi
di materie prime, o per l’esclusione da importanti mercati a causa dell’elevata
impronta idrica e di C associata a questa attività. Un grande impatto ambientale
del vivaismo è legato all’utilizzo di substrati di a base di torba, pomice, perlite,
vermiculite e terricci di bosco, mescolati in rapporti variabili. La torba prelevata
da torbiere situate ad elevate latitudini (Paesi Baltici, Canada) e, il suo consumo
annuale in Italia negli ultimi anni 20 anni è più che decuplicato, passando da
35.000 a 508.000 tonnellate/anno (Figura 1).
31
25%
21%
17%
15%
10%
quota % aziende
21%
quota % superficie
20%
20%
15%
12%
10%
9%
8%
4%
5%
11%
9%
6% 5% 6% 6%
4%
5%
3% 3% 3% 3%
0%
Liguria
Toscana Lombardia Campania Veneto Piemonte Sicilia
Lazio
Marche
Puglia
Altre
regioni
* le regioni sono ordinate per numero di aziende
Fonte: Mipaaf-Ita
trasporto
prelievo
di torba
produzione
non sostenibile!
rifiuti
Figura 1. Quadro delle attività florovivaistiche in Europa e Italia, con particolare riferimento ai distretti
produttivi della Toscana
32
Un tale volume di importazioni comporta gravi problemi economici ed
ambientali legati al disturbo dei delicati ecosistemi d’origine e al trasporto
e, preso atto del problema, l’Unione Europea ha incluso le torbiere fra gli
habitat di interesse comunitario (direttiva Habitat, 92/43/CEE). Questo
potrebbe provocare una progressiva mancanza della materia prima dei i
substrati vivaistici d’elezione impattando la produzione. Inoltre, sulla base
del regolamento CE 1980/2000 l’attuale produzione vivaistica non potrà
ottenere il marchio comunitario di qualità ecologica ECOLABEL. Inoltre,
la produzione vivaistica di pieno campo realizzata a nel distretto pistoiese
comporta l’espianto delle essenze insieme alla zolla di terra che contiene le
radici. Questa pratica implica la perdita di suolo ricco di sostanza organica
ed è stato stimato che la pratica vivaistica nell’Unione Europea comporti da
sola una 5.2 milioni di metri cubi di suolo.
L’elevata impronta ambientale complessiva della produzione floro-vivaistica
basata sull’impiego torba come substrato di crescita determina la necessità di
individuare materiali alternativi per l’intera filiera produttiva o parti di essa.
Il progetto CLEANSED
Ogni anno in Europa sono dragati 200.000.000 di m3 di sedimenti fluviali,
variamente contaminati, con costi di gestione e trattamento dell’ordine di 10.000
€ per tonnellata.
Il progetto CLEANSED (CLEANSED, LIFE12 ENV/IT/000652) applica
le conoscenze acquisite in numerosi progetti nazionali ed internazionali che
hanno dimostrato come le fitotecnologie, basate sulll’utilizzo di consorzi di
piante, microorganismi ed ammendanti, siano in grado di bonificare e convertire
i sedimenti dragati in substrati adatti alla crescita di piante ornamentali o
tecnosuoli adatti alla rivegetazione di aree urbane e brownfields. Pertanto, quando
opportunamente applicate, le fitotecnologie rappresentano più che una messa
in sicurezza operativa di suoli e sedimenti dragati contaminati; esse consentono
una valorizzazione di tali materiali altrimenti privi di valore commerciale,
convertendoli in tecnosuoli adatti all’allevamento di piante ornamentali di
elevato valore estetico ed economico.
L’attività dimostrativa del progetto CLEANSED si svolge nell’area compresa
tra le province di Pisa, Pistoia e Firenze, importante distretto vivaistico ma anche
33
bacino del fiume Arno, alla cui foce (canale dei Navicelli) i sedimenti sono
regolarmente dragati. Nell’ambito del progetto CLEANSED, è valutata anche
la possibilità di utilizzo i sedimenti fitorimediati per la preparazione di materiali
idonei all’utilizzo come fondi stradali e ferroviari, contribuendo quindi alla
soluzione di molteplici problemi di natura economico-ambientale (Figura 2).
dragaggio
fitotrattamento
ciclo dei
sedimenti
sostenibile!
produzione
test
Figura 2. Attuale sistema tipico di approvvigionamento, utilizzo e gestione dei substrati per l’industria
vivaistica nel distretto pistoiese.
Il riutilizzo dei sedimenti in filiera cortissima porta ad un bilancio positivo in
termini economici e di LCA. Questo, approccio integrato è capace di coniugare
protezione dell’ambiente e produzione agricola di pregio e può diventare modello
di gestione sostenibile dei sedimenti dragati in molte aree d’Italia e d’Europa.
Risultati preliminari e future attività dimostrative
La vegetazione dei sedimenti con le varie essenze vegetali nel periodo maggio
2010 – ottobre 2011 ha portato ad un aumento della fertilità chimica stimata
attraverso il maggior contenuto di C organcio, N e P totali e della fertilità
34
biologica stimata attraverso la conta microbica totale e l’attività deidrogenasica
(Figura 3).
Figura 3. Sistema alternativo di produzione vivaistica e di sottofondi stradali basati sul fitotrattamento di
sedimenti fluviali.
La vegetazione dei sedimenti unitamente all’aunmentata attività microbiologica
ha portato alla riduzione in media del 50% del contenuto di idrocarburi totali e
in media del 20% dei metalli pesanti (Figura 4).
Figura 4. Effetto del fitotrattamento sui principali indicatori di fertilità chimica e microbiologica dei
sedimenti. Legenda dei trattamenti:
O= Oleander +Paspalum; Ph= Phragmites; S= Spartium+Paspalum; T= Tamarix+Paspalum;
C=Control; P= Paspalum
35
Il costo del trattamento è stato dell’ordine di 35€ per m3 di sedimento trattato
contro i 67 € per m3 di sedimento trattato previsto dal piano di bonifica
originario.
Nell’ambito del progetto CLEANSED, le attività di dimostrazione dell’efficacia
del fitotrattamento per la bonifica dei sedimenti e la loro conversione in tecnosuoli,
sta proseguendo con un periodo a landfarming, previsto in circa due mesi,
allo scopo di omogenizzare ed ulteriormente affinare il materiale. Il suolo sarà
successivamente trasportato al Centro Sperimentale per il Vivaismo (CeSpeVi)
di Pistoia, per un suo utilizzo per la crescita di essenze ornamentali, e presso il
quale saranno monitorati i principali parametri chimici e fisici e microbiologici
del tecnosuolo insieme ad accrescimento e stato fisiologico delle piante.
36
PHYTOSCREENING. Individuazione e monitoraggio della
contaminazione da solventi clorurati nel sottosuolo attraverso
il campionamento e l’analisi dei tronchi di albero
Luchetti Lucina, Diligenti Antonio (ARTA Abruzzo Distretto di Chieti)
Crescenzi Emanuel (ARTA Abruzzo Polo laboratoristico di Pescara)
Introduzione
Le tecniche di phytoscreening (Soreket al., 2008) consistono nel prelievo di
campioni di tronco di albero e nell’analisi chimica degli stessi ai fini del rilevamento
di impatti a carico delle matrici ambientali, suolo/sottosuolo, acque di falda e
soil-vapor. Tali tecniche vengono da tempo utilizzate, nei paesi anglosassoni, per
l’individuazione ed il monitoraggio di stress ambientali da parte di composti
volatili e semivolatili. La loro validità è ampiamente riconosciuta soprattutto
perchè coniuga i costi contenuti con una notevole velocità di campionamento e
con la conseguente rapida fruibilità dei punti di controllo (Trappet al., 2012).
I primi risultati concreti ottenuti si riferiscono all’individuazione di VOCs nei
campioni di tronco, rilevati in precedenza nelle acque di falda (Vroblesky et al.,
1999). In particolare, l’esperienza riportata da diversi autori testimonia la validità
della metodologia per la ricerca di numerosi composti quali PCE, TCE, e cDCE
(Schumacher et al., 2004; Sorek et al., 2008, Vroblesky et al., 2004; Vroblesky,
2008). Inoltre nuovi studi riguardanti il phytoscreening hanno evidenziato la
possibilità di individuare altri composti come i BTEX, MTBE, Cloruro di vinile,
1,1,2,2,-Tetraclorotilene, 1,1,1-Tricloroetilene (Vroblesky, 2008 e bibliografia
inclusa).
Le operazioni connesse alle attività di phytoscreening sono state estese
all’individuazione di eventi contaminanti (scarichi abusivi, serbatoi interrati
vetusti, etc.) “storici” attraverso l’insieme di indagini chimico-fisiche,
che prevedono l’utilizzo di scanner a raggi X, unitamente alle datazioni
dendrocronologiche (Balouetet al., 2012). Tale tecnica di indagine ha preso
il nome di dendrochimica (dendrochemistry) che a sua volta, in seguito al
riconoscimento nei paesi statunitensi del valore probatorio in seno a procedimenti
civili e penali, ha preso il nome di phytoforensics (Balouet et al., 2007; Balouet
37
et al., 2012; Burken et al., 2011). Inoltre, ai fini del monitoraggio e/o verifica
dell’attenuazione naturale in falda, il phytoscreening consente di ottenere
rapidamente dati necessari ai fini della valutazione sia dei ratei di attenuazione
della contaminazione sia della degradazione dei clorurati (Larsen et al., 2008).
Infine, come illustrato in Trapp et al. (2012), è stato utilizzato il phytoscreening
anche per la ricerca dei metalli pesanti. Pertanto il phytoscreening rappresenta un
utile strumento ai fini della caratterizzazione ambientale, sia in termini costi/
benefici (ad esempio nelle indagini preliminari), sia per l’ampliamento delle aree
oggetto già di una pregressa o concomitante attività di indagine ambientale.
Tecniche di campionamento
Il principio su cui si basa il phytoscreening risiede nella capacità dell’apparato
radicale di assorbire i contaminanti, disciolti e trasportati dall’acqua
d’infiltrazione, dalla falda o dal soil-gas (ITRC, 2009; Holmet al., 2011; Ma
&Burken, 2002). Le sostanze contaminanti sono poi trasportate dal moto
verticale della linfa lungo l’intero tronco, fino a raggiungere la chioma dell’albero
(rami e foglie), (Holmet al., 2011).
Pertanto le caratteristiche chimico-fisiche delle sostanze contaminanti, che
possono essere rintracciate, sono: alta solubilità in acqua, elevata persistenza e
bassa pressione di vapore.
L’elevata volatilità della fase disciolta di queste sostanze, comporta la scelta della
quota di campionamento lungo il tronco posta in genere non oltre il metro
a partire dal piano campagna. Questo perché dette sostanze sono disperse
all’esterno del tronco a causa dell’evapotraspirazione, che avviene già dal tratto
immediatamente al di sopra dell’apparato radicale. La scelta di campionare
il tronco, piuttosto che i rami, le foglie o i frutti, deriva proprio dalla maggior
facilità di rintracciare gli eventuali contaminanti soprattutto in funzione delle
concentrazioni e dei limiti di rilevabilità analitica. Inoltre, nel caso di alberi non
da frutto, si preferisce il tronco alle foglie poiché queste ultime possono subire una
contaminazione incrociata derivante dall’aria atmosferica (Trapp et al., 2012).
Il campionamento dei tronchi di albero è una procedura semplice che utilizza
campionatori incrementali quali, ad esempio, il succhiello di Pressler (Fig. 1) o il
martello incrementale, entrambi comunemente utilizzati nelle misure forestali.
38
Fig. 1 – Succhiello di Pressler o campionatore incrementale (Vroblesky, 2008).
Dopo la rimozione di una porzione di corteccia, la punta del campionatore
incrementale viene infissa nel tronco, e tramite una rotazione, viene prelevata la
carota di tronco (Fig. 2).
Fig. 2 – Schema di infissione per rotazione del campionatore all’interno del tronco (Trappet al., 2012).
Considerata la possibilità di campionare un ampio numero di specie, è
preferibile in genere campionare degli alberi singoli che presentano una adeguata
maturità, ed hanno quindi un tronco con diametro non inferiore ai 10-15 cm.
Al contrario ai fini del phytoscreening, è sconsogliabile campionare fusti di
specie arbustivecosì come alberi appartenenti alle famiglie delle Coniferophyta.
Questi infatti secernono resina; contenente terpeni che presentano un segnale
strumentale (GC-MS) capace di nascondere i segnali di altri composti.
Sulla base di dati di letteratura e delle nostre esperienze operative gli alberi il
39
cui campionamento garantisce buone possibilità di successo e che sono molto
diffusi, nelle associazioni floristiche di clima temperato e mediterraneo sono:
Quercus pubescens, Populus alba, Platanus acerifolia, Tilia platyphyllos e Juglans
regia (ved. Trapp et al., 2012).
Gli studi precedenti non hanno evidenziato l’instaurarsi di effetti irreversibili
sulla integrità fisica e sullo stato di salute degli alberi investigati (ved. Trapp et
al., 2012 e bibliografia inclusa). Questi infatti reagiscono in maniera autonoma,
senza necessità di interventi fito-sanitari da parte dell’uomo, alle ferite derivanti
dal campionamento, la quale è peraltro standardizzata anche in funzione del
minor danno arrecabile.
Dopo aver raggiunto la profondità necessaria, di solito non superiore ai 6 cm,
viene estratta la carota che è poi immediatamente riposta all’interno del vial
con tappo in teflon (Fig. 3). Qualora la lunghezza della carota superi quella del
vial, il campione può essere ridotto in due o più frammenti e quindi riposto nel
contenitore. Per il trasporto, i campioni prelevati vengono riposti all’interno
di borse termiche refrigerate equipaggiate con piastre eutettiche o frigoriferi
portatili, mantenendo una temperatura costante intorno ai 4°C.
Fig. 3 – Vial con setto in teflon utilizzato per la conservazione del campione.
40
Tecniche di Analisi
I campioni, raccolti seguendo le metodiche di cui al precedente capitolo, devono
essere sottoposti alle determinazioni analitiche non oltre le 48h successive al
campionamento, affinché si garantisca la preservazione dello stato naturale della
matrice evitando possibili attacchi batterici o lo sviluppo di colonie micotiche.
Inoltre, i tempi brevi di conservazione evitano la perdita dei contaminanti
eventualmente presenti nel campione, consentendo così di ottenere limiti di
rilevabilità analitica sufficientemente bassi.
In accordo con quanto evidenziato in Holm et al. (2011) le metodiche analitiche
applicabili sono quelle comunemente utilizzate per i terreni e le acque sotterranee
per l’individuazione dei VOCs. In particolare i metodi analitici utilizzabili sono
quelli noti come Head-spacetechnology e Solid-phasemicroextraction.
L’Head-spacetechnology (Analisi dello spazio di testa) è una metodica analitica
utilizzata per la ricerca diretta dei VOCs presenti nella fase vapore. Essa può
essere di tipo statico e di tipo dinamico. Nel primo caso un volume definito di
vapore è prelevato direttamente dal campionatore e trasferito successivamente
nella colonna del gas cromatografo (GC). Nel secondo caso la fase vapore è
trasportata da un gas (elio) a una fase adsorbente oppure a una crio-trappola prima
di raggiungere la colonna analitica. Poiché le dimensioni delle “microcarote”
non consentono di effettuare direttamente il desorbimento termico, è necessario
effettuare la preparativa del campione affinché il concentrato possa essere poi
analizzato.
La Solid-phasemicroextraction (Micro estrazione in fase solida) si applica
attraverso l’inserimento nel setto del vial di una fibra ricoperta di polimeri e/o
di materiale adsorbente. Tale fibra, attraverso processi di diffusione, raggiunge
l’equilibrio tra la fase gassosa e il campione (legno). In seguito la fibra è inserita
nell’iniettore del GC-MS o GC-ECD per le determinazioni analitiche.
Le metodiche analitiche utilizzate nel presente studio sono state mutuate da
quelle utilizzate di norma per la matrice suolo/sottosuolo dal laboratorio ARTAAbruzzo, in particolare, ci si è riferiti alle metodiche EPA (EPA 5035 1996 e EPA
5035A2002). Tali metodiche prevedono una preparativa iniziale del campione
che è sottoposto a una estrazione con Metanolo; il concentrato derivante è
successivamente sottoposto ad analisi attraverso l’utilizzo di strumentazione di
tipo GC/MS (Gas cromatrography/Mass spectrometry).
41
Casi Studio
Nell’ambito della caratterizzazione ambientale di due siti contaminati, l’U.O.
“Siti Inquinati e Discariche” del Distretto ARTA Abruzzo di Chieti, ha avviato le
prime campagne di phytoscreening, nei periodi autunnali degli anni 2012 e 2013,
con la finalità di individuare metodiche supplementari e/o alternative a quelle
classicamente utilizzate per la caratterizzazione e il monitoraggio sito-specifici.
In particolare sono stati selezionati due siti industriali entrambi dismessi da molti
anni e posti in ambienti geologicamente ed ecologicamente diversi.
Il primo è posto alle pendici della Montagna della Majella in un’area a uso
agricolo in cui affiorano terreni riferibili alle alluvioni terrazzate del Sintema
AVM (Pleistocene Superiore), ed in cui l’acquifero indagato presenta uno
spessore variabile tra i 24 ed i 38 m ed una soggiacenza media della falda di circa
14 m (Fig. 4).
Fig. 4 – Localizzazione dell’area indagata nel caso studio 1.
42
Il secondo è localizzato all’interno di un contesto intensamente industrializzato
nel tratto medio-basso della Valle del F. Pescara (Fig. 5). Geologicamente il sito
è caratterizzato dalla presenza di alluvioni terrazzate (Pleistocene superiore) con
acquifero multi strato, la cui porzione superficiale presenta uno spessore di 10 m
ed una soggiacenza media di circa 6m.
Fig.5 – Localizzazione del S.I.R. di Chieti Scalo al cui interno ricade il sito indagato nel caso studio 2.
43
Caso studio 1
Nell’area indagata è ubicato il sito industriale dismesso, che nel corso degli anni
ha determinato una degradazione della qualità delle acque sotterranee in seguito
al rilascio di solventi clorurati cancerogeni impiegati nel ciclo produttivo. In
particolare le risultanze della caratterizzazione ambientale sito-specifica hanno
evidenziato la presenza, tra gli altri contaminanti, come ad es. metalli pesanti
e Idrocarburi tot., di Tetracloroetilene (PCE) con valori compresi tra i 3 μg/L
e i 555 μg/L all’interno dei confini dello stesso sito. Ai fini della tutela della
risorsa idrica sotterranea e della salute pubblica, il nostro studio ha investigato
le acque sotterranee intercettate da 17 pozzi utilizzati ai fini irriguo-potabili e
4 sorgenti, interessando un’area di circa 20 ettari. I risultati analitici, relativi alle
acque sotterranee campionate nella seconda fase d’indagine, hanno evidenziato
che, nelle sorgenti ed in 10 pozzi, le concentrazioni misurate superano le
concentrazioni soglia di contaminazione previste per il PCE (CSC 1.1 μg/L),
con valori compresi tra 2.9 μg/L e 2830 μg/L. Sono stati, inoltre, individuati
altri parametri come ad esempio il Tricloroetilene (TCE), le cui concentrazioni
e distribuzione sono da mettere in relazione alle caratteristiche areali del plume
di contaminazione e all’idrogeologia sito-specifica. Un’ulteriore fase di indagine
ambientale ha previsto la realizzazione di ulteriori 14 sondaggi geognostici
attrezzati a piezometro per il campionamento della matrice suolo/sottosuolo e
della matrice acque sotterranee (Fig. 4). Anche in questa fase è stato possibile
individuare una contaminazione estesa delle acque di falda a valle idrogeologica
del sito dismesso, con concentrazioni massime di PCE di 2965 μg/L. La presenza
di uno spartiacque sotterraneo, rispetto al quale la sorgente della contaminazione
individuata è posta immediatamente a valle, ha fatto sì che il plume della
contaminazione presenti un andamento longitudinale ed unidirezionale ben
definibile. Le profondità alle quali la superficie piezometrica è stata individuata
sono comprese tra 1.75 m p.c., in corrispondenza dello spartiacque, e 20.58m
p.c., nel punto indagato più distante dalla sorgente.
Gli alberi campionati sono querce autoctone, tipiche del paesaggio pedemontano
appenninico, come la Roverella (Quercus pubescens). Uno di essi (Ac7) è posto
a monte del sito ed è stato utilizzato per definire il valore di fondo naturale
(bianco), mentre i restanti sei sono a valle dell’opificio. Le profondità della falda
sono comprese tra i 10 m ed i 20 m da p.c.. Le Roverelle campionate sono prossime
44
a piezometri e pozzi oggetto del monitoraggio, e presentano altezze comprese tra
i 4 ed i 6 m. Poiché di norma le stesse presentano un apparato radicale a fittone,
si può desumere che vi sia contatto tra l’apparato radicale degli alberi campionati
e le acque contaminate.
I sei alberi campionati sono stati scelti in modo che la loro disposizione fosse
tale da intercettare ortogonalmente l’andamento ricostruito del plume della
contaminazione delle acque sotterranee (Fig. 6).
Fig. 6 – Schema mostrante l’andamento delle isoconcentrazioni del Tetracloroetilene nelle acque
sotterranee e la posizione degli alberi nei quali è stata rilevata la presenza della stessa sostanza.
I risultati analitici evidenziano, in tutti i campioni prelevati, la presenza di
concentrazioni di PCE superiori al limite di rilevabilità strumentale (Tab.1).
Considerato che il sito è inserito in un contesto nel quale il tessuto industriale
è totalmente assente, fatta eccezione per l’opificio dismesso, la presenza, seppur
in minime concentrazioni, di sostanze chimiche non naturali consente di poter
tracciare un profilo della contaminazione attraverso le attività di phytoscreening.
45
Tab. 1 – Concentrazioni di Tetracloroetilene rilevati nei campioni di albero.
Caso studio 2
Il sito industriale indagato risulta dismesso da oltre dieci anni, le indagini
geologico-ambientali sono state effettuate a seguito della rimozione di alcuni
serbatoi interrati contenenti 1,2 Dicloropropano (1.2 DCP) e PCE. Tali
indagini condotte nel 2010 hanno evidenziato da subito una situazione di
elevata criticità a carico delle matrici acque sotterranee e terreno. In particolare
sono stati rinvenuti: PCE, TCE, Cloruro di vinile (CV), 1,2-cDicloroetilene
(1,2-cDCE), 1,2-DCP, 1,2,3-Tricloropropano, 1,1-Dicloroetilene e Idrocarburi
totali. Ciò ha comportato un’attività di messa in sicurezza di emergenza (MISE)
che ha previsto la rimozione di uno spessore rilevante di terreno, e la realizzazione
di una barriera idraulica (piezometri S2-S3). Le attività di phytoscreening sono
state svolte in corrispondenza di cinque alberi presenti all’interno del perimetro
del sito industriale. In particolare sono stati campionati due Platani (Platanus
acerifolia), due Tigli (Tilia platyphyllos) e un Noce (Juglans regia). Tutti gli alberi
sono posti a valle idrogeologica del sito stesso (Fig. 7). I risultati delle analisi
chimiche dei tronchi d’albero mostrano la presenza di concentrazioni elevate di
PCE, TCE, 1,2-cDCE e 1,2-DCP (Tab. 2).
46
Tab. 2 – Concentrazioni dei cVOCs rilevati nei campioni di tronco.
I nove sondaggi attrezzati a piezometro (S) forniscono un quadro ambientale
che individua in prossimità della zona di interramento dei serbatoi (perimetrata
in rosso) la sorgente della contaminazione (Fig. 6). Inoltre, l’istallazione di otto
sonde (SGS) per la misura del gas interstiziale contenuto nel terreno insaturo
superficiale ha consentito di effettuare un controllo diretto sulla distribuzione
degli inquinanti volatili in ambiente indoor (vapor intrusion) e outdoor. Si è
costatata una buona correlazione tra le curve di isoconcentrazione di PCE,
TCE, 1.2 DCE e 1.2 DCP nelle acque di falda (piezometri S1-S9), nel soil gas
(SGS4-8) e negli alberi. In particolare in figura 7 è sintetizzato l’andamento delle
concentrazioni di PCE nel sottosuolo integrando i valori delle acque sotterranee
con quelle relative al phytoscreening. La cartografia di sintesi consente di valutare
il plume della contaminazione che risulta più esteso rispetto a quanto valutato
con le sole indagini relative alle acque sotterranee.
Fig. 7 – Andamento delle concentrazioni di PCE nel sottosuolo ricostruito utilizzando sia i dati delle
acque sotterranee sia i valori rilevati negli alberi. I triangoli rossi indicano i punti corrispondenti al
rilevamento del soil-gas.
47
Conclusioni
Alla luce degli studi effettuati, è possibile effettuare alcune considerazioni di
sintesi, utili per tracciare i possibili sviluppi futuri dell’applicazione delle tecniche
di phytoscreening.
In primo luogo, l’individuazione di una contaminazione a carico della matrice
biologica conferma l’applicabilità di questa metodica nell’ambito della
caratterizzazione dei siti contaminati da cVOCs. Inoltre il phytoscreening si
è dimostrato utile ai fini di ampliare il raggio d’azione areale delle verifiche
ambientali e sanitarie nei siti contaminati e potenzialmente contaminati.
Restano tuttavia aperte alcune questioni la cui soluzione potrebbe notevolmente
ampliare il campo di applicazione di questo metodo di indagine ambientale.
Fra quelle di maggior interesse possiamo annoverare:
- il monitoraggio di un maggior numero di specie arboree per verificare
la diversa capacità di assorbimento nei tessuti vegetali dei contaminanti
alifatici clorurati;
- il monitoraggio temporale degli alberi contaminati al fine di verificare
lo sviluppo di fito-patologie connesse alla presenza delle sostanze
contaminanti e il trasferimento della contaminazione dal tronco ai
frutti;
- l’eventuale impatto della contaminazione delle sostanze vegetali s.l. sugli
eventuali consumatori primari (erbivori);
- la potenziale utilità del phytoscreening ai fini del monitoraggio
dell’andamento delle bonifiche e in particolare delle attività
dell’Attenuazione naturale o di fitotecnologie nonché per l’applicazione
dell’Analisi di Rischio Ecologica (ARE).
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(2008).
49
50
Bonifica dell’Area “Ex-Cooperativa Fiascai della Bufferia
Toscana” mediante Phytoremediation
Beatrice Pucci (Hydrogea Vision S.r.l. - Firenze)
Cristina Gonnelli, Ilaria Colzi (Università di Firenze, Dipartimento di Biologia)
Descrizione dell’area e dell’intervento di riqualificazione
Nell’ambito del Piano di Recupero Urbanistico dell’area denominata “ExCooperativa Fiascai della Bufferia Toscana”, situata nel Comune di Empoli (FI),
fu prevista la caratterizzazione e la bonifica del sito con l’obiettivo di riqualificare
l’area in funzione della nuova destinazione d’uso a “edilizia residenziale” L’area
era stata sede per molti anni di una attività di vetreria e risultava contaminata
da cadmio, piombo e zinco, con concentrazioni che superavano i limiti
normativi previsti per i siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale (D.Lgs.
152/2006).
Pertanto fu sviluppato
un Modello Concettuale
del sito a supporto
della progettazione che
prevedeva di sottoporre a
bonifica mediante scavo
e smaltimento/riuso dei
materiali scavati delle
aree destinate alle nuove
costruzioni(11.000 m2) e
per le rimanenti aree (8.000
m2), destinate a costituire
spazi verdi privati, fu prevista
l’applicazione di tecniche di
phytoremediation.
Figura 1. Inquadramento dell’area
d’intervento
51
Al fine di individuare le essenze vegetali maggiormente idonee al contesto
ambientale ed alla tipologia di inquinanti da rimuovere, è stata avviata una fase
preliminare alla progettazione definitiva che ha previsto un primo screening
mediante dati bibliografici e successivi test di screening in vaso.
La scelta delle piante è stata incentrata su specie arboree, in grado di sviluppare
un apparato radicale adatto a raggiungere lo strato di inquinanti, localizzati
alla profondità di 1 m dalla superficie. Dalla ricerca bibliografica è emerso che
le specie arboree a rapida crescita, in particolare i pioppi, sono indicate come
buoni candidati per applicazioni di fitotrattamento. Numerosi riferimenti in
letteratura mostrano un’elevata capacità di tali alberi di tollerare e accumulare
metalli pesanti, in esperimenti effettuati in vaso (Di Baccio et al., 2003; Rosselli
et al., 2003; Sebastiani et al., 2004; Dos Santos Utmazian and Wenzel, 2007),
in vitro (Franchin et al. 2007) e in campo (Eltrop et al., 1991; Robinson et al.,
2000; Hammer et al., 2003; Keller et al., 2003; Klang-Westin and Eriksson,
2003; Laureysens et al., 2005).
Screening in vaso
Per i test di screening in vaso sono state utilizzate quattro varietà di pioppo,
selezionate in base alle loro peculiarità emerse dalla letteratura ed alla loro
maggiore reperibilità e diffusione dal punto di vista commerciale: Populus nigra,
Populus nigra italica, Populus alba, Populus x euroamericana clone I-214. Per la
sperimentazione sono state usate talee di nuova produzione di 30-60 cm, poste
in vasetti di 1,4 l. Sono stati allestiti, per ogni varietà, 15 controlli, con terriccio
comune, e 15 trattati, con il terreno inquinato proveniente dall’area di studio,
setacciato con griglie grossolane prima dell’uso (per separare il terreno più fine
dal materiale lapideo). Le piante sono state coltivate all’esterno, in una zona
di mezz’ombra, e irrigate quando necessario in modo da mantenere il terreno
costantemente umido.
Al fine di valutare eventuali effetti tossici del substrato inquinato, la lunghezza
della parte aerea di ciascuna pianta è stata misurata all’inizio e al termine del
trattamento (dopo due mesi). Inoltre, per valutare la capacità fitoestrattiva delle
quattro specie, campioni di foglie sono stati raccolti all’inizio e al termine del
trattamento ed utilizzati per la determinazione della concentrazione di Cd, Pb
e Zn, attraverso mineralizzazione umida dei campioni (digestione con HNO3
52
e HClO4 5:2 su piastra termostatica a 70-100°C) e lettura dei metalli mediante
spettrometro ad assorbimento atomico (Perkin-Elmer Analyst 200).
Dopo due mesi di coltivazione P. nigra, P. nigra italica e P. alba hanno mostrato
una riduzione significativa della crescita nelle piante trattate rispetto ai controlli
(Fig. 1a). Al contrario, per P. x euroamericana clone I-214 la crescita non è
stata significativamente differente tra controlli e trattati (Fig. 1a). Un indice di
tolleranza è stato ricavato normalizzando i valori di crescita delle piante trattate
con i loro rispettivi controlli (Fig. 2b). P. x euroamericana clone I-214 è risultato
significativamente più tollerante di tutte le altre varietà, mentre P. alba ha esibito
il minore indice di tolleranza. P. nigra e P. nigra italica hanno mostrato una
tolleranza intermedia, senza alcuna differenza significativa tra le due varietà.
Figura 2. a) Lunghezza della parte aerea delle quattro varietà di pioppo (controlli e trattati) dopo due mesi
di coltivazione (media ± ES). b) Indice di tolleranza dopo due mesi di coltivazione (media ± ES).
Le concentrazioni dei metalli determinate nei campioni di foglie sono riportate
in figura 3. Per quanto riguarda Cd e Pb, nessuna varietà ha mostrato differenze
significative tra controlli e trattati. Inoltre, per lo Zn, i valori sono risultati
addirittura superiori nelle piante coltivate su terriccio comune (ad eccezione di
P. nigra) rispetto a quelle cresciute su terreno inquinato. Nel complesso, i dati
sull’accumulo nelle foglie non hanno fornito risultati rilevanti tali da fornire
indicazioni utili sulla capacità fitoestrattiva delle varietà testate, probabilmente a
causa della breve durata del periodo di trattamento (legato ai tempi tecnici della
progettazione definitiva dell’intervento complessivo di bonifica) che non ha
consentito un’apprezzabile estrazione degli elementi da parte delle piante.
L’analisi della crescita delle parti aeree ha fornito invece utili indicazioni sulla
53
diversa tolleranza delle piante al terreno inquinato. Populus nigra e Populus x
euroamericana clone I-214 sono state le varietà più tolleranti tra quelle testate e
pertanto sono state selezionate per la fase successiva di applicazione in campo.
Figura 3. Concentrazioni di metalli determinate nei campioni di foglie delle quattro varietà di pioppo
(controlli e trattati) dopo due mesi di coltivazione (media ± ES).
54
Progetto di Bonifica
Il progetto esecutivo fu elaborato in due stralci funzionali (novembre 2008):
- Stralcio 1 – bonifica di area per realizzazione edilizia residenziale
- Stralcio 2 – bonifica lungo termine mediante phytoremediation
L’area destinata alla phytoremediation è stata suddivisa in due maglie durante la
fase di caratterizzazione. (fig.4)
Figura 4. Area destinata alla phyremediation
L’iter autorizzativo non ha avuto intralci e nella Primavera del 2009 fu allestito il
cantiere per la phytoremediation.
Sulla base di quanto emerso dalla fase di screening fu previsto l’inserimento di
giovani piante (h 2,5 – 3 m) di Populus nigra e Populus x euroamericana clone
I-214.
Le essenze vegetali, reperite in vivaio, furono piantumate con un sesto di impianto
a maglia quadrata di 5 m. Per sopperire ad eventuali periodi di prolungata
55
mancanza d’acqua, fu realizzato un sistema di microirrigazione a goccia
alimentato per gravità tramite tre cisterne di accumulo per l’acqua rifornite
periodicamente mediante autobotte.
Figura 5. Planimetria di progetto della phytoremediation
Con il progetto esecutivo fu redatto ed approvato anche un Piano di
monitoraggio.
Figura 6. Area durante il cantiere con messa a dimora delle piante
56
Figura 7. Area dopo pochi mesi dal termine del cantiere (settembre 2009)
Monitoraggio della bonifica
Per monitorare l’andamento della bonifica e la capacità estrattiva delle piante,
campioni di foglie e terreno sono stati raccolti al momento della piantumazione
(primavera 2009) e a fine estate 2010 e 2011. Le foglie sono state raccolte
casualmente dalle piante per un totale di 15 campioni, mentre i suoli sono
stati campionati in 5 differenti punti distribuiti nelle due maglie dell’area,
ad una profondità di 1 m. Tutti i campioni sono stati essiccati e sottoposti a
mineralizzazione umida (HNO3 e HClO4 5:2 su piastra termostatica a 70100°C) e determinazione della concentrazione dei metalli mediante spettrometro
ad assorbimento atomico (Perkin-Elmer Analyst 200).
La concentrazione dei metalli determinata nei campioni di foglie dei pioppi è
riportata in figura 8. Per tutti e tre i metalli i valori sono risultati significativamente
superiori nei campioni del 2010 e del 2011 rispetto a quelli raccolti al momento
della piantumazione, indicando una certa capacità estrattiva da parte dei pioppi,
soprattutto relativamente a Cd e Zn.
57
Figura 8. Concentrazioni di metalli determinate nei campioni di foglie dei pioppi raccolte dal 2009 al
2011 (media ± ES).
Per quanto riguarda le concentrazioni di metalli riscontrate nei campioni di
suolo (figura 9), fatta eccezione per lo Zn nella maglia 1, i valori dei campioni
58
del 2010 e del 2011 sono risultati sempre significativamente inferiori rispetto a
quelli rilevati nei campioni del 2009. Inoltre, le concentrazioni determinate nel
2010 e nel 2011 sono sempre al di sotto dei limiti massimi previsti per legge per i
siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale (D.lgs. 152/06 s.m.i.).
Figura 9. Concentrazioni di metalli (media ± ES) determinate nei campioni di suolo raccolti nella maglia
1 (M1) e nella maglia 2 (M2) del sito dal 2009 al 2011. La linea tratteggiata indica i limiti normativi
previsti per i siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale (D.lgs. 152/06 s.m.i.).
59
Considerazioni conclusive
Dopo soli due anni di intervento in campo sono stati ottenuti risultati
promettenti, i pioppi hanno mostrato un grande potenziale per applicazioni di
phytoremediation; la concentrazione di metalli nel suolo è diminuita in maniera
significativa e i valori sono risultati al di sotto dei limiti normativi previsti
per i siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale (D.Lgs. 152/2006).
La concentrazione di metalli nei campioni di foglie del 2010 e del 2011 sono
risultate più elevate di quelle trovate nelle foglie delle pioppelle al momento della
messa a dimora, mostrando capacità fitoestrattiva dei pioppi.
Infine gli obiettivi plurimi del progetto sono stati raggiunti: coniugare aspetti
economici ed ambientali della bonifica con la possibilità di avere aree verdi di
compensazione come prevedono i piani urbanistici comunali per le nuove
lottizzazioni.
Riferimenti bibliografici
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61
62
La fitodepurazione a Castelluccio di Norcia
Paolo Felici (Regione Umbria: direzione: programmazione, innovazione e competitività dell’Umbria)
Con proprio atto nel 2001 la Regione prevedeva nel programma finanziario
di ripartizione delle risorse, tra gli interventi prioritari, la riqualificazione e la
valorizzazione degli ambienti naturali riconoscendo specifico rilievo al centro
rurale di Castelluccio di Norcia.
L’ufficio attuazione OO.PP., è stato incaricato della progettazione delle
infrastrutture e dell’arredo urbano del centro di Castelluccio di Norcia, in
particolare sono state realizzate le reti infrastrutturali, che si articolano in
fognature, acquedotto, reti di distribuzione del gas, reti telefoniche ed elettriche,
illuminazione pubblica e pavimentazione stradale e arredo urbano.
In quest’ottica si inserisce la progettazione di un impianto di depurazione ubicato
in un area che si trova a circa 600 m a nord-est rispetto al centro del paese, in una
zona agricola pressoché pianeggiante situata alla quota media di 1314 m s.l.m..
Durante la stagione turistica, i volumi di acque reflue prodotte aumentano
notevolmente e di conseguenza lievitano anche i costi e le difficoltà operative. Si
verificano dei picchi di presenza, dovuti sia alle attività turistiche che alle seconde
case, con massimi attualmente previsti intorno ai 500-600 a.e.; l’utenza massima
stimata, in base alle previsioni di espansione per i prossimi 10 anni, è pari a circa
1000 a.e. e su tale potenzialità è stato dimensionato l’impianto.
In linea con i principi dalla Direttiva 2000/60 CE, tenendo conto dell’alta
oscillazione stagionale delle utenze del sito di Castelluccio e della sua alta valenza
ambientale e paesaggistica, la scelta è caduta su di un sistema di trattamento di
tipo naturale (fitodepurazione), in modo da garantire
- un alto livello depurativo,
- semplicità di gestione,
- costi di gestione ridotti
63
- il rispetto della naturalità dell’ambiente e del paesaggio
L’impianto è impostato in due fasi fisicamente distinte;
- la prima, di pretrattamenti è realizzata in alto in una zona a margine della
strada facilmente raggiungibile per controlli e manutenzioni;
- la seconda, di fitodepurazione è invece posizionata a valle così da poter
essere alimentata per gravità.
Lo schema adottato è particolarmente innovativo per il panorama italiano, in
quanto non produce prodotti di scarto ed è articolato come segue:
- 1° stadio a flusso sommerso verticale per il trattamento dei reflui grezzi
(RBF) per una superficie totale di 1014 mq., suddiviso in 3 linee
(costituite ciascuna da 2 vasche) operanti in parallelo, una sola linea viene
alimentata per 3.5 giorni e le altre rimangono ferme, assicurando così un
periodo di riposo di 7 giorni che garantisce un’ottima mineralizzazione
della sostanza organica;
- Stazione di sollevamento per l’alimentazione del 2° stadio;
- 2° stadio a flusso sommerso verticale (VF), suddiviso in 2 linee ognuna
delle quali è composta da 2 vasche per una superficie totale di 1000
mq.;
- Sistema a flusso libero superficiale (FWS), costituito da 2 bacini (uno
per linea) con campionamento in uscita da ciascun bacino: ogni bacino
ha una superficie impermeabilizzata pari 460 mq. e una superficie di
infiltrazione di 130 mq..
- Trincea di subirrigazione per lo smaltimento di eventuali sovrafflussi
della lunghezza complessiva di 200 m (100 m per linea).
Il primo stadio (un sistema a flusso verticale modificato per il trattamento di reflui
grezzi) permette di trattare le acque reflue senza che queste vengono sottoposte
ad un trattamento primario di sedimentazione, raggiungendo rendimenti di
abbattimento sul COD superiori all’80%, mentre
il secondo stadio (di tipo a flusso verticale classico) affina ulteriormente il
processo di depurazione.
L’impianto è interamente a flusso sommerso, il che evita la proliferazione di
insetti o la formazione di aerosols e cattivi odori.
Per migliorare sensibilmente l’inserimento ambientale, intorno al sistema di
64
fitodepurazione sono stati realizzati, su richiesta dell’Ente Parco nazionale dei
Sibillini, due sistemi umidi in cui si è ricreato l’ habitat idoneo per la fauna
selvatica, in particolare quella anfibia.
Il sistema umido è stato progettato in modo da diversificare i microhabitat con
zone ad acque ferme e zone con debole corrente alternate a zone con stramazzi
necessari per rendere più ossigenata l’acqua; alla fine di esso una zona non
impermeabilizzata consente la lenta infiltrazione delle acque nel sottosuolo,
sfruttando anche la buona permeabilità dei terreni, dopo aver raggiunto un’ottima
qualità biologica e microbiologica.
L’area, è delimitata da una recinzione alta 1,2 m e a maglia larga per permettere
il passaggio della fauna, si presenta in modo estremamente naturale, senza che
siano visibili opere edilizie ed elettromeccaniche.
La progettazione è stata eseguita all’interno del Servizio Regionale delle Opere
Pubbliche, con la consulenza specialistica dello studio I.R.I.D.R.A. di Firenze, la
direzione dei lavori è stata condotta da tecnici dello stesso Servizio Regionale.
La realizzazione materiale delle opere è stata affidata alla ditta Metalmeccanica
Pulsoni di Amelia (TR) esperta nel settore depurazione.
La presenza di esperti nel settore della fitodepurazione, la collaborazione degli
Enti e delle Imprese coinvolte, la passione e la competenza che ha guidato l’impresa
Metalmeccanica Pulsoni e i tecnici coinvolti, nonché il costante coordinamento
del Servizio Opere Pubbliche, ha permesso di attuare, nei tempi previsti, un
impianto innovativo, ecosostenibile in termini di consumi e smaltimenti, che
rappresenta un visibile esempio di risoluzione delle problematiche di depurazione
per molti centri regionali, con il rispetto del paesaggio, così prezioso per una
regione come l’Umbria.
65
Documentazione fotografica
66
67
68
69
70
71
Parametri anlisi
72
Risultati ottenuti
L’impianto di fitodepurazione è entrato in funzione a luglio 2012.
Consegnato al Comune di Norcia nel gennaio 2013 e preso in carico dalla Valle
Umbra Servizi per la manutenzione necessaria.
La regione Umbria e la Valle Umbra Servizi hanno effettuato le analisi previste
dalla legge riscontrando fin dal primo prelievo dei valori che rispettano
ampiamente quanto previsto dalle tabelle di riferimento.
73
74
Micorisanamento di suoli altamente e storicamente inquinati: un approccio sostenibile
Maurizio Petruccioli, Stefano Covino (Dipartimento per la Innovazione nei sistemi Biologici, Agroalimentari e Forestali (DIBAF), Università degli Studi della Tuscia), Riccardo Melfa (Eni Mediterranea Idrocarburi
SpA), Paolo Belfanti (AECOM Italy srl), Alessandro D’Annibale (Dipartimento per la Innovazione nei
sistemi Biologici, Agroalimentari e Forestali (DIBAF), Università degli Studi della Tuscia)
Introduzione
Anche nell’ambito delle tecnologie di recupero o bonifica dei siti contaminati si
sta andando verso approcci multidisciplinari e criteri di sostenibilità ambientale.
Conseguentemente, la scelta della tecnologia da applicare non può prescindere
da una preventiva ed attenta analisi di tutti gli elementi che sono in gioco quali
ad esempio, il tipo di contaminante, la storia del sito, le caratteristiche chimicofisiche e strutturali del suolo, ecc.
Ove possibile e compatibilmente con l’analisi di rischio, ci si indirizza verso la
cosiddetta “attenuazione naturale”. Quando, invece, è necessario prevedere un
intervento di bonifica si cerca di applicare approcci di biorisanamento “in-situ”
che in genere consistono nel creare condizioni favorevoli (ventilazione, aggiunta
di nutrienti, correzione del pH, ecc.) per stimolare la microflora microbica
indigena a degradare i contaminati.
Un approccio “in-situ” che è ancor più ecosostenibile è il cosiddetto “fitorimedio”
o “fitorimedio assistito” che prevede l’impiego di piante da sole o in associazione
con microrganismi che contribuiscono a livello della rizosfera.
Tuttavia, esiste una ampia casistica di siti contaminati che, purtroppo, non
possono essere sottoposti a tecnologie di biorisanamanto “in situ” e che, quindi,
devono essere necessariamente sottoposti ad approcci tecnologici più impegnativi
definiti come “ex-situ” che prevedono escavazione del suolo contaminato e
trattamento in loco (“on site”) [1, 2].
Di seguito vengono brevemente elencate le principali condizioni che indirizzano
la scelta della tecnologia più adatta nell’ambito di quelle “ex-situ”:
- i contaminanti o i possibili intermedi di degradazione possono essere
mobilizzati con conseguente rischio di estensione della contaminazione
(es. contaminazione della falda);
75
-
-
-
-
la struttura/tessitura del suolo non è compatibile con l’attuazione di
trattamenti “in-situ” (es., un suolo fortemente argilloso con insufficiente
porosità);
la contaminazione e il conseguente livello di tossicità (es., cocontaminazione da idrocarburi aromatici e metalli pesanti) sono così
elevati da non rendere il suolo biotrattabile “in situ”; in sostanza la
microflora autoctona o alloctona è inibita dai contaminanti e nel caso
del fitorimedio le piante introdotte subiscono effetti fitotossici molto
seri;
l’idrofobicità dei contaminati ed i fenomeni di “aging” (tipici di suoli
storicamente contaminati) rendono i contaminanti non biodisponibili e
quindi recalcitranti [3];
la contaminazione non è profonda e quindi l’escavazione è possibili con
costi contenuti;
i tempi stimati di bonifica del sito, attuando tecniche di biorisanamento
“in situ”, sono eccessivamente lunghi (anche vari anni) con conseguenze
pesanti in termini di costi; quindi, tecnologie “ex situ”, seppur più costose
nella fase iniziale di attuazione, possono risultare più convenienti in
quando consentono trattamenti molto più veloci.
Il micorisanamento
Tra le possibili tecniche di biorisanamento “ex-situ” il cosiddetto
“micorisanamento”, cioè biorisanamento che utilizza funghi, sembra adattarsi
alle situazioni sopraelencate. Nel micorisanamento possono essere coinvolti sia
funghi mitosporici e muffe, come funghi in grado di dare vita a corpi fruttiferi
macroscopici (es. molti basidiomiceti) come molti dei funghi eduli. Si parla di
micorisanamento sia quando vengono inoculati funghi nel suolo come anche
quando si adottano strategie atte a stimolare la crescita di funghi autoctoni nel
suolo stesso (ad esempio, aggiunta di ammendanti lignocellulosici) [2].
Alcuni protocolli di micorisanamento sono basati sull’impiego di un gruppo
di funghi basidiomiceti, gli agenti della carie bianca (i cosiddetti “white-rot”),
caratterizzati da una spiccata attitudine degradativa sui materiali lignocellulosici
[1]. La lignina, una macromolecola di incrostazione della parete cellulare vegetale,
è un etero-polimero aromatico complesso costituito da subunità a scheletro
76
fenilpropanoidico interconnesse attraverso una grande varietà di legami eterei e
carbonio-carbonio. L’estrema eterogeneità strutturale e, in particolare, la natura
polimerica della lignina rende questa macromolecola resistente alla degradazione
da parte di sistemi enzimatici intra-cellulari. Di conseguenza, i funghi white-rot
hanno sviluppato nel corso dell’evoluzione un sistema degradativo localizzato
nell’ambiente extra-cellulare basato su enzimi aspecifici che agiscono generando
radicali [2,4]. Tali organismi sono in grado, quindi, di degradare un’ampia
varietà di composti xenobiotici, caratterizzati, talvolta, da bassa bio-disponibilità
[3]. Ad esempio, composti recalcitranti come pesticidi clorurati, idrocarburi
policiclici aromatici, bifenili policlorurati, coloranti sintetici, esplosivi a base
nitro-aromatica, asfalteni dal carbon fossile, acidi cloro benzoici e principi attivi
farmacologici (ad esempio gli “endocrine disruptors”) sono degradati con alto
grado di efficienza dai funghi white-rot [5-12].
La degradazione di molecole recalcitranti da parte di questi organismi dipende
dalla produzione e dall’escrezione da parte del fungo di un gruppo di enzimi che
includono ossidasi a rame (laccasi e tirosinasi), ossidasi generanti perossido di
idrogeno (glucosio-ossidasi, gliossal-ossidasi e aril-alcool ossidasi) e perossidasi
(ligninasi e perossidasi manganese-dipendenti). Una serie di meccanismi di tipo
non enzimatico, coinvolgenti specie chimiche a basso peso molecolare, quali
acidi organici e metalli di transizione, assistono tali enzimi generando specie
reattive dell’ossigeno (anione radicale superossido, radicale ossidrile e ossigeno
singoletto) che poi catalizzano l’azione degradativa [1,2, 5, 6].
Quindi, oltre alla capacità di produrre ossidasi extracellulari in grado di attaccare
un’ampia gamma di contaminanti organici a bassa biodisponibilità e recalcitranti,
i funghi filamentosi hanno caratteristiche che ne favoriscono l’impiego nel
biorisanamanto dei suoli quali i) la notevole propensione alla colonizzazione
del suolo e alla penetrazione nella matrice contaminata mediante accrescimento
apicale delle ife così veicolando anche i batteri indigeni [2,13], ii) l’elevata
tolleranza nei confronti di contaminanti organici e inorganici [14,15], iii)
l’ampio intervallo di pH in cui i funghi possono crescere e decontaminare (pH
2,5-7,5), iv) partecipano ai processi di umificazione del suolo che favoriscono il
recupero del suolo ad un uso produttivo [2].
77
Casi di studio
Il gruppo di ricerca di Biotecnologie Ambientali del DIBAF, coordinato dal
Prof. M. Petruccioli e dal Dott. A. D’Annibale, da oltre 10 anni si interessa
di biorisanamento di suoli contaminati utilizzando i funghi filamentosi. Di
seguito vengono descritti alcuni casi di studio nei quali sono stati sottoposti
a micorisanamento suoli provenienti da vari siti storicamente contaminati
caratterizzati da elevati livelli di tossicità, bassa biodisponibilità dei contaminanti
e verificata inefficienza di trattamenti di biostimolazione in situ.
In Tab. 1 sono riportati i valori di abbattimento percentuale dei contaminanti
organici a seguito di micorisanamento di un suolo storicamente inquinato da
idrocarburi aromatici proveniente dal sito ACNA di Cengio (Savona) [15,16].
Nel suolo erano presenti anche metalli pesanti, quali mercurio, nichel, rame,
piombo e arsenico, a concentrazioni molto al di sopra dei limiti di legge. In questo
caso sono stati impiegati sia funghi alloctoni, cioè previeni enti da collezioni di
funghi, che isolati dal suolo stesso. Tra questi ultimi si riportano in tabella i dati
di Stachybotris sp. che mostra un abbattimento percentuale medio simile a quello
dei funghi alloctoni ma che evidenzia una maggiore specificità nei confronti
del 9,10-Antracendione (40,7% di abbattimento), uno dei contaminanti
preponderanti nel suolo.
Tabella 1 - Abbattimento percentuale dei contaminanti da parte di funghi alloctoni (P. pulmunarius e P.
chrysosporium) o autoctoni (Stachybotrys sp.) utilizzati nel trattamento (30 giorni) di un suolo proveniente
dal sito ACNA ammendato con paglia di mais [15,16].
Contaminante
P. pulmunarius
CBS 664.97
P. chrysosporium
NRRL 6361
Stachybotrys sp.
DABAC 3
100,0
Triclorobenzene (1,3,5 o 1,2,3)
100,0
100,0
Naftalene
100,0
100,0
94,7
Tetraclorotiofene
100,0
100,0
100,0
1,2,4,5-Tetraclorobenzene
100,0
100,0
60,9
2,6-Dicloroanilina
100,0
100,0
93,9
2,4-Dicloroanilina
100,0
100,0
84,8
1,2,3,4-Tetraclorobenzene
100,0
100,0
67,1
Difeniletere
100,0
100,0
76,8
2,6-Dicloro-3-metilanilina
100,0
100,0
81,6
Pentaclorobenzene
100,0
100,0
100,0
78
Contaminante
Fenantrene
P. pulmunarius
CBS 664.97
P. chrysosporium
NRRL 6361
Stachybotrys sp.
DABAC 3
100,0
100,0
100,0
2,3,4,5,6-Pentacloroanilina
26,3
19,2
5,5
Difenilsulfone
31,2
32,0
66,4
9,10-Antracendione
17,1
8,7
40,7
1-Cloro-9,10-antracendione
20,9
17,8
23,2
1-Ammino-9,10-antracendione
41,1
45,2
49,8
1,1-binaftalene
24,0
25,6
21,1
7H-Benz[de]antracen-7-one
21,0
17,8
10,4
Riduzione media
71,2
70,3
65,4
Le percentuali di abbattimento dei contaminanti (intorno al 70%) erano
interessanti tenendo conto dei tempi di trattamento molto ridotti (30 giorni)
e, soprattutto, dimostravano anche una significativa riduzione (tra il 70 e l’80%)
della tossicità del suolo, valutata in termini di mortalità dei collemboli (Folsonia
candida), test di contatto molto sensibile nel caso di contaminanti idrofobici. Il
notevole abbassamento dei livelli di tossicità era anche associato alla ben nota
capacità dei funghi di bioadsorbire i metalli pesanti e di produrre acidi organici
(acido ossalico nel caso dei white-rot) in grado di complessare detti metalli
riducendone la biodisponibilità [14].
Un altro caso interessante è stato quello in cui è stato sottoposto a micorisanamanto
un suolo storicamente contaminato da creosoto (una miscela di idrocarburi
policiclici aromatici) proveniente da Sobeslav, in Boemia; in quel contesto è
anche stata valutata la possibilità di trattare traversine in legno contaminate dallo
stesso contaminante [17,18]. I test di trattabilità sono stati condotti utilizzando
5 diversi fungi white-rot veicolati utilizzando tre diversi supporti lignocellulosi
su cui i funghi erano preventivamente fatti crescere. Come di evince dai dati
riportati in Fig. 1, nel caso del micorisanamanto del suolo il ceppo 3004 di
Pleurotus ostreatus cresciuto su pellets era il più efficiente, mentre nel caso delle
traversine contaminate le migliori performance degradative erano ottenute con
Irpex lacteus cresciuto su paglia o su pannocchia di mais. Lo studio aveva anche
evidenziato come tutti i funghi utilizzati avessero la capacità di degradare il
fenantrene oltre la loro concentrazione biodisponibile [17,18].
79
Fig. 1 – Concentrazioni residue di idrocarburi policiclici aromatici (IPA) dopo 60 giorni di trattamento
di un suolo (A) o traversine in legno (B) contaminati da creosoto in presenza del solo ammendante
(controllo non inoculato) o cinque diversi fungi white-rot veicolati utilizzando tre diversi supporti
lignocellulosi [17,18].
Il fungo white-rot Lentinus tigrinus è stato utilizzato su un suolo storicamente
contaminato da Aroclor 1260 (Area SpA, Ravenna, Italy), che aveva un
contenuto totale di PCB pari a 776 mg/kg. I test di trattabilità sono stati
anche condotti valutando l’opportunità di aggiungere olio di soia come agente
mobilizzante visti i bassi livelli di biodisponibilità e l’alta idrofobicità dei
contaminanti [7]. Il beneficio derivante dall’aggiunta di un agente mobilizzante
era significativo (33.8% di abbattimento in presenza di olio rispetto 26.9% in
sua assenza); va sottolineato, comunque che l’efficacia degli agenti mobilizzanti
80
non è generalizzabile e sembra dipendere molto dal suolo considerato e dal ceppo
fungino [3,19].
Il quarto caso di studio che viene brevemente descritto è quello relativo ad un sito
in Sicilia (vicino a Gela) che presenta contaminazioni storiche da sversamenti di
petrolio e derivati. Il sito, gestito da EniMed, è complesso anche per estensione
e, soprattutto, per la struttura del suolo che è principalmente argillosa (~40%).
Negli anni la frazione leggera del petrolio è stata rimossa per volatilizzazione e
biodegradazione naturale, portando ad un accumulo nel suolo della frazione
recalcitrante costituita da circa 70% di idrocarburi alifatici medio-pesanti (C13C36) e 30% di idrocarburi aromatici (C13-C22). Studi effettuati in precedenza
simulando approcci di biostimolazione “in situ” non si erano dimostrati efficaci.
Il presente studio prevedeva test di trattabilità finalizzati a valutare
comparativamente l’uso di ammendanti lignocellulosici e di inoculi con funghi
in vista di un possibile trasferimento su scala di campo. Dopo una selezione
che ha riguardato circa 40 ceppi tra isolati dal sito e funghi di collezione,
sono stati utilizzati 5 funghi (Pleurotus ostreatus CCBAS 278, Botryosphaeria
rhodina DABAC P82, Candida maltosa NRRL Y17677, Tricoderma virens e
Pseudoallescheria boydii) da soli o in associazione. Il suolo contaminato (9600
mg kg-1 di idrocarburi alifatici C>12) era ammendato (20%) con paglia di grano
e trucioli di pioppo (70:30). Dopo l’inoculo fungino i suoli erano incubati a 2530°C per 60-90 giorni in condizioni non sterile a circa il 50% della capacità di
ritenzione idrica. I campioni erano poi analizzati per determinare: concentrazione
residua di idrocarburi, ecotossicità, crescita di fungi e batteri indigeni, produzione
di enzimi degradativi .
Si osservava una degradazione significativa degli idrocarburi già dopo 60 giorni
nella maggior parte di trattamenti fungini: in particolare, P. ostreatus da solo
o in associazione con B. rhodina determinava una rimozione di 75.2 e 91.6%,
rispettivamente (Fig. 2). E’ da notare, comunque, che anche l’uso dei soli
ammendanti lignocellulosici stimolava la crescita della microflora residente,
soprattutto dei funghi indigeni, determinando un abbattimento degli idrocarburi
fino al 60%. Anche i test ecotossicologici (germinabilità di Lepidium sativum e
mortalità di Folsomia candida) indicavano detossificazione del suolo che nel caso
del trattamento con P. ostreatus riduceva la mortalità dei collemboli da 83 a 20%
[20].
81
Fig. 2 – Idrocarburi a lunga catena (C>12) residui (% della concentrazione iniziale) dopo 30, 60 e 90
giorni di trattamento di un suolo contaminato da petrolio in presenza del solo ammendante (controllo
non inoculato) o di quattro differenti fungi inoculati da soli o in co-coltura. I dati, media di tre repliche,
sono confrontati statisticamente mediante Tukey test: lettere uguali indicano assenza di differenze
statisticamente significative confrontando i tempi di incubazione nell’ambito dello stesso inoculo (lettere
minuscole) o confrontando gli inoculi allo stesso tempo di incubazione (lettere maiuscole) (P<0.05)
[20].
In base a questi risultati è stato predisposto un progetto presentato al Ministero
dell’Ambiente, per il trasferimento del processo su scala pilota utilizzando
biopile.
Conclusioni
Il micorisanamento è ormai una tecnologia ampiamente collaudata per la sua
efficacia nei casi di contaminazioni storiche e caratterizzate da elevata tossicità.
La sostenibilità di questa tecnologia risiede nel fatto che richiede tempi di
trattamento ridotti, consentendo di restituire rapidamente il suolo ad un uso
economico. Inoltre, quando è provata l’efficienza di specie fungine eduli (come
Pleurotus spp., Agaricus spp. e Coprinus spp.) si può valutare l’opportunità di
82
utilizzare il cosiddetto “compost spento”, ciò che residua dalla coltivazione dei
fungi coltivati e che costituisce per l’azienda un rifiuto da smaltire. Infatti, questa
matrice di scarto è ricca in micelio fungino ed enzimi ad attività degradativa che
ne fanno un ottimo inoculo, ammendante e vettore di enzimi utili.
Infine, è ormai noto che il micorisanamento, oltre ad aumentare il contenuto in
acidi umici e quindi la fertilità del suolo, innalza in modo significativo il grado di
biodiversità microbica [7,21] parametro che è in genere compromesso nei suoli
contaminati.
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Fitodisidratazione/fitorimedio in ambiente
confinato: realizzazione di un sistema pilota per la
messa a punto delle strategie di disidratazione del
sedimento presente nella laguna di olmeto
Dario Liberati, Paolo De Angelis (DIBAF, Dipartimento per l’Innovazione dei sistemi Biologici, Agroalimentari e
Forestali - Università degli Studi della Tuscia, Viterbo)
Riassunto
Negli ultimi anni sono stati attivati in Italia molti impianti di produzione di
Biogas da reflui zootecnici; il punto critico della produzione di biogas è tuttavia
l’utilizzo del digestato risultante a valle del processo di digestione anaerobica. Il
progetto qui descritto riguarda l’uso di specie vegetali per la disidratazione del
sedimento derivante dalla non corretta gestione dei residui del Biodigestore di
Olmeto (PG), attualmente stoccati in una laguna sita all’interno dell’impianto
stesso. La sperimentazione, finalizzata alla disidratazione in situ del fango,
prevede una prima fase in ambiente confinato, cui farà seguito la realizzazione di
un impianto pilota su una porzione limitata del bacino, e infine l’estensione del
sistema di fitodisidratazione sull’intera superficie del sito; la prima fase, realizzata
per mezzo di contenitori riempiti con il residuo da trattare, è attualmente in corso;
al progredire dello sviluppo delle piante verrà valutata la capacità delle diverse
specie (installate attraverso diverse tipologie di impianto) di attecchire e di
accrescersi, e quindi di ridurre, attraverso il processo di traspirazione, il contenuto
idrico del fango; allo stesso tempo verranno monitorate le modificazioni delle
caratteristiche chimiche, fisiche e microbiologiche del substrato. I risultati
ottenuti dalle prove in contenitore permetteranno di individuare le specie e le
tipologie di impianto più indicate per la realizzazione delle prove in laguna,
tenendo conto che la colonizzazione del bacino da parte della vegetazione
conseguirà il duplice scopo di messa in sicurezza del sito e di rinaturalizzazione
dell’area, già frequentata da specie di interesse, come il cavaliere d’Italia.
Introduzione
Le aree umide costituiscono il 4-6% delle terre emerse, e rappresentano un habitat
unico per un’ampia varietà di flora e fauna, accogliendo specie provenienti sia
85
da ecosistemi acquatici che terrestri (Bedford, Leopold, & Gibbs 2001). Esse
forniscono inoltre importanti servizi ecosistemici, quali il miglioramento della
qualità delle acque, il controllo delle inondazioni e l’assorbimento di CO2
atmosferica; la capacità propria a questi ecosistemi di trattenere le sostanze
inquinanti presenti nelle acque e di stabilizzare i sedimenti contaminati è alla
base dell’uso di aree umide artificiali per il recupero di acque e suoli inquinati
(Mitsch 2013).
L’applicazione delle fitotecnologie a bacini naturali/artificiali contaminati,
può essere finalizzata alla depurazione delle acque nel caso di sistemi aperti,
oppure in quelli chiusi, alla fito-disidratazione degli stessi come presupposto
per la bonifica dei sedimenti presenti. Attraverso opportuni confinamenti del
sedimento, è inoltre possibile agire contemporaneamente sulle due matrici
(acqua e sedimento).
Il sito di intervento
Il progetto pilota qui presentato, si propone di utilizzare l’approccio
fitotecnologico per la disidratazione del sedimento presente in un bacino di
stoccaggio posto a servizio di un impianto per la produzione di biogas da reflui
zootecnici. Il progetto è in fase di realizzazione presso il Biodigestore di Olmeto,
di proprietà del Comune di Marsciano (PG) (Figura 1a).
Figura 1.
a) vista aerea del sito di Olmeto (in evidenza l’impianto per il trattamento dei rifiuti e la laguna, attualmente
coperta quasi interamente da teli);
b) vista da terra di una zona scoperta della laguna
86
La linea di produzione (ormai ferma da diversi anni) prevedeva la suddivisione
del digestato nelle frazioni solida e liquida, quest’ultima stoccata in una laguna
(circa 3 ettari di superficie e 4 metri di profondità) adiacente all’impianto in attesa
di venire destinata alla fertirrigazione (Figura 1b). Nel corso del tempo tuttavia,
la non sempre perfetta separazione delle due frazioni ha causato un progressivo
accumulo nel bacino di sedimenti fini in sospensione. Una commissione tecnica
istituita presso il Comune di Marsciano ha analizzato le diverse possibilità di
svuotamento di questo bacino, individuando un approccio di tipo integrato che
combini l’uso agricolo del rifiuto, il compostaggio e il fitorimedio. Il fitorimedio
si configura in questo caso come fitodisidratazione, ossia come un processo di
progressiva disidratazione del sedimento ad opera dei processi traspirativi delle
piante, che porterà al consolidamento del substrato attualmente semiliquido
(Otte & Jacob 2006). L’impiego di piante direttamente poste in laguna può allo
stesso tempo rappresentare un primo passo verso la creazione di un’area d’interesse
naturalistico, avendo già osservato la presenza di avifauna propria alle zone
umide: tra queste risulta di particolare interesse il cavaliere d’Italia (Himantopus
himantopus L.), con numerose coppie che nidificano abitualmente nel sito.
Caratterizzazione del sedimento
Grazie al continuo apporto delle precipitazioni, il sedimento si trova quasi
costantemente in sospensione, senza evidenti soluzioni di continuità all’interno
del bacino. Con il progredire della stagione estiva e in prossimità dei bordi,
si osserva un relativo consolidamento delle particelle fini presenti, che vanno a
formare una crosta superficiale temporaneamente emersa. Campioni di sedimento
e acqua (fango) sono stati prelevati a cinque profondità in sei punti della laguna, e
analizzati dal laboratorio di Chimica agraria dell’Università degli Studi di Perugia
(Resp. Scie. Prof. G. Gigliotti).
I risultati hanno dimostrato come la composizione del materiale sia uniforme tanto
in senso orizzontale quanto in quello verticale, con un contenuto di acqua pari a
circa l’80% in peso. Da un punto di vista ambientale il materiale non presenta alcuna
problematica legata a composti organici, quali PCB e POP. Per quanto concerne
i metalli pesanti, concentrazioni elevate sono state riscontrate unicamente per Cu
e Zn, normalmente presenti come integratori nella razione alimentare dei suini. I
principali macronutrienti (N, P, K) sono largamente disponibili.
87
L’ipotesi progettuale per la fito-disidratazione del sedimento e la sua
verifica
Allo scopo di mettere a punto e validare l’ipotesi di intervento sviluppata in
fase progettuale, è stata iniziata una prima fase sperimentale in cui le modalità
previste dal progetto sono testate a scala ridotta in contenitori riempiti con il
fango della laguna. Di seguito sono presentate le principali scelte progettuali e
l’impianto sperimentale.
Scelta delle specie vegetali
Per l’intervento di fitodisidratazione sono state selezionate sia specie arboree/
arbustive appartenenti al genere Tamarix (Tamarix gallica L. e Tamarix africana
Poir.) che specie erbacee perenni palustri.
Le tamerici presentano diversi caratteri utili ai fini dell’intervento, quali la
resistenza alle condizioni di asfissia radicale, un apparato radicale profondo
e molto sviluppato, una elevata capacità di traspirazione e la resistenza
all’incremento di concentrazione di sali, che potrebbe verificarsi in seguito
progressivo prosciugamento del sedimento (Abou Jaoudé, de Dato, & De Angelis
2012; Sookbirsingh et al. 2010). Ognuna delle due specie sarà rappresentata
da quattro genotipi, provenienti dalla collezione di provenienze Mediterranee
realizzata dal dipartimento DIBAF.
Oltre alle tamerici, sono state individuate 4 specie erbacee perenni tipiche
di ambienti palustri: Phragmites australis (cav.) trin. ex steud., Carex gracilis
Curtis, Iris pseudacorus L. e Juncus effusus L. Anche queste specie sono adattate a
condizioni di asfissia radicale, possono quindi svilupparsi nell’ambiente anossico
del sedimento contribuendo al processo di fitodisidratazione (Wand et al. 2002;
Li et al. 2014; Tian et al. 2011) e incrementando allo stesso tempo la diversità
specifica e strutturale della comunità vegetale che andrà creandosi all’interno
della laguna.
Scelta della modalità di impianto
L’impianto di tamerici sarà effettuato per mezzo di talee legnose, poste su un
sistema di galleggiamento. Al fine di verificare possibili inibizioni all’emissione
di radici, che potrebbero ridurre la capacità di attecchimento, nella fase
sperimentale in contenitore sono poste a confronto anche talee già radicate. Per
88
le specie palustri sarà invece utilizzata la tecnica della biostuoia preseminata,
ossia un substrato di fibre naturali già piantumato con le specie richieste, anche
in questo caso posta su un sistema di galleggiamento. Nella fase sperimentale
sono testate stuoie seminate con la sola Phragmites australis e stuoie piantumate
con un mix di Carex gracilis, Iris pseudacorus e Juncus effusus.
a
b
Figura 2. I telai utilizzati nell’impianto pilota per sostenere le tamerici (a) e le biostuoie (b).
Sperimentazione in contenitori
La prima fase della sperimentazione, attualmente nelle fasi iniziali di realizzazione,
è effettuata in contenitori riempiti con il fango prelevato dalla laguna, sistemati
in una serra adiacente al bacino (Figura 3) allo scopo di impedire il riempimento
incontrollato durante le piogge. Le talee di tamerici e le biostuoie sono alloggiate
all’interno di contenitori in plastica di diverso volume (75 litri per le tamerici e
210 litri per le biostuie), sostenute dai supporti galleggianti (Figura 4). L’unità
sperimentale di base è costituita da un totale di 20 contenitori così ripartiti: 2
contenitori di controllo privi di vegetazione (uno per ognuna delle due tipologie
di contenitore), 1 contenitore con una biostuia piantumata con Phragmites
australis, 1 contenitore con una biostuia piantumata con il mix di palustri, 8
contenitori contenenti un genotipo di tamerice ciascuno (4 genotipi per ognuna
delle due specie) impiantati tramite talee, e altri 8 contenitori con gli stessi
genotipi di tamerici impiantati tramite talee radicate. L’unità sperimentale di
base è replicata 4 volte, per un totale di 80 contenitori.
89
Figura 3. I contenitori disposti all’interno della serra nel sito di Olmeto
a
b
Figura 4. I telai galleggianti posti in opera nei contenitori (c, d).
Il sistema di monitoraggio
Per il monitoraggio delle modificazioni indotte dalla vegetazione sulla qualità
del fango, sono previste analisi periodiche dell’attività microbiologica, del
pH e della salinità della soluzione circolante, delle emissioni gassose di CO2 e
90
CH4, dello sviluppo della vegetazione. Per il monitoraggio della riduzione del
contenuto idrico del fango sono invece utilizzati sensori immersi per la misura in
continuo della pressione/tensione dell’acqua, della temperatura e in seguito del
contenuto idrico volumetrico, connessi in modalità wireless ad una stazione di
raccolta e trasmissione dati.
Contenuto idrico del fango.
Allo scopo di valutare l’andamento temporale del tasso di disidratazione del
fango, il contenuto idrico del sedimento è misurato in modo continuo per mezzo
di sonde poste a diverse profondità. Sono quindi impiegati, in una prima fase dei
trasduttori di pressione/tensione elettronici (UMS mod. T4) idonei a registrare
le variazioni nel campo che va da soprassaturo a saturo, in una seconda fase
sensori di tipo TDR (Time-Domain Reflectometry) per la misura volumetrica
del contenuto idrico da saturo a insaturo.
Nell’attuale fase pilota il sistema di monitoraggio è testato sul fango posto nei
contenitori. In aggiunta a quanto previsto per il monitoraggio a scala di bacino
e allo scopo di valutare efficacemente le diverse capacità di fito-disidratazione
delle tesi poste a confronto, il consumo idrico di ogni contenitore è valutato
settimanalmente attraverso la misura del quantitativo di acqua necessario al
ripristino del livello iniziale. Tale approccio tiene conto del fatto che le particolari
caratteristiche del sedimento presente, determinano la formazione di una crosta
superficiale in assenza di input da pioggia (i contenitori sono in serra).
Salinità della soluzione circolante.
Considerando che le specie del genere Tamarix hanno la capacità di assorbire
i sali disciolti nella soluzione circolante e di estruderli a livello fogliare, con il
progredire della disidratazione potrebbe verificarsi una riduzione (ovvero un
possibile non incremento) della salinità del fango. Allo scopo di monitorare
questo processo, la soluzione circolante sarà periodicamente estratta per mezzo
di microlisimetri a suzione e la sua salinità determinata attraverso misure di
conducibilità elettrica.
Caratteristiche della comunità microbiologica.
Con il passaggio da un sistema fluido a basso contenuto di ossigeno ad uno solido con
91
presenza di ossigeno in forma gassosa libera, si vengono a determinare importanti
cambiamenti nella comunità microbiologica presente; la contemporanea presenza
degli apparati radicali delle piante favorisce inoltre lo sviluppo di una comunità
microbica simbiontica, che migliora l’assorbimento di acqua e nutrienti da
parte degli apparati radicali delle specie presenti, e quindi il loro sviluppo, ma al
contempo genera una nuova comunità rizosferica più strettamente dipendente
dagli essudati prodotti dalle piante. Allo scopo di individuare tali modificazioni,
saranno analizzate le principali caratteristiche microbiologiche dei fanghi
(composizione filogenetica della comunità batterica, funzionalità ed attività delle
popolazioni batteriche presenti, ecc.) all’inizio e alla fine della fase sperimentale
in contenitori. Le analisi microbiologiche saranno effettuate sia con metodologie
classiche previste per la ricerca di specie patogene, sia con tecniche molecolari
avanzate, che permetteranno lo studio delle popolazioni batteriche in situ senza
bisogno di coltivazione su terreni di crescita. Tali indagini saranno in grado di
valutare se la metodologia di fitodisidratazione applicata, oltre al raggiungimento
dell’obiettivo di messa in sicurezza del sistema oggetto di studio, possa migliorare
la qualità del sedimento disidratato; in particolare sarà monitorata la variazione
di specie patogene e il miglioramento del contenuto di nutrienti del sedimento
stesso, legato alla presenza di popolazioni microbiche attive nella degradazione
della sostanza organica e nel riciclo dei nutrienti.
Monitoraggio della vegetazione e degli scambi gassosi di GHG (gas serra)
Nella fase sperimentale in contenitori, sarà possibile validare le diverse tesi poste a
confronto monitorando sia lo sviluppo della vegetazione sia alcuni dei principali
processi funzionali. Dopo una prima verifica dell’attecchimento, saranno
effettuate misure periodiche di accrescimento della componente aerea (altezza,
indice di area fogliare ottico) e misure di scambi gassosi fogliari (fotosintesi,
conduttanza stomatica, efficienza di carbossilazione e di uso della luce). Inoltre,
per mezzo di canopy chambers saranno misurati gli scambi di CO2 e CH4 del
sistema integrato pianta-fango.
Al termine del primo periodo sperimentale, la biomassa prodotta suddivisa
nei diversi comparti (foglie, fusti e radici) sarà quantificata, e analizzata per la
determinazione del contenuto dei macronutrienti (N, K, P) e di alcuni metalli
particolarmente abbondanti nella laguna (Cu e Zn).
92
Conclusioni
Queste prove in contenitore permetteranno di individuare i genotipi, le specie e le
tecniche d’impianto maggiormente idonee per la fase successiva dell’intervento,
che prevede la realizzazione di un sistema pilota a scala reale direttamente in una
porzione di laguna. Sarà inoltre possibile valutare la possibilità di impiegare un
mix di specie idoneo alla creazione di un’area d’interesse naturalistico, che possa
garantire un ambiente idoneo alla nidificazione del cavaliere d’Italia, specie
particolarmente protetta in Italia (Legge 11 febbraio 1992, n. 157, art. 2).
Ringraziamenti
Lavoro svolto con il contributo del P.S.R. per l’Umbria 2007/2013 – Asse 1 –
Misura 1.2.4:Progetto ZOOCOMPOST. Si ringrazia l’Ing. Leombruni della
S.I.A. spa per la cortese collaborazione.
Bibliografia
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93
94
Monitoraggio fitoecologico e geobotanico in un’area
antropizzata
Romano B., Ranfa A., Cagiotti M.R., Ferranti F., Gigliotti G., Bodesmo M.
Università degli Studi di Perugia, B.go XX giugno, 74 - 06121 - Perugia
Introduzione
Da diversi anni ricercatori dell’Università degli Studi di Perugia, portano avanti
ricerche multidisciplinari per il monitoraggio ambientale in aree di pertinenza
di uno stabilimento industriale sito in un’area nella bassa Toscana, industria
impegnata nel recupero di metalli preziosi da scarti di diversa natura e di
incenerimento di materiali vari.
L’intera zona, comunque, è caratterizzata dalla presenza di altri siti industriali ad
elevata potenzialità di emissione di flussi sostanze di natura varia in atmosfera,
oltre allo stabilimento di che potrebbero rivelarsi dannosi sia per l’ambiente
naturale sia per l’uomo stesso (Fig. 1) o concorrere ad un effetto sinergico con lo
stabilimento suddetto.
Fig. 1 - Area di pertinenza dello Stabilimento
95
Le indagini fin qui effettuate, relative alle caratteristiche degli impianti e alla
conseguente valutazione dei danni ambientali, sono state fra le prime a livello
nazionale in questo campo e sono scaturite dall’esigenza di avere un ampio
quadro di riferimento per eventuali interventi di risanamento.
Le osservazioni e le analisi effettuate negli anni di studio, sia nelle aree interne
al complesso industriale sia in quelle esterne di pertinenza, attuate secondo
modelli scientifici già consolidati, hanno avuto lo scopo di verificare lo stato
dell’ambiente e la progressione temporale delle condizioni microambientali di
un’area a forte influsso antropico per la presenza anche di infrastrutture viarie
diverse (autostrada, ferrovia, fitta rete viaria secondaria).
Materiali e metodi
Per l’indagine sono stati presi in considerazione alcuni parametri biologici relativi
all’ambiente e altri parametri attinenti ad alcune specie vegetali, già presenti da
tempo nelle rispettive aree, e altre messe a dimora nell’anno 2007, in occasione
di un Piano di risanamento ambientale e Riqualificazione paesaggistica di tutta
l’area di pertinenza dello Stabilimento.
I parametri presi in considerazione sono stati autoecologici, geobotanici,floristicovegetazionali, morfo-anatomici, chimico-ambientali e fitopatologici in un’area
che, dal punto di vista climatico, si può inquadrare nella fascia tendente al clima
submediterraneo con criticità idriche medie nei mesi estivi e con gelate tardive e
freddi precoci, con relativo periodo di siccità estiva media che va da metà giugno
fino alla seconda decade di agosto (Fig. 2).
Fig. 2 - Diagramma termopluviometrico
96
Allo scopo è stato allestito un quadrato permanente (ca. 50 mq) in cui sono state
effettuate le osservazioni floristico-vegetazionali ed autoecologiche di una cenosi
prativa protetta, residuo di un ex coltivo, trasformato da alcuni anni in prato
polifita, il cui obiettivo era quello di valutare il numero di specie vegetali presenti
definendo quantitativamente la diversità floristica e qualitativamente il valore del
popolamento vegetale in relazione con le cause che le determinano (Fig. 3).
Fig. 3 - Quadrato permanente e area gradonata
Per l’aspetto vegetazionale si è indagato sul comportamento sociologico delle
specie vegetali rilevate nel complesso e il suo evolversi nel periodo di riferimento
utilizzando i parametri di “copertura”, “sociabilità” e “l’indice di ricoprimento
specifico” che tiene conto di entrambi i parametri.
Per gli aspetti fenologici, oltre al quadrato permanente, sono stati effettuati rilievi
in un’area gradonata ristretta in cui venivano poste piante test capaci di rilevare
con la loro risposta morfologica le reazioni ad eventuali mutamenti dello stato
dell’ambiente; i dati rilevati sono stati poi comparati con i parametri climatici
registrati dalla vicina stazione meteorologica (Figg. 3,4 e 5).
97
Fig. 4 - Piante test nell’area gradonata
Le indagini morfo-anatomiche e fisiologiche sono state condotte attraverso
analisi ripetute negli anni, sulle stesse specie vegetali, considerando una serie di
parametri (istoanatomici e cito-istochimici) capaci di mettere alla luce eventuali
differenze tali da far ipotizzare stati di stress.
Nel quadrato permanente, in cui sono state messe a dimore specie indicatrici
capaci di rilevare con il loro comportamento, le variazioni legate al mutamento
dell’ambiente a loro circostante (Fig. 4).
Fig. 5 - Stazione meteorologica
98
Da ciascun esemplare sono state prelevate foglie a diverso grado di
ombreggiamento e ne è stata misurata la superficie fogliare. Alcune foglie sono
state quindi utilizzate per il rilievo della percentuale di sostanza secca mentre,
da altre, sono state prelevate porzioni di circa 4 mmq di superficie. Tali porzioni
sono state in parte sottoposte a “critical point drying” ed osservate al microscopio
elettronico a scansione ed in parte incluse in resina ed utilizzate per le osservazioni
istoanatomiche (Figg. 6,7 e 8)
Fig. 6 - Area lamina fogliare
Fig. 7 - % di sostanza secca nelle foglie
99
Fig. 8 - Epidermide inferiore di foglia di Roverella (Quercus pubescens) al SEM
Analisi autoecologica, geobotanica, floristico-vegetazionale
L’indagine floristica ha avuto l’obiettivo di valutare il numero di specie vegetali
presenti nella cenosi prativa situata nell’area lo stabilimento, definendo
quantitativamente la diversità floristica e qualitativamente il valore del popolamento
vegetale, in rapporto con le cause che le hanno determinate. In particolare sono
stati esaminati i cambiamenti che si sono avuti in questi ultimi anni nel quadrato
permanente, adibito ad hoc per l’indagine, che è rappresentativa di una cenosi
prativa, ex coltivo trasformato da alcuni anni in prato polifita (Fig. 3).
Inoltre è stata condotta anche un’analisi fenologica per rilevare con maggiore
evidenza le relazioni fra la vita delle piante e i fattori ambientali dell’area oggetto
d’indagine. In particolare la fenologia, analizzando la periodicità sia delle fasi
vegetative sia riproduttive della pianta e di cui la fioritura è la più evidente
manifestazione, consente di mettere in relazioni i cicli ontogenetici con gli
andamenti meteorologici. Per gli aspetti fenologici, oltre al quadrato permanente,
sono stati effettuati rilievi anche nell’area gradonata in cui sono state messe a
dimora “piante test” (Figg. 3,4)
Analisi e monitoraggio morfologico ed isto-anatomico
Le indagini morfologiche e fisiologiche condotte hanno avuto lo scopo di mettere
in atto un monitoraggio biologico, che attraverso l’analisi ripetuta negli anni
sulle stesse specie vegetali, attraverso una serie di parametri (istoanatomici e citoistochimici) potesse mettere alla luce eventuali differenze tali da far ipotizzare
100
stati di stress. Sono stati, dunque, presi in considerazione campioni vegetali
adulti appartenenti a diverse specie arboree quali Quercus pubescens, Pinus pinea
e Quercus suber poste a diversa distanza ed orientamento dallo stabilimento.
Nel quadrato permanente, in cui sono state messe a dimore specie indicatrici
capaci di rilevare con il loro comportamento, le variazioni legate al mutamento
dell’ambiente a loro circostante (Fig. 4).
Un’altra importantissima analisi fatta in questo contesto è stata la valutazione
della vitalità pollinica, importante indicatore del benessere di una pianta. Per
analizzare tale parametro sono state prese in considerazione specie erbacee
spontanee, prelevate sia nel quadrato permanente, localizzato all’interno dello
stabilimento, sia all’esterno. L’Orto botanico di Perugia è stato, invece, utilizzato
come stazione “controllo” (Fig. 9). Nella Tabella 1 vengono riportati, a titolo di
esempio, i dati della vitalità pollinica degli anni 2008, 2010, 2011 e 2012.
La scelta di specie vegetali diverse negli anni di indagine è correlata alla loro
disponibilità presso il sito di controllo.
Fig. 9 - Granuli di polline colorati con diacetato di fluoresceina
101
Tabella 1 - Dati vitalità del 2008, 2010, 2011 e 2012
Specie
Sanguisorba
minor
Medicago
sativa
Plantago
lanceolata
Lotus
corniculatus
Trifolium
campestre
Dactylis
glomerata
Vitalità
stabilimento
(2008)
Vitalità
stabilimento
(2010)
Vitalità
stabilimento
(2011)
Vitalità
stabilimento
(2012)
Vitalità
ortobotanico
perugia (2008)
45,9%
95,9%
39,5
91.9
70,5%
41,5%
-
70,7
64,7
62%
68,4%
91,3%
58
88,7
67,3%
-
93%
68,4
77,1
-
55,6%
47,4%
-
89,8
51%
71,2%
85%
-
75
42,1%
Analisi chimico-ambientale e fitopatologica
In relazione agli aspetti chimico-ambientali, all’interno dell’area sono stati
effettuati campionamenti di terreno e di materiale vegetale al fine monitorare la
presenza di metalli pesanti ed inquinanti organici. Per la scelta dei siti di prelievo
si è operato in modo tale da campionare terreno e materiale vegetale provenienti
dal medesimo sito, al fine di poter correlare l’eventuale traslocazione dei metalli
dal terreno al vegetale ed eventualmente valutare il contributo all’assorbimento
degli inquinanti da parte della vegetazione, opportunamente messa a dimora (in
passato) attorno all’area industriale interessata. I campioni di terreno esaminati
sono stati prelevati alla profondità da 0 a 15 cm dopo aver ripulito la superficie
dagli eventuali residui organici presenti.
Per quanto riguarda i vegetali, il
prelievo ha interessato le foglie raccolte a random sulle diverse piante, scegliendo
comunque piante che mostravano sintomi di sofferenza di origine abiotica.
Infine, la presenza di funghi nel quadrato permanente ha suggerito il loro
campionamento, stante la nota attitudine all’accumulo degli xenobiotici nei loro
tessuti vegetativi.
In totale i campionamenti hanno riguardato tre piante Quercus ilex (Fig. 10), una
di Carpinus betulus (Fig. 11), una di Acer saccharinum, Fig. 12, due di Populus
nigra ‘Italica’ (Fig. 11).
I campioni dei funghi raccolti appartenevano alla specie Agaricus campestris
(prataiolo) e, come controllo, si è provveduto alla raccolta di alcuni esemplari
della stessa specie in aree di controllo.
102
Figg. 10, 11 ,12 - Specie sulle quali sono state raccolte random le foglie.
Discussione e Conclusioni
Le indagini riguardanti lo studio morfologico della superficie della lamina
fogliare hanno evidenziato come in tutti gli esemplari è stata registrata nell’anno
2005 una diminuzione di questo parametro fogliare rispetto all’anno 2004; negli
anni successivi è stata osservato un graduale incremento.
L’aumento della superficie fogliare è indice di un recupero dello stato di salute
della pianta, in quanto fenomeni di microfillia sono ritenuti essere tra i primi
segni di inquinamento ambientale. Cosi come l’incremento del peso unitario
della foglia osservato ad esempio nel periodo 2004/2008 e la diminuzione della
percentuale di sostanza secca osservata in quasi in tutte le piante, sono indice di
un maggiore stato di idratazione delle foglie e quindi della pianta in toto.
Dal punto di visto floristico si è notato un incremento delle specie presenti
insieme ad altre potenzialmente atte ad aumentare la propria diffusione, pur
non presentando al momento, valori di copertura e sociabilità che consentano di
prevedere una loro ampia diffusione. Le specie maggiormente presenti risultano
appartenere principalmente alle Compositae, Graminaceae e Leguminosae,
mentre tutte le altre rappresentano ca. 1/3 del totale (Fig. 13). La consistente
presenza di Compositae è sintomatica di una situazione che porta all’espansione
di specie perenni, resistenti al calpestio e ai ristagni d’acqua; se si considera che
tali specie sono anche eduli in alcune loro parti, e/o la pianta intera e mellifere,
ne risulta un incremento in termini di biorisorsa energetica ed un arricchimento
etnobotanico.
103
Fig. 13 - Ripartizione delle famiglie della cenosi erbacea
Dal punto di vista geobotanico e floristico-vegetazionale i rilievi effettuati nel
quadrato permanente hanno permesso di evidenziare situazioni di dominanza
di tipologie di una cenosi ad Agropyretum che indica una marcata situazione di
mediterraneità e la conferma, anche se in misura minore, del Trifolio resupinatonigrescentis, con influenza di nuove specie sinantropiche.
Dal punto di vista della vitalità pollinica l’unico segnale di allarme è rappresentato
dalla diminuzione della vitalità in Medicago sativa, dato che comunque da
solo non può costituire un indicatore di un precario stato di salute legato ad
inquinamento, considerando che tale situazione non si ritrova nelle altre piante
osservate.
Dal punto di vista chimico i dati ottenuti dalle analisi del contenuto di metalli
pesanti nelle diverse parti epigee delle piante ornamentali e/o forestali si è
evidenziato come tutte le piante all’interno del perimetro dello Stabilimento
la concentrazione di Cd nelle foglie è risultato superiore rispetto alla pianta
controllo. Il Cd, che è risultato l’elemento chimico di maggior disturbo dell’area
e più significativo da un punto di vista ambientale nell’ambito della presente
sperimentazione, pur essendo un elemento fitotossico, in letteratura si riscontrano
concentrazioni in piante cresciute su terreni contaminati ben superiori a quella
da noi riscontrata soprattutto in una pianta. Comunque dobbiamo considerare
anche che le piante analizzate sono caratterizzate sia da un diverso sviluppo
vegetativo sia da un diverso meccanismo di assorbimento.
104
Per il contenuto di metalli pesanti nelle piante, essendo esso variabile da specie a
specie, è stata effettuata una ricerca bibliografica per valutare il contenuto medio
di microelementi in piante cresciute in siti non inquinati e, quando possibile i
valori di concentrazione critici per la loro crescita.
Tabella 2 - Concentrazione (mg/kg) dei differenti metalli pesanti nelle foglie delle specie prese in esame
controllo
1*
2*
3*
4*
5*
11*
13*
14**
15***
As
Cd
Cr
Cu
Hg
Ni
Pb
Zn
<0,0001
0,0040
0,0100
<0,0001
<0,0001
0,0130
<0,0001
0,0004
0,0330
0,0096
0,2
4,9
1,1
5,0
1,0
2,9
3,1
2,0
12,8
1,9
<0,1
<0,1
<0,1
<0,1
0,4
<0,1
<0,1
<0,1
<0,1
<0,1
8
56
18
55
19
31
36
29
44
24
0,1
0,2
0,3
0,3
0,2
0,3
0,2
0,2
0,7
0,7
0,2
6,4
1,3
5,5
6,3
1,3
12,0
3,0
5,2
3,5
<1,0
12
<1,0
<1,0
<1,0
<1,0
<1,0
<1,0
<1,0
<1,0
44
35
26
34
29
23
23
24
160
25
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105
106
Piano di risanamento ambientale e riqualificazione
paesaggistica di un’area a forte impatto antropico
B. Romano A. Ranfa, M.R. Cagiotti, M. Bodesmo
Università degli Studi di Perugia, B.go XX giugno, 74 - 06121 - Perugia
Introduzione
Nell’ambito del “Piano di Risanamento Ambientale e Riqualificazione
Paesaggistica”, prevista dal Piano regolatore generale dalle autorità comunali
ove sussiste un’area a forte influsso antropico, è stato messo in atto un piano
generale per la realizzazione di un Risanamento ambientale e Riqualificazione
paesaggistica dell’intera area di pertinenza di uno stabilimento industriale la
cui attività prevede il recupero di metalli preziosi da scarti di diversa natura e di
incenerimento di materiali vari, oltreché di tutta l’area adiacente al sito non di
proprietà, che funge da raccordo naturale con l’abitato prospiciente.
Tale area, situata nella inferiore della regione Toscana, è particolarmente
vulnerabile per la presenza di altri siti industriali che sono potenzialmente fonte
di inquinanti ambientali, oltre che di infrastrutture viarie di diversa natura
(autostrada, ferrovia ed una fitta rete viaria secondaria (Fig. 1).
Fig. 1 - Area di intervento
107
Il Piano si è reso particolarmente necessario anche per ridurre l’impatto visivo e
sonoro dello stabilimento verso gli agglomerati urbani di tutto il comprensorio,
per cercare di contribuire alla realizzazione di una fisionomia fitoclimatica e per
una bonifica del suolo che, potenzialmente, poteva riserbare fenomeni d’inquinamento ambientale e probabili infiltrazioni nel suolo da parte di sostanze residuali della lavorazione industriale.
Queste opere di mitigazione ambientale sono state poi in parte effettivamente
realizzate in linea con le esigenze ambientali del sito e nel rispetto della naturalità
del luogo, nell’anno 2006 ma solamente nell’area di proprietà dello stabilimento
in attesa di decisioni dagli enti competenti in materia, per quanto riguarda le aree
circostanti non di proprietà.
Materiali e metodi
Il progetto di Risanamento ambientale e Riqualificazione paesaggistica è stato
preceduto inizialmente da varie indagini a carattere floristico-vegetazionale,
ecologico-ambientali, analisi cartografica e documentazione fotografica, dopo la
quale è stato possibile fare un’ipotesi d’intervento che prevedeva la messa a dimora
di numerose specie erbacee, arbustive ed arboree nell’intera area di studio.
Le specie privilegiate per la suddetta fase progettuale sono state per la maggior
parte specie autoctone, cioè specie vegetali caratterizzanti la fascia fitoclimatica
del territorio oggetto d’intervento che, originariamente insistevano nella zona e
che in seguito si sono perse a causa di nuove pratiche agricole e/o altri fenomeni
antropici.
L’inserimento di alcune specie alloctone o esotiche, cioè di specie non peculiari
della flora del luogo, ma che in seguito a introduzione accidentale o volontaria
da parte dell’uomo si sono potute inserire nel nuovo ecosistema interagendo con
quelle presenti e modificando gli equilibri ecologico-ambientali preesistenti, si è
reso indispensabile per alcune funzionalità specifiche (specie funzionali).
Essendo consapevoli che la scelta di mettere a dimora determinate specie vegetali,
rispetto ad altre, è stato un investimento a lungo termine e di conseguenza pure gli
effetti della riqualificazione paesaggistica e dell’eventuale risanamento ambientale
che si otterranno in tempi ragionevolmente lunghi, le specie indicate sono state
preferite anche secondo una strategia tendente a favorire rapporti coevolutivi a
vari livelli tra piante ed animali, tra piante e piante e tra animali e animali.
108
In relazione a quanto esposto, le specie arbustive, di dimensioni progressive, hanno
avuto lo scopo di aumentare la struttura di una cenosi boschiva paraclimacica con
effetti paesaggistico-funzionali vicino al bosco naturale.
Le specie vegetali scelte hanno avuto lo scopo di:
- effettuare uno schermo visivo dell’insediamento industriale verso
l’esterno ed in particolar modo verso il quadrante ovest;
- migliorare la qualità dell’aria attraverso l’azione detossificante delle
piante che intervengono come fattori attivi e passivi nella depurazione
dell’atmosfera;
- svolgere un’azione filtrante verso i più comuni inquinanti gassosi in
atmosfera abbattendo le polveri sottili in atmosfera ed ossigenando l’aria
attraverso l’azione fotosintetica delle foglie;
- abbattere l’inquinamento acustico verso l’esterno ed in particolar modo
verso il quadrante ovest;
- proteggere dalla forza dei venti direzionali;
- ridurre la permanenza delle sostanze aerodisperse favorendone la
sedimentazione o, comunque, l’assorbimento da parte del terreno
cercando di accumulare le sostanze nelle strutture vegetali della pianta;
- stabilizzare il microclima;
- migliorare l’assetto visivo - paesaggistico della zona.
Tabella 1 - Elenco delle specie vegetali arboree utilizzate
Specie arboree autoctone
Acer campestre (ACERO OPPIO); Alnus glutinosa (ONTANO COMUNE); Carpinus betulus
(CARPINO BIANCO); Cupressus sempervirens ’Agrimed’ (CIPRESSO COMUNE), clone, costituito
dall’Istituto per la Protezione delle Piante del C.N.R. di Firenze, possiede la chioma a forma di “fiamma”,
compatta dalla base alla cima; è stata scelta per l’elevata resistenza al cancro del cipresso (Seridium
cardinale), come del resto anche la cv Bolgheri ma, rispetto a quest’ultima, è particolarmente indicata per
le alberature ornamentali, per le barriere e per siepi frangivento; Fraxinus excelsior (FRASSINO); Malus
sylvestris (MELO SELVATICO); Populus canescens (PIOPPO CANESCENTE), svolge un’importante
azione biologica (come del resto molte specie della famiglia Salicaceae) di risanamento, biorimediazione
e fitorimediazione di siti inquinati; Prunus mahaleb (CILIEGIO CANINO); Quercus ilex (LECCIO,
ELCE); Quercus pubescens (ROVERELLA), svolge un’azione di fono assorbenza grazie alle foglie
pubescenti; Ulmus minor (OLMO CAMPESTRE).
Specie arboree alloctone
Acer saccharinum (ACERO SACCARINO), svolge azione fonoassorbente; Cupressocyparis x leylandii
(CIPRESSO DI LEYLAND), svolge azione fonoassorbente, resiste agli ambienti inquinati e fornisce in
breve tempo un ottimo schermo visivo.
109
Tabella 2 - Elenco delle specie vegetali arbustive utilizzate
Cercis siliquastrum (ALBERO DI GIUDA); Cornus sanguinea (CORNIOLO SANGUINELLO);
Coronilla emerus (CORNETTA DONDOLINA); Cotynus coggygria (ALBERO DELLA NEBBIA);
Crataegus oxyacantha (BIANCOSPINO SELVATICO); Laurus nobilis (ALLORO); Ligustrum vulgare
(LIGUSTRO); Prunus spinosa (PRUGNOLO SELVATICO); Pyracantha coccinea (AGAZZINO);
Rosa canina (ROSA SELVATICA); Salix caprea (SALICE DELLE CAPRE), svolge un’importante
azione biologica (come del resto molte specie della famiglia Salicaceae) di risanamento, biorimediazione
e fitorimediazione di siti inquinati; Spartium junceum (GINESTRA COMUNE); Viburnum tinus
(LENTAGGINE).
Fig. 2 - Area di primo intervento di Risanamento ambientale e Riqualificazione paesaggistica:
posizionamento della barriera vegetale
Considerazioni finali
A distanza di sei anni dalla messa a dimora gli esemplari vegetali manifestano un
buono stato di conservazione vegetazionale e la limitazione dell’impatto visivo
del sito industriale si sta parzialmente realizzando anche se le specie vegetali, non
avendo raggiunto il loro optimum di sviluppo vegetativo, non riescono ancora
appieno a soddisfare il loro effetto schermante, ma la costante crescita vegetativa
sta proseguendo secondo i piani previsti dal progetto iniziale.
La riqualificazione dell’area dal punto di vista paesaggistico-ambientale e
naturalistica è riuscita quasi completamente.
110
Fig. 3 - Area interna allo Stabilimento prima della
messa dimora delle piante
Fig. 4 - Area interna allo Stabilimento dopo 2 anni
dalla messa dimora delle piante
Fig. 5 - Barriera di Cupressus sempervirens ‘Agrimed’,
interna allo Stabilimento, al momento della messa
dimora
Fig. 6 - Barriera di Cupressus sempervirens ‘Agrimed’,
interna allo Stabilimento, dopo 6 anni dalla messa
dimora
Fig. 7 - Area esterna allo Stabilimento prima della
messa dimora delle piante
Fig. 8 - Area esterna allo Stabilimento, dopo 6 anni
dalla messa dimora delle piante
111
Bibliografia
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112
Effetti sinergici dei microrganismi e della specie
foraggera Medicago sativa sulla degradazione
dei PCB in un terreno contaminato
Anna Barra Caracciolo, Martina Di Lenola, Gian Luigi Garbini, Paola Grenni1, Valeria Ancona
(CNR-IRSA, Istituto di Ricerca sulle Acque, Consiglio Nazionale delle Ricerche )
Angelo Massacci (CNR-IBAF, Istituto di Biologia Agroambientale e Forestale, Consiglio Nazionale delle Ricerche)
Riassunto
I Policlorobifenili (PCB) sono una classe di sostanze organiche xenobiotiche
costituita da 209 congeneri prodotti industrialmente fino agli anni ’70.
Attualmente sono presenti nell’ambiente come contaminanti persistenti in miscela
di più congeneri, in particolare nel suolo e nei sedimenti. La loro degradazione
è possibile solo se si verificano le condizioni per una serie complessa di processi
aerobici ed anaerobici ad opera principalmente di microrganismi. Nel suolo,
l’attività degradativa può essere stimolata dalla presenza di particolari piante
che, attraverso la rizosfera, creano condizioni favorevoli alle attività microbiche.
Le radici delle piante, infatti, promuovono la modificazione delle proprietà
chimico-fisiche dei suoli contaminati e rilasciano essudati radicali, stimolando
direttamente e indirettamente la biodegradazione dei PCB. L’efficienza del
processo degradativo si basa sull’utilizzo di specie vegetali che, non solo abbiano
una crescita, sia della parte aerea che delle radici, sufficiente a favorire lo sviluppo
di una comunità microbica capace di degradare i PCB nella rizosfera, ma anche
che siano tolleranti alle sostanze tossiche presenti nel suolo. In suoli molto poveri
di sostanza organica, inoltre, possono essere utilizzate fonti aggiuntive di sostanze
nutritive, quale ad esempio compost, al fine di promuovere la crescita della pianta
e stimolare l’attività microbica nella rizosfera.
Al fine di indagare le relazioni tra le radici delle piante e le popolazioni microbiche
autoctone, sono stati utilizzati campioni di terreno provenienti da un’area
contaminata da PCB per allestire esperimenti di degradazione utilizzando
microcosmi in presenza/assenza della specie foraggera Medicago sativa (già nota
per la sua capacità di stimolare la degradazione di tali composti) e/o in presenza/
assenza di compost di derivazione da rifiuti solidi urbani.
113
Introduzione
Le tecniche di bonifica utilizzate per il recupero di suoli contaminati da PCB sono
molteplici, tra cui principalmente l’incenerimento, lo smaltimento in discarica
o la tecnica del soil washing (Semple et al., 2001), ma i costi elevati ed il disagio
arrecato da queste tecniche hanno portato un interesse sempre maggiore verso
sistemi di degradazione biologici basati sull’interazione tra piante e comunità
microbiche del suolo (biorimedio fitoassistito).
Questa tecnologia emergente di ripristino ambientale, grazie ai costi relativamente
bassi ed al recupero anche estetico dei siti trattati, è una interessante alternativa ai
sistemi di depurazione convenzionali. Il recupero di suoli contaminati attraverso
l’uso delle piante si basa sulla capacità di alcune specie vegetali di migliorare
la biodisponibilità dei contaminanti nella rizosfera e di sostenere la crescita
di microrganismi, in grado di degradare i contaminanti, attraverso il rilascio
di essudati radicali di composizione specie-specifica (Lojkovà et al., 2014). In
particolar modo, la degradazione di contaminanti a livello della rizosfera avviene
grazie a: 1) presenza di essudati radicali che favoriscono la crescita di popolazioni
microbiche in grado di degradare i contaminanti; 2) rilascio di ossigeno, elemento
essenziale per i processi degradativi aerobici; 3) presenza di enzimi degradativi
all’interno degli essudati radicali (esempio laccasi, dealogenasi, nitroreduttasi,
nitrilasi, citocromo P450, perossidasi). L’attività degradativa dei microrganismi
dipende dalla biodisponibilità dei contaminanti e dalle caratteristiche del suolo
quali il contenuto di acqua, pH, temperatura, concentrazione di ossigeno e
di nutrienti. Gli essudati radicali nella rizosfera sono in grado di modificare
tali caratteristiche chimico-fisiche del suolo a vantaggio della crescita di
microrganismi degradatori (Lojkovà et al., 2014) e possono contenere molecole
chemiotattiche (aminoacidi, acidi organici e fenolici) per i microrganismi
attraverso le quali si instaura una sorta di comunicazione pianta-microrganismi
(Abhilash et al., 2009).
In suoli contaminati da PCB sono stati trovati ceppi batterici capaci di degradarli
sia per via aerobica che anaerobica (Luo et al., 2007). Dei 209 congeneri di PCB
che differiscono per numero e posizione di atomi di Cloro, quelli mediamente
o alto- clorurati (Cl ≥ 4) possono essere trasformati co-metabolicamente per
dealogenazione riduttiva, in cui i PCB vengono utilizzati come accettori di
elettroni alternativi nella respirazione anaerobica. La dealogenazione riduttiva
114
dei PCB è congenere-specifica e generalmente coinvolge declorazione selettiva
in posizione para e meta (Seeger e Pieper, 2010). I congeneri a più basso numero
di atomi di Cloro (Cl ≤4) sono più facilmente degradabili e la loro degradazione
è aerobica. Diversi batteri aerobici, ad esempio, appartenenti al genere
Pseudomonas, Burkholderia e Rhodococcus, sono in grado di utilizzare i bifenili
come unica fonte di carbonio e di energia e di ossidare i PCB (Pieper e Seeger,
2008). L’inoculo di questi ceppi microbici nell’ambiente per degradare i PCB è
sicuramente un approccio promettente; tuttavia è stato riscontrato nella maggior
parte dei casi un loro decremento nel tempo sia in termini di abbondanza che di
capacità degradativa. Il biorimedio fitoassistito aiuta a superare questo ostacolo,
in quanto le radici forniscono substrati capaci di sostenere la crescita microbica
e di indurre i processi degradativi (Xu et al., 2010). Tra le piante che hanno
mostrato un forte potenziale di rimozione dei contaminanti organici vi è la specie
foraggera Medicago sativa (Chekol et al., 2004). Tale specie, oltre che contribuire
al miglioramento della fertilità del suolo grazie all’interazione simbiotica con
batteri azoto fissatori del genere Rhizobium, è in grado di stimolare selettivamente
la crescita di batteri PCB-degradatori, come ad esempio Pseudomonas fluorescens
F113 (Ryslava et al., 2003; Villaceros et al., 2003).
In questa relazione vengono riportati i principali risultati di un esperimento
in microcosmi, il cui scopo principale era quello di investigare le relazioni ed
i meccanismi che intercorrono tra i microrganismi autoctoni di un terreno
contaminato da PCB e le radici della specie foraggera Medicago sativa. A tal fine
sono stati allestiti microcosmi, mantenuti in serra, con terreno proveniente da un
sito storicamente contaminato da PCB.
Materiali e metodi
Il set sperimentale è stato allestito utilizzando un terreno storicamente
contaminato, proveniente da Taranto, a cui è stato aggiunto Apirolio a
concentrazione nota (100 mg/kg). L’Apirolio è un olio contenente una miscela
di più congeneri di PCB e policlorobenzeni con tracce di diossine e furani, ed è
stato prodotto in Italia ed utilizzato nei trasformatori elettrici ad immersione.
Al fine di verificare l’effetto di ammendanti organici sulla degradazione, di
stimolare quindi, anche indirettamente, le attività metaboliche microbiche
(Briceno et al., 2007), ed al tempo stesso per migliorare la qualità del terreno (che
115
era risultato povero in sostanza organica), in alcuni microcosmi è stato aggiunto
un ammendante compostato misto, derivante da rifiuti solidi urbani, ad una
concentrazione di circa 30 t/ha.
Complessivamente sono stati allestiti due set sperimentali, uno con Medicago
sativa e l’altro senza pianta, con ciascuno 4 diverse condizioni sperimentali
(Figura 1): terreno storicamente contaminato (Controllo); terreno storicamente
contaminato con aggiunta di compost (ContCompost); terreno storicamente
contaminato con aggiunta di Apirolio (Apirolio); terreno storicamente
contaminato con aggiunta di Apirolio e compost (Apirolio+Compost). Tali
microcosmi sono stati tenuti in serra per 8 mesi in condizioni di temperatura ed
irrigazione controllate. In questa relazione vengono riportati i principali risultati
a circa 4 mesi di sperimentazione (133 giorni).
Figura 1. Schema della sperimentazione. Terreno storicamente contaminato (Controllo); terreno
storicamente contaminato con aggiunta di compost (ContCompost); terreno storicamente contaminato
con aggiunta di Apirolio (Apirolio); terreno storicamente contaminato con aggiunta di Apirolio e
compost (Apirolio+Compost).
116
Le analisi microbiologiche e chimiche nel terreno, effettuate in diversi momenti
dell’esperimento (a 1 giorno e 4 mesi dalla semina di M. sativa) hanno permesso
di valutare le variazioni nella struttura e funzione delle popolazioni microbiche,
in relazione alle diverse condizioni sperimentali (presenza/assenza di pianta,
compost, Apirolio).
L’abbondanza microbica (espressa come N. cellule/g) è stata misurata attraverso
il metodo della conta diretta in epifluorescenza (Barra Caracciolo & Grenni,
2002). Il metodo di colorazione Live/Dead è stato applicato per determinare la
vitalità delle cellule microbiche (Grenni et al., 2009) mentre l’attività microbica
totale è stata rilevata attraverso la misura dell’attività deidrogenasica (Tabatabai,
1994).
I policlorobifenili presenti nei campioni di terreno sono stati estratti e purificati
seguendo la tecnica ASE (Accelerated Solvent Extraction) che include procedure
per la rimozione di interferenze durante l’estrazione del campione mediante
l’uso di sostanze adsorbenti, combinando estrazione e purificazione in un unico
passaggio. L’analisi quantitativa dei congeneri di policlorobifenili estratti è stata
effettuata mediante il metodo European Standard prEN 15305 (2005).
Risultati e discussione
L’aggiunta del compost ha avuto inizialmente un’influenza positiva
sull’abbondanza cellulare (Figura 2) che, a 24 ore dall’allestimento dei microcosmi,
risulta essere di un ordine di grandezza superiore (106 contro 105 cellule/g) nei
microcosmi con aggiunta di compost rispetto alle altre condizioni sperimentali,
probabilmente a causa dell’immissione di popolazioni microbiche del compost
stesso. Tale fenomeno però non è altrettanto evidente nella condizione
Apirolio+Compost ed è spiegabile dal fatto che le popolazioni microbiche del
compost, non essendo adattate alla presenza del contaminante (come quelle
del sito), abbiano subito i suoi effetti tossici acuti (Correa et al, 2010). Infatti, a
133 giorni, tale differenza non è più riscontrabile poiché la comunità microbica
presente è il risultato sia delle forze competitive tra le popolazioni microbiche
autoctone ed alloctone che della loro adattabilità alle condizioni sperimentali
imposte. Pertanto tale parametro non mostra più differenze significative tra i vari
trattamenti (Figura 2).
117
Figura 2. Abbondanza cellulare microbica (N. Cellule/g) rilevata a 1 giorno e a 133 giorni dall’allestimento
dei microcosmi in presenza di M. sativa (Pianta) o assenza (No Pianta). Le barre verticali rappresentano
gli errori standard.
I valori di attività deidrogenasica (Figura 3) aumentano già dopo 1 giorno
nelle condizioni in cui è stato aggiunto il compost, grazie alla presenza di una
maggiore disponibilità di carbonio organico (ben oltre 16 volte maggiore che
nei microcosmi di controllo: 26,3% vs 1,6%) mantenendosi elevati anche a 133
giorni. I valori più elevati di deidrogenasi si osservano in co-presenza del compost
e della pianta dimostrando che le popolazioni microbiche presenti a 4 mesi sono
118
adattate al contaminate (selezione di popolazioni PCB tolleranti), ed essendo
molto attive (i valori di deidrogenasi di c.a. 200 μg TPF/g sono 3 volte superiori
a quelli inizialmente misurati nel sito contaminato), comprendono anche le
popolazioni microbiche direttamente coinvolte nei processi di degradazione/
trasformazione dei PCB (Figura 3).
Figura 3. Attività deidrogenasica (μg TPF/g) rilevata a 1 giorno e a 133 giorni dall’allestimento dei
microcosmi in presenza di M. sativa (Pianta) o assenza (No Pianta). Le barre verticali rappresentano gli
errori standard.
119
Le analisi chimiche hanno compreso la determinazione di 12 congeneri di
PCB nel terreno dei microcosmi, ossia, come previsto dalla legislazione (D.Lgs.
152/2006), i 6 congeneri indicatori (PCB 28, 52, 101, 138, 153, 180) ed i 6
congeneri diossina simili (PCB 105, 118, 126, 156, 157, 167). A 133 giorni si
sono osservate nei microcosmi trattati in presenza/assenza della pianta/compost
delle differenze nelle percentuali relative dei diversi congeneri rilevati ed in
particolare un decremento generale del congenere PCB 28 ed una variazione
significativa della concentrazione del congenere PCB 52 in tutti i trattamenti.
La concentrazione del congenere PCB 28 si riduce significativamente a 133
giorni nei microcosmi in cui è stato aggiunto Apirolio (concentrazione a 4 mesi
di circa 0,64 μg/Kg rispetto a 3,16 μg/Kg rilevato mediamente nei campioni a 1
giorno), sia in assenza che in presenza di pianta; tuttavia, in presenza della specie
di M. sativa, la sua degradazione è generalmente maggiore e la concentrazione
residuale a 4 mesi è appena il 16% rispetto a quella iniziale. La presenza di M. sativa
favorisce la scomparsa anche del congenere PCB 52. Questi risultati suggeriscono
che la presenza della pianta favorisce nel complesso la degradazione aerobica di
questi due congeneri. Tale fenomeno può essere ascrivibile sia alla produzione,
da parte delle radici, di dealogenasi e perossidasi (Susarla et al., 2002; Zhuang et
al., 2007), sia attraverso la stimolazione di popolazioni microbiche della rizosfera
(Singer et al., 2003; Sylvestre e Toussaint, 2011). A supporto di quanto affermato,
i valori dell’attività deidrogenasica sono stati sempre maggiori nei microcosmi in
presenza di Medicago sativa. Tra gli altri congeneri indagati, per il PCB 126, alto
clorurato e particolarmente tossico (poiché diossina simile), è stato rilevato una
diminuzione in tutte le condizioni sperimentali ed un particolare effetto positivo
del compost nella sua trasformazione.
Nonostante la sperimentazione sia ancora in corso, i risultati preliminari ottenuti
ci mostrano la complessità dei processi degradativi. Infatti, i PCB sono una classe
di contaminanti molto eterogenea e gli olii commerciali, che attualmente sono
presenti come contaminanti ambientali, sono costituiti simultaneamente da molti
congeneri ed ogni congenere segue dei processi degradativi differenti; inoltre la
degradazione di un singolo congenere spesso porta alla formazione di un altro
congenere, con il suo conseguente aumento in concentrazione nel tempo. Nella
sperimentazione si evidenzia che l’azione sinergica pianta/compost è differente
a seconda del congenere di PCB considerato. In ultima analisi si evidenziano
120
le grandi potenzialità di successo di questa strategia di biorecupero, basata
sullo studio delle comunità microbiche autoctone associato a specifiche specie
vegetali, che sfrutta i servizi ecosistemici di Regolazione forniti naturalmente dai
microrganismi e dalle piante.
La sperimentazione è attualmente in corso (fino a 8 mesi) e prevede nuove analisi
quali la quantificazione dei diversi congeneri di PCB per valutare, in un periodo
più lungo, la loro persistenza nonché l’identificazione filogenetica ed il possibile
isolamento di specifiche popolazioni batteriche in grado di metabolizzare i PCB
e la valutazione dell’eventuale accumulo di questi contaminanti nei tessuti della
pianta.
Ringraziamenti
Si ringrazia tutto il personale IRSA-CNR di Bari che sta contribuendo a tale
sperimentazione: V. Ancona, G. Mascolo, G. Bagnuolo e V.F. Uricchio. Inoltre
si ringrazia il laboratorio di Ecologia Microbica del Suolo dell’IRSA-CNR di
Roma: F. Falconi M. Cinicia, S. Tariciotti, J. Rauseo e F. Cattena.
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