Bonifica, recupero ambientale e sviluppo del territorio
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Bonifica, recupero ambientale e sviluppo del territorio
supplemento alla rivista quadrimestrale micron (N. 29 / Luglio 2014 ) di Arpa Umbria Agenzia regionale per la protezione ambientale Bonifica, recupero ambientale e sviluppo del territorio: esperienze a confronto sul fitorimedio II workshop nazionale atti del convegno Rivista trimestrale di Arpa Umbria spedizione in abbonamento postale 70% DCB Perugia supplemento al periodico www.arpa.umbria.it (Isc. Num. 362002 del registro dei periodici del Tribunale di Perugia in data 18/10/02). Autorizzazione al supplemento micron in data 31/10/03 Direttore Svedo Piccioni Direttore responsabile Fabio Mariottini Redazione Francesco Aiello, Markos Charavgis Comitato scientifico Donatella Bartoli, Gianluca Bocchi, Marcello Buiatti, Mauro Ceruti, Pietro Greco, Carlo Modenesi, Francesco Frenguelli, Giancarlo Marchetti, Francesco Pennacchi, Svedo Piccioni, Cristiana Pulcinelli, Adriano Rossi, Gianni Tamino, Giovanna Saltalamacchia Segreteria di redazione Alessandra Vitali Tel. 075515967 - 207 Direzione e redazione Via Pievaiola San Sisto 06132 Perugia Tel. 075 515961 - Fax 075 51596235 www.arpa.umbria.it - [email protected] twitter: @RivistaMicron Progetto Grafico Paolo Tramontana Impaginazione Emanuele Capponi Fotografia Paolo Sconocchia Stampa Grafox, Perugia stampato su carta Fedrigoni freelife cento g 100 con inchiostri K+E NOVAVIT 3000 EXTREME © Arpa Umbria 2014 INDICE Presentazione 07 Adriano Rossi (Arpa Umbria, Direttore Dipartimento Provinciale di Terni) Biorimedio fitoassistito come strategia innovativa per il recupero di suoli contaminati da PCB 09 Paola Grenni, Anna Barra Caracciolo (CNR-IRSA,) Angelo Massacci (CNR-IBAF) Prove di fitorisanamento in laguna di Venezia: risultati preliminari di uno studio su sedimenti lagunari 21 Emanuele Ponis, Rossella Boscolo, Alessandra Feola, Andrea Bonometto, Federico Rampazzo, Daniela Berto, Claudia Gion, Seta Noventa (ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, Chioggia) Paola Renzi, Antonella Tornato, Serena Geraldini, Massimo Gabellini (ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, Roma) CLEANSED: Una metodologia innovative ed integrate per l’uso di sediment fluviali decontaminate nella produzione vivaistica e per la costruzione di strade 31 G. Masciandaro, C. Macci , S. Doni(CNR ISE) R. Iannelli (Dipartimento di Ingegneria dell’Energia, dei Sistemi, del Territorio e delle Costruzioni, Università di Pisa), C. Garcia, T. Hernandez (CEBAS-CSIC, Group of Soil Enzymology, Bioremediation and Organic Wastes, Murcia, Spagna), M. Losa (Dipartimento di Ingegneria Civile, Università di Pisa), G. Caridi, N. D’Andretta (Navicelli S.p.A), F. Ugolini, L. Massetti (CNR IBIMET), G. Renella (Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agroalimentari e dell’Ambiente, Università di Firenze) PHYTOSCREENING. Individuazione e monitoraggio della contaminazione da solventi clorurati nel sottosuolo attraverso il campionamento e l’analisi dei tronchi di albero 37 Luchetti Lucina, Diligenti Antonio (ARTA Abruzzo Distretto di Chieti) Crescenzi Emanuel (ARTA Abruzzo Polo laboratoristico di Pescara) Bonifica dell’Area “Ex-Cooperativa Fiascai della Bufferia Toscana” mediante Phytoremediation Beatrice Pucci (Hydrogea Vision S.r.l. - Firenze) Cristina Gonnelli, Ilaria Colzi (Università di Firenze, Dipartimento di Biologia) 51 La fitodepurazione a Castelluccio di Norcia 63 Paolo Felici (Regione Umbria: direzione: programmazione, innovazione e competitività dell’Umbria) Micorisanamento di suoli altamente e storicamente inquinati: un approccio sostenibile 75 Maurizio Petruccioli, Stefano Covino (Dipartimento per la Innovazione nei sistemi Biologici, Agroalimentari e Forestali (DIBAF), Università degli Studi della Tuscia), Riccardo Melfa (Eni Mediterranea Idrocarburi SpA), Paolo Belfanti (AECOM Italy srl), Alessandro D’Annibale (Dipartimento per la Innovazione nei sistemi Biologici, Agroalimentari e Forestali (DIBAF), Università degli Studi della Tuscia) Fitodisidratazione/fitorimedio in ambiente confinato: realizzazione di un sistema pilota per la messa a punto delle strategie di disidratazione del sedimento presente nella laguna di olmeto 85 Dario Liberati, Paolo De Angelis (DIBAF, Dipartimento per l’Innovazione dei sistemi Biologici, Agroalimentari e Forestali - Università degli Studi della Tuscia, Viterbo) Monitoraggio fitoecologico e geobotanico in un’area antropizzata 95 Romano B., Ranfa A., Cagiotti M.R., Ferranti F., Gigliotti G., Bodesmo M. Università degli Studi di Perugia, B.go XX giugno, 74 - 06121 - Perugia Piano di risanamento ambientale e riqualificazione paesaggistica di un’area a forte impatto antropico 107 B. Romano A. Ranfa, M.R. Cagiotti, M. Bodesmo Università degli Studi di Perugia, B.go XX giugno, 74 - 06121 - Perugia Effetti sinergici dei microrganismi e della specie foraggera Medicago sativa sulla degradazione dei PCB in un terreno contaminato Anna Barra Caracciolo, Martina Di Lenola, Gian Luigi Garbini, Paola Grenni1, Valeria Ancona (CNR-IRSA, Istituto di Ricerca sulle Acque, Consiglio Nazionale delle Ricerche ) Angelo Massacci (CNR-IBAF, Istituto di Biologia Agroambientale e Forestale, Consiglio Nazionale delle Ricerche) 113 Le fitotecnologie applicate al campo della bonifica dei siti contaminati (fitorimedio) stanno incontrando un interesse sempre maggiore fra gli addetti ai lavori ma anche fra gli amministratori pubblici che devono trovare soluzioni economiche, sostenibili e a basso impatto ambientale. A due anni dal primo appuntamento organizzato sull’argomento, che ha suscitato grande interesse e partecipazione, Arpa Umbria, il Dipartimento per l’Innovazione nei Sistemi Biologici, Agroalimentari e Forestali (DIBAF) dell’Università della Tuscia e l’Istituto di Biologia Agroambientale e Forestale (IBAF) del C.N.R propongono un nuovo incontro formativo volto ad aggiornare il quadro delle esperienze progettuali e applicative sviluppate nel campo del fitorimedio nel nostro Paese, che si è tenuto a Terni il 28 e 29 novembre 2013. Obiettivi specifici dell’incontro sono stati: offrire strumenti di valutazione dell’applicabilità e della qualità degli interventi basati sulle fitotecnologie; favorire l’aggiornamento tecnico e la condivisione delle informazioni su scala nazionale; fare un punto sulle strategie di monitoraggio applicate ai siti; valutare le problematiche amministrative/ autorizzative dei procedimenti in materia; valutare l’interesse per la creazione di un osservatorio permanente sul fitorimedio, utile ad un confronto sulle criticità riscontrate nelle diverse realtà e sui differenti approcci impiegati. Questa pubblicazione raccoglie una selezione degli argomenti presentati nel corso del Workshop nazionale tenutosi a Terni il 28 e 29 novembre 2013. Vista la nutrita partecipazione ai lavori si può affermare che tale appuntamento si sta consolidando come momento di confronto e scambio di esperienze tra tutti i soggetti interessati all’approccio “Phito” nella gestione dei siti contaminati. Per questa ragione si è ritenuto utile mettere in evidenza le esperienze che hanno avuto riscontri pratici a seguito di applicazioni in campo. Il comitato scientifico Remediation / Energy Production / Soil & Carbon Management II Workshop / Bonifica, recupero ambientale e sviluppo del territorio: esperienze a confronto sul fitorimedio Terni, 28-29 novembre 2013 Programma 28 novembre 29 novembre Ore 14:00 – Accoglienza e registrazione dei partecipanti Ore 9:00 – Indirizzi di saluto e apertura del convegno Ore 14:30 – Inizio dei lavori: introduzione al workshop a cura del comitato scientifico Il quadro normativo e gli indirizzi di politica ambientale Ore 09:20 – L’attuale orientamento europeo in materia di bonifica dei siti inquinati e interventi sostenibili Luca Montanarella, European Commission -DG JRC Ispra (VA) Ore 14:40 – Biorimedio fitoassistito: una strategia innovativa per il recupero di suoli contaminati da PCB. Paola Grenni, IRSA-CNR Ore 14:55 – Fitorimedio applicato ad un sito industriale contaminato da idrocarburi aromatici Frank Volkering, TAUW bv (The Netherlands) Ore 15:15 – Esperienze sul campo per l’applicazione della tecnica di Phytoremediation Carlo Montella, ENI-Syndial Ore 15:35 – Prove di fitorisanamento su sedimenti in laguna di Venezia: risultati preliminari di uno studio pilota Emanuele Ponis, ISPRA (STS Chioggia) Ore 15:50 – Il progetto CLEANSED: Innovative integrated methodology for the use of decontaminated river sediments in plant nursing and road building Giancarlo Renella, Università degli Studi di Firenze – DISPAA Ore 16:30 – Phytoscreening: individuazione e monitoraggio della contaminazione del sottosuolo attraverso il campionamento dei tronchi di albero Lucina Luchetti, ARTA Abruzzo Ore 16:45 – Bonifica dell’Area “Ex-Cooperativa Fiascai della Bufferia Toscana” mediante Phytoremediation Beatrice Pucci, Hydrogea Vision Srl Ore 17:00 – La fitodepurazione a Castelluccio di Norcia Paolo Felici, Regione Umbria Ore 17:15 – Micorisanamento di suoli altamente e storicamente inquinati: un approccio sostenibile Maurizio Petruccioli, Università degli Studi della Tuscia - DIBAF Ore 09:40 – Le linee di indirizzo nazionali in materia di bonifica dei siti inquinati Laura D’Aprile, Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare Ore 10:00 – Il ruolo degli enti locali nella promozione di interventi sostenibili nell’ambito della bonifica e riqualificazione del territorio Fabrizio Bellini & Matteo Stoico, Provincia di Terni Prospettive future: fra sostenibilità e innovazione Ore 10:40 – La sostenibilità ambientale delle bonifiche Marco Falconi, ISPRA Ore 11:00 – Gli sviluppi della ricerca sul fitorimedio a livello internazionale Angelo Massacci, CNR – IBAF Ore 11:20 – Discussione Gli strumenti per lo sviluppo del fitorimedio in Italia Ore 11:45 – Il ruolo degli incontri tecnici per l’innovazione nel settore delle bonifiche: l’esperienza di RemTech Silvia Paparella, RemTech Expo e Enecor S.r.l. Ore 12:05 – La rete di collaborazione RECONnet Renato Baciocchi, Università degli Studi “Tor Vergata” - DICII Ore 12:25 – Collaborazione e condivisione delle esperienze di fitorimedio nella bonifica dei siti contaminati Andrea Sconocchia, Arpa Umbria Ore 17:55 – Sessione poster: presentazioni brevi (3 min) Ore 12:30 – La raccolta delle informazioni sull’applicazione del fitorimedio: ipotesi di database Paolo De Angelis, Università degli Studi della Tuscia – DIBAF Ore 18:30 – sessione poster Ore 12:50 – Discussione e chiusura lavori Ore 17:30 – Domande e risposte Poster inseriti nella pubblicazione Fitodisidratazione/fitorimedio in ambiente confinato: realizzazione di un sistema pilota per la messa a punto delle strategie di disidratazione del sedimento presente nella laguna di olmeto Dario Liberati, Paolo De Angelis (DIBAF, Dipartimento per l’Innovazione dei sistemi Biologici, Agroalimentari e Forestali - Università degli Studi della Tuscia, Viterbo) Monitoraggio fitoecologico e geobotanico in un’area antropizzata Romano B., Ranfa A., Cagiotti M.R., Ferranti F., Gigliotti G., Bodesmo M. Università degli Studi di Perugia, B.go XX giugno, 74 06121 - Perugia Piano di risanamento ambientale e riqualificazione paesaggistica di un’area a forte impatto antropico B. Romano A. Ranfa, M.R. Cagiotti, M. Bodesmo Effetti sinergici dei microrganismi e della specie foraggera Medicago sativa sulla degradazione dei PCB in un terreno contaminato . Anna Barra Caracciolo, Martina Di Lenola, Gian Luigi Garbini, Paola Grenni1, Valeria Ancona (CNR-IRSA, Istituto di Ricerca sulle Acque, Consiglio Nazionale delle Ricerche ) Angelo Massacci (CNR-IBAF, Istituto di Biologia Agroambientale e Forestale, Consiglio Nazionale delle Ricerche) Comitato scientifico Angelo Massacci (CNR / IBAF), Paolo De Angelis (Universitè della Tuscia / DIBAF), Andrea Sconocchia (Arpa Umbria), Paolo Sconocchia (Arpa Umbria). Presentazione Adriano Rossi (Arpa Umbria, Direttore Dipartimento Provinciale di Terni) A due anni di distanza dal primo Workshop sul fitorimedio il tema ambientale dei siti contaminati è tristemente diventato di grande attualità, basti pensare alle criticità legati all’ILVA di Taranto, alla terra dei fuochi in Campania o al recentissimo fatto della discarica di Bussi in Abruzzo. In questo ambito di emergenze ambientali la scarsa disponibilità di risorse, le difficoltà amministrative legate alla gestione di queste enormi aree nonché la scarsità di fondi pubblici legata alla contingente crisi economica, ha spinto le amministrazioni a valutare l’impiego di nuove tecnologie e di nuovi approcci al fine di garantire, nel modo più sostenibile possibile, recupero o la messa in sicurezza delle aree contaminate. Sulla base di questi fatti l’attenzione degli operatori di settore si è in parte indirizzata a nuovi approcci definiti come gentle remediation options ovvero strategie basate sull’impiego delle piante, più in generale del fitorimedio, per eliminare o immobilizzare la contaminazione nei terreni o nelle acque. L’obiettivo del Workshop tenutosi a Terni il 28 e 29 novembre 2013 è stato quello di condividere i passi avanti fatti sull’applicazione del fitorimedio nel nostro Paese con l’intento di individuare dei nuovi orizzonti per la definizione di buone pratiche nell’ottica della sostenibilità delle bonifiche, per poter dare risposte concrete ed efficaci alle necessità di risanamento dei nostri territori. Un ringraziamento va a tutti coloro che hanno collaborato a questa iniziativa e che con il loro impegno operano in questo settore con la prospettiva di trasformare le criticità derivanti dal passato in una nuova occasione di sviluppo per il futuro. 7 Biorimedio fitoassistito come strategia innovativa per il recupero di suoli contaminati da PCB Paola Grenni, Anna Barra Caracciolo (CNR-IRSA,) Angelo Massacci (CNR-IBAF) Riassunto Il Biorimedio è un intervento di recupero che promuove i processi biologici naturali di degradazione dei contaminanti presenti nel suolo, acqua e sedimento, in linea con la sostenibilità ambientale ed incluso nella cosiddetta Green Remediation (USEPA, 2010). Il Biorimedio fitoassistito è una tecnologia di Biorimedio che sfrutta l’azione sinergica che si instaura nella rizosfera tra apparato radicale delle piante e microorganismi per rimuovere, trasformare o contenere le sostanze tossiche presenti. La pianta, attraverso le radici, rilascia essudati radicali e modifica le proprietà chimico-fisiche del suolo contaminato (es. maggiore aerazione ed aumento del carbonio organico), stimolando la proliferazione dei microrganismi. Questi ultimi hanno un ruolo chiave nella degradazione del contaminante, poiché sono gli unici in grado di metabolizzare le molecole contaminanti organiche fino alla loro completa mineralizzazione. L’efficienza del Biorimedio fitoassistito si basa non solo sull’utilizzo di specie vegetali tolleranti, cioè che non subiscano gli effetti tossici del contaminante e che abbiano una crescita dell’apparato radicale tale da sequestrarlo e/o rallentarne il movimento, ma anche che siano in grado di contribuire alla sua trasformazione grazie al rilascio di enzimi e a promuovere lo sviluppo dei microrganismi della rizosfera. L’applicazione del Biorimedio fitoassistito è oggetto di una sperimentazione attualmente in corso, nell’ambito di un’attività di collaborazione tra IRSACNR e IBAF-CNR, riguardante un terreno storicamente contaminato da policlorobifenili (PCB), localizzato in provincia di Taranto. 9 Biorimedio come tecnologia utilizzata per il recupero di suoli contaminati La contaminazione del suolo è stata riconosciuta come una delle principali cause della perdita della sua qualità (Turbé et al., 2010) poiché può causare una riduzione della biodiversità (scomparsa di specie) ed alterare le relazioni trofiche tra gli organismi, con conseguente perdita di importanti funzioni e servizi ecosistemici di regolazione (es cicli biogeochimici, riciclo della sostanza organica) e di supporto (produzione primaria, formazione del suolo) i cui responsabili principali sono le piante e i microrganismi. Questi ultimi, grazie all’elevata abbondanza e diffusione, al rapido tasso di crescita, all’ampia gamma di capacità funzionali, non solo hanno un ruolo chiave nella fertilità del suolo, ma mostrano grande adattabilità e capacità omeostatiche nei confronti dei contaminanti organici, rimuovendoli (Barra Caracciolo et al., 2013). L’utilizzo di microrganismi naturali e la possibilità di sfruttare le loro capacità di recupero e di degradare un’ampia varietà di contaminanti sono alla base delle strategie di biorimedio o biorecupero. I microrganismi sono gli unici in grado non solo di biodegradare un contaminate organico in un’altra molecola (biotrasformazione), ma anche di mineralizzarlo a costituenti inorganici; solo quest’ultima possibilità assicura la sua completa rimozione dall’ambiente. Il Biorimedio fitoassistito o pianta assistito è una tecnologia di biorimedio che sfrutta l’azione sinergica che si instaura nella rizosfera tra apparato radicale delle piante e microorganismi per rimuovere, trasformare o contenere sostanze tossiche presenti nei suoli, sedimenti, acque. La fitotrasformazione o fitodegradazione o rizodegradazione possono essere considerati sinonimi di biorimedio fitoassistito, in cui il contaminante può essere degradato ed anche completamente eliminato grazie all’azione dei microrganismi (batteri e funghi) presenti nella rizosfera associata a specifiche piante vascolari (Zhuang et al., 2007). Le specie vegetali, attraverso l’apparato radicale, migliorano le proprietà chimico-fisiche dei suoli contaminati e possono sequestrare i contaminanti e/o rallentare il loro movimento. Le piante inoltre, attraverso l’apparato radicale, producono sostanze ricche di carbonio organico (zuccheri, acidi, proteine) ed enzimi che sono in grado di stimolare la proliferazione dei microrganismi nella rizosfera; questi ultimi degradano i contaminanti, anche fino alla loro completa mineralizzazione, utilizzandoli come fonte di nutrimento, e al contempo contribuiscono a migliorare la qualità del suolo (Susarla et al., 2002). 10 L’efficienza del Biorimedio fitoassistito si basa sull’utilizzo di specie vegetali che abbiano una crescita delle radici che possano favorire lo sviluppo di una comunità microbica e di essere in grado di supportare la degradazione del contaminante nella rizosfera. I limiti a questa tecnica sono legati principalmente alla tolleranza delle piante agli effetti tossici dei contaminanti nel suolo e pertanto è fondamentale individuare specie vegetali che siano tolleranti a ogni specifica sostanza tossica (Zhuang et al., 2007). Biorimedio fitoassistito dei PCB I policlorobifenili (PCB) sono composti organici prodotti attraverso la clorazione dei bifenili, sintetizzati a partire dal benzene. Sono sostanze aromatiche variamente clorurate (1-10 atomi di Cl, 209 congeneri in totale) che, in base al numero degli atomi di cloro e alla loro posizione nella molecola del bifenile, hanno un differente comportamento chimico, fisico e biologico. Il loro grande utilizzo nel passato (commercializzati come miscele di congeneri conosciuti con nomi commerciali quali Aroclor, Clophen, Kanechlor e Apirolio), associato alle loro caratteristiche (elevata stabilità, bassa volatilità e solubilità in acqua, elevata solubilità in oli e lipidi o solventi organici), hanno determinato la loro larga diffusione, bioaccumulo e biomagnificazione (Smith et al., 2007). A causa della loro elevata persistenza ambientale e presenza ubiquitaria i PCB sono stati messi al bando nel con la Convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti (POP) ed inseriti in una lista di priorità per una loro eliminazione entro il 2025 (Fiedler, 2008; Decisione 2006/507/CE del Consiglio, del 14 ottobre 2004, relativa alla conclusione, a nome della Comunità europea, della convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti). Inoltre, recentemente sono stati inseriti nel gruppo dei distruttori endocrini (WHO/UNEP, 2013), composti che possono influenzare negativamente la salute delle specie animali o le loro progenie (incluso l’uomo), attraverso l’interazione con il sistema endocrino. La contaminazione ambientale è dovuta a prodotti commerciali che contengono contemporaneamente fino a 90 congeneri, insieme ad altri additivi. Sebbene i PCB non siano facilmente bioaccessibili, sono stati studiati alcuni microrganismi in grado di degradali. Per i congeneri con meno di 6 atomi di cloro la degradazione può avvenire per via aerobica. In particolare, i congeneri con più di un atomo di cloro sono generalmente coinvolti in processi co- 11 metabolici, mentre i monoclorobifenili (oltre ai bifenili) sono utilizzati come substrato dal quale è ricavata energia per la crescita (metabolismo). I prodotti finali di degradazione aerobica sono l’acido cloro-benzoico e l’acido 2-idrossi-2pentadienoico. Quest’ultimo può essere successivamente degradato in piruvato ed acetaldeide ed, infine, a CO2; l’acido clorobenzoico non viene generalmente metabolizzato dagli stessi batteri degradatori dei PCB, ma da altri, specializzati nella sua degradazione (Rodrigues et al., 2006). La degradazione aerobica di PCB è stata osservata sia in batteri Gram-negativi (generi Pseudomonas, Burkholderia, Acinetobacter, Alcaligenes, Achromobacter, Comamonas, Ralstonia, Sphingomonas) che Gram-positivi (Rhodococcus, Bacillus e Corynebacterium), (Field e Sierra-Alvarez, 2008; Luo et al., 2008). I bifenili altamente clorurati non sono biodegradabili in condizioni aerobiche; la loro trasformazione richiede un elevato consumo di energia per la rottura dei legami altamente stabili tra carbonio e cloro e può avvenire microbiologicamente in condizioni anaerobiche, mediante dealogenazione riduttiva. Tale processo è in grado di rimuovere gli atomi di cloro dalla posizione meta (3,3’, 5,5’) e para (4,4’) dalla molecola di PCB, rimpiazzandoli con atomi di idrogeno con conseguente accumulo di congeneri orto-sostituti (2,2’) con basso grado di clorazione (Field e Sierra-Alvarez, 2008; Sylvestre e Toussaint, 2011). La dealogenazione riduttiva è stata riscontrata in molti generi di batteri, due dei quali sono stati associati alla dealogenazione dei PCB, in particolare Desulfitobacterium dehalogenans è in grado di dealogenare atomi in posizione orto e PCB idrossilati (Utkin et al., 1994), mentre un ceppo di Deahlococcoides è in grado di effettuare la dealogenazione in posizione meta e para di un gran numero di congeneri di PCB (Adrian et al., 2009). Tuttavia, poiché è difficile isolare i microrganismi coinvolti, il completo pattern degradativo ed i parametri ambientali che lo influenzano non sono ancora del tutto chiari (Sylvestre e Toussaint, 2011). Le piante, rilasciando essudati radicali come terpeni e i carotenoidi che hanno similarità strutturali ai PCB, possono funzionare da co-metaboliti o induttori della degradazione di tali composti da parte dei rizobatteri (Xu et al., 2010). Ad esempio batteri del genere Pseudomonas, comunemente riscontrati nella rizosfera, possono essere stimolati o indotti a degradare i PCB in presenza di specifiche piante o da composti purificati estratti dalle radici (Leight et al., 2006). La rimozione nel suolo dei PCB può essere influenzata anche dalla presenza di 12 sostanza organica di varia origine (es. compost) e può in alcuni casi migliorare in presenza di scarti vegetali, mentre in altri la presenza del carbonio organico non risulta influenzare la degradazione (Luo et al., 2008). Il biorimedio dei PCB, sebbene abbia grandi potenzialità, non è una tecnica ad oggi sufficientemente ben studiata ed applicata al suolo (Luo et al., 2008). In ogni caso, l’abbinamento tra il potenziale degradativo dei microorganismi del suolo con la capacità delle piante di resistere agli effetti tossici e di creare una rizosfera in grado di promuovere la loro degradazione da parte delle comunità microbiche, risulta ad oggi la strategia “green” con maggiori possibilità di successo (Xu et al., 2010; Sylvestre e Toussaint, 2011). Applicazione sperimentale del Biorimedio fitoassistito in un’area contaminata da PCB Dal 2013 è in corso un’attività di ricerca di collaborazione tra due Istituti del CNR, quali l’Istituto di Ricerca sulle Acque (IRSA) e l’Istituto di Biologia Agroambientale e Forestale (IBAF), volta a studiare la possibilità di recupero di un’area contaminata da PCB attraverso il Biorimedio fitoassistito. L’attività sperimentale prevede una fase preliminare di studio in microcosmi in serra ed una seconda applicativa in campo e mira allo sviluppo di soluzioni innovative per studiare e ridurre la contaminazione del suolo da PCB. In particolare, la ricerca ha come obiettivo quello di stabilire una strategia di Biorimedio fitoassistito ottimale da applicare in un’area storicamente contaminata da PCB in provincia di Taranto. L’area individuata (circa 5000 mq2) è risultata contaminata in maniera diffusa da PCB (100 μg/kg, > 60 μg/kg limite D.lgs 152/2006) e da tracce di metalli pesanti (Be, Sn, Pb, Cu, Zn), riconducibile sia ad un suo utilizzo per diversi decenni come discarica incontrollata, sia per la presenza di trasformatori elettrici. La sperimentazione in serra, che è attualmente in corso, consiste di due set sperimentali che utilizzano due specie vegetali (Medicago sativa e Populus), selezionate per la loro capacità di favorire la degradazione dei PCB (Rein et al., 2007; Bianconi et al., 2010). 13 Primo set sperimentale in serra – Microcosmi con Medicago sativa Al fine di studiare la degradazione dei PCB e gli eventuali effetti sinergici tra i microrganismi presenti nel suolo e la specie foraggera M. sativa sono stati allestiti microcosmi, mantenuti in serra, con il terreno proveniente dall’area in esame e microcosmi con lo stesso terreno e la specie vegetale suddetta, in presenza/ assenza di compost (Figura 1). Figura 1. Primo Set sperimentale in serra – Microcosmi con Medicago sativa Secondo set sperimentale in serra – Microcosmi con talee di Populus clone Monviso Al fine di studiare la degradazione dei PCB e gli eventuali effetti sinergici tra i microrganismi presenti e la specie arborea Populus sono stati allestiti microcosmi mantenuti in serra (Figura 2) con il solo terreno proveniente dall’area in esame ed altri con lo stesso terreno in cui sono state piantate talee di Populus. 14 Figura 2. Secondo Set sperimentale in serra – Microcosmi con talee di Populus clone Monviso. In quest’ultimo set sperimentale sono state considerate 4 diverse condizioni: 1. terreno microbiologicamente attivo aerobico con un contenuto costante di acqua (circa 60% della sua massima ritenzione idrica); 2. terreno microbiologicamente attivo anossico, mantenuto costantemente in saturazione di acqua al fine di creare possibili condizioni di anossia per promuovere la degradazione anaerobica; 3. terreno sterilizzato prima di piantare le talee, al fine di eliminare la comunità microbica naturale; 4. Terreno di controllo (senza talee). I microcosmi sono stati mantenuti in serra a temperatura e contenuto di acqua controllati. Al fine di valutare la degradazione dei PCB e la risposta della comunità microbica, campioni di terreno sono stati prelevati a tempi prestabiliti per analizzare i PCB e la comunità microbica (abbondanza, struttura ed attività) della nelle diverse condizioni. 15 Terzo set sperimentale - talee di Populus clone Monviso e piante di Tamarix gallica in campo La sperimentazione in campo di Biorimedio fitoassistito ha previsto l’utilizzo di due specie arboree (Populus clone Monviso e Tamarix gallica) idonee per impianti agro-forestali ad alta densità (fino a 10-12.000 piante per ettaro) ed a turno di taglio breve (due o tre anni) che favoriscono un’elevata ed omogenea produzione di radici nel suolo (fino a 0,7-1,5 m di profondità) e massimizzino la produzione di biomassa (Bianconi et al., 2010). La specie Populus è stata selezionata perché la sua capacità di recupero di suoli, degradati a causa della presenza di contaminanti organici, è ampiamente documentata (Bianconi et al., 2011). Tamarix gallica (Tamerice comune), invece, possiede un’elevata tolleranza a numerosi stress abiotici, tra cui la salinità e la siccità (stress che sono caratteristici dell’area da biorecuperare) e può essere utilizzata per la fitoestrazione o fitostabilizzazione di suoli contaminati da metalli pesanti e/o suoli salini. Dopo una preparazione del terreno (diserbo a mano, scarificatura, fresatura, aratura, rimozione di sassi e di rifiuti ingombranti, concimazione di fondo con compost pari a 25,78 t/ha; pacciamatura e impianto di irrigazione) sono state messe a dimora circa 600 talee clone Monviso in un’area di 785 m2 (sesto d’impianto 2 m x 0,5 m) e circa 400 piantine di Tamerici in un’area di 1340 m2 (sesto d’impianto 2 m x 2 m). Metodiche analitiche utilizzate nei set sperimentali Vengono qui di seguito descritte brevemente le analisi che vengono utilizzate nei diversi set sperimentali, sia di campo che in serra, per valutare sia la degradazione dei PCB nel suolo, sia la composizione e struttura delle comunità microbiche del suolo, nelle diverse condizioni sperimentali. Analisi chimiche dei PCB: Metodo di estrazione dal suolo: ASE (Accelerated Solvent Extraction) ed analisi quantitativa dei congeneri secondo metodo European Standard prEN 15305 (2005), mediante gas cromatografia accoppiata a spettrometria di massa in tandem, (GC/MS/MS) ad alta risoluzione. Analisi microbiologiche: Abbondanza batterica (metodo della conta diretta in epifluorescenza), e Vitalità cellulare (metodo live/dead), (Grenni et al., 2009), Analisi filogenetica della comunità batterica (Fluorescent in situ hybridization, 16 Barra Caracciolo et al., 2005), Attività microbica totale (misura della deidrogenasi nel suolo, Grenni et al., 2009), Respirazione edafica (misurazione della CO2). Considerazioni sull’attività sperimentale in corso Microcosmi con Medicago: i risultati preliminari (a 133 giorni) evidenziano un effetto positivo sia della pianta che del compost sulla trasformazione dei PCB; tuttavia tale effetto varia a seconda del congenere di PCB considerato. La comunità microbica della rizosfera mostra un’attività e funzionalità maggiore rispetto a quella di controllo (senza pianta) che può essere associata a processi degradativi dei PCB. Sono in corso di analisi i campioni di terreno e di pianta del campionamento di circa 10 mesi (termine della sperimentazione). Microcosmi con clone Monviso: attualmente è stata effettuato un primo campionamento del suolo e delle talee che si sono sviluppate dopo circa 7 mesi dall’impianto e le analisi chimiche dei PCB e della comunità microbica sono in fase di ultimazione. Sperimentazione in campo: il clone Monviso ha avuto uno sviluppo vegetativo rapido e rigoglioso sul terreno cronicamente contaminato da PCB e l’attecchimento delle talee è stata maggiore del 99%, nonostante le condizioni climatiche locali piuttosto aride. Purtroppo il successo dell’impianto delle tamerici è stato compromesso dal fatto che l’impianto delle plantule, per problemi logistici, è stato effettuato in primavera inoltrata quando le temperature erano già troppo elevate tali da compromettere il loro attecchimento. La possibilità di testare lo sviluppo e la capacità di biorimedio di tale specie è rinviata alla prossima primavera. Ringraziamenti Si ringrazia tutto il personale CNR che ha contribuito attivamente alla realizzazione di tale sperimentazione: V. Ancona, G. Bagnuolo, D. Bianconi, A. Calabrese, G. Mascolo, V.F. Uricchio. Inoltre si ringrazia M. Di Lenola, M. Cinicia, G.L. Garbini, S. Tariciotti, J. Rauseo, F. Cattena, F. Falconi del Laboratorio di Ecologia Microbica del Suolo dell’IRSA-CNR di Roma. 17 Riferimenti bilbliografici Barra Caracciolo A, Grenni P, Cupo C, Rossetti S, 2005. In situ analysis of native microbial communities in complex samples with high particulate loads. FEMS Microbiol Lett 253:5558. Barra Caracciolo A, Bottoni P, Grenni P, 2013. Microcosm studies to evaluate microbial potential to degrade pollutants in soil and water ecosystems. Microchem J 107:126-130. 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Phytoremediation of Polychlorinated Biphenyl (PCB)Contaminated Sediment. J Environ Qual 36:239-244 Susarla S, Medina VF, McCoutcheon SC, 2002. Phytoremediation: An ecological solution to organic chemical contamination. Ecol Eng 18:647-658 Sylvestre M, Macek T, Mackova M, 2009. Transgenic plants to improve rhizoremediation of polychlorinated biphenyls (PCBs). Curr Opin Biotechnol 20:242-7. Turbé A, De Toni A et al., 2010. Soil biodiversity: functions, threats and tools for policy makers. Bio Intelligence Service, IRD, and NIOO, Report for European Commission (DG Environment). Utkin I, Woese C, Wiegel J, 1994. Isolation and characterization of Desulfitobacterium 18 dehalogenans gen. nov., sp. nov., an anaerobic bacterium which reductively dechlorinates chlorophenolic compounds. Int J Syst Bacteriol 44:612-9. WHO/UNEP 2013. World Health Organization/United Nations Environment Programme. State of the science of endocrine disrupting chemicals - 2012. 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Environ Int 33:406-13 19 Prove di fitorisanamento in laguna di Venezia: risultati preliminari di uno studio su sedimenti lagunari Emanuele Ponis, Rossella Boscolo, Alessandra Feola, Andrea Bonometto, Federico Rampazzo, Daniela Berto, Claudia Gion, Seta Noventa (ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, Chioggia) Paola Renzi, Antonella Tornato, Serena Geraldini, Massimo Gabellini (ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, Roma) Introduzione La laguna di Venezia, una delle aree umide naturali più estese ed importanti d’Europa e dell’intero bacino mediterraneo, è costituita da un complesso di ecosistemi di elevato pregio ambientale che risentono di molteplici pressioni e impatti di natura antropica, tra i quali: - le numerose attività industriali, commerciali e portuali che insistono nell’area di gronda lagunare; - la presenza dei centri storici di Venezia e Chioggia; - gli apporti di diversa origine (principalmente agricola, industriale, urbana,) che concorrono a determinare fenomeni distrofici, locali o diffusi; - la perdita di strutture morfologiche lagunari quali barene e velme in conseguenza di molteplici fattori (riduzione dell’apporto di sedimenti dal bacino idrografico, subsidenza, eustatismo, prevalenza dei fenomeni di erosione rispetto a quelli di sedimentazione); - il turismo di massa e i conflitti tra i diversi usi lagunari, legittimi e non, che determinano un impatto sugli ecosistemi (es. navigazione, pesca, venericoltura). A fronte di queste criticità la laguna di Venezia è oggetto di differenti azioni di risanamento ambientale, disinquinamento e recupero morfologico. In questo contesto l’utilizzo di tecniche di fitorimedio per il miglioramento qualitativo di sedimenti lagunari risulta di forte interesse, dato che le sue applicazioni bene si inseriscono in un’ottica di sostenibilità ambientale. Le tecniche di fitorimedio sono state già applicate nell’area della laguna di Venezia, con risultati positivi, per il trattamento di siti localizzati caratterizzati da suoli fortemente contaminati (es. area dell’ex-poligono di Campalto, area industriale 21 di Porto Marghera); il potenziale di questo insieme di tecnologie, nel riutilizzo dei sedimenti lagunari, nell’ambito degli interventi di ricostruzione morfologica e per il trattamento di aree barenali artificiali moderatamente contaminate, resta in gran parte da valutare. ISPRA, nell’ambito di una convenzione con il Ministero dell’Ambiente (MATTM), sta svolgendo alcuni approfondimenti relativi alla capacità da parte di essenze vegetali alofile autoctone lagunari (piante di barena) di ridurre la concentrazione di inquinanti in sedimenti provenienti dalla laguna di Venezia. Le attività hanno previsto: 1) una fase preliminare di caratterizzazione di sedimenti lagunari di potenziale interesse per le attività di fitorisanamento; 2) due cicli di prove sperimentali di fitoestrazione in mesocosmo utilizzando il sedimento individuato in precedenza 3) monitoraggio del processo di fitorisanamento in natura su barene artificiali (fase attualmente in corso). Caratterizzazione dei sedimenti lagunari La ricerca del sedimento da caratterizzare si è concentrata in un’area della laguna centrale conosciuta come “lago dei Teneri” (Figura 1), posta in prossimità del Sito di Interesse Nazionale di bonifica di Venezia-Porto Marghera. Questa zona è collocata all’interno di una grande area barenale, caratterizzata da un fondo soffice e da una profondità media di 1.2 – 1.5 metri in condizioni di alta marea. Studi precedenti condotti su quest’area (Apitz et al., 2007) hanno evidenziato una potenziale tossicità dei sedimenti, stimata sulla base delle concentrazioni dei contaminanti (metalli) e sulla base di saggi ecotossicologici condotti su anfipodi, echinodermi e batteri. Figura 1. Canale lagunare, velma (area lagunare emersa solo in condizioni di bassa marea generalmente non vegetata) e barena (area lagunare soggetta a inondazioni periodiche legate alla marea) nei pressi dell’area del “Lago dei Teneri”. Sullo sfondo il Sito di Interesse Nazionale di Venezia - Porto Marghera. 22 La scelta del sito di prelievo del sedimento da utilizzare per le prove in mesocosmo è stata effettuata a seguito di un’attività preliminare di caratterizzazione (marzo 2011) condotta su 6 stazioni presenti nella suddetta area in cui sono state effettuate analisi chimico-fisiche del sedimento, profilo CTD della colonna d’acqua e valutazione delle specie e delle coperture vegetali presenti. Il sito identificato, posto in prossimità del canale Volpego, presentava un sedimento caratterizzato da una tessitura prevalentemente fine, con un contenuto pelitico prossimo al 90%, un contenuto di carbonio organico e azoto totale elevato e caratteristiche generali tipiche delle aree lagunari confinate, a ridotto idrodinamismo. Dal punto di vista dei contaminanti è stata effettuata una valutazione comparata con i limiti tabellari previsti per il sedimento dalla normativa di riferimento (colonne A, B e C del “Protocollo d’Intesa sui Fanghi”, siglato il 08.04.93 dal Ministero dell’Ambiente, la Regione Veneto, la Provincia di Venezia, i Comuni di Venezia e Chioggia, noto come “Protocollo Fanghi”; Tabb. 2/A e 3/B del DM 260/2010). Tale raffronto ha evidenziato alcuni superamenti relativamente a diversi metalli. In particolare Cr, Zn, Hg e Cu sono risultati superiori al limite posto per la Col. A del “Protocollo Fanghi”; nel caso di Cu si sono osservati superamenti anche rispetto alla Col. B; rispetto agli standard di qualità indicati nel DM 260/2010 si sono osservati superamenti relativamente a Pb, Cd e Hg. I contaminanti organici analizzati (sommatoria IPA, sommatoria PCB, IC>12) sono invece risultati in genere bassi. Prove sperimentali di fitoestrazione in mesocosmo Presso la sede ISPRA di Chioggia è stato allestita una installazione per effettuare i due cicli di sperimentazione in mesocosmo (Figura 2). Figura 2. Installazioni per le sperimentazioni di fitoestrazione in mesocosmo. A sx. prima sperimentazione; a dx. seconda sperimentazione. 23 I moduli unitari utilizzati sono costituiti da vasi di PVC di base quadrata (volume 45 litri) collegati ad un impianto di irrigazione alimentato da acqua MilliQ. Come essenze vegetali sono state identificate tre specie di graminacee alofile autoctone [Spartina marittima (Aiton), Puccinellia palustris (Seen.), Phragmites australis (Cav.) Trin. ex Steud.] caratteristiche di quote differenti degli ambienti barenali della laguna di Venezia; per tali specie, perenni e facilmente sfalciabili, sarebbe tecnicamente eseguibile, in fase di applicazione del trattamento in situ, un taglio dei fusti con cadenze regolari ed il loro smaltimento. In ciascun vaso sono stati piantumati 9 ciuffi di piante (in media 35 fusti per vaso), recuperate presso un vivaio presente in laguna di Venezia. Le tre specie vegetali alofile identificate sono già state oggetto di alcuni lavori sperimentali sul fitorisanamento: - S. maritima. È stata dimostrata la sua capacità di fitostabilizzazione per il trattamento di barene contaminate da Cd e Cu, riuscendo ad accumulare questi analiti nella parte aerea della pianta (Reboreda e Caçador, 2007). Anche per questa specie è stata rilevata una variabilità stagionale, con valori di contaminanti nel sedimento che incrementano in primavera ed estate e decrescono in autunno ed inverno (Duarte et al., 2009). Per questa specie è stato inoltre osservato come la capacità di assorbire determinati metalli vari in funzione anche della composizione del terreno e della presenza di altri metalli (Weis et al., 2004). - P. palustris. È stato osservato come la pianta sia in grado di incrementare l’efficienza di assorbimento di metalli in funzione dell’arricchimento di nutrienti del sedimento (Leendertse et al., 1996). In uno studio di recente pubblicazione la specie è stata utilizzata per prove di fitorisanamento a Venezia presso una barena in zona Campalto, caratterizzata da elevata contaminazione di Pb, ma con risultati non soddisfacenti (Bini et al., 2013). - P. australis. È una specie già utilizzata per il trattamento di suoli/ sedimenti contenenti contaminazioni da metalli pesanti e contaminati organici (Weis e Weis, 2004; Hechmi et al., 2014; Bragato et al., 2009); concentra i contaminanti metallici principalmente a livello delle radici, ad eccezione del Zn (Hechmi et al., 2014). Uno studio condotto su di un’area umida ricostruita sul Delta del Po ha evidenziato come il livello 24 di metalli pesanti (Cu, Zn, Ni, Cr) nelle foglie presenti una variabilità stagionale, raggiungendo i valori massimi in inverno (Bragato et al., 2009). Ciascuna condizione sperimentale è stata sottoposta a sperimentazione in triplicato e sono stati aggiunti controlli costituiti da vasi non piantumati; all’inizio (tempo T0) ed alla fine (tempo T1) delle sperimentazioni sono stati analizzati diversi parametri su sedimento (granulometria, contenuto d’acqua, carbonio totale ed organico, azoto totale, fosforo totale e metalli), acqua interstiziale (nutrienti disciolti) ed essenze vegetali (parametri fenologici, biomassa). A fine sperimentazione la biomassa vegetale è stata raccolta e conservata per consentire di effettuare eventuali analisi chimiche successive, sulla base delle risultanze analitiche ottenute sul sedimento. Relativamente al primo ciclo sperimentale, della durata di 4 mesi (luglionovembre 2011), si riportano in Tabella 1 i risultati delle analisi eseguite sui metalli al tempo T0. Tabella 1. Risultati delle analisi dei metalli eseguite sui campioni di sedimento raccolto all’inizio della prima sperimentazione in mesocosmo. A ¿ne sperimentazione i risultati ottenuti sul sedimento (analisi su 3 diversi livelli di profondità: 0-5 cm, 5-10 cm, >10 cm), non hanno indicato trend complessivi ben de¿niti, sia in relazione alle specie sia in relazione ai livelli analizzati. Nel confronto con il controllo non piantumato alcuni analiti (Cr, Cu, Ba, Ni, Zn, Pb, As) hanno mostrato alcuni modesti decrementi (max. 16.4%), maggiormente legati a Spartina e al livello >10 cm. Le moderate performance di ¿toestrazione rilevate possono essere conseguenza della ridotta crescita vegetale osservata nei mesocosmi. Nel confronto tra il sedimento T1 e quello T0 si evidenziano per alcuni analiti (Cu, Ni, Pb, As) modesti decrementi (max. 8.2%), con l’eccezione di Fe e Mn, 25 per i quali i decrementi sono risultati diffusi e generalizzati in tutte le vasche sottoposte a trattamento, compreso il controllo non piantumato (in media 80.1%). Il calo di Fe e Mn potrebbe essere legato a processi anaerobici a carico della componente batterica; ulteriori approfondimenti (sull’acqua interstiziale, sulla componente microbica) sarebbero necessari per avvalorare tale ipotesi. In considerazione dei risultati ottenuti nella prima sperimentazione, nella seconda prova sono state apportate alcune modifiche al piano sperimentale: - la durata della sperimentazione è stata allungata (6 mesi, maggionovembre 2012), per poter meglio sfruttare la fase primaverile-estiva di maggior crescita fenologica delle specie sottoposte a trattamento; - sono state selezionate due delle tre specie utilizzate nella sperimentazione precedente (S. maritima, P. palustris), escludendo la specie P. australis, la cui presenza in laguna è circoscritta alle aree a minore salinità, di limitata estensione; - parallelamente alle prove di fitoestrazione sul sedimento “tal quale”, una delle due specie vegetali prescelte (S. maritima) è stata piantumata utilizzando sedimento addizionato con ammendante organico (compost da lombricoltura, aggiunto al sedimento in proporzione volumetrica 1:20). È stato inoltre aggiunto un controllo non piantumato ammendato. - Sono state apportate alcune migliorie all’impianto di irrigazione, al fine di consentire una idratazione più omogenea del sedimento. I campionamenti del sedimento a fine sperimentazione sono stati effettuati, sempre in triplicato, ma su livelli differenti: 0-10 cm; 10-20 cm; >20 cm, allo scopo di meglio valutare l’attività delle radici su uno strato più profondo della rizosfera. I risultati delle analisi dei metalli al tempo T0 della seconda sperimentazione sono riassunti in Tabella 2. Tabella 2. Risultati delle analisi dei metalli eseguite sui campioni di sedimento, non ammendato e ammendato,, raccolto all’inizio della seconda sperimentazione p in mesocosmo. 26 Nel corso delle prove sono stati registrati alcuni abbattimenti dei contaminanti (rispetto ad inizio prova, rispetto al sedimento non piantumato), di entità variabile per analita e per i diversi campioni sottoposti a trattamento. Rispetto al controllo non piantumato, a fine sperimentazione, gli analiti che hanno mostrato i maggiori decrementi sono stati Cr (media 9.2%), Ba (8.7%) e Cd (7.1%). Riguardo al fattore “livello” i maggiori decrementi sono stati in genere rilevati nello strato più profondo mentre riguardo al fattore “specie” nel sedimento ammendato piantumato con Spartina; nel confronto tra quest’ultimo ed il sedimento non ammendato piantumato con Spartina si evidenziano riduzioni significative per Cr, Cu e Cd (test post-hoc di Tukey; p< 0.05). Rispetto alla Fase T0 i sedimenti non piantumati hanno evidenziato variazioni simili a quelle registrate per i sedimenti piantumati sebbene con decrementi inferiori. Gli analiti dei sedimenti piantumati che hanno mostrato i maggiori decrementi sono Ba (media 22.2%), Cd (21.5%), Hg (14.9%) e Zn (12.6%). Le maggiori riduzioni sono state osservate nei sedimenti ammendati piantumati con Spartina dove i decrementi significativi (> 5%) sono stati rilevati sull’insieme dei livelli, ad eccezione di As. La riduzione massima (33.8%) è stata registrata per il Ba nel sedimento superficiale non ammendato piantumato con Spartina. Al fine di facilitare il confronto tra i campioni analizzati, i dati di concentrazione dei metalli sono stati normalizzati rispetto al contenuto di Fe ed è stata valutata la variazione rispetto al controllo non piantumato mediante il calcolo del fattore di arricchimento (EF), secondo la seguente formula: EF = (conc. Metallosed. vegetato/conc. Fesed. vegetato)/(conc. Metallosed. nudo/conc. Fesed. nudo) I risultati più significativi sono stati ottenuti per i campioni di sedimento ammendato piantumato con Spartina (Figura 3); i decrementi riguardano principalmente Cr (EF= 0.83), Ba (EF= 0.79), Ni (EF= 0.86) e Cd (EF= 0.80). 27 Figura 3. Fattore di arricchimento (EF) per il Fe nel sedimento ammendato piantumato con Spartina. Variazioni delle concentrazioni (media con d.s.) rispetto al controllo non piantumato ammendato nei tre livelli verticali (0-10 cm, 10-20 cm, > 20 cm). Nel complesso, le modifiche apportate rispetto alla prima prova in mesocosmo (implementazione del sistema di irrigazione, prolungamento della durata della sperimentazione, utilizzo di ammendante) hanno incrementato le performance di fitorisanamento. La Spartina trattata con sedimento ammendato esercita l’attività di abbattimento più significativa e diffusa, con decrementi sia rispetto al sedimento di partenza (T0), sia rispetto al sedimento non piantumato. I decrementi rilevati nelle concentrazioni dei metalli sono comunque rimasti piuttosto contenuti, indicando la necessità di incrementare la scala sperimentale (durata del processo, scaling-up dell’impianto di trattamento). Monitoraggio del processo di fitorisanamento in natura È in corso la caratterizzazione di aree barenali artificiali, caratterizzate da blande concentrazioni di metalli e patch vegetazionali costanti nel tempo, sulle quali valutare la differenza di concentrazione dei contaminanti in campioni di sedimento prelevati in aree vegetate e non vegetate, al fine di verificare l’eventuale effetto di fitoestrazione da parte delle specie autoctone naturalmente presenti in barena. A questo proposito sono state identificate aree barenali con sedimento 28 dalle caratteristiche chimico-fisiche similari a quello utilizzato per le prove in mesocosmo. Le possibili differenze di concentrazione dei contaminanti tra aree nude e aree vegetate, sono state valutate ricercando specie alofile caratterizzate da fasi di crescita analoghe a quelle utilizzate per la piantumazione in mesocosmo. Le barene artificiali di potenziale interesse, identificate in base ad informazioni bibliografiche e all’analisi di foto aeree, sono state oggetto di una fase preliminare di caratterizzazione (pre-survey) delle matrici sedimento (caratteristiche chimico-fisiche e concentrazioni di inquinanti inorganici) e della matrice vegetale (tipologia, copertura, sviluppo). Tale fase ha portato all’identificazione del sito oggetto dell’approfondimento (barena dei “Teneri”). Le analisi relative alla caratterizzazione del sedimento e delle piante sono tuttora in corso. L’utilizzo di piante autoctone barenali negli interventi di ripristino morfologico non solo riveste un ruolo fondamentale nella ricostruzione dei tipici habitat barenali ma allo stesso tempo potrebbe favorire il miglioramento qualitativo del sedimento utilizzato. Ad oggi il tipo di sedimento da utilizzare per la ricostruzione delle barene è regolato dal punto di vista della qualità chimica dal “Protocollo Fanghi” che sulla base della concentrazione di alcuni contaminanti quali metalli, IPA, PCB e pesticidi organoclorurati (POC) individua per ciascun analita 3 limiti (Colonna A, B, C). In particolare solo i sedimenti di classe A o B possono essere riutilizzati in laguna; in particolare i sedimenti utilizzati per gli interventi di ripristino morfologico comportanti il contatto diretto o indiretto dei materiali di escavazione con le acque della laguna devono essere conformi ai valori della colonna A, mentre quelli di tipo B possono essere utilizzati per interventi realizzati in maniera da garantire il loro confinamento permanente così da impedire rilascio di contaminanti nelle acque lagunari. Favorire il processo di miglioramento qualitativo dei sedimenti lagunari attraverso tecniche di fitorimedio potrebbe contribuire favorevolmente nella gestione complessiva dei sedimenti lagunari. 29 Bibliografia Apitz, S., Barbanti, A., Bocci, M., Carlin, A., Montobbio, L., Bernstein, A.G., 2007. The sediments of the Venice Lagoon (Italy) evaluated in a risk assessment and management strategy approach: Part I - Application of international sediment quality guidelines (SQGs). Integrated environmental assessment and management 3(3): 393-414. Bini, C., Wahsha, M., Fontana, S., Maleci, L., 2013. Remediation of heavy metal contaminated sites in the Venice lagoon and conterminous areas (Northern Italy). In proceeding of: European Geosciences Union General Assembly. Vienna 07-12 Aprile. Libro deegli Abstract. Bragato, C., Schiavon, M., Polese, R., Ertani, A., Pittarello, M., Malagoli, M., 2009. Seasonal variation of Cu, Zbn, Ni and Cr concentration in Phragmites australis (Cav.) 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Renella (Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agroalimentari e dell’Ambiente, Università di Firenze) Introduzione L’attività vivaistica in Italia è un settore produttivo agrario di primaria importanza per ricchezza prodotta e per numero di operatori ed aziende attive nel settore, rappresentando il 6.1% dell’intera produzione agraria. La produzione in valore, secondo i dati ISTAT è stata, nel 2008, di 3 miliardi di euro suddivisa in 1.7 miliardi per fiori e piante in vaso e per quasi 1.4 miliardi per i prodotti vivaistici quali alberi e arbusti. Nel nostro Paese si contano oltre ventimila aziende che operano direttamente ed indirettamente nel comparto, localizzate soprattutto in Liguria e Toscana. In particolare, quello Pistoiese è il distretto di produttivo vivaistico più grande d’Europa, ed è in continua espansione grazie alle favorevoli condizioni pedo-climatiche unite alle spiccate professionalità sviluppatesi in oltre un secolo di fiorente attività. Oltre la metà della produzione vivaistica pistoiese è basata su coltivazioni di pieno campo di piante arboree ed arbustive, che richiede un pratica intensiva in termini di uso di energia ed acqua ma anche di suolo. È stato stimato che la produzione vivaistica, comporti in Europa il consumo di 5.2.106 m3 di suolo ogni anno. È chiaro che la pratica vivaistica tradizionale non è sostenibile e necessita di innovazione non rischiare bruschi rallentamenti per mancanza o accresciuti costi di materie prime, o per l’esclusione da importanti mercati a causa dell’elevata impronta idrica e di C associata a questa attività. Un grande impatto ambientale del vivaismo è legato all’utilizzo di substrati di a base di torba, pomice, perlite, vermiculite e terricci di bosco, mescolati in rapporti variabili. La torba prelevata da torbiere situate ad elevate latitudini (Paesi Baltici, Canada) e, il suo consumo annuale in Italia negli ultimi anni 20 anni è più che decuplicato, passando da 35.000 a 508.000 tonnellate/anno (Figura 1). 31 25% 21% 17% 15% 10% quota % aziende 21% quota % superficie 20% 20% 15% 12% 10% 9% 8% 4% 5% 11% 9% 6% 5% 6% 6% 4% 5% 3% 3% 3% 3% 0% Liguria Toscana Lombardia Campania Veneto Piemonte Sicilia Lazio Marche Puglia Altre regioni * le regioni sono ordinate per numero di aziende Fonte: Mipaaf-Ita trasporto prelievo di torba produzione non sostenibile! rifiuti Figura 1. Quadro delle attività florovivaistiche in Europa e Italia, con particolare riferimento ai distretti produttivi della Toscana 32 Un tale volume di importazioni comporta gravi problemi economici ed ambientali legati al disturbo dei delicati ecosistemi d’origine e al trasporto e, preso atto del problema, l’Unione Europea ha incluso le torbiere fra gli habitat di interesse comunitario (direttiva Habitat, 92/43/CEE). Questo potrebbe provocare una progressiva mancanza della materia prima dei i substrati vivaistici d’elezione impattando la produzione. Inoltre, sulla base del regolamento CE 1980/2000 l’attuale produzione vivaistica non potrà ottenere il marchio comunitario di qualità ecologica ECOLABEL. Inoltre, la produzione vivaistica di pieno campo realizzata a nel distretto pistoiese comporta l’espianto delle essenze insieme alla zolla di terra che contiene le radici. Questa pratica implica la perdita di suolo ricco di sostanza organica ed è stato stimato che la pratica vivaistica nell’Unione Europea comporti da sola una 5.2 milioni di metri cubi di suolo. L’elevata impronta ambientale complessiva della produzione floro-vivaistica basata sull’impiego torba come substrato di crescita determina la necessità di individuare materiali alternativi per l’intera filiera produttiva o parti di essa. Il progetto CLEANSED Ogni anno in Europa sono dragati 200.000.000 di m3 di sedimenti fluviali, variamente contaminati, con costi di gestione e trattamento dell’ordine di 10.000 € per tonnellata. Il progetto CLEANSED (CLEANSED, LIFE12 ENV/IT/000652) applica le conoscenze acquisite in numerosi progetti nazionali ed internazionali che hanno dimostrato come le fitotecnologie, basate sulll’utilizzo di consorzi di piante, microorganismi ed ammendanti, siano in grado di bonificare e convertire i sedimenti dragati in substrati adatti alla crescita di piante ornamentali o tecnosuoli adatti alla rivegetazione di aree urbane e brownfields. Pertanto, quando opportunamente applicate, le fitotecnologie rappresentano più che una messa in sicurezza operativa di suoli e sedimenti dragati contaminati; esse consentono una valorizzazione di tali materiali altrimenti privi di valore commerciale, convertendoli in tecnosuoli adatti all’allevamento di piante ornamentali di elevato valore estetico ed economico. L’attività dimostrativa del progetto CLEANSED si svolge nell’area compresa tra le province di Pisa, Pistoia e Firenze, importante distretto vivaistico ma anche 33 bacino del fiume Arno, alla cui foce (canale dei Navicelli) i sedimenti sono regolarmente dragati. Nell’ambito del progetto CLEANSED, è valutata anche la possibilità di utilizzo i sedimenti fitorimediati per la preparazione di materiali idonei all’utilizzo come fondi stradali e ferroviari, contribuendo quindi alla soluzione di molteplici problemi di natura economico-ambientale (Figura 2). dragaggio fitotrattamento ciclo dei sedimenti sostenibile! produzione test Figura 2. Attuale sistema tipico di approvvigionamento, utilizzo e gestione dei substrati per l’industria vivaistica nel distretto pistoiese. Il riutilizzo dei sedimenti in filiera cortissima porta ad un bilancio positivo in termini economici e di LCA. Questo, approccio integrato è capace di coniugare protezione dell’ambiente e produzione agricola di pregio e può diventare modello di gestione sostenibile dei sedimenti dragati in molte aree d’Italia e d’Europa. Risultati preliminari e future attività dimostrative La vegetazione dei sedimenti con le varie essenze vegetali nel periodo maggio 2010 – ottobre 2011 ha portato ad un aumento della fertilità chimica stimata attraverso il maggior contenuto di C organcio, N e P totali e della fertilità 34 biologica stimata attraverso la conta microbica totale e l’attività deidrogenasica (Figura 3). Figura 3. Sistema alternativo di produzione vivaistica e di sottofondi stradali basati sul fitotrattamento di sedimenti fluviali. La vegetazione dei sedimenti unitamente all’aunmentata attività microbiologica ha portato alla riduzione in media del 50% del contenuto di idrocarburi totali e in media del 20% dei metalli pesanti (Figura 4). Figura 4. Effetto del fitotrattamento sui principali indicatori di fertilità chimica e microbiologica dei sedimenti. Legenda dei trattamenti: O= Oleander +Paspalum; Ph= Phragmites; S= Spartium+Paspalum; T= Tamarix+Paspalum; C=Control; P= Paspalum 35 Il costo del trattamento è stato dell’ordine di 35€ per m3 di sedimento trattato contro i 67 € per m3 di sedimento trattato previsto dal piano di bonifica originario. Nell’ambito del progetto CLEANSED, le attività di dimostrazione dell’efficacia del fitotrattamento per la bonifica dei sedimenti e la loro conversione in tecnosuoli, sta proseguendo con un periodo a landfarming, previsto in circa due mesi, allo scopo di omogenizzare ed ulteriormente affinare il materiale. Il suolo sarà successivamente trasportato al Centro Sperimentale per il Vivaismo (CeSpeVi) di Pistoia, per un suo utilizzo per la crescita di essenze ornamentali, e presso il quale saranno monitorati i principali parametri chimici e fisici e microbiologici del tecnosuolo insieme ad accrescimento e stato fisiologico delle piante. 36 PHYTOSCREENING. Individuazione e monitoraggio della contaminazione da solventi clorurati nel sottosuolo attraverso il campionamento e l’analisi dei tronchi di albero Luchetti Lucina, Diligenti Antonio (ARTA Abruzzo Distretto di Chieti) Crescenzi Emanuel (ARTA Abruzzo Polo laboratoristico di Pescara) Introduzione Le tecniche di phytoscreening (Soreket al., 2008) consistono nel prelievo di campioni di tronco di albero e nell’analisi chimica degli stessi ai fini del rilevamento di impatti a carico delle matrici ambientali, suolo/sottosuolo, acque di falda e soil-vapor. Tali tecniche vengono da tempo utilizzate, nei paesi anglosassoni, per l’individuazione ed il monitoraggio di stress ambientali da parte di composti volatili e semivolatili. La loro validità è ampiamente riconosciuta soprattutto perchè coniuga i costi contenuti con una notevole velocità di campionamento e con la conseguente rapida fruibilità dei punti di controllo (Trappet al., 2012). I primi risultati concreti ottenuti si riferiscono all’individuazione di VOCs nei campioni di tronco, rilevati in precedenza nelle acque di falda (Vroblesky et al., 1999). In particolare, l’esperienza riportata da diversi autori testimonia la validità della metodologia per la ricerca di numerosi composti quali PCE, TCE, e cDCE (Schumacher et al., 2004; Sorek et al., 2008, Vroblesky et al., 2004; Vroblesky, 2008). Inoltre nuovi studi riguardanti il phytoscreening hanno evidenziato la possibilità di individuare altri composti come i BTEX, MTBE, Cloruro di vinile, 1,1,2,2,-Tetraclorotilene, 1,1,1-Tricloroetilene (Vroblesky, 2008 e bibliografia inclusa). Le operazioni connesse alle attività di phytoscreening sono state estese all’individuazione di eventi contaminanti (scarichi abusivi, serbatoi interrati vetusti, etc.) “storici” attraverso l’insieme di indagini chimico-fisiche, che prevedono l’utilizzo di scanner a raggi X, unitamente alle datazioni dendrocronologiche (Balouetet al., 2012). Tale tecnica di indagine ha preso il nome di dendrochimica (dendrochemistry) che a sua volta, in seguito al riconoscimento nei paesi statunitensi del valore probatorio in seno a procedimenti civili e penali, ha preso il nome di phytoforensics (Balouet et al., 2007; Balouet 37 et al., 2012; Burken et al., 2011). Inoltre, ai fini del monitoraggio e/o verifica dell’attenuazione naturale in falda, il phytoscreening consente di ottenere rapidamente dati necessari ai fini della valutazione sia dei ratei di attenuazione della contaminazione sia della degradazione dei clorurati (Larsen et al., 2008). Infine, come illustrato in Trapp et al. (2012), è stato utilizzato il phytoscreening anche per la ricerca dei metalli pesanti. Pertanto il phytoscreening rappresenta un utile strumento ai fini della caratterizzazione ambientale, sia in termini costi/ benefici (ad esempio nelle indagini preliminari), sia per l’ampliamento delle aree oggetto già di una pregressa o concomitante attività di indagine ambientale. Tecniche di campionamento Il principio su cui si basa il phytoscreening risiede nella capacità dell’apparato radicale di assorbire i contaminanti, disciolti e trasportati dall’acqua d’infiltrazione, dalla falda o dal soil-gas (ITRC, 2009; Holmet al., 2011; Ma &Burken, 2002). Le sostanze contaminanti sono poi trasportate dal moto verticale della linfa lungo l’intero tronco, fino a raggiungere la chioma dell’albero (rami e foglie), (Holmet al., 2011). Pertanto le caratteristiche chimico-fisiche delle sostanze contaminanti, che possono essere rintracciate, sono: alta solubilità in acqua, elevata persistenza e bassa pressione di vapore. L’elevata volatilità della fase disciolta di queste sostanze, comporta la scelta della quota di campionamento lungo il tronco posta in genere non oltre il metro a partire dal piano campagna. Questo perché dette sostanze sono disperse all’esterno del tronco a causa dell’evapotraspirazione, che avviene già dal tratto immediatamente al di sopra dell’apparato radicale. La scelta di campionare il tronco, piuttosto che i rami, le foglie o i frutti, deriva proprio dalla maggior facilità di rintracciare gli eventuali contaminanti soprattutto in funzione delle concentrazioni e dei limiti di rilevabilità analitica. Inoltre, nel caso di alberi non da frutto, si preferisce il tronco alle foglie poiché queste ultime possono subire una contaminazione incrociata derivante dall’aria atmosferica (Trapp et al., 2012). Il campionamento dei tronchi di albero è una procedura semplice che utilizza campionatori incrementali quali, ad esempio, il succhiello di Pressler (Fig. 1) o il martello incrementale, entrambi comunemente utilizzati nelle misure forestali. 38 Fig. 1 – Succhiello di Pressler o campionatore incrementale (Vroblesky, 2008). Dopo la rimozione di una porzione di corteccia, la punta del campionatore incrementale viene infissa nel tronco, e tramite una rotazione, viene prelevata la carota di tronco (Fig. 2). Fig. 2 – Schema di infissione per rotazione del campionatore all’interno del tronco (Trappet al., 2012). Considerata la possibilità di campionare un ampio numero di specie, è preferibile in genere campionare degli alberi singoli che presentano una adeguata maturità, ed hanno quindi un tronco con diametro non inferiore ai 10-15 cm. Al contrario ai fini del phytoscreening, è sconsogliabile campionare fusti di specie arbustivecosì come alberi appartenenti alle famiglie delle Coniferophyta. Questi infatti secernono resina; contenente terpeni che presentano un segnale strumentale (GC-MS) capace di nascondere i segnali di altri composti. Sulla base di dati di letteratura e delle nostre esperienze operative gli alberi il 39 cui campionamento garantisce buone possibilità di successo e che sono molto diffusi, nelle associazioni floristiche di clima temperato e mediterraneo sono: Quercus pubescens, Populus alba, Platanus acerifolia, Tilia platyphyllos e Juglans regia (ved. Trapp et al., 2012). Gli studi precedenti non hanno evidenziato l’instaurarsi di effetti irreversibili sulla integrità fisica e sullo stato di salute degli alberi investigati (ved. Trapp et al., 2012 e bibliografia inclusa). Questi infatti reagiscono in maniera autonoma, senza necessità di interventi fito-sanitari da parte dell’uomo, alle ferite derivanti dal campionamento, la quale è peraltro standardizzata anche in funzione del minor danno arrecabile. Dopo aver raggiunto la profondità necessaria, di solito non superiore ai 6 cm, viene estratta la carota che è poi immediatamente riposta all’interno del vial con tappo in teflon (Fig. 3). Qualora la lunghezza della carota superi quella del vial, il campione può essere ridotto in due o più frammenti e quindi riposto nel contenitore. Per il trasporto, i campioni prelevati vengono riposti all’interno di borse termiche refrigerate equipaggiate con piastre eutettiche o frigoriferi portatili, mantenendo una temperatura costante intorno ai 4°C. Fig. 3 – Vial con setto in teflon utilizzato per la conservazione del campione. 40 Tecniche di Analisi I campioni, raccolti seguendo le metodiche di cui al precedente capitolo, devono essere sottoposti alle determinazioni analitiche non oltre le 48h successive al campionamento, affinché si garantisca la preservazione dello stato naturale della matrice evitando possibili attacchi batterici o lo sviluppo di colonie micotiche. Inoltre, i tempi brevi di conservazione evitano la perdita dei contaminanti eventualmente presenti nel campione, consentendo così di ottenere limiti di rilevabilità analitica sufficientemente bassi. In accordo con quanto evidenziato in Holm et al. (2011) le metodiche analitiche applicabili sono quelle comunemente utilizzate per i terreni e le acque sotterranee per l’individuazione dei VOCs. In particolare i metodi analitici utilizzabili sono quelli noti come Head-spacetechnology e Solid-phasemicroextraction. L’Head-spacetechnology (Analisi dello spazio di testa) è una metodica analitica utilizzata per la ricerca diretta dei VOCs presenti nella fase vapore. Essa può essere di tipo statico e di tipo dinamico. Nel primo caso un volume definito di vapore è prelevato direttamente dal campionatore e trasferito successivamente nella colonna del gas cromatografo (GC). Nel secondo caso la fase vapore è trasportata da un gas (elio) a una fase adsorbente oppure a una crio-trappola prima di raggiungere la colonna analitica. Poiché le dimensioni delle “microcarote” non consentono di effettuare direttamente il desorbimento termico, è necessario effettuare la preparativa del campione affinché il concentrato possa essere poi analizzato. La Solid-phasemicroextraction (Micro estrazione in fase solida) si applica attraverso l’inserimento nel setto del vial di una fibra ricoperta di polimeri e/o di materiale adsorbente. Tale fibra, attraverso processi di diffusione, raggiunge l’equilibrio tra la fase gassosa e il campione (legno). In seguito la fibra è inserita nell’iniettore del GC-MS o GC-ECD per le determinazioni analitiche. Le metodiche analitiche utilizzate nel presente studio sono state mutuate da quelle utilizzate di norma per la matrice suolo/sottosuolo dal laboratorio ARTAAbruzzo, in particolare, ci si è riferiti alle metodiche EPA (EPA 5035 1996 e EPA 5035A2002). Tali metodiche prevedono una preparativa iniziale del campione che è sottoposto a una estrazione con Metanolo; il concentrato derivante è successivamente sottoposto ad analisi attraverso l’utilizzo di strumentazione di tipo GC/MS (Gas cromatrography/Mass spectrometry). 41 Casi Studio Nell’ambito della caratterizzazione ambientale di due siti contaminati, l’U.O. “Siti Inquinati e Discariche” del Distretto ARTA Abruzzo di Chieti, ha avviato le prime campagne di phytoscreening, nei periodi autunnali degli anni 2012 e 2013, con la finalità di individuare metodiche supplementari e/o alternative a quelle classicamente utilizzate per la caratterizzazione e il monitoraggio sito-specifici. In particolare sono stati selezionati due siti industriali entrambi dismessi da molti anni e posti in ambienti geologicamente ed ecologicamente diversi. Il primo è posto alle pendici della Montagna della Majella in un’area a uso agricolo in cui affiorano terreni riferibili alle alluvioni terrazzate del Sintema AVM (Pleistocene Superiore), ed in cui l’acquifero indagato presenta uno spessore variabile tra i 24 ed i 38 m ed una soggiacenza media della falda di circa 14 m (Fig. 4). Fig. 4 – Localizzazione dell’area indagata nel caso studio 1. 42 Il secondo è localizzato all’interno di un contesto intensamente industrializzato nel tratto medio-basso della Valle del F. Pescara (Fig. 5). Geologicamente il sito è caratterizzato dalla presenza di alluvioni terrazzate (Pleistocene superiore) con acquifero multi strato, la cui porzione superficiale presenta uno spessore di 10 m ed una soggiacenza media di circa 6m. Fig.5 – Localizzazione del S.I.R. di Chieti Scalo al cui interno ricade il sito indagato nel caso studio 2. 43 Caso studio 1 Nell’area indagata è ubicato il sito industriale dismesso, che nel corso degli anni ha determinato una degradazione della qualità delle acque sotterranee in seguito al rilascio di solventi clorurati cancerogeni impiegati nel ciclo produttivo. In particolare le risultanze della caratterizzazione ambientale sito-specifica hanno evidenziato la presenza, tra gli altri contaminanti, come ad es. metalli pesanti e Idrocarburi tot., di Tetracloroetilene (PCE) con valori compresi tra i 3 μg/L e i 555 μg/L all’interno dei confini dello stesso sito. Ai fini della tutela della risorsa idrica sotterranea e della salute pubblica, il nostro studio ha investigato le acque sotterranee intercettate da 17 pozzi utilizzati ai fini irriguo-potabili e 4 sorgenti, interessando un’area di circa 20 ettari. I risultati analitici, relativi alle acque sotterranee campionate nella seconda fase d’indagine, hanno evidenziato che, nelle sorgenti ed in 10 pozzi, le concentrazioni misurate superano le concentrazioni soglia di contaminazione previste per il PCE (CSC 1.1 μg/L), con valori compresi tra 2.9 μg/L e 2830 μg/L. Sono stati, inoltre, individuati altri parametri come ad esempio il Tricloroetilene (TCE), le cui concentrazioni e distribuzione sono da mettere in relazione alle caratteristiche areali del plume di contaminazione e all’idrogeologia sito-specifica. Un’ulteriore fase di indagine ambientale ha previsto la realizzazione di ulteriori 14 sondaggi geognostici attrezzati a piezometro per il campionamento della matrice suolo/sottosuolo e della matrice acque sotterranee (Fig. 4). Anche in questa fase è stato possibile individuare una contaminazione estesa delle acque di falda a valle idrogeologica del sito dismesso, con concentrazioni massime di PCE di 2965 μg/L. La presenza di uno spartiacque sotterraneo, rispetto al quale la sorgente della contaminazione individuata è posta immediatamente a valle, ha fatto sì che il plume della contaminazione presenti un andamento longitudinale ed unidirezionale ben definibile. Le profondità alle quali la superficie piezometrica è stata individuata sono comprese tra 1.75 m p.c., in corrispondenza dello spartiacque, e 20.58m p.c., nel punto indagato più distante dalla sorgente. Gli alberi campionati sono querce autoctone, tipiche del paesaggio pedemontano appenninico, come la Roverella (Quercus pubescens). Uno di essi (Ac7) è posto a monte del sito ed è stato utilizzato per definire il valore di fondo naturale (bianco), mentre i restanti sei sono a valle dell’opificio. Le profondità della falda sono comprese tra i 10 m ed i 20 m da p.c.. Le Roverelle campionate sono prossime 44 a piezometri e pozzi oggetto del monitoraggio, e presentano altezze comprese tra i 4 ed i 6 m. Poiché di norma le stesse presentano un apparato radicale a fittone, si può desumere che vi sia contatto tra l’apparato radicale degli alberi campionati e le acque contaminate. I sei alberi campionati sono stati scelti in modo che la loro disposizione fosse tale da intercettare ortogonalmente l’andamento ricostruito del plume della contaminazione delle acque sotterranee (Fig. 6). Fig. 6 – Schema mostrante l’andamento delle isoconcentrazioni del Tetracloroetilene nelle acque sotterranee e la posizione degli alberi nei quali è stata rilevata la presenza della stessa sostanza. I risultati analitici evidenziano, in tutti i campioni prelevati, la presenza di concentrazioni di PCE superiori al limite di rilevabilità strumentale (Tab.1). Considerato che il sito è inserito in un contesto nel quale il tessuto industriale è totalmente assente, fatta eccezione per l’opificio dismesso, la presenza, seppur in minime concentrazioni, di sostanze chimiche non naturali consente di poter tracciare un profilo della contaminazione attraverso le attività di phytoscreening. 45 Tab. 1 – Concentrazioni di Tetracloroetilene rilevati nei campioni di albero. Caso studio 2 Il sito industriale indagato risulta dismesso da oltre dieci anni, le indagini geologico-ambientali sono state effettuate a seguito della rimozione di alcuni serbatoi interrati contenenti 1,2 Dicloropropano (1.2 DCP) e PCE. Tali indagini condotte nel 2010 hanno evidenziato da subito una situazione di elevata criticità a carico delle matrici acque sotterranee e terreno. In particolare sono stati rinvenuti: PCE, TCE, Cloruro di vinile (CV), 1,2-cDicloroetilene (1,2-cDCE), 1,2-DCP, 1,2,3-Tricloropropano, 1,1-Dicloroetilene e Idrocarburi totali. Ciò ha comportato un’attività di messa in sicurezza di emergenza (MISE) che ha previsto la rimozione di uno spessore rilevante di terreno, e la realizzazione di una barriera idraulica (piezometri S2-S3). Le attività di phytoscreening sono state svolte in corrispondenza di cinque alberi presenti all’interno del perimetro del sito industriale. In particolare sono stati campionati due Platani (Platanus acerifolia), due Tigli (Tilia platyphyllos) e un Noce (Juglans regia). Tutti gli alberi sono posti a valle idrogeologica del sito stesso (Fig. 7). I risultati delle analisi chimiche dei tronchi d’albero mostrano la presenza di concentrazioni elevate di PCE, TCE, 1,2-cDCE e 1,2-DCP (Tab. 2). 46 Tab. 2 – Concentrazioni dei cVOCs rilevati nei campioni di tronco. I nove sondaggi attrezzati a piezometro (S) forniscono un quadro ambientale che individua in prossimità della zona di interramento dei serbatoi (perimetrata in rosso) la sorgente della contaminazione (Fig. 6). Inoltre, l’istallazione di otto sonde (SGS) per la misura del gas interstiziale contenuto nel terreno insaturo superficiale ha consentito di effettuare un controllo diretto sulla distribuzione degli inquinanti volatili in ambiente indoor (vapor intrusion) e outdoor. Si è costatata una buona correlazione tra le curve di isoconcentrazione di PCE, TCE, 1.2 DCE e 1.2 DCP nelle acque di falda (piezometri S1-S9), nel soil gas (SGS4-8) e negli alberi. In particolare in figura 7 è sintetizzato l’andamento delle concentrazioni di PCE nel sottosuolo integrando i valori delle acque sotterranee con quelle relative al phytoscreening. La cartografia di sintesi consente di valutare il plume della contaminazione che risulta più esteso rispetto a quanto valutato con le sole indagini relative alle acque sotterranee. Fig. 7 – Andamento delle concentrazioni di PCE nel sottosuolo ricostruito utilizzando sia i dati delle acque sotterranee sia i valori rilevati negli alberi. I triangoli rossi indicano i punti corrispondenti al rilevamento del soil-gas. 47 Conclusioni Alla luce degli studi effettuati, è possibile effettuare alcune considerazioni di sintesi, utili per tracciare i possibili sviluppi futuri dell’applicazione delle tecniche di phytoscreening. In primo luogo, l’individuazione di una contaminazione a carico della matrice biologica conferma l’applicabilità di questa metodica nell’ambito della caratterizzazione dei siti contaminati da cVOCs. Inoltre il phytoscreening si è dimostrato utile ai fini di ampliare il raggio d’azione areale delle verifiche ambientali e sanitarie nei siti contaminati e potenzialmente contaminati. Restano tuttavia aperte alcune questioni la cui soluzione potrebbe notevolmente ampliare il campo di applicazione di questo metodo di indagine ambientale. Fra quelle di maggior interesse possiamo annoverare: - il monitoraggio di un maggior numero di specie arboree per verificare la diversa capacità di assorbimento nei tessuti vegetali dei contaminanti alifatici clorurati; - il monitoraggio temporale degli alberi contaminati al fine di verificare lo sviluppo di fito-patologie connesse alla presenza delle sostanze contaminanti e il trasferimento della contaminazione dal tronco ai frutti; - l’eventuale impatto della contaminazione delle sostanze vegetali s.l. sugli eventuali consumatori primari (erbivori); - la potenziale utilità del phytoscreening ai fini del monitoraggio dell’andamento delle bonifiche e in particolare delle attività dell’Attenuazione naturale o di fitotecnologie nonché per l’applicazione dell’Analisi di Rischio Ecologica (ARE). Riferimenti bibliografici Balouet, J-C, Oudijk, G., Smith, K. T., Petrisor, I., Grudd, H., Stocklassa, B., Applied Dendroecology and EnvironmentalForensics. 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Pertanto fu sviluppato un Modello Concettuale del sito a supporto della progettazione che prevedeva di sottoporre a bonifica mediante scavo e smaltimento/riuso dei materiali scavati delle aree destinate alle nuove costruzioni(11.000 m2) e per le rimanenti aree (8.000 m2), destinate a costituire spazi verdi privati, fu prevista l’applicazione di tecniche di phytoremediation. Figura 1. Inquadramento dell’area d’intervento 51 Al fine di individuare le essenze vegetali maggiormente idonee al contesto ambientale ed alla tipologia di inquinanti da rimuovere, è stata avviata una fase preliminare alla progettazione definitiva che ha previsto un primo screening mediante dati bibliografici e successivi test di screening in vaso. La scelta delle piante è stata incentrata su specie arboree, in grado di sviluppare un apparato radicale adatto a raggiungere lo strato di inquinanti, localizzati alla profondità di 1 m dalla superficie. Dalla ricerca bibliografica è emerso che le specie arboree a rapida crescita, in particolare i pioppi, sono indicate come buoni candidati per applicazioni di fitotrattamento. Numerosi riferimenti in letteratura mostrano un’elevata capacità di tali alberi di tollerare e accumulare metalli pesanti, in esperimenti effettuati in vaso (Di Baccio et al., 2003; Rosselli et al., 2003; Sebastiani et al., 2004; Dos Santos Utmazian and Wenzel, 2007), in vitro (Franchin et al. 2007) e in campo (Eltrop et al., 1991; Robinson et al., 2000; Hammer et al., 2003; Keller et al., 2003; Klang-Westin and Eriksson, 2003; Laureysens et al., 2005). Screening in vaso Per i test di screening in vaso sono state utilizzate quattro varietà di pioppo, selezionate in base alle loro peculiarità emerse dalla letteratura ed alla loro maggiore reperibilità e diffusione dal punto di vista commerciale: Populus nigra, Populus nigra italica, Populus alba, Populus x euroamericana clone I-214. Per la sperimentazione sono state usate talee di nuova produzione di 30-60 cm, poste in vasetti di 1,4 l. Sono stati allestiti, per ogni varietà, 15 controlli, con terriccio comune, e 15 trattati, con il terreno inquinato proveniente dall’area di studio, setacciato con griglie grossolane prima dell’uso (per separare il terreno più fine dal materiale lapideo). Le piante sono state coltivate all’esterno, in una zona di mezz’ombra, e irrigate quando necessario in modo da mantenere il terreno costantemente umido. Al fine di valutare eventuali effetti tossici del substrato inquinato, la lunghezza della parte aerea di ciascuna pianta è stata misurata all’inizio e al termine del trattamento (dopo due mesi). Inoltre, per valutare la capacità fitoestrattiva delle quattro specie, campioni di foglie sono stati raccolti all’inizio e al termine del trattamento ed utilizzati per la determinazione della concentrazione di Cd, Pb e Zn, attraverso mineralizzazione umida dei campioni (digestione con HNO3 52 e HClO4 5:2 su piastra termostatica a 70-100°C) e lettura dei metalli mediante spettrometro ad assorbimento atomico (Perkin-Elmer Analyst 200). Dopo due mesi di coltivazione P. nigra, P. nigra italica e P. alba hanno mostrato una riduzione significativa della crescita nelle piante trattate rispetto ai controlli (Fig. 1a). Al contrario, per P. x euroamericana clone I-214 la crescita non è stata significativamente differente tra controlli e trattati (Fig. 1a). Un indice di tolleranza è stato ricavato normalizzando i valori di crescita delle piante trattate con i loro rispettivi controlli (Fig. 2b). P. x euroamericana clone I-214 è risultato significativamente più tollerante di tutte le altre varietà, mentre P. alba ha esibito il minore indice di tolleranza. P. nigra e P. nigra italica hanno mostrato una tolleranza intermedia, senza alcuna differenza significativa tra le due varietà. Figura 2. a) Lunghezza della parte aerea delle quattro varietà di pioppo (controlli e trattati) dopo due mesi di coltivazione (media ± ES). b) Indice di tolleranza dopo due mesi di coltivazione (media ± ES). Le concentrazioni dei metalli determinate nei campioni di foglie sono riportate in figura 3. Per quanto riguarda Cd e Pb, nessuna varietà ha mostrato differenze significative tra controlli e trattati. Inoltre, per lo Zn, i valori sono risultati addirittura superiori nelle piante coltivate su terriccio comune (ad eccezione di P. nigra) rispetto a quelle cresciute su terreno inquinato. Nel complesso, i dati sull’accumulo nelle foglie non hanno fornito risultati rilevanti tali da fornire indicazioni utili sulla capacità fitoestrattiva delle varietà testate, probabilmente a causa della breve durata del periodo di trattamento (legato ai tempi tecnici della progettazione definitiva dell’intervento complessivo di bonifica) che non ha consentito un’apprezzabile estrazione degli elementi da parte delle piante. L’analisi della crescita delle parti aeree ha fornito invece utili indicazioni sulla 53 diversa tolleranza delle piante al terreno inquinato. Populus nigra e Populus x euroamericana clone I-214 sono state le varietà più tolleranti tra quelle testate e pertanto sono state selezionate per la fase successiva di applicazione in campo. Figura 3. Concentrazioni di metalli determinate nei campioni di foglie delle quattro varietà di pioppo (controlli e trattati) dopo due mesi di coltivazione (media ± ES). 54 Progetto di Bonifica Il progetto esecutivo fu elaborato in due stralci funzionali (novembre 2008): - Stralcio 1 – bonifica di area per realizzazione edilizia residenziale - Stralcio 2 – bonifica lungo termine mediante phytoremediation L’area destinata alla phytoremediation è stata suddivisa in due maglie durante la fase di caratterizzazione. (fig.4) Figura 4. Area destinata alla phyremediation L’iter autorizzativo non ha avuto intralci e nella Primavera del 2009 fu allestito il cantiere per la phytoremediation. Sulla base di quanto emerso dalla fase di screening fu previsto l’inserimento di giovani piante (h 2,5 – 3 m) di Populus nigra e Populus x euroamericana clone I-214. Le essenze vegetali, reperite in vivaio, furono piantumate con un sesto di impianto a maglia quadrata di 5 m. Per sopperire ad eventuali periodi di prolungata 55 mancanza d’acqua, fu realizzato un sistema di microirrigazione a goccia alimentato per gravità tramite tre cisterne di accumulo per l’acqua rifornite periodicamente mediante autobotte. Figura 5. Planimetria di progetto della phytoremediation Con il progetto esecutivo fu redatto ed approvato anche un Piano di monitoraggio. Figura 6. Area durante il cantiere con messa a dimora delle piante 56 Figura 7. Area dopo pochi mesi dal termine del cantiere (settembre 2009) Monitoraggio della bonifica Per monitorare l’andamento della bonifica e la capacità estrattiva delle piante, campioni di foglie e terreno sono stati raccolti al momento della piantumazione (primavera 2009) e a fine estate 2010 e 2011. Le foglie sono state raccolte casualmente dalle piante per un totale di 15 campioni, mentre i suoli sono stati campionati in 5 differenti punti distribuiti nelle due maglie dell’area, ad una profondità di 1 m. Tutti i campioni sono stati essiccati e sottoposti a mineralizzazione umida (HNO3 e HClO4 5:2 su piastra termostatica a 70100°C) e determinazione della concentrazione dei metalli mediante spettrometro ad assorbimento atomico (Perkin-Elmer Analyst 200). La concentrazione dei metalli determinata nei campioni di foglie dei pioppi è riportata in figura 8. Per tutti e tre i metalli i valori sono risultati significativamente superiori nei campioni del 2010 e del 2011 rispetto a quelli raccolti al momento della piantumazione, indicando una certa capacità estrattiva da parte dei pioppi, soprattutto relativamente a Cd e Zn. 57 Figura 8. Concentrazioni di metalli determinate nei campioni di foglie dei pioppi raccolte dal 2009 al 2011 (media ± ES). Per quanto riguarda le concentrazioni di metalli riscontrate nei campioni di suolo (figura 9), fatta eccezione per lo Zn nella maglia 1, i valori dei campioni 58 del 2010 e del 2011 sono risultati sempre significativamente inferiori rispetto a quelli rilevati nei campioni del 2009. Inoltre, le concentrazioni determinate nel 2010 e nel 2011 sono sempre al di sotto dei limiti massimi previsti per legge per i siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale (D.lgs. 152/06 s.m.i.). Figura 9. Concentrazioni di metalli (media ± ES) determinate nei campioni di suolo raccolti nella maglia 1 (M1) e nella maglia 2 (M2) del sito dal 2009 al 2011. La linea tratteggiata indica i limiti normativi previsti per i siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale (D.lgs. 152/06 s.m.i.). 59 Considerazioni conclusive Dopo soli due anni di intervento in campo sono stati ottenuti risultati promettenti, i pioppi hanno mostrato un grande potenziale per applicazioni di phytoremediation; la concentrazione di metalli nel suolo è diminuita in maniera significativa e i valori sono risultati al di sotto dei limiti normativi previsti per i siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale (D.Lgs. 152/2006). La concentrazione di metalli nei campioni di foglie del 2010 e del 2011 sono risultate più elevate di quelle trovate nelle foglie delle pioppelle al momento della messa a dimora, mostrando capacità fitoestrattiva dei pioppi. Infine gli obiettivi plurimi del progetto sono stati raggiunti: coniugare aspetti economici ed ambientali della bonifica con la possibilità di avere aree verdi di compensazione come prevedono i piani urbanistici comunali per le nuove lottizzazioni. Riferimenti bibliografici Di Baccio D., Tognetti R., Sebastiani L. and Vitagliano C. (2003). Responses of Populus deltoides × P. nigra (P. × euramericana) clone I-214 to high zinc concentrations. New Phytologist, 159, 443–452. Dos Santos Utmazian M. N. and Wenzel W. W. (2007). Cadmium and zinc accumulation in willow and poplar species grown on polluted soils. Journal of Plant Nutrition and Soil Science, 170, 265–272. Eltrop L., Brown G., Joachim O. and Brinkmann K. (1991). Lead tolerance of Betula and Salix in the mining area of Mechernich/Germany. Plant Soil, 131, 275–285. Franchin C, Fossati T, Pasquini E, Lingua G, Castiglione S and Torrigiani P. (2007). 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L’ufficio attuazione OO.PP., è stato incaricato della progettazione delle infrastrutture e dell’arredo urbano del centro di Castelluccio di Norcia, in particolare sono state realizzate le reti infrastrutturali, che si articolano in fognature, acquedotto, reti di distribuzione del gas, reti telefoniche ed elettriche, illuminazione pubblica e pavimentazione stradale e arredo urbano. In quest’ottica si inserisce la progettazione di un impianto di depurazione ubicato in un area che si trova a circa 600 m a nord-est rispetto al centro del paese, in una zona agricola pressoché pianeggiante situata alla quota media di 1314 m s.l.m.. Durante la stagione turistica, i volumi di acque reflue prodotte aumentano notevolmente e di conseguenza lievitano anche i costi e le difficoltà operative. Si verificano dei picchi di presenza, dovuti sia alle attività turistiche che alle seconde case, con massimi attualmente previsti intorno ai 500-600 a.e.; l’utenza massima stimata, in base alle previsioni di espansione per i prossimi 10 anni, è pari a circa 1000 a.e. e su tale potenzialità è stato dimensionato l’impianto. In linea con i principi dalla Direttiva 2000/60 CE, tenendo conto dell’alta oscillazione stagionale delle utenze del sito di Castelluccio e della sua alta valenza ambientale e paesaggistica, la scelta è caduta su di un sistema di trattamento di tipo naturale (fitodepurazione), in modo da garantire - un alto livello depurativo, - semplicità di gestione, - costi di gestione ridotti 63 - il rispetto della naturalità dell’ambiente e del paesaggio L’impianto è impostato in due fasi fisicamente distinte; - la prima, di pretrattamenti è realizzata in alto in una zona a margine della strada facilmente raggiungibile per controlli e manutenzioni; - la seconda, di fitodepurazione è invece posizionata a valle così da poter essere alimentata per gravità. Lo schema adottato è particolarmente innovativo per il panorama italiano, in quanto non produce prodotti di scarto ed è articolato come segue: - 1° stadio a flusso sommerso verticale per il trattamento dei reflui grezzi (RBF) per una superficie totale di 1014 mq., suddiviso in 3 linee (costituite ciascuna da 2 vasche) operanti in parallelo, una sola linea viene alimentata per 3.5 giorni e le altre rimangono ferme, assicurando così un periodo di riposo di 7 giorni che garantisce un’ottima mineralizzazione della sostanza organica; - Stazione di sollevamento per l’alimentazione del 2° stadio; - 2° stadio a flusso sommerso verticale (VF), suddiviso in 2 linee ognuna delle quali è composta da 2 vasche per una superficie totale di 1000 mq.; - Sistema a flusso libero superficiale (FWS), costituito da 2 bacini (uno per linea) con campionamento in uscita da ciascun bacino: ogni bacino ha una superficie impermeabilizzata pari 460 mq. e una superficie di infiltrazione di 130 mq.. - Trincea di subirrigazione per lo smaltimento di eventuali sovrafflussi della lunghezza complessiva di 200 m (100 m per linea). Il primo stadio (un sistema a flusso verticale modificato per il trattamento di reflui grezzi) permette di trattare le acque reflue senza che queste vengono sottoposte ad un trattamento primario di sedimentazione, raggiungendo rendimenti di abbattimento sul COD superiori all’80%, mentre il secondo stadio (di tipo a flusso verticale classico) affina ulteriormente il processo di depurazione. L’impianto è interamente a flusso sommerso, il che evita la proliferazione di insetti o la formazione di aerosols e cattivi odori. Per migliorare sensibilmente l’inserimento ambientale, intorno al sistema di 64 fitodepurazione sono stati realizzati, su richiesta dell’Ente Parco nazionale dei Sibillini, due sistemi umidi in cui si è ricreato l’ habitat idoneo per la fauna selvatica, in particolare quella anfibia. Il sistema umido è stato progettato in modo da diversificare i microhabitat con zone ad acque ferme e zone con debole corrente alternate a zone con stramazzi necessari per rendere più ossigenata l’acqua; alla fine di esso una zona non impermeabilizzata consente la lenta infiltrazione delle acque nel sottosuolo, sfruttando anche la buona permeabilità dei terreni, dopo aver raggiunto un’ottima qualità biologica e microbiologica. L’area, è delimitata da una recinzione alta 1,2 m e a maglia larga per permettere il passaggio della fauna, si presenta in modo estremamente naturale, senza che siano visibili opere edilizie ed elettromeccaniche. La progettazione è stata eseguita all’interno del Servizio Regionale delle Opere Pubbliche, con la consulenza specialistica dello studio I.R.I.D.R.A. di Firenze, la direzione dei lavori è stata condotta da tecnici dello stesso Servizio Regionale. La realizzazione materiale delle opere è stata affidata alla ditta Metalmeccanica Pulsoni di Amelia (TR) esperta nel settore depurazione. La presenza di esperti nel settore della fitodepurazione, la collaborazione degli Enti e delle Imprese coinvolte, la passione e la competenza che ha guidato l’impresa Metalmeccanica Pulsoni e i tecnici coinvolti, nonché il costante coordinamento del Servizio Opere Pubbliche, ha permesso di attuare, nei tempi previsti, un impianto innovativo, ecosostenibile in termini di consumi e smaltimenti, che rappresenta un visibile esempio di risoluzione delle problematiche di depurazione per molti centri regionali, con il rispetto del paesaggio, così prezioso per una regione come l’Umbria. 65 Documentazione fotografica 66 67 68 69 70 71 Parametri anlisi 72 Risultati ottenuti L’impianto di fitodepurazione è entrato in funzione a luglio 2012. Consegnato al Comune di Norcia nel gennaio 2013 e preso in carico dalla Valle Umbra Servizi per la manutenzione necessaria. La regione Umbria e la Valle Umbra Servizi hanno effettuato le analisi previste dalla legge riscontrando fin dal primo prelievo dei valori che rispettano ampiamente quanto previsto dalle tabelle di riferimento. 73 74 Micorisanamento di suoli altamente e storicamente inquinati: un approccio sostenibile Maurizio Petruccioli, Stefano Covino (Dipartimento per la Innovazione nei sistemi Biologici, Agroalimentari e Forestali (DIBAF), Università degli Studi della Tuscia), Riccardo Melfa (Eni Mediterranea Idrocarburi SpA), Paolo Belfanti (AECOM Italy srl), Alessandro D’Annibale (Dipartimento per la Innovazione nei sistemi Biologici, Agroalimentari e Forestali (DIBAF), Università degli Studi della Tuscia) Introduzione Anche nell’ambito delle tecnologie di recupero o bonifica dei siti contaminati si sta andando verso approcci multidisciplinari e criteri di sostenibilità ambientale. Conseguentemente, la scelta della tecnologia da applicare non può prescindere da una preventiva ed attenta analisi di tutti gli elementi che sono in gioco quali ad esempio, il tipo di contaminante, la storia del sito, le caratteristiche chimicofisiche e strutturali del suolo, ecc. Ove possibile e compatibilmente con l’analisi di rischio, ci si indirizza verso la cosiddetta “attenuazione naturale”. Quando, invece, è necessario prevedere un intervento di bonifica si cerca di applicare approcci di biorisanamento “in-situ” che in genere consistono nel creare condizioni favorevoli (ventilazione, aggiunta di nutrienti, correzione del pH, ecc.) per stimolare la microflora microbica indigena a degradare i contaminati. Un approccio “in-situ” che è ancor più ecosostenibile è il cosiddetto “fitorimedio” o “fitorimedio assistito” che prevede l’impiego di piante da sole o in associazione con microrganismi che contribuiscono a livello della rizosfera. Tuttavia, esiste una ampia casistica di siti contaminati che, purtroppo, non possono essere sottoposti a tecnologie di biorisanamanto “in situ” e che, quindi, devono essere necessariamente sottoposti ad approcci tecnologici più impegnativi definiti come “ex-situ” che prevedono escavazione del suolo contaminato e trattamento in loco (“on site”) [1, 2]. Di seguito vengono brevemente elencate le principali condizioni che indirizzano la scelta della tecnologia più adatta nell’ambito di quelle “ex-situ”: - i contaminanti o i possibili intermedi di degradazione possono essere mobilizzati con conseguente rischio di estensione della contaminazione (es. contaminazione della falda); 75 - - - - la struttura/tessitura del suolo non è compatibile con l’attuazione di trattamenti “in-situ” (es., un suolo fortemente argilloso con insufficiente porosità); la contaminazione e il conseguente livello di tossicità (es., cocontaminazione da idrocarburi aromatici e metalli pesanti) sono così elevati da non rendere il suolo biotrattabile “in situ”; in sostanza la microflora autoctona o alloctona è inibita dai contaminanti e nel caso del fitorimedio le piante introdotte subiscono effetti fitotossici molto seri; l’idrofobicità dei contaminati ed i fenomeni di “aging” (tipici di suoli storicamente contaminati) rendono i contaminanti non biodisponibili e quindi recalcitranti [3]; la contaminazione non è profonda e quindi l’escavazione è possibili con costi contenuti; i tempi stimati di bonifica del sito, attuando tecniche di biorisanamento “in situ”, sono eccessivamente lunghi (anche vari anni) con conseguenze pesanti in termini di costi; quindi, tecnologie “ex situ”, seppur più costose nella fase iniziale di attuazione, possono risultare più convenienti in quando consentono trattamenti molto più veloci. Il micorisanamento Tra le possibili tecniche di biorisanamento “ex-situ” il cosiddetto “micorisanamento”, cioè biorisanamento che utilizza funghi, sembra adattarsi alle situazioni sopraelencate. Nel micorisanamento possono essere coinvolti sia funghi mitosporici e muffe, come funghi in grado di dare vita a corpi fruttiferi macroscopici (es. molti basidiomiceti) come molti dei funghi eduli. Si parla di micorisanamento sia quando vengono inoculati funghi nel suolo come anche quando si adottano strategie atte a stimolare la crescita di funghi autoctoni nel suolo stesso (ad esempio, aggiunta di ammendanti lignocellulosici) [2]. Alcuni protocolli di micorisanamento sono basati sull’impiego di un gruppo di funghi basidiomiceti, gli agenti della carie bianca (i cosiddetti “white-rot”), caratterizzati da una spiccata attitudine degradativa sui materiali lignocellulosici [1]. La lignina, una macromolecola di incrostazione della parete cellulare vegetale, è un etero-polimero aromatico complesso costituito da subunità a scheletro 76 fenilpropanoidico interconnesse attraverso una grande varietà di legami eterei e carbonio-carbonio. L’estrema eterogeneità strutturale e, in particolare, la natura polimerica della lignina rende questa macromolecola resistente alla degradazione da parte di sistemi enzimatici intra-cellulari. Di conseguenza, i funghi white-rot hanno sviluppato nel corso dell’evoluzione un sistema degradativo localizzato nell’ambiente extra-cellulare basato su enzimi aspecifici che agiscono generando radicali [2,4]. Tali organismi sono in grado, quindi, di degradare un’ampia varietà di composti xenobiotici, caratterizzati, talvolta, da bassa bio-disponibilità [3]. Ad esempio, composti recalcitranti come pesticidi clorurati, idrocarburi policiclici aromatici, bifenili policlorurati, coloranti sintetici, esplosivi a base nitro-aromatica, asfalteni dal carbon fossile, acidi cloro benzoici e principi attivi farmacologici (ad esempio gli “endocrine disruptors”) sono degradati con alto grado di efficienza dai funghi white-rot [5-12]. La degradazione di molecole recalcitranti da parte di questi organismi dipende dalla produzione e dall’escrezione da parte del fungo di un gruppo di enzimi che includono ossidasi a rame (laccasi e tirosinasi), ossidasi generanti perossido di idrogeno (glucosio-ossidasi, gliossal-ossidasi e aril-alcool ossidasi) e perossidasi (ligninasi e perossidasi manganese-dipendenti). Una serie di meccanismi di tipo non enzimatico, coinvolgenti specie chimiche a basso peso molecolare, quali acidi organici e metalli di transizione, assistono tali enzimi generando specie reattive dell’ossigeno (anione radicale superossido, radicale ossidrile e ossigeno singoletto) che poi catalizzano l’azione degradativa [1,2, 5, 6]. Quindi, oltre alla capacità di produrre ossidasi extracellulari in grado di attaccare un’ampia gamma di contaminanti organici a bassa biodisponibilità e recalcitranti, i funghi filamentosi hanno caratteristiche che ne favoriscono l’impiego nel biorisanamanto dei suoli quali i) la notevole propensione alla colonizzazione del suolo e alla penetrazione nella matrice contaminata mediante accrescimento apicale delle ife così veicolando anche i batteri indigeni [2,13], ii) l’elevata tolleranza nei confronti di contaminanti organici e inorganici [14,15], iii) l’ampio intervallo di pH in cui i funghi possono crescere e decontaminare (pH 2,5-7,5), iv) partecipano ai processi di umificazione del suolo che favoriscono il recupero del suolo ad un uso produttivo [2]. 77 Casi di studio Il gruppo di ricerca di Biotecnologie Ambientali del DIBAF, coordinato dal Prof. M. Petruccioli e dal Dott. A. D’Annibale, da oltre 10 anni si interessa di biorisanamento di suoli contaminati utilizzando i funghi filamentosi. Di seguito vengono descritti alcuni casi di studio nei quali sono stati sottoposti a micorisanamento suoli provenienti da vari siti storicamente contaminati caratterizzati da elevati livelli di tossicità, bassa biodisponibilità dei contaminanti e verificata inefficienza di trattamenti di biostimolazione in situ. In Tab. 1 sono riportati i valori di abbattimento percentuale dei contaminanti organici a seguito di micorisanamento di un suolo storicamente inquinato da idrocarburi aromatici proveniente dal sito ACNA di Cengio (Savona) [15,16]. Nel suolo erano presenti anche metalli pesanti, quali mercurio, nichel, rame, piombo e arsenico, a concentrazioni molto al di sopra dei limiti di legge. In questo caso sono stati impiegati sia funghi alloctoni, cioè previeni enti da collezioni di funghi, che isolati dal suolo stesso. Tra questi ultimi si riportano in tabella i dati di Stachybotris sp. che mostra un abbattimento percentuale medio simile a quello dei funghi alloctoni ma che evidenzia una maggiore specificità nei confronti del 9,10-Antracendione (40,7% di abbattimento), uno dei contaminanti preponderanti nel suolo. Tabella 1 - Abbattimento percentuale dei contaminanti da parte di funghi alloctoni (P. pulmunarius e P. chrysosporium) o autoctoni (Stachybotrys sp.) utilizzati nel trattamento (30 giorni) di un suolo proveniente dal sito ACNA ammendato con paglia di mais [15,16]. Contaminante P. pulmunarius CBS 664.97 P. chrysosporium NRRL 6361 Stachybotrys sp. DABAC 3 100,0 Triclorobenzene (1,3,5 o 1,2,3) 100,0 100,0 Naftalene 100,0 100,0 94,7 Tetraclorotiofene 100,0 100,0 100,0 1,2,4,5-Tetraclorobenzene 100,0 100,0 60,9 2,6-Dicloroanilina 100,0 100,0 93,9 2,4-Dicloroanilina 100,0 100,0 84,8 1,2,3,4-Tetraclorobenzene 100,0 100,0 67,1 Difeniletere 100,0 100,0 76,8 2,6-Dicloro-3-metilanilina 100,0 100,0 81,6 Pentaclorobenzene 100,0 100,0 100,0 78 Contaminante Fenantrene P. pulmunarius CBS 664.97 P. chrysosporium NRRL 6361 Stachybotrys sp. DABAC 3 100,0 100,0 100,0 2,3,4,5,6-Pentacloroanilina 26,3 19,2 5,5 Difenilsulfone 31,2 32,0 66,4 9,10-Antracendione 17,1 8,7 40,7 1-Cloro-9,10-antracendione 20,9 17,8 23,2 1-Ammino-9,10-antracendione 41,1 45,2 49,8 1,1-binaftalene 24,0 25,6 21,1 7H-Benz[de]antracen-7-one 21,0 17,8 10,4 Riduzione media 71,2 70,3 65,4 Le percentuali di abbattimento dei contaminanti (intorno al 70%) erano interessanti tenendo conto dei tempi di trattamento molto ridotti (30 giorni) e, soprattutto, dimostravano anche una significativa riduzione (tra il 70 e l’80%) della tossicità del suolo, valutata in termini di mortalità dei collemboli (Folsonia candida), test di contatto molto sensibile nel caso di contaminanti idrofobici. Il notevole abbassamento dei livelli di tossicità era anche associato alla ben nota capacità dei funghi di bioadsorbire i metalli pesanti e di produrre acidi organici (acido ossalico nel caso dei white-rot) in grado di complessare detti metalli riducendone la biodisponibilità [14]. Un altro caso interessante è stato quello in cui è stato sottoposto a micorisanamanto un suolo storicamente contaminato da creosoto (una miscela di idrocarburi policiclici aromatici) proveniente da Sobeslav, in Boemia; in quel contesto è anche stata valutata la possibilità di trattare traversine in legno contaminate dallo stesso contaminante [17,18]. I test di trattabilità sono stati condotti utilizzando 5 diversi fungi white-rot veicolati utilizzando tre diversi supporti lignocellulosi su cui i funghi erano preventivamente fatti crescere. Come di evince dai dati riportati in Fig. 1, nel caso del micorisanamanto del suolo il ceppo 3004 di Pleurotus ostreatus cresciuto su pellets era il più efficiente, mentre nel caso delle traversine contaminate le migliori performance degradative erano ottenute con Irpex lacteus cresciuto su paglia o su pannocchia di mais. Lo studio aveva anche evidenziato come tutti i funghi utilizzati avessero la capacità di degradare il fenantrene oltre la loro concentrazione biodisponibile [17,18]. 79 Fig. 1 – Concentrazioni residue di idrocarburi policiclici aromatici (IPA) dopo 60 giorni di trattamento di un suolo (A) o traversine in legno (B) contaminati da creosoto in presenza del solo ammendante (controllo non inoculato) o cinque diversi fungi white-rot veicolati utilizzando tre diversi supporti lignocellulosi [17,18]. Il fungo white-rot Lentinus tigrinus è stato utilizzato su un suolo storicamente contaminato da Aroclor 1260 (Area SpA, Ravenna, Italy), che aveva un contenuto totale di PCB pari a 776 mg/kg. I test di trattabilità sono stati anche condotti valutando l’opportunità di aggiungere olio di soia come agente mobilizzante visti i bassi livelli di biodisponibilità e l’alta idrofobicità dei contaminanti [7]. Il beneficio derivante dall’aggiunta di un agente mobilizzante era significativo (33.8% di abbattimento in presenza di olio rispetto 26.9% in sua assenza); va sottolineato, comunque che l’efficacia degli agenti mobilizzanti 80 non è generalizzabile e sembra dipendere molto dal suolo considerato e dal ceppo fungino [3,19]. Il quarto caso di studio che viene brevemente descritto è quello relativo ad un sito in Sicilia (vicino a Gela) che presenta contaminazioni storiche da sversamenti di petrolio e derivati. Il sito, gestito da EniMed, è complesso anche per estensione e, soprattutto, per la struttura del suolo che è principalmente argillosa (~40%). Negli anni la frazione leggera del petrolio è stata rimossa per volatilizzazione e biodegradazione naturale, portando ad un accumulo nel suolo della frazione recalcitrante costituita da circa 70% di idrocarburi alifatici medio-pesanti (C13C36) e 30% di idrocarburi aromatici (C13-C22). Studi effettuati in precedenza simulando approcci di biostimolazione “in situ” non si erano dimostrati efficaci. Il presente studio prevedeva test di trattabilità finalizzati a valutare comparativamente l’uso di ammendanti lignocellulosici e di inoculi con funghi in vista di un possibile trasferimento su scala di campo. Dopo una selezione che ha riguardato circa 40 ceppi tra isolati dal sito e funghi di collezione, sono stati utilizzati 5 funghi (Pleurotus ostreatus CCBAS 278, Botryosphaeria rhodina DABAC P82, Candida maltosa NRRL Y17677, Tricoderma virens e Pseudoallescheria boydii) da soli o in associazione. Il suolo contaminato (9600 mg kg-1 di idrocarburi alifatici C>12) era ammendato (20%) con paglia di grano e trucioli di pioppo (70:30). Dopo l’inoculo fungino i suoli erano incubati a 2530°C per 60-90 giorni in condizioni non sterile a circa il 50% della capacità di ritenzione idrica. I campioni erano poi analizzati per determinare: concentrazione residua di idrocarburi, ecotossicità, crescita di fungi e batteri indigeni, produzione di enzimi degradativi . Si osservava una degradazione significativa degli idrocarburi già dopo 60 giorni nella maggior parte di trattamenti fungini: in particolare, P. ostreatus da solo o in associazione con B. rhodina determinava una rimozione di 75.2 e 91.6%, rispettivamente (Fig. 2). E’ da notare, comunque, che anche l’uso dei soli ammendanti lignocellulosici stimolava la crescita della microflora residente, soprattutto dei funghi indigeni, determinando un abbattimento degli idrocarburi fino al 60%. Anche i test ecotossicologici (germinabilità di Lepidium sativum e mortalità di Folsomia candida) indicavano detossificazione del suolo che nel caso del trattamento con P. ostreatus riduceva la mortalità dei collemboli da 83 a 20% [20]. 81 Fig. 2 – Idrocarburi a lunga catena (C>12) residui (% della concentrazione iniziale) dopo 30, 60 e 90 giorni di trattamento di un suolo contaminato da petrolio in presenza del solo ammendante (controllo non inoculato) o di quattro differenti fungi inoculati da soli o in co-coltura. I dati, media di tre repliche, sono confrontati statisticamente mediante Tukey test: lettere uguali indicano assenza di differenze statisticamente significative confrontando i tempi di incubazione nell’ambito dello stesso inoculo (lettere minuscole) o confrontando gli inoculi allo stesso tempo di incubazione (lettere maiuscole) (P<0.05) [20]. In base a questi risultati è stato predisposto un progetto presentato al Ministero dell’Ambiente, per il trasferimento del processo su scala pilota utilizzando biopile. Conclusioni Il micorisanamento è ormai una tecnologia ampiamente collaudata per la sua efficacia nei casi di contaminazioni storiche e caratterizzate da elevata tossicità. La sostenibilità di questa tecnologia risiede nel fatto che richiede tempi di trattamento ridotti, consentendo di restituire rapidamente il suolo ad un uso economico. Inoltre, quando è provata l’efficienza di specie fungine eduli (come Pleurotus spp., Agaricus spp. e Coprinus spp.) si può valutare l’opportunità di 82 utilizzare il cosiddetto “compost spento”, ciò che residua dalla coltivazione dei fungi coltivati e che costituisce per l’azienda un rifiuto da smaltire. Infatti, questa matrice di scarto è ricca in micelio fungino ed enzimi ad attività degradativa che ne fanno un ottimo inoculo, ammendante e vettore di enzimi utili. Infine, è ormai noto che il micorisanamento, oltre ad aumentare il contenuto in acidi umici e quindi la fertilità del suolo, innalza in modo significativo il grado di biodiversità microbica [7,21] parametro che è in genere compromesso nei suoli contaminati. Bibliografia 1. Gao D., Du L., Yang J., Wu W-M., Liang H. A critical review of the application of white rot fungus to environmental pollution control. Crit. Rev. Biotechnol. 30 (2010) 70–77. 2. Sasek V. Why mycoremediations have not yet come into practice. In: V. Sasek, J.A. Glaser, P. Baveye (Eds.). “The Utilization of Bioremediation to Reduce Soil Contamination: Problems and Solution”, Kluwer Academic, Dordrecht, (2003) pp. 247–266. 3. Leonardi V., Sasek V., Petruccioli M., D´Annibale A., Erbanova P., Cajthaml T. Bioavailability modi¿cation and fungal biodegradation of PAHs in aged industrial soils. Int. Biodeter. Biodegr. 60 (2007) 165–170. 4. Johannes C., Majcherczyk A. 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NICOLE workshop “Implementation of Sustainability in Management of Contaminated Land – in particular using emerging ‚green‘ technologies”, Lisbon, 12-14 June 2013. Federici E., Giubilei M.A., Cajthaml T., Petruccioli M., D’Annibale A. Lentinus (Panus) tigrinus augmentation of a historically contaminated soil: matrix decontamination and structure and function of the resident bacterial community. J. Haz. Mat. 186 (2011) 12631270. Fitodisidratazione/fitorimedio in ambiente confinato: realizzazione di un sistema pilota per la messa a punto delle strategie di disidratazione del sedimento presente nella laguna di olmeto Dario Liberati, Paolo De Angelis (DIBAF, Dipartimento per l’Innovazione dei sistemi Biologici, Agroalimentari e Forestali - Università degli Studi della Tuscia, Viterbo) Riassunto Negli ultimi anni sono stati attivati in Italia molti impianti di produzione di Biogas da reflui zootecnici; il punto critico della produzione di biogas è tuttavia l’utilizzo del digestato risultante a valle del processo di digestione anaerobica. Il progetto qui descritto riguarda l’uso di specie vegetali per la disidratazione del sedimento derivante dalla non corretta gestione dei residui del Biodigestore di Olmeto (PG), attualmente stoccati in una laguna sita all’interno dell’impianto stesso. La sperimentazione, finalizzata alla disidratazione in situ del fango, prevede una prima fase in ambiente confinato, cui farà seguito la realizzazione di un impianto pilota su una porzione limitata del bacino, e infine l’estensione del sistema di fitodisidratazione sull’intera superficie del sito; la prima fase, realizzata per mezzo di contenitori riempiti con il residuo da trattare, è attualmente in corso; al progredire dello sviluppo delle piante verrà valutata la capacità delle diverse specie (installate attraverso diverse tipologie di impianto) di attecchire e di accrescersi, e quindi di ridurre, attraverso il processo di traspirazione, il contenuto idrico del fango; allo stesso tempo verranno monitorate le modificazioni delle caratteristiche chimiche, fisiche e microbiologiche del substrato. I risultati ottenuti dalle prove in contenitore permetteranno di individuare le specie e le tipologie di impianto più indicate per la realizzazione delle prove in laguna, tenendo conto che la colonizzazione del bacino da parte della vegetazione conseguirà il duplice scopo di messa in sicurezza del sito e di rinaturalizzazione dell’area, già frequentata da specie di interesse, come il cavaliere d’Italia. Introduzione Le aree umide costituiscono il 4-6% delle terre emerse, e rappresentano un habitat unico per un’ampia varietà di flora e fauna, accogliendo specie provenienti sia 85 da ecosistemi acquatici che terrestri (Bedford, Leopold, & Gibbs 2001). Esse forniscono inoltre importanti servizi ecosistemici, quali il miglioramento della qualità delle acque, il controllo delle inondazioni e l’assorbimento di CO2 atmosferica; la capacità propria a questi ecosistemi di trattenere le sostanze inquinanti presenti nelle acque e di stabilizzare i sedimenti contaminati è alla base dell’uso di aree umide artificiali per il recupero di acque e suoli inquinati (Mitsch 2013). L’applicazione delle fitotecnologie a bacini naturali/artificiali contaminati, può essere finalizzata alla depurazione delle acque nel caso di sistemi aperti, oppure in quelli chiusi, alla fito-disidratazione degli stessi come presupposto per la bonifica dei sedimenti presenti. Attraverso opportuni confinamenti del sedimento, è inoltre possibile agire contemporaneamente sulle due matrici (acqua e sedimento). Il sito di intervento Il progetto pilota qui presentato, si propone di utilizzare l’approccio fitotecnologico per la disidratazione del sedimento presente in un bacino di stoccaggio posto a servizio di un impianto per la produzione di biogas da reflui zootecnici. Il progetto è in fase di realizzazione presso il Biodigestore di Olmeto, di proprietà del Comune di Marsciano (PG) (Figura 1a). Figura 1. a) vista aerea del sito di Olmeto (in evidenza l’impianto per il trattamento dei rifiuti e la laguna, attualmente coperta quasi interamente da teli); b) vista da terra di una zona scoperta della laguna 86 La linea di produzione (ormai ferma da diversi anni) prevedeva la suddivisione del digestato nelle frazioni solida e liquida, quest’ultima stoccata in una laguna (circa 3 ettari di superficie e 4 metri di profondità) adiacente all’impianto in attesa di venire destinata alla fertirrigazione (Figura 1b). Nel corso del tempo tuttavia, la non sempre perfetta separazione delle due frazioni ha causato un progressivo accumulo nel bacino di sedimenti fini in sospensione. Una commissione tecnica istituita presso il Comune di Marsciano ha analizzato le diverse possibilità di svuotamento di questo bacino, individuando un approccio di tipo integrato che combini l’uso agricolo del rifiuto, il compostaggio e il fitorimedio. Il fitorimedio si configura in questo caso come fitodisidratazione, ossia come un processo di progressiva disidratazione del sedimento ad opera dei processi traspirativi delle piante, che porterà al consolidamento del substrato attualmente semiliquido (Otte & Jacob 2006). L’impiego di piante direttamente poste in laguna può allo stesso tempo rappresentare un primo passo verso la creazione di un’area d’interesse naturalistico, avendo già osservato la presenza di avifauna propria alle zone umide: tra queste risulta di particolare interesse il cavaliere d’Italia (Himantopus himantopus L.), con numerose coppie che nidificano abitualmente nel sito. Caratterizzazione del sedimento Grazie al continuo apporto delle precipitazioni, il sedimento si trova quasi costantemente in sospensione, senza evidenti soluzioni di continuità all’interno del bacino. Con il progredire della stagione estiva e in prossimità dei bordi, si osserva un relativo consolidamento delle particelle fini presenti, che vanno a formare una crosta superficiale temporaneamente emersa. Campioni di sedimento e acqua (fango) sono stati prelevati a cinque profondità in sei punti della laguna, e analizzati dal laboratorio di Chimica agraria dell’Università degli Studi di Perugia (Resp. Scie. Prof. G. Gigliotti). I risultati hanno dimostrato come la composizione del materiale sia uniforme tanto in senso orizzontale quanto in quello verticale, con un contenuto di acqua pari a circa l’80% in peso. Da un punto di vista ambientale il materiale non presenta alcuna problematica legata a composti organici, quali PCB e POP. Per quanto concerne i metalli pesanti, concentrazioni elevate sono state riscontrate unicamente per Cu e Zn, normalmente presenti come integratori nella razione alimentare dei suini. I principali macronutrienti (N, P, K) sono largamente disponibili. 87 L’ipotesi progettuale per la fito-disidratazione del sedimento e la sua verifica Allo scopo di mettere a punto e validare l’ipotesi di intervento sviluppata in fase progettuale, è stata iniziata una prima fase sperimentale in cui le modalità previste dal progetto sono testate a scala ridotta in contenitori riempiti con il fango della laguna. Di seguito sono presentate le principali scelte progettuali e l’impianto sperimentale. Scelta delle specie vegetali Per l’intervento di fitodisidratazione sono state selezionate sia specie arboree/ arbustive appartenenti al genere Tamarix (Tamarix gallica L. e Tamarix africana Poir.) che specie erbacee perenni palustri. Le tamerici presentano diversi caratteri utili ai fini dell’intervento, quali la resistenza alle condizioni di asfissia radicale, un apparato radicale profondo e molto sviluppato, una elevata capacità di traspirazione e la resistenza all’incremento di concentrazione di sali, che potrebbe verificarsi in seguito progressivo prosciugamento del sedimento (Abou Jaoudé, de Dato, & De Angelis 2012; Sookbirsingh et al. 2010). Ognuna delle due specie sarà rappresentata da quattro genotipi, provenienti dalla collezione di provenienze Mediterranee realizzata dal dipartimento DIBAF. Oltre alle tamerici, sono state individuate 4 specie erbacee perenni tipiche di ambienti palustri: Phragmites australis (cav.) trin. ex steud., Carex gracilis Curtis, Iris pseudacorus L. e Juncus effusus L. Anche queste specie sono adattate a condizioni di asfissia radicale, possono quindi svilupparsi nell’ambiente anossico del sedimento contribuendo al processo di fitodisidratazione (Wand et al. 2002; Li et al. 2014; Tian et al. 2011) e incrementando allo stesso tempo la diversità specifica e strutturale della comunità vegetale che andrà creandosi all’interno della laguna. Scelta della modalità di impianto L’impianto di tamerici sarà effettuato per mezzo di talee legnose, poste su un sistema di galleggiamento. Al fine di verificare possibili inibizioni all’emissione di radici, che potrebbero ridurre la capacità di attecchimento, nella fase sperimentale in contenitore sono poste a confronto anche talee già radicate. Per 88 le specie palustri sarà invece utilizzata la tecnica della biostuoia preseminata, ossia un substrato di fibre naturali già piantumato con le specie richieste, anche in questo caso posta su un sistema di galleggiamento. Nella fase sperimentale sono testate stuoie seminate con la sola Phragmites australis e stuoie piantumate con un mix di Carex gracilis, Iris pseudacorus e Juncus effusus. a b Figura 2. I telai utilizzati nell’impianto pilota per sostenere le tamerici (a) e le biostuoie (b). Sperimentazione in contenitori La prima fase della sperimentazione, attualmente nelle fasi iniziali di realizzazione, è effettuata in contenitori riempiti con il fango prelevato dalla laguna, sistemati in una serra adiacente al bacino (Figura 3) allo scopo di impedire il riempimento incontrollato durante le piogge. Le talee di tamerici e le biostuoie sono alloggiate all’interno di contenitori in plastica di diverso volume (75 litri per le tamerici e 210 litri per le biostuie), sostenute dai supporti galleggianti (Figura 4). L’unità sperimentale di base è costituita da un totale di 20 contenitori così ripartiti: 2 contenitori di controllo privi di vegetazione (uno per ognuna delle due tipologie di contenitore), 1 contenitore con una biostuia piantumata con Phragmites australis, 1 contenitore con una biostuia piantumata con il mix di palustri, 8 contenitori contenenti un genotipo di tamerice ciascuno (4 genotipi per ognuna delle due specie) impiantati tramite talee, e altri 8 contenitori con gli stessi genotipi di tamerici impiantati tramite talee radicate. L’unità sperimentale di base è replicata 4 volte, per un totale di 80 contenitori. 89 Figura 3. I contenitori disposti all’interno della serra nel sito di Olmeto a b Figura 4. I telai galleggianti posti in opera nei contenitori (c, d). Il sistema di monitoraggio Per il monitoraggio delle modificazioni indotte dalla vegetazione sulla qualità del fango, sono previste analisi periodiche dell’attività microbiologica, del pH e della salinità della soluzione circolante, delle emissioni gassose di CO2 e 90 CH4, dello sviluppo della vegetazione. Per il monitoraggio della riduzione del contenuto idrico del fango sono invece utilizzati sensori immersi per la misura in continuo della pressione/tensione dell’acqua, della temperatura e in seguito del contenuto idrico volumetrico, connessi in modalità wireless ad una stazione di raccolta e trasmissione dati. Contenuto idrico del fango. Allo scopo di valutare l’andamento temporale del tasso di disidratazione del fango, il contenuto idrico del sedimento è misurato in modo continuo per mezzo di sonde poste a diverse profondità. Sono quindi impiegati, in una prima fase dei trasduttori di pressione/tensione elettronici (UMS mod. T4) idonei a registrare le variazioni nel campo che va da soprassaturo a saturo, in una seconda fase sensori di tipo TDR (Time-Domain Reflectometry) per la misura volumetrica del contenuto idrico da saturo a insaturo. Nell’attuale fase pilota il sistema di monitoraggio è testato sul fango posto nei contenitori. In aggiunta a quanto previsto per il monitoraggio a scala di bacino e allo scopo di valutare efficacemente le diverse capacità di fito-disidratazione delle tesi poste a confronto, il consumo idrico di ogni contenitore è valutato settimanalmente attraverso la misura del quantitativo di acqua necessario al ripristino del livello iniziale. Tale approccio tiene conto del fatto che le particolari caratteristiche del sedimento presente, determinano la formazione di una crosta superficiale in assenza di input da pioggia (i contenitori sono in serra). Salinità della soluzione circolante. Considerando che le specie del genere Tamarix hanno la capacità di assorbire i sali disciolti nella soluzione circolante e di estruderli a livello fogliare, con il progredire della disidratazione potrebbe verificarsi una riduzione (ovvero un possibile non incremento) della salinità del fango. Allo scopo di monitorare questo processo, la soluzione circolante sarà periodicamente estratta per mezzo di microlisimetri a suzione e la sua salinità determinata attraverso misure di conducibilità elettrica. Caratteristiche della comunità microbiologica. Con il passaggio da un sistema fluido a basso contenuto di ossigeno ad uno solido con 91 presenza di ossigeno in forma gassosa libera, si vengono a determinare importanti cambiamenti nella comunità microbiologica presente; la contemporanea presenza degli apparati radicali delle piante favorisce inoltre lo sviluppo di una comunità microbica simbiontica, che migliora l’assorbimento di acqua e nutrienti da parte degli apparati radicali delle specie presenti, e quindi il loro sviluppo, ma al contempo genera una nuova comunità rizosferica più strettamente dipendente dagli essudati prodotti dalle piante. Allo scopo di individuare tali modificazioni, saranno analizzate le principali caratteristiche microbiologiche dei fanghi (composizione filogenetica della comunità batterica, funzionalità ed attività delle popolazioni batteriche presenti, ecc.) all’inizio e alla fine della fase sperimentale in contenitori. Le analisi microbiologiche saranno effettuate sia con metodologie classiche previste per la ricerca di specie patogene, sia con tecniche molecolari avanzate, che permetteranno lo studio delle popolazioni batteriche in situ senza bisogno di coltivazione su terreni di crescita. Tali indagini saranno in grado di valutare se la metodologia di fitodisidratazione applicata, oltre al raggiungimento dell’obiettivo di messa in sicurezza del sistema oggetto di studio, possa migliorare la qualità del sedimento disidratato; in particolare sarà monitorata la variazione di specie patogene e il miglioramento del contenuto di nutrienti del sedimento stesso, legato alla presenza di popolazioni microbiche attive nella degradazione della sostanza organica e nel riciclo dei nutrienti. Monitoraggio della vegetazione e degli scambi gassosi di GHG (gas serra) Nella fase sperimentale in contenitori, sarà possibile validare le diverse tesi poste a confronto monitorando sia lo sviluppo della vegetazione sia alcuni dei principali processi funzionali. Dopo una prima verifica dell’attecchimento, saranno effettuate misure periodiche di accrescimento della componente aerea (altezza, indice di area fogliare ottico) e misure di scambi gassosi fogliari (fotosintesi, conduttanza stomatica, efficienza di carbossilazione e di uso della luce). Inoltre, per mezzo di canopy chambers saranno misurati gli scambi di CO2 e CH4 del sistema integrato pianta-fango. Al termine del primo periodo sperimentale, la biomassa prodotta suddivisa nei diversi comparti (foglie, fusti e radici) sarà quantificata, e analizzata per la determinazione del contenuto dei macronutrienti (N, K, P) e di alcuni metalli particolarmente abbondanti nella laguna (Cu e Zn). 92 Conclusioni Queste prove in contenitore permetteranno di individuare i genotipi, le specie e le tecniche d’impianto maggiormente idonee per la fase successiva dell’intervento, che prevede la realizzazione di un sistema pilota a scala reale direttamente in una porzione di laguna. Sarà inoltre possibile valutare la possibilità di impiegare un mix di specie idoneo alla creazione di un’area d’interesse naturalistico, che possa garantire un ambiente idoneo alla nidificazione del cavaliere d’Italia, specie particolarmente protetta in Italia (Legge 11 febbraio 1992, n. 157, art. 2). Ringraziamenti Lavoro svolto con il contributo del P.S.R. per l’Umbria 2007/2013 – Asse 1 – Misura 1.2.4:Progetto ZOOCOMPOST. Si ringrazia l’Ing. Leombruni della S.I.A. spa per la cortese collaborazione. Bibliografia Abou Jaoudé,R., de Dato,G., & De Angelis,P. (2012) Photosynthetic and wood anatomical responses of Tamarix africana Poiret to water level reduction after short-term fresh- and saline-water Àooding. Ecological Research 27, 857-866. Bedford,B.L., Leopold,D.J., & Gibbs,J.P. (2001) Wetlands Ecosystems. Encyclopedia of Biodiversity (Second Edition) (ed S.A.Levin), pp 384-402. Academic Press, Waltham. Li,Z., Xiao,H., Cheng,S., Zhang,L., Xie,X., & Wu,Z. (2014) A comparison on the phytoremediation ability of triazophos by different macrophytes. Journal of Environmental Sciences 26, 315322. Mitsch,W.J. (2013) Wetland Creation and Restoration. Encyclopedia of Biodiversity (Second Edition) (ed S.A.Levin), pp 367-383. Academic Press, Waltham. Otte,M. & Jacob,D. (2006) Constructed Wetlands for Phytoremediation: Rhizo¿ltration, Phytostabilisation and Phytoextraction. Phytoremediation Rhizoremediation (eds M.Mackova, D.Dowling, & T.Macek), pp 57-67. Springer Netherlands. Sookbirsingh,R., Castillo,K., Gill,T.E., & Chianelli,R.R. (2010) Salt separation processes in the saltcedar Tamarix ramosissima (Ledeb.). Communications in Soil Science and Plant Analysis 41, 1271-1281. Tian,J.S., Zhang,H.H., Zhang,Y.M., & Li,D.L. (2011) Treatment of livestock wastewater using Wetland of mineralized refuse. Journal of Ecology and Rural Environment 27, 95-99. Wand,H., Kuschk,P., Soltmann,U., & Stottmeister,U. (2002) Enhanced removal of xenobiotics by helophytes. Acta Biotechnologica 22, 175-181. 93 94 Monitoraggio fitoecologico e geobotanico in un’area antropizzata Romano B., Ranfa A., Cagiotti M.R., Ferranti F., Gigliotti G., Bodesmo M. Università degli Studi di Perugia, B.go XX giugno, 74 - 06121 - Perugia Introduzione Da diversi anni ricercatori dell’Università degli Studi di Perugia, portano avanti ricerche multidisciplinari per il monitoraggio ambientale in aree di pertinenza di uno stabilimento industriale sito in un’area nella bassa Toscana, industria impegnata nel recupero di metalli preziosi da scarti di diversa natura e di incenerimento di materiali vari. L’intera zona, comunque, è caratterizzata dalla presenza di altri siti industriali ad elevata potenzialità di emissione di flussi sostanze di natura varia in atmosfera, oltre allo stabilimento di che potrebbero rivelarsi dannosi sia per l’ambiente naturale sia per l’uomo stesso (Fig. 1) o concorrere ad un effetto sinergico con lo stabilimento suddetto. Fig. 1 - Area di pertinenza dello Stabilimento 95 Le indagini fin qui effettuate, relative alle caratteristiche degli impianti e alla conseguente valutazione dei danni ambientali, sono state fra le prime a livello nazionale in questo campo e sono scaturite dall’esigenza di avere un ampio quadro di riferimento per eventuali interventi di risanamento. Le osservazioni e le analisi effettuate negli anni di studio, sia nelle aree interne al complesso industriale sia in quelle esterne di pertinenza, attuate secondo modelli scientifici già consolidati, hanno avuto lo scopo di verificare lo stato dell’ambiente e la progressione temporale delle condizioni microambientali di un’area a forte influsso antropico per la presenza anche di infrastrutture viarie diverse (autostrada, ferrovia, fitta rete viaria secondaria). Materiali e metodi Per l’indagine sono stati presi in considerazione alcuni parametri biologici relativi all’ambiente e altri parametri attinenti ad alcune specie vegetali, già presenti da tempo nelle rispettive aree, e altre messe a dimora nell’anno 2007, in occasione di un Piano di risanamento ambientale e Riqualificazione paesaggistica di tutta l’area di pertinenza dello Stabilimento. I parametri presi in considerazione sono stati autoecologici, geobotanici,floristicovegetazionali, morfo-anatomici, chimico-ambientali e fitopatologici in un’area che, dal punto di vista climatico, si può inquadrare nella fascia tendente al clima submediterraneo con criticità idriche medie nei mesi estivi e con gelate tardive e freddi precoci, con relativo periodo di siccità estiva media che va da metà giugno fino alla seconda decade di agosto (Fig. 2). Fig. 2 - Diagramma termopluviometrico 96 Allo scopo è stato allestito un quadrato permanente (ca. 50 mq) in cui sono state effettuate le osservazioni floristico-vegetazionali ed autoecologiche di una cenosi prativa protetta, residuo di un ex coltivo, trasformato da alcuni anni in prato polifita, il cui obiettivo era quello di valutare il numero di specie vegetali presenti definendo quantitativamente la diversità floristica e qualitativamente il valore del popolamento vegetale in relazione con le cause che le determinano (Fig. 3). Fig. 3 - Quadrato permanente e area gradonata Per l’aspetto vegetazionale si è indagato sul comportamento sociologico delle specie vegetali rilevate nel complesso e il suo evolversi nel periodo di riferimento utilizzando i parametri di “copertura”, “sociabilità” e “l’indice di ricoprimento specifico” che tiene conto di entrambi i parametri. Per gli aspetti fenologici, oltre al quadrato permanente, sono stati effettuati rilievi in un’area gradonata ristretta in cui venivano poste piante test capaci di rilevare con la loro risposta morfologica le reazioni ad eventuali mutamenti dello stato dell’ambiente; i dati rilevati sono stati poi comparati con i parametri climatici registrati dalla vicina stazione meteorologica (Figg. 3,4 e 5). 97 Fig. 4 - Piante test nell’area gradonata Le indagini morfo-anatomiche e fisiologiche sono state condotte attraverso analisi ripetute negli anni, sulle stesse specie vegetali, considerando una serie di parametri (istoanatomici e cito-istochimici) capaci di mettere alla luce eventuali differenze tali da far ipotizzare stati di stress. Nel quadrato permanente, in cui sono state messe a dimore specie indicatrici capaci di rilevare con il loro comportamento, le variazioni legate al mutamento dell’ambiente a loro circostante (Fig. 4). Fig. 5 - Stazione meteorologica 98 Da ciascun esemplare sono state prelevate foglie a diverso grado di ombreggiamento e ne è stata misurata la superficie fogliare. Alcune foglie sono state quindi utilizzate per il rilievo della percentuale di sostanza secca mentre, da altre, sono state prelevate porzioni di circa 4 mmq di superficie. Tali porzioni sono state in parte sottoposte a “critical point drying” ed osservate al microscopio elettronico a scansione ed in parte incluse in resina ed utilizzate per le osservazioni istoanatomiche (Figg. 6,7 e 8) Fig. 6 - Area lamina fogliare Fig. 7 - % di sostanza secca nelle foglie 99 Fig. 8 - Epidermide inferiore di foglia di Roverella (Quercus pubescens) al SEM Analisi autoecologica, geobotanica, floristico-vegetazionale L’indagine floristica ha avuto l’obiettivo di valutare il numero di specie vegetali presenti nella cenosi prativa situata nell’area lo stabilimento, definendo quantitativamente la diversità floristica e qualitativamente il valore del popolamento vegetale, in rapporto con le cause che le hanno determinate. In particolare sono stati esaminati i cambiamenti che si sono avuti in questi ultimi anni nel quadrato permanente, adibito ad hoc per l’indagine, che è rappresentativa di una cenosi prativa, ex coltivo trasformato da alcuni anni in prato polifita (Fig. 3). Inoltre è stata condotta anche un’analisi fenologica per rilevare con maggiore evidenza le relazioni fra la vita delle piante e i fattori ambientali dell’area oggetto d’indagine. In particolare la fenologia, analizzando la periodicità sia delle fasi vegetative sia riproduttive della pianta e di cui la fioritura è la più evidente manifestazione, consente di mettere in relazioni i cicli ontogenetici con gli andamenti meteorologici. Per gli aspetti fenologici, oltre al quadrato permanente, sono stati effettuati rilievi anche nell’area gradonata in cui sono state messe a dimora “piante test” (Figg. 3,4) Analisi e monitoraggio morfologico ed isto-anatomico Le indagini morfologiche e fisiologiche condotte hanno avuto lo scopo di mettere in atto un monitoraggio biologico, che attraverso l’analisi ripetuta negli anni sulle stesse specie vegetali, attraverso una serie di parametri (istoanatomici e citoistochimici) potesse mettere alla luce eventuali differenze tali da far ipotizzare 100 stati di stress. Sono stati, dunque, presi in considerazione campioni vegetali adulti appartenenti a diverse specie arboree quali Quercus pubescens, Pinus pinea e Quercus suber poste a diversa distanza ed orientamento dallo stabilimento. Nel quadrato permanente, in cui sono state messe a dimore specie indicatrici capaci di rilevare con il loro comportamento, le variazioni legate al mutamento dell’ambiente a loro circostante (Fig. 4). Un’altra importantissima analisi fatta in questo contesto è stata la valutazione della vitalità pollinica, importante indicatore del benessere di una pianta. Per analizzare tale parametro sono state prese in considerazione specie erbacee spontanee, prelevate sia nel quadrato permanente, localizzato all’interno dello stabilimento, sia all’esterno. L’Orto botanico di Perugia è stato, invece, utilizzato come stazione “controllo” (Fig. 9). Nella Tabella 1 vengono riportati, a titolo di esempio, i dati della vitalità pollinica degli anni 2008, 2010, 2011 e 2012. La scelta di specie vegetali diverse negli anni di indagine è correlata alla loro disponibilità presso il sito di controllo. Fig. 9 - Granuli di polline colorati con diacetato di fluoresceina 101 Tabella 1 - Dati vitalità del 2008, 2010, 2011 e 2012 Specie Sanguisorba minor Medicago sativa Plantago lanceolata Lotus corniculatus Trifolium campestre Dactylis glomerata Vitalità stabilimento (2008) Vitalità stabilimento (2010) Vitalità stabilimento (2011) Vitalità stabilimento (2012) Vitalità ortobotanico perugia (2008) 45,9% 95,9% 39,5 91.9 70,5% 41,5% - 70,7 64,7 62% 68,4% 91,3% 58 88,7 67,3% - 93% 68,4 77,1 - 55,6% 47,4% - 89,8 51% 71,2% 85% - 75 42,1% Analisi chimico-ambientale e fitopatologica In relazione agli aspetti chimico-ambientali, all’interno dell’area sono stati effettuati campionamenti di terreno e di materiale vegetale al fine monitorare la presenza di metalli pesanti ed inquinanti organici. Per la scelta dei siti di prelievo si è operato in modo tale da campionare terreno e materiale vegetale provenienti dal medesimo sito, al fine di poter correlare l’eventuale traslocazione dei metalli dal terreno al vegetale ed eventualmente valutare il contributo all’assorbimento degli inquinanti da parte della vegetazione, opportunamente messa a dimora (in passato) attorno all’area industriale interessata. I campioni di terreno esaminati sono stati prelevati alla profondità da 0 a 15 cm dopo aver ripulito la superficie dagli eventuali residui organici presenti. Per quanto riguarda i vegetali, il prelievo ha interessato le foglie raccolte a random sulle diverse piante, scegliendo comunque piante che mostravano sintomi di sofferenza di origine abiotica. Infine, la presenza di funghi nel quadrato permanente ha suggerito il loro campionamento, stante la nota attitudine all’accumulo degli xenobiotici nei loro tessuti vegetativi. In totale i campionamenti hanno riguardato tre piante Quercus ilex (Fig. 10), una di Carpinus betulus (Fig. 11), una di Acer saccharinum, Fig. 12, due di Populus nigra ‘Italica’ (Fig. 11). I campioni dei funghi raccolti appartenevano alla specie Agaricus campestris (prataiolo) e, come controllo, si è provveduto alla raccolta di alcuni esemplari della stessa specie in aree di controllo. 102 Figg. 10, 11 ,12 - Specie sulle quali sono state raccolte random le foglie. Discussione e Conclusioni Le indagini riguardanti lo studio morfologico della superficie della lamina fogliare hanno evidenziato come in tutti gli esemplari è stata registrata nell’anno 2005 una diminuzione di questo parametro fogliare rispetto all’anno 2004; negli anni successivi è stata osservato un graduale incremento. L’aumento della superficie fogliare è indice di un recupero dello stato di salute della pianta, in quanto fenomeni di microfillia sono ritenuti essere tra i primi segni di inquinamento ambientale. Cosi come l’incremento del peso unitario della foglia osservato ad esempio nel periodo 2004/2008 e la diminuzione della percentuale di sostanza secca osservata in quasi in tutte le piante, sono indice di un maggiore stato di idratazione delle foglie e quindi della pianta in toto. Dal punto di visto floristico si è notato un incremento delle specie presenti insieme ad altre potenzialmente atte ad aumentare la propria diffusione, pur non presentando al momento, valori di copertura e sociabilità che consentano di prevedere una loro ampia diffusione. Le specie maggiormente presenti risultano appartenere principalmente alle Compositae, Graminaceae e Leguminosae, mentre tutte le altre rappresentano ca. 1/3 del totale (Fig. 13). La consistente presenza di Compositae è sintomatica di una situazione che porta all’espansione di specie perenni, resistenti al calpestio e ai ristagni d’acqua; se si considera che tali specie sono anche eduli in alcune loro parti, e/o la pianta intera e mellifere, ne risulta un incremento in termini di biorisorsa energetica ed un arricchimento etnobotanico. 103 Fig. 13 - Ripartizione delle famiglie della cenosi erbacea Dal punto di vista geobotanico e floristico-vegetazionale i rilievi effettuati nel quadrato permanente hanno permesso di evidenziare situazioni di dominanza di tipologie di una cenosi ad Agropyretum che indica una marcata situazione di mediterraneità e la conferma, anche se in misura minore, del Trifolio resupinatonigrescentis, con influenza di nuove specie sinantropiche. Dal punto di vista della vitalità pollinica l’unico segnale di allarme è rappresentato dalla diminuzione della vitalità in Medicago sativa, dato che comunque da solo non può costituire un indicatore di un precario stato di salute legato ad inquinamento, considerando che tale situazione non si ritrova nelle altre piante osservate. Dal punto di vista chimico i dati ottenuti dalle analisi del contenuto di metalli pesanti nelle diverse parti epigee delle piante ornamentali e/o forestali si è evidenziato come tutte le piante all’interno del perimetro dello Stabilimento la concentrazione di Cd nelle foglie è risultato superiore rispetto alla pianta controllo. Il Cd, che è risultato l’elemento chimico di maggior disturbo dell’area e più significativo da un punto di vista ambientale nell’ambito della presente sperimentazione, pur essendo un elemento fitotossico, in letteratura si riscontrano concentrazioni in piante cresciute su terreni contaminati ben superiori a quella da noi riscontrata soprattutto in una pianta. Comunque dobbiamo considerare anche che le piante analizzate sono caratterizzate sia da un diverso sviluppo vegetativo sia da un diverso meccanismo di assorbimento. 104 Per il contenuto di metalli pesanti nelle piante, essendo esso variabile da specie a specie, è stata effettuata una ricerca bibliografica per valutare il contenuto medio di microelementi in piante cresciute in siti non inquinati e, quando possibile i valori di concentrazione critici per la loro crescita. Tabella 2 - Concentrazione (mg/kg) dei differenti metalli pesanti nelle foglie delle specie prese in esame controllo 1* 2* 3* 4* 5* 11* 13* 14** 15*** As Cd Cr Cu Hg Ni Pb Zn <0,0001 0,0040 0,0100 <0,0001 <0,0001 0,0130 <0,0001 0,0004 0,0330 0,0096 0,2 4,9 1,1 5,0 1,0 2,9 3,1 2,0 12,8 1,9 <0,1 <0,1 <0,1 <0,1 0,4 <0,1 <0,1 <0,1 <0,1 <0,1 8 56 18 55 19 31 36 29 44 24 0,1 0,2 0,3 0,3 0,2 0,3 0,2 0,2 0,7 0,7 0,2 6,4 1,3 5,5 6,3 1,3 12,0 3,0 5,2 3,5 <1,0 12 <1,0 <1,0 <1,0 <1,0 <1,0 <1,0 <1,0 <1,0 44 35 26 34 29 23 23 24 160 25 Bibliografia BELLUCCI M., ROSCINI C., MARIANI A., 2003 - Cytomixis in Pollen Mother Cells of Medicago sativa L. Journal of Heredity:94(6):512–516. BRAUN-BLANQUET, J., 1979 - Fitosociología. Bases para el estudio de las comunidades vegetales. H. Blume Ediciones, Madrid. D.LGS. 152/2006, 2006 - Valori di concentrazione limite accettabili nel suolo e nel sottosuolo riferiti alla specifica destinazione d’uso dei siti da bonificare. Allegato 5 al Titolo V della Parte quarta. LORENZINI G., NALI C., 2005 - Le piante e l’inquinamento dell’aria. Springer Editore, Milano. PIETRINI F., ZACCHINI M., IORI V., PIETROSANTI L., BIANCONI D., MASSACCI A., 2010B - Screening of poplar clones for cadmium phytoremediation using photosynthesis, biomass and cadmium content analyses. International Journal of Phytoremediation 12: 1-16 TOMASELLI R., 1956 - Introduzione allo studio della fitosociologia. Industria Poligra¿ca Lombarda, Milano, 367 pp. ZACCHINI M., IORI V., SCARASCIA MUGNOZZA G., PIETRINI F., MASSACCI A., 2011 - An example of cadmium accumulation and tolerance abilities involving different metal binding and defence compounds in the Populus nigra L. clone Poli and Salix alba L. clone SS5. Biol Plantarum. 105 106 Piano di risanamento ambientale e riqualificazione paesaggistica di un’area a forte impatto antropico B. Romano A. Ranfa, M.R. Cagiotti, M. Bodesmo Università degli Studi di Perugia, B.go XX giugno, 74 - 06121 - Perugia Introduzione Nell’ambito del “Piano di Risanamento Ambientale e Riqualificazione Paesaggistica”, prevista dal Piano regolatore generale dalle autorità comunali ove sussiste un’area a forte influsso antropico, è stato messo in atto un piano generale per la realizzazione di un Risanamento ambientale e Riqualificazione paesaggistica dell’intera area di pertinenza di uno stabilimento industriale la cui attività prevede il recupero di metalli preziosi da scarti di diversa natura e di incenerimento di materiali vari, oltreché di tutta l’area adiacente al sito non di proprietà, che funge da raccordo naturale con l’abitato prospiciente. Tale area, situata nella inferiore della regione Toscana, è particolarmente vulnerabile per la presenza di altri siti industriali che sono potenzialmente fonte di inquinanti ambientali, oltre che di infrastrutture viarie di diversa natura (autostrada, ferrovia ed una fitta rete viaria secondaria (Fig. 1). Fig. 1 - Area di intervento 107 Il Piano si è reso particolarmente necessario anche per ridurre l’impatto visivo e sonoro dello stabilimento verso gli agglomerati urbani di tutto il comprensorio, per cercare di contribuire alla realizzazione di una fisionomia fitoclimatica e per una bonifica del suolo che, potenzialmente, poteva riserbare fenomeni d’inquinamento ambientale e probabili infiltrazioni nel suolo da parte di sostanze residuali della lavorazione industriale. Queste opere di mitigazione ambientale sono state poi in parte effettivamente realizzate in linea con le esigenze ambientali del sito e nel rispetto della naturalità del luogo, nell’anno 2006 ma solamente nell’area di proprietà dello stabilimento in attesa di decisioni dagli enti competenti in materia, per quanto riguarda le aree circostanti non di proprietà. Materiali e metodi Il progetto di Risanamento ambientale e Riqualificazione paesaggistica è stato preceduto inizialmente da varie indagini a carattere floristico-vegetazionale, ecologico-ambientali, analisi cartografica e documentazione fotografica, dopo la quale è stato possibile fare un’ipotesi d’intervento che prevedeva la messa a dimora di numerose specie erbacee, arbustive ed arboree nell’intera area di studio. Le specie privilegiate per la suddetta fase progettuale sono state per la maggior parte specie autoctone, cioè specie vegetali caratterizzanti la fascia fitoclimatica del territorio oggetto d’intervento che, originariamente insistevano nella zona e che in seguito si sono perse a causa di nuove pratiche agricole e/o altri fenomeni antropici. L’inserimento di alcune specie alloctone o esotiche, cioè di specie non peculiari della flora del luogo, ma che in seguito a introduzione accidentale o volontaria da parte dell’uomo si sono potute inserire nel nuovo ecosistema interagendo con quelle presenti e modificando gli equilibri ecologico-ambientali preesistenti, si è reso indispensabile per alcune funzionalità specifiche (specie funzionali). Essendo consapevoli che la scelta di mettere a dimora determinate specie vegetali, rispetto ad altre, è stato un investimento a lungo termine e di conseguenza pure gli effetti della riqualificazione paesaggistica e dell’eventuale risanamento ambientale che si otterranno in tempi ragionevolmente lunghi, le specie indicate sono state preferite anche secondo una strategia tendente a favorire rapporti coevolutivi a vari livelli tra piante ed animali, tra piante e piante e tra animali e animali. 108 In relazione a quanto esposto, le specie arbustive, di dimensioni progressive, hanno avuto lo scopo di aumentare la struttura di una cenosi boschiva paraclimacica con effetti paesaggistico-funzionali vicino al bosco naturale. Le specie vegetali scelte hanno avuto lo scopo di: - effettuare uno schermo visivo dell’insediamento industriale verso l’esterno ed in particolar modo verso il quadrante ovest; - migliorare la qualità dell’aria attraverso l’azione detossificante delle piante che intervengono come fattori attivi e passivi nella depurazione dell’atmosfera; - svolgere un’azione filtrante verso i più comuni inquinanti gassosi in atmosfera abbattendo le polveri sottili in atmosfera ed ossigenando l’aria attraverso l’azione fotosintetica delle foglie; - abbattere l’inquinamento acustico verso l’esterno ed in particolar modo verso il quadrante ovest; - proteggere dalla forza dei venti direzionali; - ridurre la permanenza delle sostanze aerodisperse favorendone la sedimentazione o, comunque, l’assorbimento da parte del terreno cercando di accumulare le sostanze nelle strutture vegetali della pianta; - stabilizzare il microclima; - migliorare l’assetto visivo - paesaggistico della zona. Tabella 1 - Elenco delle specie vegetali arboree utilizzate Specie arboree autoctone Acer campestre (ACERO OPPIO); Alnus glutinosa (ONTANO COMUNE); Carpinus betulus (CARPINO BIANCO); Cupressus sempervirens ’Agrimed’ (CIPRESSO COMUNE), clone, costituito dall’Istituto per la Protezione delle Piante del C.N.R. di Firenze, possiede la chioma a forma di “fiamma”, compatta dalla base alla cima; è stata scelta per l’elevata resistenza al cancro del cipresso (Seridium cardinale), come del resto anche la cv Bolgheri ma, rispetto a quest’ultima, è particolarmente indicata per le alberature ornamentali, per le barriere e per siepi frangivento; Fraxinus excelsior (FRASSINO); Malus sylvestris (MELO SELVATICO); Populus canescens (PIOPPO CANESCENTE), svolge un’importante azione biologica (come del resto molte specie della famiglia Salicaceae) di risanamento, biorimediazione e fitorimediazione di siti inquinati; Prunus mahaleb (CILIEGIO CANINO); Quercus ilex (LECCIO, ELCE); Quercus pubescens (ROVERELLA), svolge un’azione di fono assorbenza grazie alle foglie pubescenti; Ulmus minor (OLMO CAMPESTRE). Specie arboree alloctone Acer saccharinum (ACERO SACCARINO), svolge azione fonoassorbente; Cupressocyparis x leylandii (CIPRESSO DI LEYLAND), svolge azione fonoassorbente, resiste agli ambienti inquinati e fornisce in breve tempo un ottimo schermo visivo. 109 Tabella 2 - Elenco delle specie vegetali arbustive utilizzate Cercis siliquastrum (ALBERO DI GIUDA); Cornus sanguinea (CORNIOLO SANGUINELLO); Coronilla emerus (CORNETTA DONDOLINA); Cotynus coggygria (ALBERO DELLA NEBBIA); Crataegus oxyacantha (BIANCOSPINO SELVATICO); Laurus nobilis (ALLORO); Ligustrum vulgare (LIGUSTRO); Prunus spinosa (PRUGNOLO SELVATICO); Pyracantha coccinea (AGAZZINO); Rosa canina (ROSA SELVATICA); Salix caprea (SALICE DELLE CAPRE), svolge un’importante azione biologica (come del resto molte specie della famiglia Salicaceae) di risanamento, biorimediazione e fitorimediazione di siti inquinati; Spartium junceum (GINESTRA COMUNE); Viburnum tinus (LENTAGGINE). Fig. 2 - Area di primo intervento di Risanamento ambientale e Riqualificazione paesaggistica: posizionamento della barriera vegetale Considerazioni finali A distanza di sei anni dalla messa a dimora gli esemplari vegetali manifestano un buono stato di conservazione vegetazionale e la limitazione dell’impatto visivo del sito industriale si sta parzialmente realizzando anche se le specie vegetali, non avendo raggiunto il loro optimum di sviluppo vegetativo, non riescono ancora appieno a soddisfare il loro effetto schermante, ma la costante crescita vegetativa sta proseguendo secondo i piani previsti dal progetto iniziale. La riqualificazione dell’area dal punto di vista paesaggistico-ambientale e naturalistica è riuscita quasi completamente. 110 Fig. 3 - Area interna allo Stabilimento prima della messa dimora delle piante Fig. 4 - Area interna allo Stabilimento dopo 2 anni dalla messa dimora delle piante Fig. 5 - Barriera di Cupressus sempervirens ‘Agrimed’, interna allo Stabilimento, al momento della messa dimora Fig. 6 - Barriera di Cupressus sempervirens ‘Agrimed’, interna allo Stabilimento, dopo 6 anni dalla messa dimora Fig. 7 - Area esterna allo Stabilimento prima della messa dimora delle piante Fig. 8 - Area esterna allo Stabilimento, dopo 6 anni dalla messa dimora delle piante 111 Bibliografia AA.VV., 1990 - Barriere antirumore. Folia di ACER (1), 6-29. Il Verde Editoriale, Milano. AA.VV., 1990 - Dalla fabbrica al territorio. Dieci anni di studi. Editrice Le Balze. Siena. BATISTONI P., PODDI C., GROSSONI P., BUSSOTTI F., CENNI E., 1995 - Attitudine delle barriere vegetali a ridurre l’inquinamento atmosferico ed acustico di origine stradale. Rivista ACER, (4), 1217. Il Verde Editoriale, Milano. RANFA A., BODESMO M., MARINANGELI F., CAGIOTTI M.R., 2010 - Ipotesi di mitigazione vegetale in aree a forte sviluppo antropico. Atti del 105° Congresso della Società Botanica Italiana, Milano 25-28 Agosto 2010, pag. 103. 112 Effetti sinergici dei microrganismi e della specie foraggera Medicago sativa sulla degradazione dei PCB in un terreno contaminato Anna Barra Caracciolo, Martina Di Lenola, Gian Luigi Garbini, Paola Grenni1, Valeria Ancona (CNR-IRSA, Istituto di Ricerca sulle Acque, Consiglio Nazionale delle Ricerche ) Angelo Massacci (CNR-IBAF, Istituto di Biologia Agroambientale e Forestale, Consiglio Nazionale delle Ricerche) Riassunto I Policlorobifenili (PCB) sono una classe di sostanze organiche xenobiotiche costituita da 209 congeneri prodotti industrialmente fino agli anni ’70. Attualmente sono presenti nell’ambiente come contaminanti persistenti in miscela di più congeneri, in particolare nel suolo e nei sedimenti. La loro degradazione è possibile solo se si verificano le condizioni per una serie complessa di processi aerobici ed anaerobici ad opera principalmente di microrganismi. Nel suolo, l’attività degradativa può essere stimolata dalla presenza di particolari piante che, attraverso la rizosfera, creano condizioni favorevoli alle attività microbiche. Le radici delle piante, infatti, promuovono la modificazione delle proprietà chimico-fisiche dei suoli contaminati e rilasciano essudati radicali, stimolando direttamente e indirettamente la biodegradazione dei PCB. L’efficienza del processo degradativo si basa sull’utilizzo di specie vegetali che, non solo abbiano una crescita, sia della parte aerea che delle radici, sufficiente a favorire lo sviluppo di una comunità microbica capace di degradare i PCB nella rizosfera, ma anche che siano tolleranti alle sostanze tossiche presenti nel suolo. In suoli molto poveri di sostanza organica, inoltre, possono essere utilizzate fonti aggiuntive di sostanze nutritive, quale ad esempio compost, al fine di promuovere la crescita della pianta e stimolare l’attività microbica nella rizosfera. Al fine di indagare le relazioni tra le radici delle piante e le popolazioni microbiche autoctone, sono stati utilizzati campioni di terreno provenienti da un’area contaminata da PCB per allestire esperimenti di degradazione utilizzando microcosmi in presenza/assenza della specie foraggera Medicago sativa (già nota per la sua capacità di stimolare la degradazione di tali composti) e/o in presenza/ assenza di compost di derivazione da rifiuti solidi urbani. 113 Introduzione Le tecniche di bonifica utilizzate per il recupero di suoli contaminati da PCB sono molteplici, tra cui principalmente l’incenerimento, lo smaltimento in discarica o la tecnica del soil washing (Semple et al., 2001), ma i costi elevati ed il disagio arrecato da queste tecniche hanno portato un interesse sempre maggiore verso sistemi di degradazione biologici basati sull’interazione tra piante e comunità microbiche del suolo (biorimedio fitoassistito). Questa tecnologia emergente di ripristino ambientale, grazie ai costi relativamente bassi ed al recupero anche estetico dei siti trattati, è una interessante alternativa ai sistemi di depurazione convenzionali. Il recupero di suoli contaminati attraverso l’uso delle piante si basa sulla capacità di alcune specie vegetali di migliorare la biodisponibilità dei contaminanti nella rizosfera e di sostenere la crescita di microrganismi, in grado di degradare i contaminanti, attraverso il rilascio di essudati radicali di composizione specie-specifica (Lojkovà et al., 2014). In particolar modo, la degradazione di contaminanti a livello della rizosfera avviene grazie a: 1) presenza di essudati radicali che favoriscono la crescita di popolazioni microbiche in grado di degradare i contaminanti; 2) rilascio di ossigeno, elemento essenziale per i processi degradativi aerobici; 3) presenza di enzimi degradativi all’interno degli essudati radicali (esempio laccasi, dealogenasi, nitroreduttasi, nitrilasi, citocromo P450, perossidasi). L’attività degradativa dei microrganismi dipende dalla biodisponibilità dei contaminanti e dalle caratteristiche del suolo quali il contenuto di acqua, pH, temperatura, concentrazione di ossigeno e di nutrienti. Gli essudati radicali nella rizosfera sono in grado di modificare tali caratteristiche chimico-fisiche del suolo a vantaggio della crescita di microrganismi degradatori (Lojkovà et al., 2014) e possono contenere molecole chemiotattiche (aminoacidi, acidi organici e fenolici) per i microrganismi attraverso le quali si instaura una sorta di comunicazione pianta-microrganismi (Abhilash et al., 2009). In suoli contaminati da PCB sono stati trovati ceppi batterici capaci di degradarli sia per via aerobica che anaerobica (Luo et al., 2007). Dei 209 congeneri di PCB che differiscono per numero e posizione di atomi di Cloro, quelli mediamente o alto- clorurati (Cl ≥ 4) possono essere trasformati co-metabolicamente per dealogenazione riduttiva, in cui i PCB vengono utilizzati come accettori di elettroni alternativi nella respirazione anaerobica. La dealogenazione riduttiva 114 dei PCB è congenere-specifica e generalmente coinvolge declorazione selettiva in posizione para e meta (Seeger e Pieper, 2010). I congeneri a più basso numero di atomi di Cloro (Cl ≤4) sono più facilmente degradabili e la loro degradazione è aerobica. Diversi batteri aerobici, ad esempio, appartenenti al genere Pseudomonas, Burkholderia e Rhodococcus, sono in grado di utilizzare i bifenili come unica fonte di carbonio e di energia e di ossidare i PCB (Pieper e Seeger, 2008). L’inoculo di questi ceppi microbici nell’ambiente per degradare i PCB è sicuramente un approccio promettente; tuttavia è stato riscontrato nella maggior parte dei casi un loro decremento nel tempo sia in termini di abbondanza che di capacità degradativa. Il biorimedio fitoassistito aiuta a superare questo ostacolo, in quanto le radici forniscono substrati capaci di sostenere la crescita microbica e di indurre i processi degradativi (Xu et al., 2010). Tra le piante che hanno mostrato un forte potenziale di rimozione dei contaminanti organici vi è la specie foraggera Medicago sativa (Chekol et al., 2004). Tale specie, oltre che contribuire al miglioramento della fertilità del suolo grazie all’interazione simbiotica con batteri azoto fissatori del genere Rhizobium, è in grado di stimolare selettivamente la crescita di batteri PCB-degradatori, come ad esempio Pseudomonas fluorescens F113 (Ryslava et al., 2003; Villaceros et al., 2003). In questa relazione vengono riportati i principali risultati di un esperimento in microcosmi, il cui scopo principale era quello di investigare le relazioni ed i meccanismi che intercorrono tra i microrganismi autoctoni di un terreno contaminato da PCB e le radici della specie foraggera Medicago sativa. A tal fine sono stati allestiti microcosmi, mantenuti in serra, con terreno proveniente da un sito storicamente contaminato da PCB. Materiali e metodi Il set sperimentale è stato allestito utilizzando un terreno storicamente contaminato, proveniente da Taranto, a cui è stato aggiunto Apirolio a concentrazione nota (100 mg/kg). L’Apirolio è un olio contenente una miscela di più congeneri di PCB e policlorobenzeni con tracce di diossine e furani, ed è stato prodotto in Italia ed utilizzato nei trasformatori elettrici ad immersione. Al fine di verificare l’effetto di ammendanti organici sulla degradazione, di stimolare quindi, anche indirettamente, le attività metaboliche microbiche (Briceno et al., 2007), ed al tempo stesso per migliorare la qualità del terreno (che 115 era risultato povero in sostanza organica), in alcuni microcosmi è stato aggiunto un ammendante compostato misto, derivante da rifiuti solidi urbani, ad una concentrazione di circa 30 t/ha. Complessivamente sono stati allestiti due set sperimentali, uno con Medicago sativa e l’altro senza pianta, con ciascuno 4 diverse condizioni sperimentali (Figura 1): terreno storicamente contaminato (Controllo); terreno storicamente contaminato con aggiunta di compost (ContCompost); terreno storicamente contaminato con aggiunta di Apirolio (Apirolio); terreno storicamente contaminato con aggiunta di Apirolio e compost (Apirolio+Compost). Tali microcosmi sono stati tenuti in serra per 8 mesi in condizioni di temperatura ed irrigazione controllate. In questa relazione vengono riportati i principali risultati a circa 4 mesi di sperimentazione (133 giorni). Figura 1. Schema della sperimentazione. Terreno storicamente contaminato (Controllo); terreno storicamente contaminato con aggiunta di compost (ContCompost); terreno storicamente contaminato con aggiunta di Apirolio (Apirolio); terreno storicamente contaminato con aggiunta di Apirolio e compost (Apirolio+Compost). 116 Le analisi microbiologiche e chimiche nel terreno, effettuate in diversi momenti dell’esperimento (a 1 giorno e 4 mesi dalla semina di M. sativa) hanno permesso di valutare le variazioni nella struttura e funzione delle popolazioni microbiche, in relazione alle diverse condizioni sperimentali (presenza/assenza di pianta, compost, Apirolio). L’abbondanza microbica (espressa come N. cellule/g) è stata misurata attraverso il metodo della conta diretta in epifluorescenza (Barra Caracciolo & Grenni, 2002). Il metodo di colorazione Live/Dead è stato applicato per determinare la vitalità delle cellule microbiche (Grenni et al., 2009) mentre l’attività microbica totale è stata rilevata attraverso la misura dell’attività deidrogenasica (Tabatabai, 1994). I policlorobifenili presenti nei campioni di terreno sono stati estratti e purificati seguendo la tecnica ASE (Accelerated Solvent Extraction) che include procedure per la rimozione di interferenze durante l’estrazione del campione mediante l’uso di sostanze adsorbenti, combinando estrazione e purificazione in un unico passaggio. L’analisi quantitativa dei congeneri di policlorobifenili estratti è stata effettuata mediante il metodo European Standard prEN 15305 (2005). Risultati e discussione L’aggiunta del compost ha avuto inizialmente un’influenza positiva sull’abbondanza cellulare (Figura 2) che, a 24 ore dall’allestimento dei microcosmi, risulta essere di un ordine di grandezza superiore (106 contro 105 cellule/g) nei microcosmi con aggiunta di compost rispetto alle altre condizioni sperimentali, probabilmente a causa dell’immissione di popolazioni microbiche del compost stesso. Tale fenomeno però non è altrettanto evidente nella condizione Apirolio+Compost ed è spiegabile dal fatto che le popolazioni microbiche del compost, non essendo adattate alla presenza del contaminante (come quelle del sito), abbiano subito i suoi effetti tossici acuti (Correa et al, 2010). Infatti, a 133 giorni, tale differenza non è più riscontrabile poiché la comunità microbica presente è il risultato sia delle forze competitive tra le popolazioni microbiche autoctone ed alloctone che della loro adattabilità alle condizioni sperimentali imposte. Pertanto tale parametro non mostra più differenze significative tra i vari trattamenti (Figura 2). 117 Figura 2. Abbondanza cellulare microbica (N. Cellule/g) rilevata a 1 giorno e a 133 giorni dall’allestimento dei microcosmi in presenza di M. sativa (Pianta) o assenza (No Pianta). Le barre verticali rappresentano gli errori standard. I valori di attività deidrogenasica (Figura 3) aumentano già dopo 1 giorno nelle condizioni in cui è stato aggiunto il compost, grazie alla presenza di una maggiore disponibilità di carbonio organico (ben oltre 16 volte maggiore che nei microcosmi di controllo: 26,3% vs 1,6%) mantenendosi elevati anche a 133 giorni. I valori più elevati di deidrogenasi si osservano in co-presenza del compost e della pianta dimostrando che le popolazioni microbiche presenti a 4 mesi sono 118 adattate al contaminate (selezione di popolazioni PCB tolleranti), ed essendo molto attive (i valori di deidrogenasi di c.a. 200 μg TPF/g sono 3 volte superiori a quelli inizialmente misurati nel sito contaminato), comprendono anche le popolazioni microbiche direttamente coinvolte nei processi di degradazione/ trasformazione dei PCB (Figura 3). Figura 3. Attività deidrogenasica (μg TPF/g) rilevata a 1 giorno e a 133 giorni dall’allestimento dei microcosmi in presenza di M. sativa (Pianta) o assenza (No Pianta). Le barre verticali rappresentano gli errori standard. 119 Le analisi chimiche hanno compreso la determinazione di 12 congeneri di PCB nel terreno dei microcosmi, ossia, come previsto dalla legislazione (D.Lgs. 152/2006), i 6 congeneri indicatori (PCB 28, 52, 101, 138, 153, 180) ed i 6 congeneri diossina simili (PCB 105, 118, 126, 156, 157, 167). A 133 giorni si sono osservate nei microcosmi trattati in presenza/assenza della pianta/compost delle differenze nelle percentuali relative dei diversi congeneri rilevati ed in particolare un decremento generale del congenere PCB 28 ed una variazione significativa della concentrazione del congenere PCB 52 in tutti i trattamenti. La concentrazione del congenere PCB 28 si riduce significativamente a 133 giorni nei microcosmi in cui è stato aggiunto Apirolio (concentrazione a 4 mesi di circa 0,64 μg/Kg rispetto a 3,16 μg/Kg rilevato mediamente nei campioni a 1 giorno), sia in assenza che in presenza di pianta; tuttavia, in presenza della specie di M. sativa, la sua degradazione è generalmente maggiore e la concentrazione residuale a 4 mesi è appena il 16% rispetto a quella iniziale. La presenza di M. sativa favorisce la scomparsa anche del congenere PCB 52. Questi risultati suggeriscono che la presenza della pianta favorisce nel complesso la degradazione aerobica di questi due congeneri. Tale fenomeno può essere ascrivibile sia alla produzione, da parte delle radici, di dealogenasi e perossidasi (Susarla et al., 2002; Zhuang et al., 2007), sia attraverso la stimolazione di popolazioni microbiche della rizosfera (Singer et al., 2003; Sylvestre e Toussaint, 2011). A supporto di quanto affermato, i valori dell’attività deidrogenasica sono stati sempre maggiori nei microcosmi in presenza di Medicago sativa. Tra gli altri congeneri indagati, per il PCB 126, alto clorurato e particolarmente tossico (poiché diossina simile), è stato rilevato una diminuzione in tutte le condizioni sperimentali ed un particolare effetto positivo del compost nella sua trasformazione. Nonostante la sperimentazione sia ancora in corso, i risultati preliminari ottenuti ci mostrano la complessità dei processi degradativi. Infatti, i PCB sono una classe di contaminanti molto eterogenea e gli olii commerciali, che attualmente sono presenti come contaminanti ambientali, sono costituiti simultaneamente da molti congeneri ed ogni congenere segue dei processi degradativi differenti; inoltre la degradazione di un singolo congenere spesso porta alla formazione di un altro congenere, con il suo conseguente aumento in concentrazione nel tempo. Nella sperimentazione si evidenzia che l’azione sinergica pianta/compost è differente a seconda del congenere di PCB considerato. In ultima analisi si evidenziano 120 le grandi potenzialità di successo di questa strategia di biorecupero, basata sullo studio delle comunità microbiche autoctone associato a specifiche specie vegetali, che sfrutta i servizi ecosistemici di Regolazione forniti naturalmente dai microrganismi e dalle piante. La sperimentazione è attualmente in corso (fino a 8 mesi) e prevede nuove analisi quali la quantificazione dei diversi congeneri di PCB per valutare, in un periodo più lungo, la loro persistenza nonché l’identificazione filogenetica ed il possibile isolamento di specifiche popolazioni batteriche in grado di metabolizzare i PCB e la valutazione dell’eventuale accumulo di questi contaminanti nei tessuti della pianta. Ringraziamenti Si ringrazia tutto il personale IRSA-CNR di Bari che sta contribuendo a tale sperimentazione: V. Ancona, G. Mascolo, G. Bagnuolo e V.F. Uricchio. Inoltre si ringrazia il laboratorio di Ecologia Microbica del Suolo dell’IRSA-CNR di Roma: F. Falconi M. Cinicia, S. Tariciotti, J. Rauseo e F. Cattena. Bibliografia Abhilash PC, Jamil S, Singh N, 2009. Transgenic plants for enhanced biodegradation and phytoremediation of organic xenobiotics. Biotech Adv 27: 474-488. Barra Caracciolo A, Grenni P, 2002. Misure in Àuorescenza della carica batterica nel suolo. Acqua e Aria 6: 76-79. Chekol T, Vough LR, Chaney RL, 2004. Phytoremediation of polychlorinated biphenylcontaminated soils: the rhizosphere effect. Environ Int 30: 799–804. Correa PA, Lin LS, Craig L. Just, Hu D, Hornbuckle KC, Schnoor JL, Van Aken B, 2010. The Effects of Individual PCB Congeners on the Soil Bacterial Community Structure and the Abundance of Biphenyl Dioxygenase Genes. Environ Int 36(8): 901–906. Grenni P, Barra Caracciolo A, RodrÕguez-Cruz MS, Sanchez-MartÕn MJ, 2009. 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