Amministrazione di sostegno: a chi serve l`avvocato?

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Amministrazione di sostegno: a chi serve l`avvocato?
Sul sito http://www.superabile.it/CANALI_TEMATICI/Superabilex/News/info-216325007.html leggo
l’articolo di Salvatore Nocera (Avvocato e collaboratore di superabile.it) dal titolo “Amministratore di
Sostegno: serve l’avvocato per ottenerlo?”, nel quale, tra l’altro, si chiede un parere a tal proposito al
Prof. P. Cendon.
L’Avv. Nocera, si occupa di una tematica importante (e non agevole) per le persone con
disabilità e le loro famiglie. Argomento già dibattuto in occasioni di convegni e incontri di studio e
argomento sul quale i massimi organi giurisdizionali (forse, ancora, non in modo definitivo) si sono già
pronunciati (mi riferisco, in particolare, a Cass. N° 25366 del 2006).
Ne traggo spunto per soffermarmi su un argomento complesso e che necessita di ulteriori
osservazioni.
Iniziamo con il riferire il principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione: “…il procedimento
per la nomina dell’amministratore di sostegno, il quale si distingue, per natura, struttura e funzione, dalle
procedure di interdizione e di inabilitazione, non richiede il ministero del difensore nelle ipotesi, da
ritenere corrispondenti al modello legale tipico, in cui l’emanando provvedimento debba limitarsi ad
individuare specificamente i singoli atti, o categorie di atti, in relazione ai quali si richiede l’intervento
dell’amministratore; necessitando, per contro, della difesa tecnica ogni qualvolta il decreto che il
giudice ritenga di emettere, sia o non corrispondente alla richiesta dell’interessato, incida sui diritti
fondamentali della persona, attraverso la previsione di effetti, limitazioni o decadenze, analoghi a quelli
previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o l’inabilitato, per ciò stesso incontrando il limite del
rispetto dei principi costituzionali in materia di diritto di difesa e del contraddittorio”.
Secondo la cassazione, quindi, non occorre il ministero del difensore, per il soggetto a cui si rivolge
il procedimento di amministrazione di sostegno, nelle ipotesi da ritenersi corrispondenti al modello legale
tipico, ovvero quando il giudice tutelare non ritenga di dover incidere su diritti fondamentali
dell’individuo con il suo provvedimento.
Innanzitutto bisogna comprendere l’eventuale necessaria presenza del difensore rispetto a quale
delle parti processuali la si richiede (o la si intende).
E’ necessario l’avvocato per l’eventuale beneficiario di amministrazione di sostegno (quindi, per il
soggetto di cui si tratta nel procedimento) oppure per i ricorrenti che lo instaurano (soggetti che
possono essere diversi dal beneficiario)? E cosa accade allorquando ricorrente e beneficiario
coincidano nella medesima persona?
Se – prima ancora di chiedersi se è necessaria o meno la difesa tecnica – non si approfondisce
per quali delle eventuali parti in giudizio (o per tutte), tale necessità, la si richiede e la si ritiene doverosa,
non sarà possibile approfondire l’argomento (e, quindi, trovarne adeguata soluzione giuridicamente e
costituzionalmente orientata).
In un procedimento per amministrazione di sostegno, infatti, può esservi una sola parte (ovvero la
coincidenza ricorrente-beneficiario), due parti (una parte ricorrente ed un beneficiario), più parti (più
ricorrenti, un beneficiario, altri soggetti familiari che si oppongono).
Per quali di queste parti, quindi, si dubita e ci si chiede se occorre (o meno) la difesa necessaria di
un Avvocato?
Approfondito e risolto questo quesito, forse, possiamo andare oltre.
La Corte di Cassazione, ovviamente, si riferiva all’assistenza tecnica dell’eventuale soggetto
beneficiario di amministrazione di sostegno. Costui, quindi, secondo la Cassazione, se citato in giudizio e
se il procedimento può incidere sui diritti fondamentali, deve essere obbligatoriamente assistito da un
difensore.
Una delle verità (e difficoltà) sull’argomento, credo essere il fatto che l’Amministrazione di
sostegno è un procedimento del tutto nuovo per i giuristi e sostanzialmente assente dal DNA degli
operatori del diritto tradizionale.
Anche in tema di tutela della persona, i noti istituti (interdizione ed inabilitazione) erano degli
strumenti giuridici nati “contro” qualcuno (l’interdicendo-interdetto/l’inabilitando-inabilitato) e
tipicamente “contenziosi” (tant’è che sono di competenze del tribunale).
L’Amministrazione di sostegno, invece, non è un procedimento “contro”, ma un procedimento a
“beneficio” di qualcuno. Un vero e proprio procedimento di “tutela”. Ciò detto, tendenzialmente, non vi
dovrebbero essere due (o più parti) “l’un contro l’altra armata”. Ma “può divenire contro” o, meglio,
può limitare i diritti fondamentali dell’individuo e, quindi, necessitare dell’assistenza tecnica.
Ciò non significa, comunque, che in via del tutto strumentale (se non persino in malafede) non
possa essere instaurato da taluno (un familiare desideroso di mettere mano su un patrimonio, ad
esempio) un procedimento nei confronti di chi si ritiene “debba avere bisogno” di tutela (per quanto
appare più verosimile che il maligno familiare preferisca l’interdizione all’amministrazione di sostegno).
Ciò, non significa, quindi, che il “beneficiario vittima” di questo procedimento non debba e non possa
ritenere opportuno (se non indispensabile) costituirsi nel procedimento anche con un Difensore e
manifestare le proprie eccezioni e difese per cui si chiede il rigetto della richiesta.
Ecco, forse sta qui la chiave di tutto. E dobbiamo distinguere tra ricorrenti, beneficiario e altri
soggetti.
I ricorrenti non beneficiari (ad esempio i familiari) possono decidere di farsi assistere (o meno)
nella presentazione del ricorso e nel procedimento che ne consegue, da un difensore. Ciò, in quanto, il
procedimento che instaurano è di “volontaria giurisdizione”, ovvero un procedimento in cui, per legge,
non è richiesta obbligatoriamente l’assistenza tecnica di un difensore. Occorre dire, comunque, che
data la peculiarità ed importanza della materia (si tratta pur sempre di un momento fondamentale
della vita e della qualità di vita di una persona; si tratta del presente, del futuro, della organizzazione
della cura e del patrimonio di una persona; si tratta, anche della disciplina dell’eventuale “dopo di noi”,
ovvero di quella fase della vita in cui i familiari più prossimi verranno a mancare ed occorre organizzare
adeguatamente la gestione della cura e del patrimonio del soggetto fragile per quel tempo in cui si
troverà senza i più stretti congiunti). Sarebbe auspicabile, quindi, comunque, che ogni ricorrente si
rivolga ad un legale, il quale, tra l’altro, potrà valutare la sussistenza o meno dei presupposti per le
richieste o desideri manifestati e che, meglio di ogni altro, può aiutare il giudice tutelare
nell’individuazione corretta di quegli atti che devono essere delegati all’amministratore di sostegno, gli
atti in cui invece occorre solo assistenza e gli atti, infine, che il beneficiario può compiere da solo.
Il beneficiario di amministrazione di sostegno, invece, laddove capace di comprendere ciò che è
(potenzialmente) compiuto a sua tutela e ove ritenga ciò non condivisibile o, persino, lesivo, potrà
costituirsi in giudizio, con l’assistenza tecnica di un difensore, ed eccepire le argomentazioni per le quali
ritiene del tutto abnorme o immotivata la richiesta di tutela. D’altra parte, proprio a ciò e deputato il
controllo del Giudice Tutelare (la sussistenza o meno di necessità di tutela).
Si instaurerà così un procedimento che potrebbe definirsi pure “contenzioso”, ma del tutto
“atipico” (rispetto alla definizione classica che si da al termine).
Occorre, adesso, invece, analizzare la diversa ipotesi del beneficiario di amministrazione di
sostegno che non sia oggettivamente in grado di comprendere ciò che viene compiuto nei suoi
confronti. In questo caso, si crede importante il pronunciamento della Cassazione civile che si è sopra
richiamato. Se, cioè, il procedimento può condurre alla limitazione di diritti fondamentali dell’individuo,
allora è necessaria l’assistenza tecnica; altrimenti, essa è possibile ma non necessaria. Il giudice tutelare,
quindi, a quel punto, dovrebbe sospendere (rinviando ad altra udienza) o rigettare la procedura per
mancanza di un difensore.
A tal proposito, però, ci si chiede quali compiti e funzioni dovrebbe svolgere il professionista
chiamato ad assistere il beneficiando di amministrazione di sostegno. Costui, infatti – sostanzialmente
ripetendo i controlli che è chiamato a compiere il Giudice Tutelare – dovrà verificare soltanto se quanto
viene compiuto per il beneficiario è idoneo a limitare i diritti fondamentali e personali dell’individuo è,
soprattutto, “idoneo, opportuno e necessario” alla luce delle condizioni psico-fisiche dello stesso e delle
esigenze di tutela. Non mi sembra, quindi, che il mandato potrebbe avere (tranne casi particolari e
specifici) finalità diverse.
Insomma: il procedimento deve sempre essere a “beneficio” del soggetto e non contro di questo.
Laddove vi è il pericolo che possa divenire “contro” (o, comunque, incidere su diritti fondamentali e
personali, così da divenire prossimo all’interdizione) serve l’assistenza di un difensore. Certo, l’eventuale
tipicità di “procedimento contro” è determinato più dal ricorso (e quindi, dai ricorrenti) che non dal
“beneficiario vittima”. Forse, quindi, è ancor più auspicabile la difesa tecnica per i ricorrenti (così da
ben ponderare l’azione posta in essere) che non dal beneficiario che sempre e comunque dovrà essere
“tutelato” dal giudice tutelare.
Su tutto questo, però, non può (appunto) dimenticarsi il forte e meticoloso controllo al quale è
chiamato il Giudice Tutelare.
Le norme sull’amministrazione di sostegno (anche in tema di individuazione e scelta
dell’amministratore) parlano chiaramente: questo va fatto tenendo conto esclusivamente della tutela
del beneficiario. Ciò significa che il Giudice tutelare è chiamato a verificare la genuinità della richiesta e
l’opportunità di procedere alla tutela, escludendola laddove essa non dovesse essere opportuna o
necessaria.
Ultime considerazioni.
L’argomento ha destato nuovo interesse a seguito della ordinanza N° 128 del 2007 della Corte
Costituzionale con cui si chiedeva l’illegittimità costituzionale della disciplina sull’amministrazione di
sostegno in quanto non impone l’assistenza necessaria, a favore della persona interessata, di un
difensore.
La Corte, a mio avviso correttamente, ha rigettato la richiesta ritenendola “manifestamente
inammissibile”.
La “guida” da seguire in tema di necessità (o meno) di assistenza tecnica, infatti, esiste ed è
(almeno per ora) quella tracciata dalla Corte di Cassazione. Si può poi discutere se essa è sufficiente o
se andrebbe migliorata e chiarita.
Non sembra, però, che questa questione – pur condividendo la necessità di abrogazione degli
altri istituti di tutela – possa essere quella “principale” su cui eventualmente fondare la richiesta
abrogazione degli istituti di interdizione ed inabilitazione. Forse, questi istituti sono ormai obsoleti (e, a mio
avviso, costituzionalmente illegittimi) semplicemente per l’entrata in vigore della Convenzione
Internazionale delle Persone con disabilità.
In generale, quindi, l’approfondimento della questione circa la necessità o meno dell’assistenza
tecnica non è agevole. Anche per questo l’argomento è stato oggetto di pronuncia della Corte di
Cassazione. Occorre però anche ricordarsi che si tratta pur sempre di un procedimento giurisdizionale e
di un procedimento che tratta della vita di un soggetto. Si crede, quindi, che al di là di tutto la presenza
di un professionista (meglio se particolarmente preparato e sensibile sull’argomento) sia ulteriore
garanzia di tutela dell’operato delle parti ed a tutela del beneficiario, non dimenticando comunque,
che è un procedimento duttile, flessibile e che deve continuare a rimanere tale.
Avv. Francesco Marcellino
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