Le aree militari e la necessità di un monitoraggio che riduca il

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Le aree militari e la necessità di un monitoraggio che riduca il
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INFORMAZIONE
AMBIENTE.
Le aree militari e la necessità di un monitoraggio
che riduca il pericolo di contaminazioni
I RISULTATI DELLE ANALISI POTRANNO ESSERE USATI ANCHE COME BASE PER LE BONIFICHE
Da decenni la Sardegna è al centro degli interessi militari della NATO, che
nell’Isola ha stabilito molte basi militari, sia a terra sia a mare, nelle quali si sono svolte
e tuttora si svolgono, periodicamente, attività addestrative da molti eserciti, marine
e aviazioni di paesi “amici” dell’Italia, che riconoscono al Ministero della difesa dei
canoni d’uso delle aree anche a compensazione dei possibili rischi per l’ambiente
che possono derivare dall’uso ei sistemi d’arma, peraltro sempre più evoluti. In particolare, le aree addestrative sono nelle seguenti località, non sempre a bassa densità
abitativa e spesso di notevole importanza storico-naturalistica:
1. La Maddalena, sede del parco nazionale dell’omonimo arcipelago, la cui isola
di Santo Stefano è tuttora utilizzata come deposito di armi (in corso di dismissione), già
sede dei sommergibili nucleari della marina militare degli Stati Uniti d’America; la sua
presenza ha a suo tempo indotto la Provincia di Olbia Tempio a far predisporre uno
specifico piano provinciale di protezione civile per il rischio nucleare, il cui scenario
di rischio abbracciava pressoché tutta la provincia, entroterra compreso, nell’ipotesi di venti spiranti verso terra e vettori di radionuclidi artificiali
conseguenti a un ipotetico incidente nucleare in mare o in porto.
2. Perdas de Fogu, in Ogliastra, dove si sono effettuate
prove balistiche per sistemi d’arma di ultima generazione da parte
di eserciti e società private.
3. Salto di Quirra e Capo San Lorenzo, sulla costa
orientale della Sardegna, il cui Poligono sperimentale interforze è
utilizzato per esercitazioni e prove balistiche sia a terra che a mare.
4. Capo Frasca, lungo la costa centro-occidentale, dove si
svolgono tuttora attività di tiro aria-terra e aria-acqua, con aerei
militari che partono dalla base aerea di Decimomannu, vicino a
Cagliari. Di recente, nel corso di alcune esercitazioni da parte di
velivoli battenti bandiera della Germania, si sono verificati degli
incendi che da boschivi si sono trasformati in incendi di interfaccia e che hanno obbligato l’Aeronautica militare a chiedere, per
il loro spegnimento, uomini e mezzi del Corpo forestale e di vigilanza ambientale della Sardegna; da qui la necessità, riconosciuta
indifferibile e importante da più parti, di estendere le norme di
prevenzione e gestione delle emergenze incendi anche alle aree
militari, in primis dando attuazione alle norme regionali in materia
di protezione dagli incendi boschivi.
5. Teulada, nella costa sud occidentale dell’Isola, ove si
svolgono periodicamente esercitazioni sia a mare sia a terra da parte di marine di
paesi aderenti alla NATO;
6. Decimomannu ed Elmas, aeroporti militari da cui partono i velivoli impegnati nelle attività addestrative.
La lista, a onor del vero, sarebbe un po’ più lunga, soprattutto se si tiene conto
dei depositi di armi e munizioni e di altre strutture logistiche (radar, ecc.) distribuiti
nell’intero territorio regionale e delimitati da muri di cinta e rete con filo spinato, in
associazione ai cartelli monitori e di avvertimento, peraltro obbligatori, che intimano
di non oltrepassare tali linee di confine.
Per decenni – dagli anni settanta del XX secolo alla prima decade del XXI secolo
– in alcuni poligoni militari sono stati testati ordigni con testate esplodenti che hanno
dato luogo a diverse forme di inquinamento di varie matrici ambientali che sarebbe
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L’AUTORE.
Andrea Alessandro Muntoni
è un ingegnere per l’ambiente e il
territorio, libero professionista.
e-mail: [email protected]
Una mappa sulla balneabilità
pubblicata a cura del Ministero
della Salute mostra le coste di Teulada
escluse dai controlli ma classificate
come “zona non idonea per motivi
indipendenti da inquinamento”.
(fonte: tinyurl.com/p5hlwv3)
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INFORMAZIONE 126 opportuno conoscere più approfonditamente. Resta inteso che – in un’ottica di trasparenza – i risultati degli studi dovrebbero essere resi pubblici, a garanzia della tutela
della salute della popolazione residente e non, ma anche al fine di poter programmare,
laddove se ne ravvisi la necessità, le necessarie opere di bonifica ambientale.
Vale la pena ricordare che il decreto legislativo n. 152 del 2006 disciplina, in
attuazione della legge 15 dicembre 2004 n. 308, nella parte quarta, sia la gestione
dei rifiuti sia la bonifica dei siti contaminati, ma rimanda a successivi decreti attuativi
la disciplina di alcune problematiche legate alla produzione dei rifiuti che si originano
durante lo svolgimento di attività militari di esercitazione o, più in generale, di difesa
nazionale.
In particolare l’art. 184 (classificazione) del D.Lgs. 152/2006 recante “norme in
materia ambientale” prevede, al comma 5-bis, che con uno o più decreti del Ministro
della Difesa, di concerto con il Ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio e del
mare, con il Ministro della Salute, con il Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti
e con il Ministro dell’Economia e delle finanze, siano previste e disciplinate – nel
rispetto delle norme dell’Unione europea e del cosiddetto Testo unico sull’ambiente – delle procedure speciali per la gestione, lo stoccaggio, la custodia, nonché per
l’autorizzazione e i nulla osta all’esercizio degli impianti per il trattamento dei rifiuti
prodotti dai sistemi d’arma, dai mezzi, dai materiali e dalle infrastrutture direttamente
destinati alla difesa militare ed alla sicurezza nazionale, così come individuati con
decreto del Ministro della difesa, compresi quelli per il trattamento e lo smaltimento
delle acque reflue navali e oleose di sentina delle navi militari da guerra, delle navi
militari ausiliarie e del naviglio dell’Arma dei carabinieri, del Corpo della Guardia di
finanza e del Corpo delle Capitanerie di porto – Guardia costiera, iscritti nel quadro
e nei ruoli speciali del naviglio militare dello Stato.
Sulla questione il legislatore è intervenuto nel 2010, nel 2012 e, infine con le
previsioni più sopra richiamate, recate dall’art. 13, comma 5 del decreto legge n. 91
del 24 giugno 2014, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 116.
Con l’art. 13, c. 5 del decreto legge 24 giugno 2014, n. 91 (convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 116) è stato inserito nel D.Lgs. 152/2006 e
s.m.i. l’art. 241-bis (Aree militari), a dimostrazione della sempre maggiore attenzione
per le problematiche connesse alla presenza nel territorio nazionale – e sardo in
particolare – di siti destinati all’uso e alla sperimentazione di sistemi d’arma o comunque all’esercitazione militare a terra, in aria e nelle acque nazionali e territoriali. Il
comma 1 di questo art. 241-bis prevede che – ai fini dell’individuazione delle misure
di prevenzione, messa in sicurezza e bonifica, e dell’istruttoria dei relativi progetti,
da realizzare nelle aree del demanio destinate ad uso esclusivo delle Forze armate
per attività connesse alla difesa nazionale – si applicano le concentrazioni di soglia
di contaminazione (CSC) previste nella tabella 1, colonne A e B, dell’allegato 5 al
titolo V della parte quarta del più sopra richiamato decreto recante norme in materia
ambientale, individuate tenuto conto delle diverse destinazioni e delle attività effettivamente condotte all’interno delle aree militari.
Dunque, in sintonia con la prassi corrente e le più generali disposizioni normative
e regolamentari in materia, si lascia il giusto margine di valutazione tecnico-scientifica
degli analiti – fra tutti quelli contemplati in tabella – da prendersi in considerazione
all’atto della predisposizione del piano di monitoraggio.
Al comma 2 del già citato art. 241-bis si precisa – in accordo con le più generali
disposizioni che disciplinano la valutazione del rischio sanitario -ambientale per la
popolazione e le matrici biotiche – che gli obiettivi di intervento nelle aree in cui si
svolgono attività riconducibili o inquadrabili nel novero di quelle di difesa nazionale
sono determinanti mediante applicazione di idonea analisi di rischio sito specifica.
L’analisi del rischio deve tenere conto dell’effettivo utilizzo e delle caratteristiche ambientali di dette aree, o di porzioni di esse, e delle aree limitrofe, al fine di prevenire,
ridurre o eliminare i rischi per la salute dovuti alla potenziale esposizione a sostanze
inquinanti e la diffusione della contaminazione nelle matrici ambientali.
Caso mai vi fossero – improbabili o strumentali – dubbi interpretativi, l’art.
241-bis, comma 3, del D.Lgs. 152/2006 e s.m.i. chiarisce in modo inequivocabile
che in caso di declassificazione del sito da uso militare a destinazione residenziale
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Ambiente dovranno essere applicati i limiti di concentrazione di soglia di contaminazione (CSC)
di cui alla tabella 1, colonna a), dell’allegato 5, alla parte IV, titolo V del Testo unico
sull’ambiente.
Tornando alla questione delle possibili nuove “sostanze” che potrebbero originarsi nel corso di attività sperimentali di nuovi e più evoluti sistemi d’arma, il legislatore, nell’art. 241-bis, comma 4, del D.Lgs. 152/2006 e s.m.i., ha ritenuto precisare
che le concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) delle sostanze specifiche delle
attività militari non incluse nella tabella l dell’allegato 5 al titolo V della parte IV del
succitato decreto saranno definite dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) sulla base
delle informazioni tecniche fornite dal Ministero della Difesa.
Il Ministero ha talora agito senza la necessaria esperienza e competenza per
affrontare tutte le problematiche ambientali e sanitarie conseguenti alle pur legittime
– poiché costituzionalmente previste – attività di esercitazione militare nell’interesse
nazionale. Il legislatore, evidentemente in accordo con la suddetta tesi, almeno in
linea di principio invita il Ministero della Difesa (cfr. art. 241-bis, comma 5, del D.Lgs.
152/2006 e s.m.i.) ad avvalersi, con apposite convenzioni, di organismi strumentali
dell’Amministrazione centrale che operano nel settore per le complesse attività di
progettazione e realizzazione degli interventi di prevenzione dell’inquinamento, di
messa in sicurezza e di bonifica delle aree militari.
È necessario, a parere di chi scrive, che all’interno delle basi militari vengano
effettuati regolarmente dei monitoraggi ambientali, i cui protocolli dovrebbero essere
concordati tra il Ministero della Difesa, il Ministero della Salute e il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, che potrebbe agire – come sempre più
spesso accade, pur con le note problematiche legate alle non sempre sufficienti risorse
umane disponibili dai servizi onerati – per mezzo dell’ISPRA e dell’ARPA Sardegna.
I dati dovrebbero essere resi disponibili in tempo reale alla Regione Autonoma
della Sardegna attraverso l’interfaccia con il Sistema Informativo Regionale Ambientale
(SIRA), nato col precipuo obiettivo di diffondere l’informazione ambientale sia in seno
alla Pubblica Amministrazione (Regione, Associazioni di Comuni, singoli Comuni) sia
ai soggetti privati portatori di reali interessi (stakeholder).
I parametri da monitorare, sia per mezzo di installazioni fisse sia utilizzando
mezzi mobili all’uopo attrezzati, dovrebbero riguardare, quanto meno, gli analiti chimico–fisici già contemplati dal decreto legislativo n. 152 del 2006 e s.m.i. Il piano di
indagine (condiviso e reso noto a tutte le parti interessate) dovrebbe essere orientato
alla ricerca di eventuali contaminazioni nelle matrici ambientali (suolo, sottosuolo,
acque superficiali, acque sotterranee, atmosfera) e dovrebbe quindi essere volto ad
accertare l’eventuale superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione
(CSC) riportate in allegato 5 al D.Lgs. 152/2006 e s.m.i. e, in aggiunta, dovrebbe e
potrebbe contemplare – tra gli altri – anche i seguenti analiti: nano particelle, composti inorganici, idrocarburi policiclici aromatici (IPA), policlorobifenili, nitrobenzeni,
difenilammine, uranio, torio, radionuclidi naturali ed artificiali che emettono radiazioni
α (particelle composte da due protoni e due neutroni, ovverosia nuclei dell’atomo di
elio), radiazioni β (elettroni o positroni ad alta energia, espulsi da un nucleo atomico)
e radiazioni γ (fotoni ad alta energia emessi dal nucleo di un radionuclide), tungsteno,
perclorati, composti della nitro derivanti dal brillamento degli esplosivi.
A sostegno di quanto più sopra caldeggiato da chi scrive, vale la pena rappresentare che sono già state programmate, da parte del Ministero della Difesa e della
NATO, delle attività di monitoraggio ambientale all’interno di aree militari (per esempio
a Capo San Lorenzo) da affidarsi a ditte e professionisti (esterni e indipendenti) di
comprovata esperienza e competenza; esse renderanno conto dei possibili fenomeni
di inquinamento in atto e della loro magnitudo e potranno (dopo circa un anno di
attività) costituire la base di conoscenza scientifica, da condividersi con i competenti
servizi della Regione Autonoma della Sardegna, per programmare e realizzare, laddove
necessario, previa analisi del rischio sito specifica, gli interventi di messa in sicurezza
e di bonifica necessari a restituire lo stato dei luoghi alle sue originarie condizioni,
anche in vista di una possibile futura smilitarizzazione di parte di esse, in sintonia con
le aspettative di molte parti interessate.
Andrea Alessandro Muntoni
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