“Non ti devo niente!”. - Ordine Architetti Pescara
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“Non ti devo niente!”. - Ordine Architetti Pescara
“Non ti devo niente!”. Pensiero semicomico sul ruolo del postmodernismo in architettura Se il pensiero architettonico nel suo sviluppo storico fosse assimilabile ad una coppia sposata sicuramente questa si sarà trovata sul punto del divorzio dopo feroci litigi durante il periodo che va dal 1950 fino alla biennale della “Via Novissima” del 1980 a cura di Paolo Portoghesi. L’uomo-Architettura patriarca, e anche un po’ avanti con l’età, è chiaramente l’esempio del marito pesante sempre incastrato nel suo mondo di regole e principi da osservare pedissequamente. Depositario di generazioni di “architettura maschile” impegnate a tramandarsi regole e modi di far architettura che evolvono lentamente e seguono sistemi di regole ben precisi e onnicomprensivi. La donna-Architettura, imprevedibile e sfuggente, mistero della terra e perennemente alla ricerca di voler apparire più giovane della propria età, è invece scalcitante dentro casa alla ricerca sempre di nuove vie da perlustrare, nuove tecniche da applicare, nuove sfide da controllare. In una famiglia così si sente spesso il padre ripetere polemicamente a gran voce “Chi lascia la strada vecchia per la nuova, sa quello che lascia ma non sa quello che trova!” Ma qualcuno una strada nuova o “Novissima” dovrà pur percorrerla o almeno cercarla. Non è detto che ci porti in uno spazio nuovo, come la madre-Architettura ci aveva promesso, ma almeno non ci farà rimanere fermi a procedere lentamente nel percorso evolutivo dell’architettura. Così un bel giorno dopo l’ennesima predica funzionalista/modernista del marito, alla fine di una lunga giornata lavorativa impegnato a predicare cosa si deve o cosa non si deve fare, a scrivere manuali di buon senso da tramandare a figli e nipoti, la moglie non ce la fa più e sbattendo la porta esce dal guscio sicuro della casa urlando a voce alta “non ti devo nulla!”. Ma si sa che le donne sono più intelligenti: la sceneggiata è dirompente ma anche rivoluzionaria in modo sottile. È come la goccia cinese che scava la roccia. Stanca di stare tutto il tempo a collocare colonne, ordini architettonici, cercare geometrie assurde, quadrati, allineamenti e regole matematiche, distrutta dal peso della cultura a tutti i costi, dalle 5 o più regole dell’architettura, si cerca il cambiamento. È una moglie/madre che è estenuata dallo stare attenta al centesimo di superficie utile, oberata dal funzionalismo fallito del existenzminimum e infine stanca di curare una economia casalinga che comunque va rotoli e non ottiene i risultati socio economici così tanto ricercati e studiati. È una donna-architettura che è esausta delle ennesime promesse mancate del marito che qualche anno prima della loro crisi gli aveva giurato e spergiurato di aver trovato la ricetta della felicità in quello "stile internazionale" che una volta compreso e applicato avrebbe portato la ricchezza in casa. Ma una finestra a nastro, un tetto giardino o una composizione razionale geometrica non sono sempre garanti universali di buona architettura. Quante volte il marito la mattina prometteva di tornare a casa con in saccoccia una glass house, o un progetto dalla composizione volumetrica ricercata come la scuola del Bauhaus di Dessau ad opera di Walter Gropius. Ma ogni volta era un fallimento. Ogni santa volta una amara delusione che corrispondeva ad architetture di pessimo livello e in ogni caso mai paragonabili ai fortunati esperimenti dei maestri dell'architettura moderna. Così in piena crisi di coppia, sotto le mentite (e furbe) spoglie di un recupero della storia, della tradizione e della cultura architettonica classica nasce il post-modernismo, o forse la contemporaneità in cui viviamo, dove parole come libertà e gioco entrano nella composizione architettonica che perde la parte pesante e diviene progettazione. Inizia un periodo in cui un corrimano può diventare un enorme tubo colorato o la rampa del Santuario della fortuna Primigenia a Prenestina, di cui la moglie ne ha piene le orecchie, viene riscritta in un divertissement scenografico come nella Staatsgallerie di Stoccarda ad opera di James Stirling. Un’opera dove le fasce orizzontali sono più un decoro per sfuggire alla fissità delle architetture moderniste, una architettura di cui, aldilà del suo impatto estetico, non se ne può che apprezzare la complessità volumetrica e la funzione urbana di raccordo altimetrico. È il momento storico in cui viene finalmente e nuovamente sdoganato l’uso del colore acceso, come nell’antica Grecia, e i materiali tanto vietati perché poco nobili possono essere perfino utilizzati in architettura. Da qui in poi la storia è più o meno nota, anche se non sappiamo come finirà conosciamo bene le conseguenze e derivate di questa necessaria e furiosa lite che ha portato ad una liberazione di energia formale e concettuale che in architettura rimaneva repressa dagli autoritarismi patriarcali del maschio-architettura. La donna finalmente si può crogiolare nel suo decostruttivismo e andare tranquillamente a bere lo spritz con le amiche a ridere e giocare a fare le archi star, lasciando a volte a casa il loro ruolo di moglie e madre. E a noi figli di questo padre-architettura che non si è curato del vero ruolo di patriarca e di questa madre sopra le righe che per sovversione crea nuove regole altrettanto vincolanti, rimane la sfida di trovare una nostra originale strada, certi che oggi non potremo che essere parte di quel mascolino e femminino che risiede nell’architettura.