Relazione emi monteneri
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Relazione emi monteneri
Relazione 13 novembre Emi Monteneri Argomento: - Decostruzione della falsa neutralità della cultura data e stereotipi di genere: alcuni esempi. - La rappresentazione del femminile come oggetto e come “preda” nella cultura maschile. - La rappresentazione della violenza sulle donne nella cultura femminile. Nel corso di questa relazione mi occuperò della formazione culturale trasmessa nelle nostre scuole ad alunne e alunni attraverso testi scolastici e no. Cultura neutra, espressa con linguaggio neutro, che in realtà è marcato al maschile, che contraddistingue tutti i manuali in uso. Argomento, questo, trattato in altre relazioni precedenti, su cui non mi soffermerò, dandolo per scontato. E’ indispensabile, piuttosto, registrare l’arretratezza dei manuali scolastici a tal riguardo, ancora più evidente se confrontata con l’evoluzione culturale della nostra società. Lo scarto, a mio avviso, dipende dalla resistenza dei docenti universitari, che ne sono autori, a prendere atto del mutamento di sguardo che si è verificato con sempre maggiore profondità con l’affermarsi del soggetto donna, identità sessuata femminile portatrice di una visione del mondo “differente”. Mi preme piuttosto riflettere su certi valori che trasmette la cultura data, cominciando dalla cultura classica, latina e greca. La cultura greca, soprattutto la cultura di Atene del V secolo a. C., è stata il modello su cui si è formata la società occidentale, quella di cui noi facciamo parte, che ha gettato i fondamenti di democrazia e di valori civili e da cui abbiamo mutuato tutto l’impianto culturale, a partire dalla filosofia. La religione di questa cultura è la religione di Zeus Olimpio i cui miti hanno fornito ispirazione ad artisti di grande valore. Proiezione Gruppo marmoreo ”Apollo e Dafne” di Bernini (Fig. 1 del ppt). La purezza e la bellezza della forma sublima la violenza del fatto rappresentato: un tentativo di stupro trasformatosi in metamorfosi. Cioè la madre che aiuta la figlia. La storia è raccontata da Ovidio nel I libro delle Metamorfosi. Dafne, bellissima fanciulla figlia del fiume Peneo e di Gea, la terra, rifiuta le nozze perché vuole vivere libera nei boschi, dedicandosi alla caccia come le seguaci di Artemide, Il padre è costernato che una fanciulla così bella non voglia maritarsi, ma si rassegna ad accontentare la figlia. Il dio Apollo, trafitto per dispetto dalla freccia d’oro di Cupido, incontrando nei boschi Dafne arde d’amore per lei (vv. 495-5011). La fanciulla, 1 495. così il dio prende fuoco, così in tutto il petto 496. divampa, e con la speranza nutre un impossibile amore. 497. Contempla i capelli che le scendono scomposti sul collo, 498. pensa: 'Se poi li pettinasse?'; guarda gli occhi che sfavillano trafitta dallo stesso Cupido dalla freccia dell’odio, fugge disperatamente. Allora Apollo si rivela (L. I, vv. 510 segg.2) Ma Dafne fugge sempre più impaurita e… (vv. 525-5393). E’ braccata come una preda e, raggiunta dal dio e da lui ghermita, invoca la madre Gea e viene trasformata in alloro. (O terra spalancati… vv. 540-5564). E’ 499. come stelle; guarda le labbra e mai si stanca 500. di guardarle; decanta le dita, le mani, 501. le braccia e la loro pelle in gran parte nuda 2 510. Impervi sono i luoghi dove voli: corri più piano, ti prego, 511. rallenta la tua fuga e anch'io t'inseguirò più piano. 512. Ma sappi a chi piaci. Non sono un montanaro, 513. non sono un pastore, io; non faccio la guardia a mandrie e greggi 514. come uno zotico. Non sai, impudente, non sai 515. chi fuggi, e per questo fuggi. Io regno sulla terra di Delfi, 516. di Claro e Tènedo, sulla regale Pàtara. 517. Giove è mio padre. Io sono colui che rivela futuro, passato 518. e presente, colui che accorda il canto al suono della cetra. 519. Infallibile è la mia freccia, ma più infallibile della mia 520. è stata quella che m'ha ferito il cuore indifeso. 521. La medicina l'ho inventata io, e in tutto il mondo guaritore 522. mi chiamano, perché in mano mia è il potere delle erbe. 523. Ma, ahimè, non c'è erba che guarisca l'amore, 524. e l'arte che giova a tutti non giova al suo signore!» 3 525. Di più avrebbe detto, ma lei continuò a fuggire 526. impaurita, lasciandolo a metà del discorso. 527. E sempre bella era: il vento le scopriva il corpo, 528. spirandole contro gonfiava intorno la sua veste 529. e con la sua brezza sottile le scompigliava i capelli 530. rendendola in fuga più leggiadra. Ma il giovane divino 531. non ha più pazienza di perdersi in lusinghe e, come amore 532. lo sprona, l'incalza inseguendola di passo in passo. 533. Come quando un cane di Gallia scorge in campo aperto 534. una lepre, e scattano l'uno per ghermire, l'altra per salvarsi; 535. questo, sul punto d'afferrarla e ormai convinto 536. d'averla presa, che la stringe col muso proteso, 537. quella che, nell'incertezza d'essere presa, sfugge ai morsi 538. evitando la bocca che la sfiora: così il dio e la fanciulla, 539. un fulmine lui per la voglia, lei per il timore. 4 540. Ma lui che l'insegue, con le ali d'amore in aiuto, 541. corre di più, non dà tregua e incombe alle spalle 542. della fuggitiva, ansimandole sul collo fra i capelli al vento. 543. Senza più forze, vinta dalla fatica di quella corsa 544. allo spasimo, si rivolge alle correnti del Peneo e: 545. «Aiutami, padre», dice. «Se voi fiumi avete qualche potere, 546. dissolvi, mutandole, queste mie fattezze per cui troppo piacqui». 547. Ancora prega, che un torpore profondo pervade le sue membra, 548. il petto morbido si fascia di fibre sottili, 549. i capelli si allungano in fronde, le braccia in rami; 550. i piedi, così veloci un tempo, s'inchiodano in pigre radici, 551. il volto svanisce in una chioma: solo il suo splendore conserva. 552. Anche così Febo l'ama e, poggiata la mano sul tronco, 553. sente ancora trepidare il petto sotto quella nuova corteccia 554. e, stringendo fra le braccia i suoi rami come un corpo, proprio il momento della metamorfosi, quando Dafne dalla forma umana sta trasmigrando nella forma arborea, che Bernini fissa per sempre nel marmo. Da notare alcune affermazioni di Ovidio, riflesso del senso comune di allora (La stranezza di una ragazza che nonostante le bellezza rifiuta le nozze, la foia sessuale chiamata amore, la visione del corpo femminile che alimenta impulsi di violenza nel dio, la bellezza che arreca danno alla fanciulla e che non viene goduta da lei ma è un richiamo per chi di lei va a caccia, l’inseguimento di Apollo come quello del cacciatore che insegue la preda). Ma perché Apollo insegue Dafne? E’ un caso isolato o una costante nelle abitudini delle divinità maschili greche? Lo stupro è un topos nel mito greco. Lo stupro e il ratto a scopo di stupro, ne sono le costanti ossessive. Sono una costante del comportamento di Zeus, dio padre degli dei olimpici che, sotto forma umana, bestiale e prodigiosa, seduce e si congiunge continuamente, in maniera più o meno forzata, con ninfe, divinità e donne mortali provocando la perenne gelosia della moglie Era, raffigurata come una dea vendicativa, petulante, intrigante perché gelosa. (Figg. 2-5 del ppt) Zeus trasformato in toro: il mito d’Europa. Ovidio, seducente narratore di miti, racconta anche questo, Metamorfosi II vv. 858-8755. Le tradizioni sul mito di Europa sono antichissime e complesse. Io vi sottopongo nell’allegato la breve e sintetica ricostruzione di Patricia Moneghan che ne attesta l’esistenza in periodo preolimpico. 555. ne bacia il legno, ma quello ai suoi baci ancora si sottrae. 556. E allora il dio: «Se non puoi essere la sposa mia, 557. sarai almeno la mia pianta. E di te sempre si orneranno, 558. o alloro, i miei capelli, la mia cetra, la faretra; 559. e il capo dei condottieri latini, quando una voce esultante 560. intonerà il trionfo e il Campidoglio vedrà fluire i cortei. 5 858. ……….. La figlia di Agenore lo guarda 859. meravigliata, bello com'è e senza intenti bellicosi. 860. Prima però, malgrado le appaia così mite, esita a toccarlo; 861. ma poi gli si accosta e a quel candido muso porge dei fiori. 862. Gode l'innamorato e, in attesa del piacere sognato, 863. le bacia le mani: a stento ormai, a stento rimanda il resto; 864. intanto si sfrena gioioso saltando sull'erba verde 865. o stendendo il fianco color di neve sulla rena bionda; 866. e allontanata a poco a poco da lei la paura, le offre il petto 867. perché l'accarezzi con la sua mano ingenua, o le corna perché 868. le inghirlandi ancora di fiori. E la figlia del re 869. s'adagia persino sul suo dorso, senza sapere su chi si siede. 870. Allora il dio dalla terra asciutta della riva, senza parere, 871. comincia a imprimere le sue mentite orme nelle prime onde, 872. poi procede oltre e in mezzo alle acque del mare si porta via 873. la sua preda. Lei terrorizzata si volge a guardare la riva 874. ormai lontana: la destra stringe un corno, la sinistra s'afferra 875. alla groppa; palpitando al vento si gonfiano le vesti. Altro gruppo marmoreo del Bernini: Ade che rapisce Core. (fig. 6 del ppt). Illuminanti ed esemplari sono le parole di Luce Irigaray: “La valorizzazione esclusiva del ruolo materno nella donna si è accompagnata al non rispetto dell'ordine naturale. Il culto della maternità si oppone spesso al rispetto della fecondità naturale, quali che siano le denegazioni di questa profonda e segreta contraddizione. Ma questo culto, quando si presenta come tale è culto della madre del figlio. L'amore della fertilità cosmica è legato alla relazione tra madre e figlia. Ciò che favorisce la fecondità naturale, la crescita dei frutti della terra, si trova fra Demetra e Core, per esempio. Se Core viene rapita a sua madre dal dio dei morti, se come altre sue sorelle nella tradizione mitologica - viene ricoperta di terra, sotterrata o chiusa nelle rocce, sua madre diventa sterile e così tutta la terra. Demetra può creare in assenza della figlia, Core non conosce felicità se non in presenza della madre. Bisogna che madre e fIglia rimangano visibili, sensibili l'una all'altra, perché la terra intera sia feconda, e il tempo sia favorevole ai raccolti. Questa coppia è inoltre una coppia divina. In quel tempo di ginecocrazia, natura e dei non sono separati. Il sacrificio dell'una agli altri (o all' Altro) segna il passaggio a un'altra epoca in cui la vita naturale deve subordinarsi al divenire spirituale. Diquale natura e di quale spirito si tratti allora, questo rimane ancora impensato in particolare nel diritto alla vita, diritto sedicente irriducibile, per ogni individuo”6 Il matrimonio è il nuovo valore del nucleo familiare imposto dalla struttura patriarcale e in questa prospettiva si deve interpretare l’avversione di Dafne per le nozze. Il mito, dicevo, sia greco che romano, ad esso assimilato, è affollato di divinità maschili e di satiri che inseguono ninfe, fanciulle e pastorelle che, comunque, sembrano gradire. Del resto si sa: “vis grata puellae”. Dall’Ars amandi di Ovidio questa citazione è risuonata nelle aule dei tribunali dei processi per stupro. Ma torniamo ad Ovidio: Ars amandi L. I, vv. 655-6757. 6 7 Luce Irigaray, Sessi e genealogie, La Tartaruga, 1989 Ingannate codeste ingannatrici: razza in gran parte iniqua e scellerata, cadan nei lacci ch’esse stesse han teso. Femmina ingannata nel duol si dolga solo di se stessa. Giovano poi le lacrime: col pianto potrai ridurre tenero il diamante. Fa’ che ti vegga mandide le guance. Può darsi si rifiuti, e allora i baci prendili a forza. Se reagirà, se per la prima volta ti dirà che sei sfacciato, credi, non vuol altro che, resistendo, essere vinta insieme. Tu la chiami violenza? Ma se è questo che vuol la donna! Ciò che piace a loro è dare per forza ciò che vogliono dare. Come il pudore vieta alla fanciulla di agir per prima, così poi le è caro chi l’inizia all’amore Molte vanno a chi fugge, e a chi le assedia offrono sdegno. Non dall’armi devi guardarti nell’amore; fuggi chi credi amico, se vuoi star sicuro. Abbiamo letto un paradigma di comportamenti davvero abietti ma giudicati naturali, anzi necessari. I miti che narra Ovidio, e soprattutto il modo in cui il poeta si mette in relazione con tutta la materia del mito, sono frutto di un cambiamento radicale, storico e simbolico, che si è sviluppato nell’arco dei secoli, l’avvento del patriarcato e della religione di Zeus olimpio. Esiodo, poeta di riferimento di Ovidio, vissuto intorno all’VIII sec. a.C., nella sua Cosmogonia, che non è un opera religiosa ma un trattato sulla formazione del cosmo, dà corpo e importanza alla figura di Zeus, padre di tutti gli dei e massima autorità dell’Olimpo e afferma che prima dell’ordine da lui imposto l’oscurità del Caos e il predominio di forze malefiche e oscure dominava il Cosmo. Nel periodo in cui scrive Esiodo è già avvenuto quel passaggio dal muthos, (verità rivelata) al logos (argomentazione razionale) che ha determinato lo svilimento del mito e ha sancito l’importanza acquisita dal poeta che, padrone della parola e delle verità espresse è anche padrone di manipolare la materia della propria narrazione. Ai tempi di Esiodo dovevano esserci memoria e tracce di un’altra tradizione religiosa, molto più antica e profondamente diversa, quella che sarà chiamata la religione della Dea. Esiodo dimostra di ignorarla ma Omero, a lui contemporaneo, mostra di conoscerla. Le recenti scoperte di archeologhe femministe, prima fra tutte Marija Gimbutas, la studiosa lituana, hanno fornito prove determinanti che attestano l’esistenza della religione della Grande Dea in aree dell’Europa sud-orientale, dell’Anatolia, dell’area mediterranea, dell’Europa centrale, occidentale e settentrionale dal Paleolitico superiore fino all’età del bronzo (vedi Figg. 7-11 del ppt). ”Il tema centrale del simbolismo della Dea si dispiega nel mistero della nascita e della morte e nel rinnovamento della vita, non solo umana ma di tutta la terra e anzi dell’intero Cosmo. Simboli e immagini si raggruppano intorno alla dea partenogenetica, (autogenerantesi) e alle sue fondamentali funzioni di Dispensatrice di Vita, Reggitrice di morte e, non meno importante, di Rigeneratrice, e intorno alla Madre Terra, la giovane e vecchia Dea della Fertilità, che nasce e muore con la vita vegetale. Era l’unica fonte di tutta la vita che traeva energia dalle sorgenti, dal sole, dalla luna e dall’umida terra. In questo sistema di simboli si configura il tempo mitico, ciclico, non lineare….L’arte incentrata sulla dea, con la sua singolare assenza d’immagini guerresche e di dominio maschile, riflette un ordine sociale in cui le 1) La funzione generatrice della Dea corrisponde alla sua proprietà numinosa di verginità, intesa come proprietà di purificare e rigenerare. La Dea è sempre vergine e sempre si accoppia generando vita. Come si comprende il termine ha un significato ben diverso rispetto a quello legato a particolari anatomici del corpo femminile. Le donne, come capi clan o regine-sacerdotesse, ricoprivano un ruolo dominante”8. 8 Marija Gimbutas, Il linguaggio della dea, Longanesi Anche R. Graves, attento e appassionato studioso di miti, ne “La Dea Bianca”, edito nell’anno 1946, afferma: "La mia tesi è che il linguaggio del mito poetico anticamente usato nel Mediterraneo e nell'Europa settentrionale fosse una lingua magica in stretta relazione con cerimonie religiose in onore della dea-Luna ovvero della Musa, alcune delle quali risalenti all'età paleolitica; e che esso resta a tutt'oggi la lingua della vera poesia "vera" nel senso nostalgico moderno di "originale non suscettibile di miglioramento, e non un surrogato". Questa lingua fu manomessa verso la fine dell'epoca minoica, allorché invasori provenienti dall'Asia centrale cominciarono a sostituire alle istituzioni matrilineari quelle patrilineari, rimodellando o falsificando i miti per giustificare i mutamenti della società. Poi giunsero i primi filosofi greci, fortemente ostili alla poesia magica, nella quale ravvisavano una minaccia per la nuova religione della logica. Sotto la loro influenza venne elaborato un linguaggio poetico razionale (oggi chiamato classico), in onore del loro patrono Apollo, linguaggio che fu imposto al mondo come il non plus ultra dell'illuminazione spirituale. Da allora in poi questa visione ha dominato praticamente incontrastata nelle scuole e nelle università europee, dove i miti sono oggi studiati solo come curiosi relitti dell'infanzia dell'umanità"9. I grandi sconvolgimenti sociali causati dalle invasioni di popolazioni barbare in tutta Europa prima, ed nella Grecia a partire dal II millennio a.C. (prima Achei e poi Dori) che conoscevano il ferro e imponevano con la guerra il proprio predominio, hanno cancellato ogni espressione di divino femminile, ed imposto un’ idea del divino più connesso con le vicende degli uomini (sembrerebbe che soprattutto i Dori fossero portatori di questa visione). Il passaggio dalla religione della madre, la religione tutta incentrata sulla nascita e sul ciclo vitale, alla religione patriarcale, la religione della guerra e della morte, è compiuto. Trionfa la religione olimpica di Zeus, padre di tutti gli Dei. Il quale, a sua volta, affermerà la propria autorità numinosa a cui sottomettere qualunque manifestazione preesistente di divino femminile. Lo strumento usato appunto per cancellare e avvilire la maestà della grande Dea è lo stupro, simbolo di possesso, di appropriazione totale, di spodestamento. Inoltre le prerogative numinose della dea verranno degradate, e il padre Zeus si approprierà, in modo davvero stravagante, anche del potere più indiscusso della Grande Madre: quello di dare la vita. Ecco quindi Athena che esce già armata dalla testa di Zeus e Dioniso che esce dalla sua coscia. Nel rapporto molto stretto, come dicevo prima, tra le vicende degli uomini e quelle degli Dei, questo cambiamento, che si svolgerà in un lungo periodo di difficile datazione, avrà il suo compimento nella società della polis, che segregherà le donne nella casa (l’oikos) estromettendole da qualunque 9 Robert Graves, La dea Bianca, Adelphi aspetto della nascente democrazia, e nell’avvento della filosofia di Platone e Aristotile che soppianterà definitivamente la poesia epica, quella ispirata dalla Dea. Le tracce della dea, comunque, come ha mostrato e dimostrato Marija Gimbutas, permangono. ”Le credenze delle popolazioni agricole riguardo sterilità e fertilità, la fragilità della vita e la costante minaccia di distruzione, e il periodico sogno di rinnovare i processi generativi della natura sono tra le più durature. Continuano a vivere nel presente, così come gli aspetti arcaici della dea preistorica. Trasmesse da nonne e mamme della famiglia europea, le antiche credenze si sottrassero al processo di sovrapposizione dei miti indoeuropei e infine di quelli cristiani. La religione incentrata sulla Dea esisteva molto prima di quelle indoeuropea e cristiana (che rappresentano un periodo relativamente breve nella storia dell’umanità), e ha lasciato un’impronta indelebile nella psiche occidentale”10. Concludo questa prima parte dicendo che i nostri musei archeologici sono colmi di reperti catalogati in maniera anonima e insignificante, ma se ad Aidone o a Siracusa, ad Agrigento o nel nostro museo archeologico A. Salinas, quando lo riapriranno, vedrete decorazioni simili a queste, emozionatevi pure: è la dea che continua a trasmettere il suo messaggio per chi sappia coglierlo. Ma torniamo alla domanda di prima: erano gli antichi greci ad avere quelle idee sullo stupro o, al contrario, la tradizione, trasmessa nell’arco dei secoli, è arrivata fino a noi? Le mie sono evidentemente domande retoriche e un po’ provocatorie. Con un breve excursus (breve, al solito, per motivi di tempo), per campionature, cerchiamo di arrivare ai nostri tempi. Lo stil novo e le pastorelle. Tutti e tutte conosciamo i componimenti dello stil novo, poesia d’amore sublimato e angelicato fiorito a in Toscana ad opera dei poeti stilnovisti, Dante soprattutto e poi Guido Cavalcanti ecc. La poesia iniziale di riferimento è la poesia trobadorica, la poesia del “fin amor”. Esiste però anche un genere,” la pastorella”, sempre di matrice trobadorica, (Marcabrun è il primo autore di questi componimenti), che risponde a gusti più sanguigni. Questa è stata scritta da Guido Cavalcanti, il poeta de: “Chi è questa che vien…., l’amico di Dante, uno dei più autorevoli esponenti dello Stil novo, ma è di ben altro tipo. Si tratta di un contrasto tra due personaggi, un cavaliere e una pastora, di un incontro in un locus amoenus, in cui lo squilibrio sociale tra i due è evidente e rende molto fragile le eventuali resistenze della pastorella, sempre allegra, sorridente e pronta all’amore. 10 Marija Gimbutas, op. cit. In un boschetto trova’ pasturella * In un boschetto trova’ pasturella più che la stella – bella, al mi’ parere. Cavelli avea biondetti e ricciutelli, e gli occhi pien’ d’amor, cera rosata; con sua verghetta pasturav’agnelli; [di]scalza, di rugiada era bagnata; cantava come fosse ’namorata: er’adornata – di tutto piacere. D’amor la saluta’ imantenente e domandai s’avesse compagnia; ed ella mi rispose dolzemente che sola sola per lo bosco gia, e disse: «Sacci, quando l’augel pia, allor disìa – ’l me’ cor drudo avere». Po’ che mi disse di sua condizione e per lo bosco augelli audìo cantare, fra me stesso diss’i’: «Or è stagione di questa pastorella gio’ pigliare». Merzé le chiesi sol che di basciare ed abracciar, – se le fosse ’n volere. Per man mi prese, d’amorosa voglia, e disse che donato m’avea ’l core; menòmmi sott’una freschetta foglia, là dov’i’ vidi fior’ d’ogni colore; e tanto vi sentìo gioia e dolzore, che ’l die d’amore – mi parea vedere. Evidente la doppia morale: donne da adorare e donne da stuprare. E’ un locus amoenus lo scenario in cui si svolge la caccia infernale descritta nella quinta giornata del Decameron, quella dedicata agli amori che si concludono felicemente dopo varie difficoltà, nella Novella dal titolo: Nastagio degli Onesti. Passeggiando nei pressi di Ravenna Nastagio degli Onesti, di nobile famiglia, che amava non ricambiato una gentildonna e per corteggiarla si stava rovinando con spese pazze, vede una donna nuda che corre disperata inseguita da feroci mastini che la azzannano e da un cavaliere nero con uno stocco in mano che la minaccia e, raggiuntala, la trapassa con lo stocco e, squartatala, da le sue interiora in pasto ai cani. Poi, prodigiosamente, la donna si rialza e la caccia continua. Dallo stesso cavaliere Nastagio viene a sapere che loro sono anime condannate all’inferno, il cavaliere perché si è tolta la vita per il dolore del suo amore non ricambiato verso quella dama, quando entrambi erano vivi, la donna invece scontava la pena della sua crudeltà amorosa. Nastagio, pertanto, invita amici, i parenti dell’amata e l’amata stessa ad un pranzo all’aperto nello stesso luogo dell’incontro. Puntualmente si verifica lo stesso spettacolo e la dama superba, terrorizzata, accondiscende a sposare Nastagio. La notizia di questo episodio impressionò tanto tutte le donne ravennati che da quel momento furono più arrendevoli alle richieste d’amore. Come dire: l’amore trionfa. E’ evidente che si tratta di amore sessuato al maschile e che la volontà della donna è un particolare irrisorio, da forzare a proprio piacimento. Sempre in un locus amoenus, la selva ove si intrecciano molte vicende dell’Orlando Furioso, avviene l’incontro tra Sacripante e Angelica. Ariosto si diverte a ridicolizzare la rozzezza di questo guerriero che incontriamo in una radura e, mentre si crede solo, piange a calde lacrime e filosofeggia parafrasando in modo volgare argomentazioni da Roman de la rose. L. Ariosto: Orlando Furioso, canto I, Ott.42; 43, 44 (vedi allegato). Angelica nascosta in un cespuglio lo riconosce e gli si rivela sperando che lui possa ancora proteggerla e assicurando che Orlando, suo cavaliere, mai ha attentato alla sua verginità. Vedi all. ott. 57 (Se mal si seppe il cavalier d’Anglante..) ott.59 Corrò la fresca e mattutina rosa, Che, tardando, stagion perder potria, So ben ch’a donna non si può far cosa Che più soave e più piacevol sia, Ancor che se ne mostri disdegnosa, E talor mesta e flebil se ne stia: Non starò per repulsa o finto sdegno, Ch’io non adombri e incarni il mio disegno. Il poeta spinge la sua ironia fino a farlo disarcionare….da una donna, la bianca guerriera Bradamante, davanti ad Angelica! Il Novecento, noi lo sappiamo bene, è il secolo in cui il genio femminile, a partire dalla scrittura, si espande in tutti i campi. Sarà anche “secolo breve” (Hobsbawm), secolo di grande crisi nelle valutazioni di filosofi e sociologi maschi, ma è, indiscutibilmente, il secolo della libertà femminile. Ancora agli inizi del secolo, e non solo, la sensibilità degli uomini nei confronti delle donne, soprattutto di quelle di valore, che hanno ambizioni e capacità, e per questo sono viste come un pericolo per la loro supremazia, è estremamente ostile. Perderemmo solo tempo a citare Schopenauer e Nietzche. Citerò solo, rapidamente, il caso di Maria Montessori, che, giovanissima, alla fine dell’ottocento partecipando ai congressi femminili europei, sosteneva scientificamente la tesi dell’uguaglianza della donna e il suo diritto all’accesso al lavoro al di fuori della vita domestica. Posizione che dava la misura della sua incrollabile determinazione, se si considera che, nell’ambiente accademico che la circondava, lo studioso Giuseppe Sergi, con cui la Montessori collaborava, sosteneva che l’inferiorità della donna non fosse dovuta alla sua condizione sociale, ma fosse biologica, adducendo, tra l’altro, l’argomento dell’ereditarietà dei caratteri del genio. …I caratteri geniali dell’uomo, se permangono nella donna, non si sviluppano, dato che ella, per la sua “condizione sessuale resta sempre dietro rispetto allo sviluppo maschile…La donna, quindi, può essere madre del genio senza essere geniale”. Mi sembra di essere tornata al tormentoso interrogativo dei teologi medievali: Le donne hanno un’anima? (Se vi sono donne di genio. Appunti di viaggio nell’antropologia dall’unità d’Italia a oggi. A cura di Alessandro Volpone e Giovanni Destro-Bisol) Tra le scrittrici la scelta è vastissima. Io l’ho indirizzata su tematiche mirate: le difficoltà incontrata, nella storia, dalle donne di genio ad esprimersi, e la forza delle donne che emerge anche dai contesti più esasperati. Anna Banti, grande scrittrice italiana, (Lucia Lo Presti) (l’anno scorso è stato pubblicato finalmente il Meridiano Mondadori in cui è raccolta la maggior parte della sua opera) è sensibile alla difficoltà del genio femminile, nella storia, di esprimersi. Lavinia e Artemisia, due grandi personagge, condividono questa ingiustizia. “Lavinia fuggita”, è racconto contenuto nella raccolta che da esso prende nome. Lavinia è un’orfana povera che vive a Venezia, nel ‘700, nell’orfanotrofio della Pietà dove si esegue la musica del maestro Antonio Vivaldi. Inserisco questa citazione perché, a mio avviso, Lavinia è vittima di uno stupro della mente. La ragazza ha un grande talento musicale, è maestra concertatrice nel gruppo concertante dell’orfanotrofio, compone, nel più assoluto segreto e, incaricata di trascrivere la musica da eseguire, osa alterare le partiture per inserire sue composizioni. Approfittando di un periodo d’assenza del maestro Vivaldi, sostituisce un oratorio con uno di sua composizione, che ha un notevole successo. Raccoglie la sua musica in un grosso quaderno su cui ha scritto “Cantate e concertini”. Scoperta e duramente punita, scomparirà dal collegio attratta da un irresistibile richiamo di libertà, da terre lontane, verso oriente, che riteneva suo probabile luogo di origine. In ricordo di lei resterà, custodito dalle amiche Orsola e Zanetta il quaderno, ricordo della sua arte e della sua passione impossibile. “Artemisia” è il romanzo più conosciuto della Banti, considerato anche la sua autobiografia interiore. E’ dedicato ad Artemisia Gentileschi, grande pittrice vissuta nel seicento, “che ebbe il coraggio di esistere come artista”. Straordinariamente dotata per la pittura, ancora bambina lavorava nella bottega del padre Orazio, grande pittore molto conosciuto ai tempi e lì, in quella promiscuità, conobbe Agostino Tassi, pittore, amico e collaboratore del padre, che la violentò e poi si scoprì che era già sposato e con figli. Ecco la voce di Artemisia: Quattordici anni! Mi difesi e non valse. Aveva promesso di sposarmi, lo prometteva fino all’ultimo, traditore, per togliermi la mia vendetta. M’aveva donata una turchina: “ti ho sposata con questa”, diceva. Davanti a lui soffrii la tortura, era livido e non diceva una parola. Il padre, incollerito per l’affronto, scrisse la denuncia, quindi ci sarà il processo, il pittore sarà condannato ad una pena lieve, ma verrà presto liberato per gli intrallazzi di certi suoi amici. Il processo più duro per lei sarà affrontare la vergogna della vita quotidiana, da sola, e le chiacchere dei vicini. Ma Artemisia non sarà mai una vittima. Ferita negli affetti, con un rapporto ruvido e difficile col padre, continuerà a coltivare la sua grande passione: la pittura e diventerà una grande pittora.”Ma io dipingo!” Ed è salvata. Questo partire da sé di Artemisia è la ripartenza di una donna forte, che ha vinto senza armi ed affronta la vita con pienezza e inesauribile energia. Donne forti. Anche Marianna Ucria lo è, nobildonna vissuta nel settecento, protagonista del romanzo: La lunga vita di Marianna Ucria di Dacia Maraini. Marianna è muta a causa di uno shock subito da bambina e, proprio per questa sua menomazione che non le consentirebbe di ambire ad un matrimonio adeguato, viene maritata ad un vecchio zio, che le ripugna, all’età di quattordici anni. Tutte voi, credo, avete letto il romanzo e quindi posso accennare che proprio lo zio l’aveva stuprata quando aveva l’età di sette anni ed era stata questa la causa del suo mutismo. (Di questo terribile segreto di famiglia lei si renderà conto quando è già adulta). La notte delle nozze, stravolta, piomba a casa dei genitori, dichiarando che non vuole più tornare dal marito, ma viene duramente rimproverata e sollecitata a compiere i suoi doveri di moglie. Quando, grazie alla vedovanza, si sarà liberata dei suoi doveri di moglie, gusterà il piacere di vivere una vita culturalmente intensa e costruttiva. Ancora di violenza domestica parlerà Maria Messina nel romanzo: La casa nel vicolo. Casa avvolta nell’ombra, dove si snoda la misera vita di una famiglia dominata da un marito padrone, insensibile e gretto, che causerà una tragedia terribile quanto incompresa. Le donne di questa famiglia sono annullate e mortificate, ma la forza femminile è quella della scrittrice che, con mano che non trema, affonda, come un bisturi, la sua penna per denunciare un inferno quotidiano. Donna forte è anche la protagonista de Una donna, romanzo femminista e autobiografico di Sibilla Aleramo, del 1906. E’ una denuncia impietosa del perbenismo della società borghese che fa del matrimonio un’arma di asservimento per le donne. Tutta la vicenda costituisce una vistosa incrinatura in ”quello specchio dal potere magico e delizioso” di cui parlava Virginia Woolf ne” Una stanza tutta per sé”. Sposata senza amore con un uomo rozzo che l’aveva violentata, la protagonista abbandona la sua casa e, con immenso dolore, anche il figlio che il marito le nega , per realizzare il suo desiderio di una vita libera, intensa, dedicata alla cultura, alla letteratura e all’impegno sociale. Emerge, secondo me, una sostanziale differenza tra uomini e donne rispetto alla violenza, nelle storie citate. Per gli uomini la violenza afferma predominio e sopraffazione, è un’affermazione di potere sessuato, è statica e sterile. Nei personaggi femminili e nelle scrittrici produce movimento, reazioni, indignazione, cambiamenti profondi e coscienza di sé. Se la protagonista di Una donna è costretta dalla violenza subita ad accettare un matrimonio riparatore con un uomo meschino e ignorante, nella vita reale, sessant’anni dopo Franca Viola, ragazza di Alcamo, rapita dal suo ex fidanzato respinto, Filippo Melodia, figlio di mafiosi, sequestrata e violentata, sostenuta dalla famiglia, rifiuta il matrimonio riparatore. Nel 1966 ci sarà il processo e Filippo Melodia sarà condannato ad una pena di 11 anni di carcere, poi ridotti a 10. Del ’64 è Io splendido film di Pietro Germi Sedotta e abbandonata, tutto incentrato sul tema dell’onore della famiglia legato al decoro sessuale delle donne. ll 5 sett. 1981 il Parlamento italiano, con legge n. 442, abroga l’articolo di legge che consente il delitto d’onore e il matrimonio riparatore. Infine Melania Mazzucco, (Sei come sei è il suo ultimo romanzo) grande scrittrice vivente, particolarmente lucida e sensibile nell’individuare problemi umani ed esistenziali del nostro tempo. Il suo romanzo Un giorno perfetto racconta una dramma familiare, che si conclude tragicamente, con la compattezza dell’unità di tempo: la vicenda si sviluppa entro le 24 ore. Un abisso separa quest’ultima opera da tutte le precedenti, non tanto per il valore letterario e per la contemporaneità dei problemi trattati, ma proprio per la peculiarità del dramma che si consuma. La famiglia di Emma e Antonio è avvinta dentro una spirale di violenza che non si allenta neanche dopo la separazione dei coniugi. Emma, bella ragazza, cui l’avvenenza rende la vita più difficile, abbandona il marito violento, con cui è impossibile vivere e si sobbarca ad un esistenza precaria e difficilissima, pur di ricostruire un’esistenza più serena per sé e per i propri figli. Antonio, poliziotto, non accetta la separazione e oscilla tra impulsi omicidi e l’illusione di poter ritrovare in Emma la ragazza tanto amata di un tempo, e amata tuttora, quella che lo aspettava a casa tranquilla, che aveva interrotto per lui la carriera di cantante, quella di cui era e continua ad essere ossessivamente geloso. Le loro sono vite continuamente interrotte proprio dall’ossessione di Antonio che perseguita la moglie. Emma è una ragazza forte e indomita, Antonio, aspetto imponente e palestrato, col suo arsenale di armi e mitragliette rivela una fragilità pericolosa e penosa che si risolverà in tragedia. Tra gli anni sessanta e il 2005, anno dell’edizione del romanzo, è cambiata profondamente la società, divorzio, aborto, femminismo, l’elaborazione di pensiero e di pratiche che mettono al centro l’autorità femminile, la nuova consapevolezza di identità sessuata che hanno le donne, unita alla dignità di disporre del proprio corpo e della propria vita, hanno dato gli scossoni definitivi al patriarcato in crisi. Alle spinte di crescita nell’ottica di una vita più degna e soprattutto frutto di scelte autonome, da parte delle donne, non corrisponde, in genere, una riflessione sulla propria identità sessuata e su un modo di intendere i rapporti fra uomini e donne da parte degli uomini. Il patriarcato si è sbriciolato ma ancora non è finita. Il compito dei/delle docenti è arduo e delicato. Affermare l’inviolabilità del corpo femminile, sostenere ragazze e ragazzi nella riflessione/costruzione del senso di sé dovrebbe costituire un momento importante in un percorso di crescita comune. Bibliografia Marija Gimbutas, Il linguaggio della dea, Longanesi Robert Graves, La dea Bianca, Adelphi Robert Graves, Miti greci, Longanesi Bruno Snell, La cultura, Piccola Biblioteca Einaudi Vernant, Mito e società nell’antica Grecia, Piccola Biblioteca Einaudi James G. Frazer, Il ramo d’oro, Bollati Boringhieri Esiodo, Teogonia, B.U.R. Patricia Monaghan, Le donne nei miti e nelle leggende, RED Luce Irigaray, Etica della differenza sessuale, La tartaruga Luce Irigaray, Sessi e genealogie, La tartaruga Luce Irigaray, All’inizio, lei era, Bollati Boringhieri Associazione Donne Insegnanti, Inviolabilità del corpo femminile. Atti del corso di aggiornamento, 1990 Ovidio, Le metamorfosi, B.U.R. Ovidio, L’arte dell’amore, Zanichelli Boccaccio, Decameron, UTET L. Ariosto, Orlando furioso, Salani Anna Banti, Lavinia fuggita - Artemisia, I meridiani Mondadori Dacia Maraini, La lunga vita di Marianna Ucria Maria Messina, La casa nel vicolo, Sellerio Sibilla Aleramo, Una donna, Feltrinelli Melania Mazzucco, Un giorno perfetto, Rizzoli