Update 35 - Fondazione GISCAD | Official Site
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Pubblicazione di informazione scientifica oncologica LO/0904/2008 a cura del GISCAD Medical Oncology Progress & MOPP Perspectives Update 35 EDIZIONI TECNOGRAF S.a.s. Via Piave, 14 - 20010 Canegrate (MI) Tel. (+39) 0331.404.444 - Fax (+39) 0331.410.508 - E-mail: [email protected] Tutti i diritti riservati. È vietato riprodurre, archiviare in un sistema di riproduzione o trasmettere sotto qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per fotocopia, registrazione o altro, qualsiasi parte di questa pubblicazione senza autorizzazione scritta dell’Editore. L’Editore non si assume alcuna responsabilità per qualsiasi lesione e/o danno a persona o beni in quanto responsabilità di prodotto, negligenza o altrimenti, oppure a operazione di qualsiasi metodo, prodotto, istruzione o idea contenuti nel materiale di cui trattasi. A causa del rapido progresso nella scienza medica, l’Editore raccomanda la verifica indipendente delle diagnosi e del dosaggio dei medicinali. Progetto grafico: Tecnograf s.a.s. Stampato in Italia da Tecnograf s.a.s. Edizione speciale fuori commercio riservata ai Sigg. Medici In copertina Goya - “Il parasole (El quitasol)” 1777 Pubblicazione di informazione scientifica oncologica Update 35 MOPP Medical Oncology Progress a cura del GISCAD & Perspectives Medical Oncology Progress & Perspectives Update 35 Un anno di oncologia “in pillole” Alberto Sobrero & Roberto Labianca 5 GISCAD EDUCAZIONALE Anemia nel paziente oncologico e Linee Guida per ESA Giovanni Rosti 11 Novità nella terapia adiuvante dei tumori del colon Alberto Zaniboni 17 Novità nei tumori del pancreas Rossana Berardi1, Alessandro Bittoni2, Riccardo Giampieri2, Mario Scartozzi1, Chiara Pierantoni1, Stefano Cascinu1 22 Up-date sulla terapia locoregionale nei tumori gastroenterici Roberta Bukovec, Antonio Ghidini, Cristina Crepaldi, Gianfranco Pancera 29 Novità nella terapia delle neoplasie polmonari (NSCLC) Francesco Grossi 34 SPAZIO GISCAD 40 Un anno di oncologia “in pillole” Un anno di oncologia “in pillole” Alberto Sobrero & Roberto Labianca Direttori Scientifici Convegno “Grandangolo 2009: un anno di Oncologia” Lo screening con PSA non riduce la mortalità da carcinoma prostatico. Andriole GL et al. N Engl J Med 2009; 360: 1310-19 Un totale di 76.693 maschi di età compresa tra i 55 e i 74 anni ha partecipato ad uno studio randomizzato per valutare il ruolo del PSA come test di screening per il carcinoma prostatico. Lo studio prevedeva l’assegnazione a uno dei seguenti bracci di intervento: dosaggio annuale dell’antigene prostatico specifico (PSA) per 6 anni associato all’esplorazione rettale per 4 anni (gruppo screening) oppure nessun test di screening (gruppo controllo). I risultati principali, dopo un follow-up di 7 anni, indicano che, ad oggi, non esiste evidenza che il dosaggio del PSA quale test di screening sia associato ad una riduzione della mortalità. Gemcitabina/docetaxel verso capecitabina/docetaxel nel trattamento del carcinoma mammario metastatico. Chan S et al. J Clin Oncol 2009; 27 :1753-60 La randomizzazione assegnava le pazienti a uno dei seguenti bracci di trattamento: •GD: G 1,000 mg/m2, giorni 1 and 8 q21; D 75 mg/m2 giorno 1 q21 •CD: C 1,250 mg/m2, due volte al giorno nei giorni da 1-14 q21; D 75 mg/m2 giorno 1 q21 Endpoint primario dello studio era la progression-free survival (PFS) . La tossicità ematologica è risultata simile tra i due bracci. La combinazione CD ha determinato una maggiore tossicità di grado 3-4 relativamente a diarrea, mucosite e hand-foot syndrome. PFS e OS del tutto simili. Sulla base di tali risultati, gli autori concludono affermando che gemcitabina può essere un partner migliore rispetto a capecitabina nei regimi di combinazione con il docetaxel. Tuttavia, tale conclusione non tiene conto che nei regimi di combinazione capecitabina viene oggi somministrata a dosi più basse rispetto a quelle del presente studio, verosimilmente senza compromissione dell’efficacia. Epoetine: effetti collaterali e rischio di morte nei pazienti con tumore. Bohlius J et al. The lancet 2009; 373: 1532-42 Lo studio ha preso in esame i dati individuali da 13.933 pazienti in 53 studi randomizzati controllati, sia promossi da sperimentatori indipendenti che da aziende produttrici di ESAs. 5 MOPP Medical Oncology Progress & Perspectives - Update 35 Le dosi di epoetina andavano da 21.000 UI a 63.000 UI/settimana e quelle di darbopoetina da 100 mcg a 157.5 mcg/settimana. L’analisi è stata condotta secondo intention to treat e i test di interazione sono stati utilizzati per identificare eventuali differenze in mortalità correlata agli ESAs nei diversi sottogruppi pre-specificati. L’incremento del 10% in mortalità tra i pazienti trattati con agenti stimolanti l’eritropoiesi durante il trattamento chemioterapico suggerisce prudenza nell’impiego di tali farmaci e richiama alla necessità di effettuare un’attenta valutazione dei rischi e dei benefici potenziali. Gefinitinib verso metotrexate nel trattamento delle ricadute da carcinoma squamoso della testa e del collo. Stewart JS et al. J Clin Oncol. 2009; 27: 1864-71 Lo studio ha confrontato la terapia con gefitinib alle dosi di 250 o 500 mg die per os rispetto al trattamento standard (metotrexate 40 mg/m2/settimana per via endovenosa) in 486 pazienti con recidiva da carcinoma squamocellulare della testa e del collo. Endpoint primario dello studio era la sopravvivenza globale (OS). Nessuna differenza significativa è emersa in termini di efficacia tra i tre bracci di trattamento. Il numero di pazienti che ha ricevuto una terapia post-studio è risultato simile tra i vari gruppi e la percentuale di crossover da gefitinib a metotrexate e da metotrexate a gefitinib è stata relativamente bassa. Non sono stati osservati eventi avversi inattesi, con l’unica eccezione di una maggiore incidenza di eventi emorragici con il gefitinib. Globalmente la terapia con gefitinib è stata ben tollerata, come testimoniato dagli indicatori di qualità di vita. Endocrinoterapia e acido zoledronico nel trattamento del carcinoma mammario in premenopausa. Gnant M et al. N Engl J Med. 2009; 360: 679-91 Uno studio randomizzato ha valutato l’aggiunta dell’acido zoledronico a una combinazione di ormonoterapia nel trattamento adiuvante di donne in premenopausa con carcinoma mammario endocrinoresponsivo. Le pazienti (n = 1803) sono state assegnate a ricevere uno dei seguenti bracci di terapia: goserelin 3.6 mg q28 + tamoxifen 20 mg die per 3 anni; goserelin 3.6 mg q28 + anastrozolo 1 mg die per 3 anni; goserelin 3.6 mg q28 + tamoxifen 20 mg die + acido zoledronico 4 mg q21 per 3 anni; goserelin 3.6 mg q28 + anastrozolo 1 mg die + acido zoledronico 4 mg q21 per 3 anni. Endpoint primario dello studio era la disease-free survival (DFS). I risultati sono stati pubblicati ad un follow-up di 47.8 mesi. Nessuna differenza è emersa in DFS tra i gruppi anastrozolo e tamoxifen. L’aggiunta di acido zoledronico alla terapia endocrina ha determinato una riduzione assoluta di 3.2 punti percentuali e una riduzione relativa del 36% nel rischio di progressione (HR 0.64; 95% IC 0.46-0.91; p=0.01). 6 Un anno di oncologia “in pillole” Docetaxel/ciclofosfamide verso adriamicina/ciclofosfamide nel trattamento adiuvante del carcinoma mammario. Jones S et al. J Clin Oncol. 2009; 27: 1177-83 In questo studio randomizzato, 1016 donne con carcinoma mammario precoce sono state assegnate a ricevere la combinazione docetaxel/ciclofosfamide (TC, 75/600 mg/m2 q21 x 4 cicli) o la combinazione adriamicina/ciclofosfamide (AC 60/600 mg/m2 q21 x 4 cicli). Il 16% della popolazione studiata comprendeva donne di età superiore o uguale a 65 anni. I risultati, precedentemente pubblicati, sono stati aggiornati con un follow-up di 7-anni con l’obiettivo di valutare la disease-free survival (DFS), l’overall survival (OS) e la relazione tra efficacia e determinate variabili (età, stato recettoriale, stato di HER2). Fra le donne di età ≥ 65 anni si è assistito ad una maggiore incidenza di neutropenia febbrile con TC e di anemia con AC. Lo studio ha il principale vantaggio di offrire un’opzione alternativa per le pazienti che presentino controindicazioni alle antracicline. Tuttavia, il regime AC x 4 è considerato inferiore a diversi altri regimi a base di antracicline con durata di trattamento superiore. Di questo sono ampiamente consci gli autori che hanno lanciato uno studio in cui 6 cicli di TC saranno confrontati con 6 cicli di TAC (docetaxel, adriamicina, ciclofosfamide). Cetuximab e FOLFIRI come terapia di prima linea nel carcinoma colorettale avanzato. Van Cutsem E et al. N Engl J Med 2009; 360: 1408-17 Questo studio randomizzato di fase III ha valutato in 1200 pazienti con carcinoma colorettale avanzato e non resecabile il potenziale beneficio dell’aggiunta dell’anticorpo monoclonale anti-EGFR cetuximab allo schema FOLFIRI. È stata inoltre condotta una analisi di sottogruppo retrospettiva per valutare l’influenza dello stato mutazionale di KRAS sull’outcome del trattamento. Nel complesso, il beneficio della combinazione con cetuximab upfront in termini di riduzione del rischio di progressione seppur statisticamente significativo è modesto dal punto di vista clinico e risulta limitato a pazienti con KRAS wild-type. Va tuttavia notato un deciso aumento del tasso di risposta nei pazienti KRAS wt che hanno ricevuto EGFR-inhibitor (59.3% vs 43.2%), che rende interessante la combinazione nei soggetti con malattia epatica “quasi resecabile”. La tossicità del braccio sperimentale è stata maggiore in termini di reazione cutanee (19.7% vs 0.2%) e infusionali (2.5% vs 0%), ma facilmente gestibile con adeguata terapia medica. Ruolo del bevacizumab nel trattamento del carcinoma polmonare non squamoso. Reck M et al. J Clin Oncol 2009; 27: 1127-34 Nello studio AVAiL oltre 1000 pazienti con NSCLC ad istotipo non squamoso sono stati randomizzati a ricevere chemioterapia (cisplatino e gemcitabina a dosi standard) con placebo ovvero la stessa doppietta associata al bevacizumab a due differenti dosi (7.5 mg/Kg o 15 mg/kg), con 7 MOPP Medical Oncology Progress & Perspectives - Update 35 la possibilità di continuare il trattamento antiangiogenetico (o il placebo) anche dopo il sesto ciclo di chemioterapia. In accordo con il trial di Sandler (N Engl J Med 2006), lo studio conferma un potenziale beneficio in termini di risposta e PFS nei pazienti con istotipo non-squamoso e senza controindicazioni all’antiangiogenetico. Tuttavia, la limitata estensione del follow-up non permette di trarre conclusioni definitive sull’ipotetico vantaggio in overall survival. Inoltre, seppur il disegno dello studio non consenta un diretto confronto delle due dosi di antiangiogenetico, non pare che l’incremento di dose dell’antiangiogenetico sia di vantaggio. Combinazione di due biologici nel carcinoma del pancreas? Van Cutsem E et al. J Clin Oncol 2009; 27: 2231-37 Nello studio di fase III randomizzato, oltre 600 pazienti sono stati arruolati a ricevere la combinazione “standard” di gemcitabina ed erlotinib + bevacizumab alla dose di 5 mg/Kg ogni 2 settimane. Gli autori hanno riportato un vantaggio in PFS per i pazienti che hanno ricevuto l’antiangiogenetico, più marcato nel sottogruppo di pazienti con malattia più aggressiva (LDH o PCR elevate). Tuttavia, ricalcando i dati negativi del CALGB 80303 (600 pazienti randomizzati a ricevere gemcitabina settimanale + placebo vs gemcitabina settimanale + bevacizumab 10 mg/Kg/2 wk), questo studio ha confermato l’inutilità della aggiunta del bevacizumab ad una terapia di prima linea per carcinoma pancreatico e ancora una volta sottolineato la complessità biologica di questa neoplasia. Combinazione di antiangiogenetico, EGFR-inhibitor e chemioterapia nel carcinoma colorettale avanzato. Tol J et al. N Engl J Med 2009; 360: 563-72 Hecht RJ et al. J Clin Oncol 2009; 27: 672-80 Considerata l’efficacia raggiunta dalla combinazione di chemioterapia con un farmaco antiangiogenetico o con un agente anti-EGFR nel trattamento del carcinoma colorettale avanzato, ed i risultati del BOND-2 (combinazione di due biologici in pazienti pretrattati) si attendeva molto da CAIRO-2 e PACCE, che prevedevano una combinazione di chemioterapia + due biologici nel trattamento di prima linea del CRC. Nel CAIRO-2 750 pazienti sono stati randomizzati a ricevere upfront capecitabina, oxaliplatino e bevacizumab con o senza cetuximab; nel PACCE oltre 1000 pazienti hanno ricevuto chemioterapia standard (con oxaliplatino o irinotecan) in associazione a bevacizumab + panitumumab. Inaspettatamente, i risultati di entrambi gli studi sono stati negativi. Nel complesso, i dati concordano nell’indicare come sfavorevole la combinazione di chemioterapia con due biologici nel trattamento di pazienti con carcinoma colorettale avanzato. Tale combinazione produce incremento di costi e tossicità ed un inatteso significativo decremento in progression-free survival (del 22% nel CAIRO-2, del 27% nel trial PACCE). 8 Un anno di oncologia “in pillole” Efficacia del palonosteron nell’emesi acuta e ritardata indotta da chemioterapia altamente emetogena. Saito M et al. Lancet Oncol 2009; 10: 115-24 Lo studio multicentrico, randomizzato, controllato in doppio cieco, ha confrontato in 1114 pazienti sottoposti a chemioterapia contenente cisplatino o antracicline, la protezione a nausea e vomito offerta da una combinazione di palonosetron 0.75 mg + desametasone con quella del granisetron (40 mcg/Kg) + desametasone alle stesse dosi. Lo studio ha raggiunto l’endpoint principale: rispetto allo standard, la combinazione antiemetica con palonosetron si è dimostrata non-inferiore nella copertura della fase acuta e superiore nella fase ritardata. Sintomi e qualità di vita nei pazienti con SCLC-ED sottoposti a radioterapia cerebrale profilattica. Slotman BJ et al. J Clin Oncol 2009; 27: 78-84 Lo studio EORTC ha dimostrato un ridotto rischio di sviluppare metastasi cerebrali sintomatiche (15 vs 40%) ed un vantaggio in sopravvivenza a 1 anno (27 vs 13%) per pazienti con microcitoma polmonare, malattia estesa, sottoposti a RT encefalica profilattica dopo risposta alla terapia antiblastica sistemica (Slotman BJ, N Engl J Med 2007). In questa ulteriore analisi dello studio vengono presentati i dati relativi agli endpoints secondari di qualità di vita (HR-QoL) e dei sintomi riportati dai pazienti. I pazienti sottoposti a RT hanno anche riferito un impatto sulla QoL dato dalla comparsa di alopecia e fatigue. Nonostante il trattamento induca un aumento delle aspettative di vita, i pazienti devono essere informati sui potenziali effetti collaterali della strategia radioterapica ed adeguatamente supportati dal punto di vista clinico e psicosociale. Terapia adiuvante del melanoma con interferone: è necessaria una terapia prolungata? Pectasides D et al. J Clin Oncol 2009; 27: 939-44 L’utilizzo dell’interferone nella terapia adiuvante del melanoma radicalmente resecato, pur supportato da trial clinici, rimane controverso. Partendo dalle curve di sopravvivenza del trial E1684 (che nel 1995 ha portato alla registrazione FDA dell’interferone in setting adiuvante), lo studio ellenico si è proposto di verificare se il beneficio dell’interferone fosse limitato all’iniziale utilizzo ad alte dosi endovenose. Con questo obiettivo, 364 pazienti con melanoma resecato in stadio II (30% circa) o III (70% circa) sono stati randomizzati a ricevere IFN-alfa-2b 15 MU/mq gg1-5 ogni 7 per 4 settimane (pari al 75% della dose prevista nel trial E1684) ovvero la stessa terapia di induzione seguita da un mantenimento con 10 MU sc 3 volte a settimana fino a completamento dell’anno di terapia. I due trattamenti si sono dimostrati sostanzialmente equiefficaci, con un maggior tasso di effetti collaterali (epatotossicità, tossicità gastrointestinale, alopecia e neurotossicità) nel braccio che ha ricevuto terapia di mantenimento. 9 MOPP Medical Oncology Progress & Perspectives - Update 35 CPT-11 nel trattamento adiuvante del carcinoma colorettale: un altro dato negativo. Ychou M et al. Ann Oncol 2009; 20: 674-80 Circa 400 pazienti resecati per carcinoma del colon ad alto rischio di recidiva (stadio III N2 o N1 ed esordio con occlusione o perforazione) sono stati arruolati nel trial francese intergruppo FNCLCC Accord02/FFCD9802 disegnato con l’obiettivo di confrontare nel postoperatorio lo schema FOLFIRI allo schema LV5FU2. Endpoint primario dello studio era la DFS. I risultati sono stati presentati dopo un follow-up mediano di oltre 5 anni. Considerati i dati sfavorevoli del PETACC III (Van Cutsem E, ASCO Meeting 2005), del CALGB 89803 (Saltz LB, J Clin Oncol 2007) e del CPT-GMA 301 (Ychou M, ASCO Meeting 2008), probabilmente questo ennesimo studio negativo chiude definitivamente le porte all’utilizzo dell’irinotecan in setting adiuvante, definendo la molecola decisamente poco efficace nel controllo della malattia microscopica. 10 Anemia nel paziente oncologico e Linee Guida per ESA GISCAD EDUCAZIONALE Anemia nel paziente oncologico e Linee Guida per ESA Giovanni Rosti Oncologia Medica - Treviso INTRODUZIONE E MAGNITUDO DEL PROBLEMA L’anemia è una situazione clinica che sovente si accompagna al tumore sia alla diagnosi che durante l’iter della malattia o al trattamento chemio-radioterapico. Un’indagine Europea retrospettiva sull’incidenza dell’anemia in pazienti con cancro (studio ECAS (1) ha dimostrato che al momento dell’arruolamento allo studio circa il 40% dei pazienti si presentava in condizioni di anemia (52% nelle malattie onco-ematologiche e 41% nei pazienti con tumore solido). I livelli di emoglobina erano più bassi in correlazione con il perfomances status all’atto dell’arruolamento e le neoplasie che maggiormente sviluppavano anemia durante il trattamento antitumorale erano quelle broncogene e della sfera ginecologica. Sorprendente è il dato dello stesso studio ECAS, che dimostra come il 60% dei pazienti anemici non ha ricevuto alcun trattamento per l’anemia. La ricerca farmacologica ha permesso di ottenere già da oltre un decennio molecole in grado di migliorare i valori di anemia (Eritropoietine e più recentemente Darbepoietina). Scopo di questa breve rassegna è quello di offrire una valutazione delle principali Linee Guida di raccomandazione nazionali ed internazionali in grado di aiutare il clinico nella scelta dell’impiego di fattori di crescita eritopoietici. Verranno altresì valutati aspetti inerenti l’ottimizzazione del trattamento, la safety e eventuali criticità o aree grigie. LINEE GUIDA Negli ultimi dieci anni sono state redatte numerose versioni di Linee Guida che in realtà dovrebbero essere definite come raccomandazioni di pratica clinica, avendo in termine di Linee Guida un sottofondo impositivo che in realtà non hanno o non dovrebbero avere. Non esistono fondamentali differenze fra le varie Linee Guida di raccomandazione, anche se a mano a mano che vengono sviluppate ed aggiornate vi possono essere delle diversità fra di esse legate alla comparsa in letteratura di lavori che possono avere ridiretto il quadro verso determinati aspetti. Nessuna Linea Guida può definirsi perfetta, sia perché esiste una mutazione in base all’evidenza che si produce dal momento della pubblicazione, sia perché nessuna è in grado di essere applicabile a qualunque paziente in qualunque contesto clinico possibile. Le principali Linee Guida di raccomandazione oggi disponibili sull’uso dei fattori stimolanti l’eritrone (ESA) sono: • AIOM aggiornate all’ottobre 2009; (2) • ESMO del 2008; (3) • ASCO-ASH pubblicate fra l’ottobre 2007 e il gennaio 2008; (4) • EORTC del 2007 (5) e NCCN dell’inizio del 2009 (6) (sono le uniche che vengono aggiornate annualmente). Non è possibile raccomandarne una al posto di un’altra nel senso che gli statement delle varie Linee Guida si sovrappongono di molto, ma si suggerisce un richiamo a quelle più recenti perché tengono conto di dati da pubblicazioni successive come per esempio è il caso della terapia marziale. Resta chiaro che ogni Linea Guida per ogni situazione clinica deve essere calata nella realtà geografico-sanitaria in cui il clinico si trova ad operare. 11 MOPP Medical Oncology Progress & Perspectives - Update 35 Il primo punto da considerare è quando iniziare il trattamento con ESA. Sia le autorità regolatorie Italiane (AIFA) sia le Linee Guida di raccomandazione portano a 10 g/dl il limite sotto al quale si può iniziare il trattamento. In Italia, laddove per ragioni cliniche il trattamento venga iniziato oltre il limite di 10 g/dl, non si configura la rimborsabilità degli ESA. Una situazione del tutto particolare (a proposito di contesto geo-sanitario locale) è il Regno Unito di Gran Bretagna, dove non è rimborsato in Oncologia Medica alcun ESA tranne che per pazienti con neoplasia ovarica in trattamento e con valori di emoglobina < 8g/dl o in pazienti nei quali non è praticabile l’emotrasfusione (7). Tale giudizio espresso dall’organo consultivo Britannico NICE non trova corrispondenza in alcun altro Paese Europeo. Se è vero che tutte le Linee Guida indicano in 10 g/dl il valore soglia sotto il quale si può iniziare il trattamento con ESA, esistono delle variabili all’interno delle medesime: ad esempio, ASCO-ASH afferma che, in particolari situazioni cliniche, quali pazienti anziani con limitata funzionalità cardio-polmonare, angina instabile, malattia coronarica, ridotta capacità di esercizio o di svolgere le normali attività quotidiane, il trattamento può essere considerato anche in caso di valore di emoglobina maggiore di 10 g/dl. Parimenti, NCCN ritiene possibile considerare un inizio di trattamento fra 10 – 11 g/dl quando il paziente accusi fatigue significativa. AIOM ha fatto propria la stessa filosofia, dove il clinico può scegliere di iniziare anche sopra i 10 g/dl laddove ve ne sia esigenza clinica. È chiaro che il medico non deve essere un copia/incollatore di raccomandazioni, ma deve essere guidato anche dalla valutazione clinica del singolo paziente. È mandatario che prima di iniziare un trattamento con ESA devono essere escluse tutte le possibili cause di anemia secondaria quali carenze vitaminiche, marziali o di altra natura. I fattori stimolanti l’eritrone devono essere continuati fino a valori tali da garantire sia la sicurezza per il paziente, sia l’ottenimento dei livelli ai quali il beneficio clinico si palesa. Tutte le Linee Guida suggeriscono di raggiungere come target i 12 g/dl e su questo c’è univocità. L’unica che portava un’indicazione fino a 13 g/dl era la Linea Guida dell’EORTC, che nel 2007 ha avuto un ulteriore aggiornamento (pubblicato su The Oncologist nel maggio 2008) (8) indicando come valore massimo i 12 g/dl. Il target dei 12 g/dl è oggi, pertanto, l’unico limite invalicabile che garantisca safety e beneficio clinico. ASCO-ASH suggerisce, una volta raggiunti i 12 g/dl, di impiegare il minimo necessario di ESA per mantenere il valore raggiunto. Tutto ciò per non fare aumentare il rischio trombo-embolico che negli ultimi due anni si è palesato come un aspetto di non trascurabile importanza nella bilancia costo-beneficio del trattamento con ESA (9). Tutte le epoietine e la darbepoietina alfa vengono considerate equivalenti in termini di efficacia e safety. Non è assolutamente indicato da alcuna Linea Guida in nessun caso clinico l’uso di ESA in pazienti con anemia da cancro non riceventi chemioterapia antiblastica o che vengano trattati con sola radioterapia. Questo dato è stato comprovato solo negli ultimi mesi, per cui le Linee Guida di qualche anno addietro non ne facevano alcuna menzione. In nessuna Linea Guida viene a tutt’oggi chiaramente indicata la modalità di mantenimento dei livelli di emoglobina intorno a 12 g/dl (stop and go o diminuzione empirica della dose somministrata). Questo è un esempio di come al copia/incolla vada aggiunta anche pratica clinica di buon livello. In sostanza, possiamo confermare che non esistano grosse differenze fra le varie proposte. Nell’ultimo quinquennio sono stati inseriti nuovi argomenti riguardo alle possibili fasce di intervento sopra la soglia 10 g/dl, ma soprattutto è stato individuato un target universale posto a 12 g/dl come tetto di safety. OTTIMIZZAZIONE DEL TRATTAMENTO Le Linee Guida ci accompagnano all’inizio della terapia e alla sospensione della medesima. Esistono aspetti che non sempre sono chiaramente indicati: uno dei punti critici è quando giudicare un paziente non responsivo agli ESA. In generale, si ritiene che un trattamento con ESA 12 Anemia nel paziente oncologico e Linee Guida per ESA in assenza di risposta (per assenza di risposte si intende un incremento inferiore ad 1 – 2 g/dl o nessuna diminuzione del numero di trasfusioni) oltre le 6/8 settimane vada interrotto. Se prendiamo il caso di pazienti che ricevono un trattamento fortemente anemizzante, come schemi contenenti il Cisplatino (1), è possibile osservare che i pazienti non incrementano il loro livello di emoglobina, ma neppure lo peggiorano. Secondo le Linee Guida questi soggetti vengono considerati come non responder, pertanto il trattamento con ESA dovrebbe essere interrotto, ma è possibile che tali farmaci siano stati in qualche modo efficaci, impedendo il peggioramento dello stato anemico indotto dal Cisplatino. In questo momento non è possibile dirimere la questione, non avendo supporto di raccomandazione che non sia la sospensione. L’aumento della dose di ESA non viene ritenuta opzione adeguata in caso di non aumento dei livelli emoglobinici. Occorre chiedersi, prima di iniziare un trattamento con ESA, come poterlo ottimizzare, cioè come mettersi nelle condizioni ottimali per ottenere dai farmaci la loro migliore performance. Uno dei punti cruciali è l’associata terapia marziale. Forse è l’aspetto che ha ricevuto la minor attenzione sia da parte degli estensori delle Linee Guida che degli utilizzatori di ESA. Un paziente in procinto di ricevere ESA dovrebbe eseguire una valutazione funzionale del ferro. Già nel 2002 ASCO-ASH suggeriva un generico “monitoraggio” periodico di ferro, TIBC, TSAT o ferritina per ottimizzare la terapia. Nel 2007 ASCO-ASH non apporta alcuna variazione a ciò (4). La ferritina nelle neoplasie solide, specie in fase avanzata, è caratterizzata da un aumento correlato alla malattia tumorale stessa, quindi non può e non deve essere presa come riferimento unico per valutare la carenza di ferro. Un indice valido di carenza funzionale di ferro è la determinazione della TSAT; tale variabile non è conosciuta diffusamente fra gli oncologi medici e la formula per ottenerla può essere abbastanza complicata, ma esistono siti, come ad esempio www.emocromatosi.it, che la calcolano automaticamente. Dalla scarsa letteratura fino a tutto il 2007 avevamo poche informazioni sull’impiego del ferro; sapevamo che una terapia marziale orale è meno efficace di una terapia marziale endovena e la somministrazione del ferro per bocca non è in assoluto la miglior modalità per coadiuvare il trattamento con ESA. Purtroppo, vi è una larga diffusione all’impiego della terapia con ferro per bocca che è sovrapponibile o poco più al non somministrarla affatto (10). Uno dei punti chiave dell’inefficacia o della limitatissima efficacia del ferro orale risiede nel ruolo fisiologico dell’epcidina: trattasi di una proteina sintetizzata dal fegato in seguito a stimoli infiammatori e ad ipossia, come è il caso del soggetto anemico. Epcidina inibisce l’assorbimento intestinale del ferro ed il rilascio dello stesso da parte dei macrofagi. La via di eliminazione di tale proteina è attraverso l’emuntorio renale. Il terrore che il ferro endovena ha seminato e continua a seminare tra medici, infermieri e pazienti dovrebbe essere mitigato dalle nuove preparazioni endovena, che sono meglio tollerate, e da una maggior conoscenza della necessità che un ferro in forma efficiente venga somministrato insieme ad ESA. Già un lavoro di Auerbach nel 2004 (10) in pazienti con tumore solido aveva dimostrato come la terapia marziale endovenosa fosse migliore in termini di risposta al trattamento con ESA rispetto al ferro per bocca, ma paradossalmente questa evidenza non è stata colta universalmente, tanto che lo stesso NCCN proponeva fino allo scorso anno come terapia marziale in primis la via orale. Nel 2008 sono usciti due lavori sul Journal of Clinical Oncology, uno italiano (11) ed uno olandese (12), che hanno chiarito il ruolo del ferro endovena. Nello studio italiano in particolare (11), venivano trattati con supplemento di ferro endovena pazienti “true repleted” in base al valore della ferritina e della TSAT. Sorprendentemente, il vantaggio in termini di risposte era significativamente più alto nei pazienti che ricevevano darbepoietina alfa associata al ferro endovena rispetto al gruppo randomizzato alla sola darbepoietina. La rapidità dell’aumento dei livelli di emoglobina era parimenti migliore in chi riceveva trattamento associato. Quindi, e questa è la novità, è molto probabile che il ferro sia un cofattore fondamentale nella terapia con ESA in pazienti anche privi di carenza funzionale, cioè con TSAT sopra il 20%. Laddove si configuri il quadro di “absolute iron deficiency” i pazienti candidati ad ESA devono ricevere terapia marziale endovena prima di iniziare il 13 MOPP Medical Oncology Progress & Perspectives - Update 35 trattamento con ESA. Una review esaustiva ed aggiornata è stata pubblicata in aprile 2009 (13). Del tutto recentemente una metanalisi ha raccolto tutti gli studi (cinque in tutto) che valutavano l’associazione di ferro endovenoso verso terapia marziale orale o nessuna terapia marziale. Da tale valutazione emerge chiaramente un vantaggio significativo nel tempo alla risposta e nel livello di risposta per i pazienti che ricevevano ferro per via endovenosa. Un trend molto prossimo alla significatività emergeva anche per la riduzione del ricorso alla emotrasfusione (14). Quale la miglior somministrazione per gli ESA? Esistono varie formulazioni in commercio, sia quelle da 10.000 unità (epoalfa ed epobeta) oggi molto desuete, che quelle settimanali da 30.000 unità per l’epobeta e 40.000 unità per l’epoalfa e darbepoietina alfa 150 microgrammi. Più recentemente, sono entrate in commercio formulazioni long acting. Nessun beneficio è stato ottenuto con le somministrazioni ogni tre settimane rispetto alle altre posologie. SAFETY Solo recentemente si è data attenzione alla safety in pazienti in trattamento con ESA per neoplasia solida. Negli anni passati, spinti da un eccesso di ottimismo e valutando anche il rapporto fra anemia ed outcome, si era partiti verso un assioma poi rivelatosi pericoloso: più emoglobina, miglior performance del paziente. Sono noti studi, sia sul tumore mammario che sulla cervice uterina che sulle neoplasie del distretto otorinolaringoiatrico, in cui un aumento dell’emoglobina a valori ben oltre il target oggi accettato di 12 g/dl aveva comportato una riduzione di sopravvivenza. Va detto che in nessuno di questi studi venivano usati gli ESA in quelle che sono oggi le indicazioni internazionalmente accettate di limite massimo da raggiungere. Ciò non spiega del tutto i risultati di ridotta sopravvivenza, ma è certo che sono stati utilizzati i dati in una sorta di campagna contro l’impiego delle eritropoietine, tanto che anche una rivista di solito prestigiosa come The Lancet Oncology nel febbraio 2008 sostiene, in un editoriale senza firma, come gli analoghi dell’eritropoietina siano una classe di farmaci da rimuovere dall’armamentario terapeutico. Tutto ciò presuppone una lettura a dir poco superficiale e spicciola di alcuni dati di letteratura che per altro esistono. Le metanalisi condotte nel 2005 e nel 2006 dimostrano effettivamente un aumento del rischio trombo-embolico in soggetti che usano ESA per il trattamento della loro anemia in corso di chemioterapia (15) . Nel 2008 JAMA riporta un aumento di trombo-embolismo venoso e di mortalità (15). Se però teniamo presente gli studi in cui ESA vengono somministrati in conformità totale alla normativa prescrittiva, non vi è evidenza di tale aumento. Nella revisione su JAMA, l’analisi del rischio di mortalità e di trombo-embolismo non è stratificata per valori di emoglobina. Certamente, a differenza del passato, si è correttamente inserita nella valutazione dei rischi di ESA il trombo-embolismo e ASCO-ASH nell’ultima edizione inserisce come fattori generici di rischio l’anamnesi di trombosi, la chirurgia maggiore, l’immobilizzazione prolungata o la limitata attività. Al momento non sono ancora definiti fattori di rischio specifici per il trattamento con ESA in tumori solidi. Resta importante l’adeguamento alla normativa prescrittiva, laddove si intenda iniziare un trattamento con ESA, ma a differenza del passato il rischio trombo-embolico deve essere considerato nel planning decisionale globale. Il ruolo dei recettori per l’eritropoietina sono oggetto di intensi studi perché non è ancora chiaro quale sia il loro ruolo nella eventuale progressione tumorale o nell’aumento dei fenomeni tromboembolici. Come nel campo di tutte le conoscenze in continuo divenire per quanto riguarda la safety da ESA, è probabile che nei prossimi mesi avremo informazioni maggiori sul ruolo dei recettori (tutti? alcuni?) e sulla loro rilevanza o meno nella progressione tumorale in corso di trattamento con ESA. Al momento non abbiamo dati sufficienti. CRITICITÀ Come in altri campi terapeutici esistono criticità nell’impiego degli ESA. Sicuramente va tenuto presente il motivo (l’indicazione terapeutica) dell’impiego di tali molecole, cioè la riduzione del 14 Anemia nel paziente oncologico e Linee Guida per ESA rischio trasfusionale. La relativa carenza di dialogo e collaborazione con i colleghi della medicina trasfusionale può portare il prescrittore a vedersi rifiutare una richiesta di globuli rossi concentrati. D’altro canto, la normativa prevederebbe i Comitati per il Buon Uso del Sangue (CBUS) in tutte le Aziende Sanitarie, ma purtroppo in molte realtà i CBUS o non esistono o sono totalmente o parzialmente inattivi. Il limite sotto al quale accedere alla richiesta emotrafusionale può variare ed in alcune regioni è fissato a 7,5 g/dl, in altre ad 8 ed in altre ancora non è determinato. La disponibilità di sangue non è infinita ed esistono situazioni in cui la maggior complessità di terapie chirurgiche o mediche (si pensi ai trapianti di cellule staminali) ha fatto lievitare il consumo di sangue. Esistono, poi, situazioni regionali o locali ove la struttura dipende in gran parte da altre realtà per l’approvvigionamento di emocomponenti. In poche parole, non esiste sempre ed ovunque una adeguata cultura del buon uso del sangue (l’esempio della latitanza talora dei CBUS è indicativo). Sicuramente la terapia con ESA non è scevra da rischi come non lo è nessuna altra terapia in medicina, ma dai dati disponibili nel corso degli ultimi anni, laddove la prescrizione ed il trattamento avvengano nei binari della raccomandazione di Linee Guida o nell’alveo di quello che le Autorità Regolatorie hanno stabilito, il rischio di eventi avversi maggiori non è significativamente aumentato. Una delle criticità maggiori (e qui siamo lasciati soli dalle Linee Guida di raccomandazione) è la titolazione della terapia con ESA una volta raggiunto il tetto di safety a 12 g/dl. In assenza di linee di comportamento (che in realtà non potrebbero tenere conto di tutte le variabili individuali legate al paziente ed alla sua anamnesi chemioterapica), la scelta viene lasciata al referente terapeutico, impiegando la minima dose di ESA per mantenersi nel range di efficacia e safety. Nulla o quasi sappiamo del trattamento con ESA in pazienti pediatrici affetti da tumore e considerando la densità dei regimi in onco-ematologia pediatrica e la loro durata, questo sicuramente dovrà essere un settore in cui impegnarsi seriamente. Per quanto riguarda i costi, certamente il trattamento con ESA è impegnativo e come in tutte le analoghe situazioni andrebbe fatto un bilancio farmacoeconomico che al momento manca. Gli stessi costi globali della trasfusione non sono mai stati fatti in maniera veramente dettagliata e certamente parametri come la fatigue o similari non rientrano ancora (ed ancora per molto tempo, si teme) nelle valutazioni di analisi economica, ma una farmacoeconomia con la F maiuscola non potrà in futuro sottrarsi da questo compito. Da ultimo, sarebbe auspicabile poter disporre di modelli risk score per la valutazione del possibile rischio tromboembolico. Questa potrebbe, anzi dovrebbe essere un’area di ricerca futura. 15 MOPP Medical Oncology Progress & Perspectives - Update 35 BIBLIOGRAFIA 1) Ludwig H, Van Belle S et Al. The European Cancer Anaemia Survay (ECAS): a large, multinational, prospective survey defining the prevalence, incidence, and treatment of anaemia in cancer patients. Eur J Cancer 40 (2004) 2293-2306 2) www.aiom.it 3) Greil R, Thödthman R, Roila F. Erythropoietins in cancer patients: ESMO Recommendations for use. Ann Oncol 2008; 19; (Suppl 2): ii113-ii115, 2008 4) 5) 11) Pedrazzoli P, Farris A, Del Prete S, et al. Randomized trial of intravenous iron supplementation in patients with chemotherapy-related anemia without iron deficiency treated with darbepoietin alfa. J Clin Oncol 2008: 25: 1619-25 12) Bastit L, Vandebroek A, Altintas S et al. Randomized, multicenter, comtrolld trial comparing the efficacy and safety of darbepoietin alfa administered evry 3 weeks with or without intravenous iron in patients with chemotherapy-induced anemia. J Clin Oncol 2008; 25: 1611-18 Rizzo JD, Somerfield MR, Hagerty KL et al. Use of epoietin and darbepoietin in patients with cancer: 2007 American Society of Clinical Oncology/American Society of haematology clinical practice guideline update. J Clin Oncol 2008; 26: 132-49 13) Pedrazzoli P, Rosti G, Secondino S, Siena S. Iron supplementation and eryjthropoiesis-stimulatory agents in the treatment of cancer anemia. Cancer, 2009 (115): 1169-73 Bokemeyer C, Aapro MS, Courdi A et al. EORTC guidelines for the use of erythropoietic proteins in anaemic patients with cancer : 2006 update. Eur J Cancer 2007; 43: 258-70 6) www.nccn.org 7) www.nice.org.uk 8) Aapro MS, Link H. September update on ERTC guidelines and anemia management with erythropoiesis-stimulating agents. 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Intravenous iron optimizes the response to recombinant human erythropoietins in cancer patients with chemotherapy-related 16 Novità nella terapia adiuvante dei tumori del colon Novità nella terapia adiuvante dei tumori del colon Alberto Zaniboni Fondazione Poliambulanza - Brescia Lo scenario relativo al trattamento adiuvante del carcinoma del colon non ha mostrato una particolare vivacità di tinte nel corso dell’ultimo anno, almeno giudicando dai lavori pubblicati in esteso. Di seguito vi propongo gli abstracts di quattro contributi interessanti anche se non “practice-changing”. Il più provocatorio è il primo (Chan et al.) sull’impatto prognostico dell’utilizzo dell’ASA dopo il trattamento primario in pazienti con neoplasia che iperesprime COX-2. Che sia questa la nuova “target-therapy” da approfondire? Visto come se la passano al momento in questo setting bevacizumab e cetuximab (vedi sotto) verrebbe da pensarlo seriamente. Peccato che l’ASA costi così poco! A seguire il lavoro della (Bertagnolli et al.) sostanzialmente incentrato su un “hot topic” che riguarda l’instabilità dei microsatelliti ed i rapporti che questo 15% circa di tutte le neoplasie colorettali intrattiene con prognosi e chemiosensibilità elettiva nei confronti dei farmaci utilizzati per il trattamento (neutra o detrimentale per il 5-FU, favorevole per regimi a base di CPT-11, meno studiata ma apparentemente favorevole per Oxaliplatino e Mitomicina-C). Riporto poi due lavori (Van Cutsem et al. e Andrè et al.) che suggellano senza particolari sussulti i risultati finali e da tempo noti degli studi Petacc 3 e Mosaic. Le news più interessanti sull’argomento in questione derivano da presentazioni congressuali o press-release che non hanno chiaramente ancora visto la luce come lavori definitivi e che pertanto devono essere valutate con la giusta cautela. Vi riporto di seguito quelle a mio parere più stimolanti: • Lo Xelox (8 cicli) può essere considerato una valida alternativa ai regimi adiuvanti Folfox-4 e Flox per i pazienti in stadio III . È quanto si desume dalle presentazioni effettuate all’ESMO 2009 e ASCO GI 2010. Gli HR dei tre regimi sono, per la DFS a 5 anni, 0.80, 0.81 e 0.80 rispettivamente. Il pattern di tossicità è globalmente accettabile. Il trial Tosca permette ora di studiare anche questo regime (3 vs 6 mesi). • Il Bevacizumab non pare funzionare in aggiunta al Folfox-4. Dei risultati dello studio NSABP C-O8 si è già ampiamente discusso anche su questa rivista dopo ASCO 2009. Attendiamo i risultati dello studio europeo Avant. • Anche il Cetuximab sembra deludere le aspettative nell’adiuvante. Nello scorso Novembre lo studio USA N0147 (Folfox con o senza cetuximab) con oltre 3000 pazienti randomizzati ed adeguata rappresentanza di pazienti K ras wt è stato interrotto perché non si sono verificate ad una analisi ad interim differenze significative in nessun sottogruppo di pazienti. I dati sono ancora frammentari e verranno presentati al prossimo ASCO, ma certamente quanto finora trapelato non appare incoraggiante. Anche qui è in corso di valutazione lo studio europeo gemello Petacc 8. • Il ruolo dei regimi adiuvanti contenenti Oxaliplatino è stato messo in dubbio per i pazienti di età superiore ai 70 anni. È quanto sembra ricavarsi dall’analisi ACCENT presentata all’ASCO 2009 da Meyerhardt. L’analisi, metodologicamente non del tutto completa (vedi per chi volesse approfondire i commentari “full-text free” di Copur e del sottoscritto su Clinical Colorectal Cancer vol 8, N4 del 2009), sottolinea comunque come vi possa essere un 17 MOPP Medical Oncology Progress & Perspectives - Update 35 eccesso di mortalità non cancro-correlata in questa fascia di età in pazienti trattati con oxaliplatino di entità tale da annullarne il beneficio in termini di riduzione delle recidive. Pertanto è necessaria la massima attenzione nel selezionare i pazienti anziani per regimi di combinazione con l’oxaliplatino. • Peraltro i risultati soprariportati dell’analisi ACCENT, non parrebbero applicarsi per il regime Xelox di cui si è riferito al primo punto. Sembrerebbe infatti che il vantaggio di tale regime venga mantenuto anche nella popolazione con età > 70 anni, come riportato in un aggiornamento dello studio presentato all’ASCO GI 2010. • Si assiste infine ad un tentativo di selezionare i pazienti in stadio II mediante l’analisi genetica. È stato sviluppato infatti un Oncotype anche per il colon, come presentato da Kerr all’Asco 2009. Frutto di una collaborazione tra NSABP e gli Inglesi che hanno condotto la validazione prospettica nello studio Quasar, questa analisi identifica tre gruppi con rischio di recidiva a tre anni del 12, 18 e 22% (molto meno discriminanti a mio parere rispetto a quanto avviene con l’Oncotype TX nel ca mammario N- ER pos dove le percentuali sono 7,14 e 31%). Questa analisi non pare inoltre in grado di predire quali pazienti si possano avvantaggiare di una terapia a base di fluoro e folato. In sintesi questo lo scenario 2009/2010. Se si considera che nella malattia avanzata non si intravedono nuovi farmaci tradizionali in fase di sviluppo e che si assiste ad un gap temporale non banale tra lo sviluppo di bevacizumab, cetuximab e panitumumab e quello di nuovi farmaci molecolari di sicuro impatto, è lecito a mio parere attendersi una lunga stagnazione (almeno dieci anni?) in termini di ulteriori progressi terapeutici nell’adiuvante. Cosa fare nel frattempo? I dati sull’ASA, così come quelli che sempre più appaiono in letteratura relativi all’impatto potenziale che dieta, attività fisica, contrasto dell’iperinsulinemia pandemica nel mondo occidentale possono avere nel condizionare la prognosi dopo il trattamento primario indicano a mio parere una possibile strada che bisognerebbe avere il coraggio di iniziare a percorrere, anche in assenza del supporto economico dell’Industria Farmaceutica. 18 Novità nella terapia adiuvante dei tumori del colon Uso dell’aspirina e sopravvivenza dopo una diagnosi di cancro colorettale. Chan AT, Ogino S, Fuchs CS. JAMA 2009; 302(6): 649-59 Presupposto: l’uso dell’aspirina riduce il rischio di comparsa di tumori del colon-retto in trials randomizzati e inibisce la crescita tumorale e la metastatizzazione in modelli animali. Comunque, l’influenza dell’aspirina sulla sopravvivenza dopo la diagnosi non è nota. Scopo: esaminare la correlazione tra l’uso dell’aspirina dopo la diagnosi di cancro del colon-retto e la sopravvivenza globale legata alla malattia. Pazienti e metodi: studio prospettico di una coorte di 1279 pazienti di ambo i sessi, con diagnosi di cancro colorettale agli stadi I, II o III. I partecipanti vennero arruolati in 2 coorti su scala nazionale nel 1980 e nel 1986, prima della diagnosi e seguiti in follow-up fino al 1 giugno 2008. End point primario: mortalità globale e mortalità cancro-correlata. Risultati: Dopo un follow-up mediano di 11.8 anni, ci sono stati 193 decessi totali (35%) e 81 decessi correlati alla patologia (15%) nei 549 partecipanti che assumevano regolarmente aspirina dopo la diagnosi rispetto ai 287 decessi totali (39%) e i 141 decessi correlati alla malattia (19%) nei 730 partecipanti che non assumevano l’aspirina. Rispetto ai non-utilizzatori, i partecipanti che usavano regolarmente l’aspirina dopo la diagnosi, mostravano un HR multivariato per la mortalità cancro-specifica di 0.71 (95% CI, 0.65-0.97). Nei 719 partecipanti che non assumevano l’aspirina prima della diagnosi e il cui utilizzo era iniziato dopo la diagnosi, l’HR multivariato per la mortalità cancro-correlata è stato di 0.53 (95% CI, 0.330.86). Nei 459 partecipanti in cui era stato possibile effettuare indagini immunoistochimiche, l’effetto dell’aspirina differiva in maniera significativa in relazione all’espressione della COX-2 (P = .04). L’uso regolare dell’aspirina dopo la diagnosi è stato associato ad un più basso rischio di mortalità cancro-specifica nei pazienti in cui il tumore iperesprimeva la COX-2 (HR multivariato, 0.39; 95% CI, 0.20-0.76), mentre l’uso dell’aspirina non è stato associato ad un abbassamento del rischio nei pazienti in cui la malattia presentava una ridotta o assente espressione di COX-2 (HR multivariato, 1.22; 95% CI, 0.36-4.18). Conclusioni: l’assunzione regolare di aspirina dopo la diagnosi di cancro del colon-retto è associata ad un più basso rischio di mortalità globale e di mortalità cancro specifica specialmente in quelle persone i cui tumori overesprimono la cicloossigenasi 2 (COX-2). L’instabilità microsatellitare predice un’aumentata risposta alla terapia adiuvante con irinotecan, fluorouracile e leucovorin nel cancro del colon allo stadio III: CALGB Procol 89803. Bertagnolli MM, Niedzwiecki D, Compton CC et al. J Clin Oncol 2009; 27(11): 1814-21 Scopo: i cancri del colon che mostrano difetti nel sistema DNA mismatch repair (MMR) presentano delle caratteristiche cliniche e patologiche distinte, comprese una miglior prognosi e una ridotta risposta alla chemioterapia contenente fluorouracile. Questo studio prospettico ha indagato sulla chemioterapia adiuvante contenente FU e irinotecan nei pazienti affetti da tumore del colon con difetti nel MMR. Pazienti e metodi: il protocollo prevedeva il random di 1264 pazienti operati e allo stadio III ad un regime contenente un bolo settimanale di FU/LV o ad un regime con bolo settimanale di irinotecan/FU/LV (IFL). L’end point primario era la OS; la DFS era un end point secondario. L’espressione da parte del tumore delle proteine del sistema MMR, quali MLH1 e MSH2 veniva determinata mediante immunoistochimica (ICH). L’instabilità dei microsatelliti è stata determinata anche mediante l’uso di markers mono- e dinucleotidici. I tumori con difetti nel MMR erano quelli che mostravano una perdita d’espressione delle proteine MMR (MMR-D) e/o un genotipo con elevata instabilità microsatellitare (MSI-H). Risultati: dei 723 tumori esaminati mediante immunoistochimica e tipizzazione genica, 96 (13.3%) hanno mostrato un profilo MMR-D/MSI-H. I risultati della tipizzazione genica sono stati coerenti con l’immunoistochimica in 702 casi (97.1%). I pazienti trattati con IFL i cui tumori erano MMR-D/MSI-H hanno mostrato un aumento 19 MOPP Medical Oncology Progress & Perspectives - Update 35 della DFS a 5 anni quando confrontati con quelli con il sistema MMR integro (0.76; 95% CI, 0.64 – 0.88 vs 0.59; 95% CI, 0.53 – 0.64; P = .03). Questa correlazione non è stata osservata nei pazienti trattati con FU/LV. Un trend a favore di una DFS più lunga è stato osservato nei pazienti trattati con IFL con tumori MMR-D/MSI-H se confrontati con quelli che avevano ricevuto FU/LV (0.57; 95% CI, 0.42 – 0.71 vs 0.76; 95% CI, 0.64 – 0.88; P = .07; HR tra stato del tumore e trattamento, 0.51; rapporto di probabilità P = .117). Conclusioni: la perdita di funzione nel tumore del sistema MMR predirrebbe un miglioramento del risultato in pazienti trattati con il regime IFL rispetto a quelli trattati con FU/LV. Trial randomizzato di fase III di confronto tra 5FU infusionale / LV ogni 2 settimane da solo o con irinotecan nel trattamento adiuvante del cancro del colon allo stadio III: PETACC-3. Van Cutsem E, Labianca R, Bodoky G et al. J Clin Oncol 2009; 27(19): 3117-25 Scopo: l’obiettivo primario di questo studio randomizzato, multicentrico di fase III era quello di capire se l’aggiunta di irinotecan al regime adiuvante de Gramont determinasse un miglioramento della DFS nei pazienti affetti da tumore del colon allo stadio III. Pazienti e metodi: dopo chirurgia radicale, i pazienti con tumore del colon al II e III stadio vennero randomizzati a ricevere 12 cicli di de Gramont (5FU ic 600 mg/m² in 22 ore, die 1,2; 5FU bolo 400 mg/m² die 1,2; LV 200 mg/m² in 2 ore, die 1,2) da solo o con irinotecan (180 mg/m² in 30-90 minuti, die 1) ogni due settimane. In totale, 260 pazienti (7.9%) di un gruppo di 3278 pazienti ricevettero una schedula alternativa di 5FU infusionale/LV ad alte dosi (Arbeitsgemeinschaft Internische Onkologie) con o senza irinotecan. Risultati: l’analisi principale di efficacia era basata su 2094 pazienti trattati, con malattia allo stadio III. Dopo un follow-up mediano di 66.3 mesi, il tasso di DFS a 5 anni era del 56.7% con l’aggiunta di irinotecan rispetto al 54.3% con il solo 5FU/LV (log-rank P = .106). Associando l’irinotecan al 5FU/LV non vi è stato in questi pazienti un aumento significativo in termini di OS rispetto all’uso del 5FU/LV da solo (a 5 anni, 73.6% vs 71.3% rispettivamente; log-rank P = .094). L’aggiunta di irinotecan a 5FU/LV ha comportato un aumento di incidenza di eventi gastro-intestinali di grado 3-4 e di neutropenia. Conclusioni: la combinazione irinotecan + 5FU/LV non determina un aumento statisticamente significativo della DFS e dell’OS rispetto a 5FU/LV da solo nei pazienti affetti da tumore del colon allo stadio III. Aumento della sopravvivenza globale con oxaliplatino, fluorouracile e leucovorin nel trattamento adiuvante del cancro del colon allo stadio II o III nel trial MOSAIC. Andrè T, Boni C, Navarro M et al. J Clin Oncol 2009; 27(19): 3109-16 Scopo: la DFS a tre anni, nei pazienti affetti da cancro del colon allo stadio II o III sottoposti a chirurgia ad intento radicale, è stata significativamente aumentata dall’aggiunta di oxaliplatino al fluorouracile/leucovorin (FOLFOX-4). Qui sono riportati i risultati finali di questo studio, compresi la sopravvivenza globale a 6 anni e l’aggiornamento sulla DFS a 5 anni. Pazienti e metodi: un totale di 2246 pazienti vennero randomizzati a ricevere LV5FU2 o FOLFOX-4 per 6 mesi. L’end point primario era la DFS. Gli end points secondari erano la OS e la safety. Risultati: i tassi di DFS a 5 anni sono stati 73.3% e 67.4% nel gruppo FOLFOX-4 e LV5FU2 rispettivamente (HR = 0.80; 95% CI, 0.68 – 0.93; P = .003). I tassi di OS a 6 anni sono stati 78.5 % e 76.0% rispettivamente (HR = 0.84; 95% CI, 0.71 – 1.00; P = .046); la OS a 6 anni dei soli pazienti al III stadio è stata 72.9% e 68.7% rispettivamente (HR = 0.80; 95% CI, 0.65-0.97; P = .023). Nessuna 20 Novità nella terapia adiuvante dei tumori del colon differenza in termini di OS è stata riscontrata nella popolazione di pazienti allo stadio II. L’incidenza di comparsa di nuovi tumori non colo-rettali è stata del 5.5% e del 6.1% nei bracci FOLFOX4 e LV5FU2 rispettivamente. Nei pazienti riceventi oxaliplatino la frequenza di neuropatia sensitiva di grado 3 è stata dell’ 1.3% dopo 12 mesi dal trattamento e dello 0.7% a 48 mesi. Conclusioni: l’aggiunta di oxaliplatino al regime LV5FU2 aumenta significativamente la DFS a 5 anni e la OS a 6 anni nei pazienti operati per cancro del colon al II e III stadio e dovrebbe essere considerato il regime adiuvante di riferimento per la malattia allo stadio III. 21 MOPP Medical Oncology Progress & Perspectives - Update 35 Novità nei tumori del pancreas Rossana Berardi1, Alessandro Bittoni2, Riccardo Giampieri2, Mario Scartozzi1, Chiara Pierantoni1, Stefano Cascinu1 Clinica di Oncologia Medica, Università Politecnica delle Marche – Azienda OspedalieroUniversitaria Ospedali Riuniti Umberto I – GM Lancisi – G Salesi di Ancona. 2 Università Politecnica delle Marche – Azienda Ospedaliero-Universitaria Ospedali Riuniti Umberto I – GM Lancisi – G Salesi di Ancona. 1 Il carcinoma del pancreas rappresenta una delle neoplasie dalla prognosi più infausta, con un tasso di sopravvivenza a 5 anni di circa il 5%. La chemioterapia sistemica rappresenta lo standard di trattamento del carcinoma pancreatico avanzato, pur presentando un’efficacia complessivamente modesta. La gemcitabina in particolare rappresenta il farmaco di riferimento sia in monoterapia che come base per schemi di associazione. Nel tentativo di migliorare l’efficacia degli agenti citotossici tradizionali, negli ultimi anni sono state valutate, nell’ambito di studi clinici, associazioni tra chemioterapici e farmaci a bersaglio molecolare. L’aggiunta di erlotinib, un inibitore orale di EGFR, alla gemcitabina, in un trial di fase III, ha dimostrato di apportare un minimo beneficio in termini di sopravvivenza nei pazienti affetti da carcinoma pancreatico avanzato, stimabile in 13 giorni, che non consente di raccomandarne l’utilizzo nella pratica clinica. Il VEGF ed i processi di angiogenesi sono implicati nello sviluppo del carcinoma pancreatico, rappresentando quindi un altro possibile bersaglio del trattamento di questa neoplasia. Nel corso dell’ultimo congresso ECCO-ESMO (2009) sono stati presentati i risultati di uno studio di fase III che ha messo a confronto un trattamento con gemcitabina verso la combinazione di gemcitabina con axitinib, un inibitore dei recettori 1, 2 e 3 per VEGF, in pazienti affetti da carcinoma pancreatico avanzato. Alla base dello studio c’era la dimostrazione di un incremento della sopravvivenza globale (OS) in un precedente studio di fase II, risultato però non statisticamente significativo. Lo studio ha arruolato 632 pazienti con malattia localmente avanzata non operabile o metastatica che non avevano ricevuto precedenti trattamenti chemioterapici. Endpoint primario dello studio era la sopravvivenza globale (OS). L’aggiunta di axitinib, 10 mg al dì in due somministrazioni, non ha determinato un beneficio in termini di sopravvivenza globale (OS mediana 7,4 mesi nel braccio sperimentale verso 8,2 mesi nel braccio di controllo con hazard ratio di 1,06 con CI 95% 0,82-1,38). Il profilo di tossicità del trattamento sperimentale è risultato accettabile. I più comuni eventi avversi di grado 3 o 4 sono stati la neutropenia (13% - 12% rispettivamente nel braccio con axitinib ed in quello con sola gemcitabina), trombocitopenia (12/7%) e fatigue (8% - 7%). L’ipertensione arteriosa, evento avverso comune nei trattamento anti-VEGF, ha raggiunto il grado 3-4 solo nel 7% dei pazienti trattati con axitinib, mentre è stato verificato un incremento dei valori di TSH, espressione di tossicità tiroidea, nel 38% dei pazienti nel braccio sperimentale. Si confermano quindi i risultati negativi di un altro recente trial clinico di fase III, lo studio CALGB 80303, che ha visto l’impiego di un farmaco antiangiogenetico, in questo caso il bevacizumab, in associazione alla gemcitabina nel trattamento del carcinoma pancreatico avanzato. Anche in questo caso l’aggiunta di bevacizumab alla chemioterapia non ha determinato alcun vantaggio in OS (HR= 1,03) rispetto alla sola gemcitabina. Diverse ragioni possono essere alla base di questi risultati negativi. Visto il ruolo biologico dell’angiogenesi nella crescita e progressione, è possibile ipotizzare che una terapia antiangiogenetica possa essere più efficace nelle prime fasi dello sviluppo tumorale, ad esempio in fase adiuvante-postoperatoria, rispetto alle fasi avanzate. Inoltre i processi angiogenetici delle cellule 22 Novità nei tumori del pancreas tumorali sono regolati da un sistema complesso di segnali, che non si limita a VEGF e VEGFR. Trattamenti con inibitori tirosin-chinasici multi target potrebbero essere pertanto maggiormente efficaci. Infine una miglior comprensione del complesso rapporto tra cellule tumorali pancreatiche e microambiente specifico è sicuramente auspicabile nella pianificazione dei futuri studi clinici. L’ESMO-ECCO 2009 ha visto la presentazione dei risultati di uno studio clinico randomizzato, di fase IIb che ha valutato l’associazione di enoxaparina, un’eparina a basso peso molecolare (LMWH), alla chemioterapia in pazienti con carcinoma pancreatico avanzato. È noto come il carcinoma pancreatico sia tra le neoplasie associate al maggior rischio di complicanze trombo-emboliche venose (VTE), con una prevalenza stimata nei diversi studi tra il 5% ed il 60%. Il rischio di VTE incrementa ulteriormente tra i pazienti sottoposti a chemioterapia. Nei pazienti neoplastici l’utilizzo di LMWH si è dimostrato superiore, in termini di rapporto rischio/beneficio, agli anticoagulanti orali nel ridurre il rischio di trombosi. Oltre all’azione anticoagulante, diversi piccoli studi e singole osservazioni suggeriscono che LMWH possa svolgere un’attività anti-tumorale. In particolare un recente studio di fase II ha mostrato un incremento dei tassi di risposta e della OS associata all’aggiunta di LMWH alla chemioterapia in pazienti affetti da carcinoma pancreatico avanzato. Su queste basi, lo studio CONKO-004 ha randomizzato 312 pazienti a ricevere o non ricevere enoxaparina (1 mg/kg una volta al dì) in associazione alla chemioterapia sistemica. Gli schemi utilizzati prevedevano l’utilizzo di gemcitabina da sola o in associazione a cisplatino o 5-fluorouracile e acido folinico. Endpoint primario dello studio era la riduzione di eventi trombo-embolici venosi (trombosi venosa degli arti inferiori, della pelvi o embolia polmonare) sintomatici; tra gli endpoint secondari, tossicità, tempo a progressione (TTP) e sopravvivenza globale (OS). Lo studio ha dimostrato una riduzione significativa di VTE sintomatici nel gruppo di pazienti trattati con enoxaparina (5% nel gruppo di trattamento verso 15% nel gruppo di osservazione). Il tempo mediano alla comparsa di VTEs è risultato di 19,6 settimane nei pazienti trattati con eparina e di 11,4 settimane nel gruppo di osservazione. L’utilizzo di LMWH si è dimostrato sicuro e non ha determinato un incremento nel rischio di emorragie severe: il tasso di sanguinamenti maggiori registrato nei pazienti trattati con enoxaparina è stato di 6,3% contro il 9,9% osservato nei non trattati. I risultati dell’analisi preliminare non hanno mostrato differenze in OS o TTP tra i due gruppi di pazienti. L’uso profilattico di eparina a basso peso molecolare è risultato quindi sicuro ed efficace nel prevenire eventi trombo embolici venosi sintomatici in pazienti affetti da carcinoma pancreatico avanzato. 23 MOPP Medical Oncology Progress & Perspectives - Update 35 A double-blinded, placebo-controlled, randomized, phase III study of axitinib (AG-013736; A) plus gemcitabine (G) vs. G plus placebo (P) in advanced pancreatic cancer (PC) patients (pts). Kindler HL, Ioka T, Richel DJ et al. European Journal of Cancer Supplements, Vol 7 No 2, September 2009, Page 361 Scenario: Axitinib è un potente e selettivo inibitore dei recettori 1, 2 e 3 del fattore di crescita endoteliale vascolare, a somministrazione orale. In un trial di fase II randomizzato su G ± A in pazienti affetti da PC, è stato dimostrato un beneficio non statisticamente significativo in sopravvivenza globale (OS) in pazienti trattati con A+G (6.9 vs 5.9 mesi; Spano et al. Lancet 2008). Questi dati hanno condotto ad un trial internazionale di fase III, in doppio-cieco, di A+G vs P+G in pazienti con PC avanzato. (NCT00219557; Sponsor: Pfizer Oncology). Materiali e metodi: risultavano eleggibili pazienti che non avevano ricevuto in precedenza trattamenti chemioterapici, ECOG performance status (PS) 0/1, senza invasione tumorale di organi adiacenti, senza recenti trombosi e senza rischio di sanguinamento. Endpoint primario: OS. Stratificazione: estensione di malattia (localmente avanzato vs metatastatico). Statistica: 90% potenza di individuare un hazard ratio per morte ≤0.73 per G+A con un tasso di errore per falsi positivi 0.025 1-sided. I pazienti sono stati randomizzati 1:1 a ricevere G 1000 mg/mq in 30 minuti nei giorni 1, 8, 15 Q28 giorni, e A 5 mg o P per os BID. TC sono state eseguite Q8 settimane. Risultati: 632 pazienti sono stati arruolati dal 7/07 al 10/08. Al momento della analisi ad interim pre-pianificata, i dati di 630 pazienti erano disponibili. Sulla base della analisi ad interim dopo che si erano verificati 223 decessi, L’Indipendent Data Monitoring Commitee il 1/09 ha stabilito che il limite di futilità era stato superato. I pazienti in trattamento sono stati avvisati e l’interruzione di A è stata raccomandata. Caratteristiche dei pazienti (314 A+G/316 P+G): maschi 61%/60%; età mediana 61/62 anni; PS 1 52/49%; stadio IV di malattia 80%/79%. Tempo di trattamento mediano: 2.7/2.8 mesi (mo). Follow-up mediano: 5.6/5.6 mo. OS mediana: intent-to-treat popolazione 7.4/8.2 mo (95% CI: 6.2-9.5/6.9-10.4 mo); malattia localmente avanzata 9.0/10.6 mo (95% CI: 7.3-10.1/9.9-non disponibile); malattia metastatica 6.9/6.9 (95% CI: 5.6-10.2/6.2-8.2). Hazard ratio globale per morte: 1.06 (95% CI: 0.82-1.38). Decessi al 1/09: 112/111 pazienti. Dei 613 pazienti valutabili per tossicità, le tossicità di grado 3/4 includevano (% pazienti A+G/P+G): neutropenia 13%/12%; trombocitopenia 12%/7%; anemia 3%/8%; fatigue 8%/7%; anoressia 6%/4%; ipertensione 7%/2%; astenia 6%/2%; sanguinamento gastrointestinale 2%/2%; perforazione gastrointestinale 1%/1%; embolia polmonare 2%/2%; trombosi venosa profonda 1%/2%; eventi cerebrovascolari 0.3%/0.3%; proteinuria 1%/0%. I livelli di ormone tiroidostimolante sono stati ottenuti in 217 pazienti; di 197 pazienti con valori iniziali normali, un incremento ≥5µU/mL si è verificato nel 36%/8% dei pazienti. Conclusioni: l’aggiunta di A alla G non incrementa la sopravvivenza in pazienti con PC avanzato. Successful prevention of symptomatic thromboembolic events by the low molecular weight heparin enoxaparin in patients with advanced pancreatic cancer - results of the CONKO 004 trial. Pelzer U, Deutschinoff G, Opitz B et al. European Journal of Cancer Supplements, Vol 7 No 2, September 2009, Page 365 Obiettivo: pazienti con carcinoma pancreatico avanzato (APC) presentano un rischio aumentato di eventi tromboembolici venosi (VTE) potenzialmente letali. Esistono dati contrastanti riguardo l’efficacia e la sicurezza di eparina a basso peso molecolare (LMWH) usate a dosaggi diversi per la prevenzione di VTE in varie neoplasie. LMWH sono anche in discussione per un possibile beneficio in sopravvivenza globale (OS) nelle neoplasie. Il nostro studio pilota ha provato la fattibilità della LMWH enoxaparina (E) in aggiunta alla chemioterapia in pazienti con APC. Conseguentemente abbiamo iniziato questo studio aperto, prospettico, randomizzato, multicentrico (CONKO 004) per 24 Novità nei tumori del pancreas studiare il valore di E in pazienti con APC. Metodi: pazienti mai trattati con chemioterapia con diagnosi di APC citologicamente o istologicamente accertata sono stati randomizzati a ricevere o non ricevere LMWH (E 1 mg/kg una volta al dì) insieme a chemioterapia sistemica palliativa. Endpoint primario del trial era la riduzione di VTE sintomatiche (sVTE). Tossicità, tempo a progressione (TTP) e sopravvivenza globale (OS) erano tra gli obiettivi secondari dello studio. Il trial è stato approvato dai comitati etici dei centri partecipanti. Risultati: lo studio è stato chiuso dopo il reclutamento di 312 pazienti a Gennaio 2009 secondo un tasso predefinito di sVTE. Dopo un follow-up mediano di 30.4 settimane (w) la ITT-analisi è risultata in una significativa riduzione di sVTE da 15% (22/152) nel gruppo di osservazione (O) a 5% (8/160) nel gruppo E. Il tempo mediano alla sVTE nel gruppo E è stato di 19.6 w [1.1;33] vs 11.4 w [0.4;45.4] nel gruppo di osservazione. I tassi di sanguinamenti maggiori sono stati 9.9% per O e 6.3% per E. In ciascun gruppo si è verificata una emorragia fatale correlata al tumore. L’analisi preliminare dei dati (OS 208/312 pazienti; TTP 230/312) non mostra differenze significative in OS (O:29w vs E:31w) e TTP (O:19w vs E:22w). Conclusioni: l’uso profilattico di enoxaparina in pazienti con APC è efficace e sicuro per la prevenzione primaria di sVTE applicata insieme alla chemioterapia. Restiamo in attesa dei risultati definitivi su OS e TTP. Studio di fase II randomizzato di terapia adiuvante di pazienti operati per carcinoma del pancreas con mutazione di ras, trattati con gemcitabina e GI-4000 e gemcitabina agente singolo: analisi di sicurezza nei primi 100 pazienti. Richards DA, Muscarella P et al. Presentato al ASCO GI 2010 - Abstract numero: 229 Introduzione: i pazienti con tumori del pancreas operati hanno un alto tasso di recidive di malattia, nonostante il trattamento chemioterapico adiuvante standard con gemcitabina. Circa il 90% dei pazienti con tumore del pancreas sono portatori di mutazioni nell’oncogene Ras. GI-4000 è una serie di 4 ceppi interi, inattivati dal calore, di S. Cerevisiae ricombinanti, ognuno sottoposto a metodiche di biologia molecolare per esprimere una diversa oncoproteina Ras. GI-4000 esprime un ottimo profilo di sicurezza se somministrato come agente singolo in studi di fase 1. Metodi: la popolazione in studio include pazienti con tumore del pancreas operato che hanno una mutazione di Ras e una resezione R0 o R1 con procedura di Whipple. I pazienti sono stati randomizzati 1:1 a ricevere GI-4000 o placebo settimanalmente per 3 settimane iniziando dai 21-35 giorni post-chirurgia, mensilmente durante i 6 mesi di terapia con gemcitabina e mensilmente come monoterapia successivamente e fino a ripresa di malattia, morte o sospensione del trattamento. Gemcitabina è stata somministrata alla dose di 1,000 mg/m2 per 6 cicli. Risultati: l’età mediana è stata di 61 anni. Il 60% della popolazione in studio è maschile, il tasso di resezioni R0 è del 77% o R1 del 23%. La mediana di trattamento con gemcitabina è di 6 cicli. La mediana di esposizione al farmaco in studio (GI-4000 o placebo) è di 11 dosi/35 settimane. Il 33% dei pazienti ha avuto uno dei 57 SAE emersi durante il trattamento (di cui si sospetta un 5% correlato al GI-4000 ed un 7% correlato alla gemcitabina). 35 morti e 2 sospensioni legate ad AE sono state segnalate. I SAE apparsi durante il trattamento in più del 2% della popolazione in studio sono stati: ostruzione del piccolo intestino ed ascessi addominali. AE gradi 3-4 correlati al trattamento in più del 5% della popolazione sono stati: anemia, neutropenia, dolore addominale, fatigue. Sospensioni, eventi avversi seri, eventi avversi, morti sono comparabili ai dati pubblicati. Conclusioni: l’analisi in cieco relativa ai dati di sicurezza per i primi 100 pazienti in combinazione (gemcitabina plus GI-4000 vs gemcitabina da solo) sono confrontabili con i dati pubblicati relativi alla sola gemcitabina. Sulla base di analisi Bayesiane, l’arruolamento può essere esteso fino a 200 pazienti. Dati relativi sull’efficacia potranno essere disponibili a termine dello studio. Commento: un interessante studio, se non altro per il nuovo approccio scelto nella terapia adiuvante. In particolare, nello scenario delle terapie impiegate nel tumore del pancreas, avendo avuto risultati spesso difficilmente interpretabili con i trattamenti chemioterapici tradizionali e vantaggi commentabili nella migliore delle ipotesi come “marginali” in pazienti trattati con farmaci biologici (vedasi ad esempio il 25 MOPP Medical Oncology Progress & Perspectives - Update 35 modesto vantaggio in termini di sopravvivenza mediana dell’aggiunta dell’erlotinib alla terapia standard dei pazienti metastatici), l’ipotesi di un “vaccino” può avere nuove applicazioni. Se consideriamo inoltre il fatto che in questo caso il bersaglio contro cui verrebbe diretto tale vaccino è mutato in una alta percentuale di pazienti, si profila una interessante ipotesi di terapia mirata. Va inoltre considerato che spesso si tratta di pazienti che, reduci da un intervento chirurgico demolitivo, hanno condizioni cliniche generali spesso compromesse; l’aggiunta di una polichemioterapia ha spesso determinato, a causa delle tossicità, problemi nella semplice effettuazione del programma chemioterapico prestabilito. La possibile aggiunta di un “vaccino” con prevedibili minimi effetti collaterali, può essere una ipotesi nuova e da validare in questo ed altri studi anche alla luce di questo fattore. Trastuzumab e Capecitabina in pazienti con tumore del pancreas metastatico con iperespressione di HER2: studio multicentrico di fase II del gruppo AIO per studio tumore del pancreas (su patrocinio del gruppo Tedesco AIO [AIO PK-0204]). Geissler M, Hofheinz R et al. Presentato al ASCO GI 2010 - Abstract numero: 200 Introduzione: nel carcinoma del pancreas metastatico (mPaCa), l’iperespressione del recettore per il fattore di crescita epidermoidale di tipo 2 (HER2) è stata riportata in percentuali fino all’ 82% dei casi, suggerendo un potenziale utilizzo come bersaglio terapeutico. Su queste basi, questo studio è stato condotto per determinare l’efficacia ed il profile di tossicità della capecitabina (CAP) e del trastuzumab in pazienti con mPaCa. Metodi: pazienti eleggibili per lo studio dovevano avere un mPaCa con conferma istologica. L’obiettivo primario dello studio era la PFS a 12 settimane. I pazienti con mPaCa che all’immunoistochimica iperesprimevano HER2 con un grado 3 di epsressione o quelli con un grado 2 con amplificazione alla FISH hanno ricevuto trastuzumab alla dose di 4 mg/kg alla prima somministrazione seguito da 2 mg/kg settimanali, in associazione a capecitabina, 1250 mg/m2 bid giorni 1-14, q21. Lo studio, inizialmente concepito per arruolare 37 pazienti, è stato prematuramente chiuso a causa di una inaspettata bassa espressione di HER2. Risultati: tra Maggio 1994 e Febbraio 1998 un totale di 212 pazienti con una età mediana di 64 anni (range 38-86) sono stati sottoposti a screening centrale per espressione di HER2. Di questi, su 207 è stato possibile valutare sul pezzo tumorale l’espressione di HER2 e la amplificazione genica: all’IHC 83 (40%) erano grado 0, 71 (34%) grado 1, 31 (15%) grado 2, and 22 (11%) grado 3, rispettivamente. Uno dei IHC grado 2 e tutti gli IHC grado 3 mostravano amplificazione genica alla FISH. Dei 23 pazienti con amplificazione del gene HER2, 17 sono stati valutati per risposta al trattamento e tossicità in una analisi intention-totreat. Tossicità grado 3/4 rilevate negli 88 cicli di trattamento sono state: leucopenia 6%, diarrea 6%, nausea 6%, sindrome mano-piede 6%. Non sono state segnalate tossicità cardiache trastuzumab-correlate. 23.5% dei pazienti trattati erano liberi da progressione a 12 settimane, con una mediana di sopravvivenza di 211 giorni. Conclusioni: in contrasto rispetto a studi precedenti, questo studio multicentrico ha dimostrato che l’iperespressione di HER2 e l’amplificazione genica è stata osservata solo nell’11% dei pazienti con mPaCa. La discrepanza può essere spiegata con l’uso di un sistema centrale di standardizzazione e l’esame di un grande numero di pazienti non selezionati. Anche se il trattamento è stato ben tollerato, PFS e OS non hanno dato risultati incoraggianti rispetto alla standard chemioterapia con gemcitabina. A causa della bassa espressione di HER2 trovata in questo studio non raccomandiamo ulteriori valutazioni sull’efficacia di trastuzumab in questi pazienti. Commento: un interessante studio che va a valutare l’efficacia di Trastuzumab in un setting, quello del tumore del pancreas metastatico, in cui la scarsità di farmaci efficaci, testimonia uno scenario di trattamento spesso deludente. I risultati di questo studio mostrano un non-incoraggiante effetto del Trastuzumab in questi pazienti: se si considera che quasi il 90% dei pazienti con carcinoma pancreatico hanno anche mutazione del k-ras e considerando che questo si trova a valle della via trasduzionale mediata dai recettori della famiglia HER, questa può essere considerata una possibile ragione del 26 Novità nei tumori del pancreas fallimento di questo studio, che accomuna pertanto il Trastuzumab ad altri esperimenti con farmaci diretti contro i recettori della famiglia HER (vedasi ad esempio Cetuximab et similia). Studio di fase II di erlotinib in pazienti (pts) con carcinoma del pancreas avanzato (APC), refrattari al trattamento chemioterapico con Gemcitabina (G). Iyer RV, Khushalani NI et al. Presentato al ASCO GI 2010 - Abstract numero 258 Introduzione: Erlotinib in combinazione con Gemcitabina è un trattamento efficace in pazienti con adenocarcinoma del pancreas. L’effetto di erlotinib come agente singolo in pazienti non-eleggibili o resistenti alla Gemcitabina è stato valutato in questo studio. Metodi: criteri di eleggibilità: pazienti con adenocarcinoma del pancreas, 0/1 precedenti linee di trattamento. Endpoints: l’obiettivo primario dello studio è costituito dalla sopravvivenza-libera da progressione (PFS). Gli obiettivi secondari sono costituiti dal tasso di risposta valutato mediante criteri RECIST (RR), dalla sopravvivenza globale (OS), dalla qualità di vita (valutata mediante questionario EORTC PAN26, QOL) e la tossicità. Tali risultati sono stati correlati con l’abitudine tabagica, con le concentrazioni allo steady-state di erlotinib nella 3a settimana di trattamento, alla comparsa eventuale di rash cutaneo ed allo stato mutazionale di k-ras nel tessuto tumorale. Regime di trattamento: Erlotinib 150 mg PO qd in cicli di 3 settimane con rivalutazione ogni 6 settimane. Metodi statistici utilizzati: metodo di Kaplan-Meier, log-rank test, modello di Cox e test di Wilcoxon per la summa per gruppi. Risultati: 18 pazienti sono stati arruolati, 15 valutabili per la risposta (3 con peggioramento della sintomatologia). Caratteristiche dei pazienti: età mediana 64.5 anni (range 48-84 anni), sesso M/F: 9/9; ECOG performance status 0/1/2: 13/3/2; stadio III/IV:0/18. Precedenti linee di trattamento 0/1: 4(22%)/14 (78%). Mediana dei cicli di trattamento: 2 (range 0.24-4.6). Mediana sopravvivenza libera da progressione: 1.38 mesi (95% CI: 1.35- 1.41). Lo studio è stato chiuso prima di concludere il previsto arruolamento dei 34 pazienti pianificati, dato che i risultati erano paragonabili al trattamento con la sola terapia di supporto. Sopravvivenza globale: 3.1 mesi (95% CI: 2.8-4.3); migliori tassi di risposta: stabilità di malattia = 4/18 (22%), progressione = 11/18 (61%) e non valutabile = 3/18 (16%). Il tempo mediano di controllo di malattia (DCT) è stato di 9.3 settimane. Presenti/passato/mai fumatori (n = 6/10/2) hanno avuto una PFS di 1.3, 1.4 e 4.2 mesi, rispettivamente. I passati/presenti fumatori hanno avuto valori di concentrazioni di OSI 774 e OSI 420 allo steady state più basse dei mai fumatori (tutti comunque entro l’ampio range valutato negli studi precedenti). I punteggi relativi alla qualità di vita (all’inizio del trattamento e post-terapia) non presentavano relazioni con OS (p = 0.11) o la PFS (p = 0.21). A causa di inadeguatezza su 8 dei 9 primi blocchetti di tessuto tumorale valutati, la valutazione dello stato mutazionale di k-ras non è stata eseguita. Non sono state evidenziate tossicità correlate al trattamento di grado 3 o 4. Fatigue, anoressia, nausea, diarrea ed anemia sono stati tossicità frequenti con gravità minore (1/2) in più di 5 pazienti. Il rash è stato osservato raramente in questa popolazione (grado 1/2: n = 3/4). Conclusioni: in questa popolazione di soggetti con adenocarcinoma del pancreas, il tasso di controllo di malattia (CR+PR+SD) è del 22% con una mediana DCT di 9.3 settimane. Come era atteso, la sopravvivenza libera da progressione e la sopravvivenza globale sono risultate brevi. Commento: in questo studio si affronta il problema della seconda linea di trattamento dei pazienti con tumore del pancreas. Sappiamo da studi precedenti che l’impiego di regimi chemioterapici a base prevalentemente di 5fluorouracile ha mostrato spesso risultati deludenti, con un vantaggio in termini di sopravvivenza per pazienti “molto” selezionati, che generalmente si attesta intorno ai 2-3 mesi. Questo guadagno in termine di sopravvivenza si associa comunemente a tossicità difficilmente accettabili, se paragonate con il modesto beneficio. I risultati di questo studio mostrano come, in pazienti non valutati per stato mutazionale di k-ras (a causa inoltre di difficoltà comunemente rilevabili nella pratica clinica quali l’impossibilità a reperire materiale adeguato per fare una analisi mutazionale del k-ras in pazienti con carcinoma del pancreas) il beneficio dato da Erlotinib è modesto, perfettamente paragonabile ai risultati 27 MOPP Medical Oncology Progress & Perspectives - Update 35 ottenibili con la sola terapia di supporto e non valutabile sulla sola scorta di alcuni parametri clinici quali l’abitudine tabagica del soggetto. Sulla scorta di questi risultati e sul modesto risultato ottenuto dai regimi di combinazione in cui tale farmaco viene usato in prima linea ed in aggiunta a capisaldi della terapia del tumore del pancreas, quali la gemcitabina, si può formulare un giudizio di dubbio sull’utilità dell’impiego di questi farmaci, almeno fino a che non si disporrà di strumenti validati per eseguire una corretta selezione del paziente. 28 Up-date sulla terapia locoregionale nei tumori gastroenterici Up-date sulla terapia locoregionale nei tumori gastroenterici Roberta Bukovec, Antonio Ghidini, Cristina Crepaldi, Gianfranco Pancera Servizio di Oncologia Medica, Casa di Cura Igea - Milano Nel corso degli ultimi anni particolare attenzione è stata rivolta alla valutazione di terapie locoregionali per neoplasie del tratto gastroenterico. A tale proposito sono stati pubblicati diversi studi clinici che hanno preso in considerazione un approccio locoregionale da solo o in associazione a terapie sistemiche. Attualmente in tale ambito, oltre all’approccio chirurgico, si utilizzano nella pratica clinica altri tipi di trattamento locoregionale quali la radioterapia, la radiofrequenza, l’alcolizzazione e la chemioembolizzazione: queste metodiche sono soggette a limitazioni che ne consentono l’utilizzo solamente in casi selezionati, laddove il numero e la dimensione delle lesioni lo consentano. Proprio per tale ragione particolare interesse si pone verso la terapia intrarteriosa epatica; il fegato infatti rappresenta una tappa critica nella storia naturale di queste neoplasie in quanto sede primitiva, sede di recidive e sede di metastasi. In considerazione della vascolarizzazione delle metastasi epatiche, principalmente irrorate dall’arteria epatica, sono stati condotti alcuni trials che hanno previsto l’utilizzo di pompe impiantabili per l’infusione di agenti antineoplastici per via intrarteriosa. Affermato il ruolo attivo delle fluoropirimidine nel trattamento dei carcinomi del tratto gastroenterico, il farmaco che ha ottenuto maggior impiego nell’infusione intraepatica è il FUDR, utilizzato da solo o in associazione a chemioterapia sistemica, ottenendo risultati interessanti, nonostante le difficoltà tecniche nella gestione di un trattamento intrarterioso. Tali trattamenti (riservati ad un sottogruppo selezionato di pazienti) hanno sempre incontrato difficoltà metodologiche nel valutarne il reale impatto scientifico, sia per la ristrettezza delle casistiche, sia per la molteplicità dei trattamenti eseguiti. Inoltre le metanalisi eseguite non hanno permesso di trarre risultati definitivi, per cui si è mantenuto un interesse in chi utilizzava tali metodiche, che ricavava l’impressione di significativa efficacia, mentre il mondo scientifico e soprattutto quello dell’industria non hanno favorito studi significativi. Nel tempo inoltre sono nettamente migliorate le terapie sistemiche, che con l’avvento di nuovi farmaci hanno ottenuto risultati equivalenti a quelli della terapia locoregionale, ma con modalità più consone alle abitudini terapeutiche degli oncologi. Per tale motivo negli ultimi anni si è vista ridurre la presenza di segnalazioni scientifiche in questo settore. Ciò nonostante rimane sempre presente in ambito scientifico internazionale un’attività di studio in tale settore, che giustifica il presente articolo. Nel valutare i progressi ottenuti nell’ambito delle terapie locoregionali, abbiamo selezionato alcuni studi recentemente pubblicati che offrono ulteriori elementi di discussione. Gli studi della N. Kemeny del MSKCC, i cui ultimi lavori sono stati pubblicati su JCO e Annals of Oncology, hanno confermato l’efficacia dell’utilizzo di FUDR infuso per via intrarteriosa epatica e associato a chemioterapia sistemica con oxaliplatino e irinotecan. Buoni risultati sono infatti stati ottenuti in uno studio condotto su 49 pazienti con malattia avanzata non suscettibili di chirurgia delle lesioni epatiche dove tale trattamento ha consentito la resecabilità nel 47% dei pazienti (57% in pazienti che non avevano mai effettuato chemioterapia). Anche in una recente revisione italiana si conferma l’alto tasso di risposte ottenuto con la terapia intrarteriosa con fluoropirimidine rispetto alla terapia sistemica con i medesimi farmaci; purtroppo tale risultato non si traduce in un beneficio in termini di sopravvivenza per cui gli autori non consigliano tale approccio nella pratica clinica. Sulla scorta degli ottimi risultati ottenuti valutando la risposta clinica è stato condotto uno studio 29 MOPP Medical Oncology Progress & Perspectives - Update 35 di fase I con lo scopo di determinare le dosi ottimali di chemioterapia sistemica da associare a FUDR e desametasone intrarterioso in adiuvante, post-resezione di metastasi epatiche. Si è voluto poi valutare la fattibilità e l’efficacia di altri agenti antineoplastici utilizzati in infusione intrarteriosa in sostituzione a FUDR. In uno studio di fase I, pubblicato dal gruppo della Kemeny su Cancer Chemoter Pharmacol, è stata testata dose e durata d’infusione intrarteriosa di gemcitabina sia in pazienti con metastasi epatiche da carcinoma del colon che in pazienti con epatocarcinoma. Nell’ambito del tumore del retto localmente avanzato si segnala infine una revisione sistematica di studi randomizzati di fase II e III di confronto tra sola radioterapia e associazione di ipertermia e radioterapia. E’ stato dimostrato un tasso di risposte maggiore nel gruppo di pazienti trattati con la combinazione dei due trattamenti, mentre la sopravvivenza, sempre nello stesso gruppo, è risultata statisticamente migliore solo nei primi 2 anni successivi al trattamento. Alla luce di tali studi riteniamo che l’approccio locoregionale nel trattamento delle neoplasie del tratto gastroenterico, ed in particolar modo la terapia intrarteriosa epatica, possa ancora essere considerata un’opzione di trattamento in casi selezionati, ma sarebbe auspicabile la disponibilità di ulteriori valutazioni con la conduzione di trials comprendenti un maggior numero di pazienti e il confronto con schemi di terapia sistemica che prevedano l’utilizzo di farmaci biologici di ultima generazione. 30 Up-date sulla terapia locoregionale nei tumori gastroenterici Conversion to resectability using hepatic artery infusion plus systemic chemotherapy for the treatment of unresectable liver metastases from colorectal carcinoma. Kemeny NE, Melendez FD, Capanu M et al. from Memorial Sloan-Kettering Cancer Center – NY. Journal of Clinical Oncology 2009; 27: 3465-71 Scopo: portare a resecabilità pazienti con metastasi epatiche non operabili da carcinoma del colon-retto trattati con terapia intrarteriosa epatica (HAI) e chemioterapia sistemica con oxaliplatino e irinotecan (CPT-11). Pazienti e metodi: quarantanove pazienti con metastasi epatiche non resecabili (53% precedentemente trattati con chemioterapia) sono stati arruolati in un protocollo di fase I con floxuridina intrarteriosa e desametasone più chemioterapia sistemica con oxaliplatino e irinotecan. Risultati: il 92% dei pazienti ha ottenuto una risposta completa (8%) o parziale (84%) e 23 pazienti (il 47%) sono potuti essere sottoposti a resezione in un gruppo di pazienti con malattia estesa (73% con più di cinque lesioni epatiche, il 98% con malattia bilobare, l’86% con sei o più segmenti epatici interessati). Per i pazienti che non avevano mai eseguito chemioterapia e per i pazienti precedentemente trattati, la sopravvivenza mediana dall’inizio della terapia intrarteriosa epatica è stata di 50,8 e 35 mesi, rispettivamente. L’unica variabile significativamente associata ad un più elevato tasso di resezione è risultata il sesso femminile. Le variabili che riflettono l’estensione anatomica di malattia, come il numero di lesioni o il numero di vasi infiltrati, non sono risultati significativamente associati con la probabilità di resezione. Conclusioni: la combinazione di floxuridina intrarteriosa/desametasone e chemioterapia sistemica con oxaliplatino e irinotecan è risultato un regime terapeutico efficace per il trattamento di pazienti con metastasi epatiche non operabili da tumore del colon-retto, dimostrando un tasso di conversione alla resezione del 47% (57% in pazienti che non avevano mai effettuato chemioterapia). Studi randomizzati futuri dovranno confrontare la chemioterapia intrarteriosa e la chemioterapia sistemica con la terapia sistemica da sola per valutare il valore aggiunto della terapia intrarteriosa nel convertire a resecabilità i pazienti con metastasi epatiche. Fluoropyrimidine-HAI (hepatic arterial infusion) versus systemic chemotherapy (SCT) for unresectable liver metastases from colorectal cancer. Mocellin S, Pasquali S, Nitti D. Cochrane Database Syst Rev 2009 Jul 8; (3): CD007823 Background: anche se i trattamenti locoregionali, come l’infusione arteriosa epatica (HAI), presentano il vantaggio di somministrare farmaci antitumorali a dosi più elevate direttamente nell’organo metastatico rispetto alla chemioterapia sistemica (SCT), il beneficio in termini di sopravvivenza globale (OS) non è chiaro. Abbiamo quantitativamente sintetizzato i risultati di studi randomizzati controllati (RCT) di confronto tra infusione arteriosa epatica e chemioterapia sistemica per il trattamento delle metastasi epatiche non resecabili da carcinoma del colon-retto (CRC). Obiettivi: sintetizzare quantitativamente i risultati di studi clinici randomizzati di confronto tra infusione arteriosa epatica e chemioterapia sistemica per il trattamento delle metastasi epatiche non operabili da carcinoma del colon-retto. Materiali e metodi: è stata eseguita una revisione sistematica di report pubblicati fino a settembre 2008 sui risultati di studi clinici randomizzati che confrontavano l’infusione intrarteriosa epatica rispetto alla chemioterapia sistemica per il trattamento delle metastasi epatiche non operabili da carcinoma del colon-retto tramite una ricerca su MEDLINE, EMBASE, Cancerlit, Cochrane e GoogleScholar, nonché da altre banche dati che raccolgono informazioni sugli studi clinici. I criteri di inclusione sono stati pazienti con metastasi epatiche non operabili da carcinoma del colon-retto arruolati in studi clinici randomizzati di confronto tra infusione arteriosa epatica e chemioterapia sistemica. I risultati erano valutati in termini di 31 MOPP Medical Oncology Progress & Perspectives - Update 35 tasso di risposta tumorale e sopravvivenza globale. Due autori hanno effettuato in modo indipendente la selezione degli studi e la valutazione della qualità metodologica. Un terzo autore ha eseguito l’analisi di concordanza per dimostrare potenziali bias sistemici. Risultati: dieci studi clinici randomizzati sono in grado di soddisfare i criteri di eleggibilità. I regimi utilizzati per l’infusione arteriosa epatica si basavano su floxuridina (FUDR), 5-fluorouracile o con una di queste due fluoropirimidine in otto e uno studio clinico randomizzato, rispettivamente. Il trattamento sistemico consisteva di FUDR o 5-fluorouracile in tre e sette studi clinici randomizzati, rispettivamente. Sommando i dati di sintesi, il tasso di risposta globale era del 42,9% e 18,4% per terapia intrarteriosa e sistemica, rispettivamente (RR = 2,26; 95% CI, 1,80-2,84, P <0.0001). Il tempo mediano di sopravvivenza globale era 15,9 e 12,4 mesi per la terapia intrarteriosa e sistemica, rispettivamente: il rischio di morte non era statisticamente differente tra i due gruppi di trattamento (HR = 0,90, 95% CI, 0,76-1,07, P = 0,24). Conclusioni: i dati attualmente disponibili non supportano l’uso clinico o di ricerca del trattamento intrarterioso epatico con fluoro-pirimidine da solo per il trattamento di pazienti con metastasi epatiche non operabili da carcinoma del colon-retto; infatti, il maggiore tasso di risposta ottenuta con questo regime non si traduce in un vantaggio di sopravvivenza rispetto al trattamento sistemico con fluoropirimidine da solo. Phase I trial of adjuvant hepatic arterial infusion (HAI) with floxuridine (FUDR) and dexamethasone plus systemic oxaliplatin, 5-fluorouracil and leucovorin in patients with resected liver metastases from colorectal cancer. Kemeny N, Capanu M, D’Angelica M et al. from Memorial Sloan-Kettering Cancer Center – NY. Ann Oncol. 2009; 20(7): 1236-41. Epub 2009 Feb 20 Background: scopo dello studio era determinare la massima dose tollerata di oxaliplatino (oxal), 5-fluorouracile (5-FU) e leucovorin (LV) che potrebbe essere somministrata insieme all’infusione intrarteriosa epatica (HAI) di floxuridina (FUDR) e desametasone (Dex) nel trattamento adiuvante dopo resezione epatica. Metodi: trentacinque pazienti con metastasi epatiche resecate sono stati inseriti in uno studio di Fase I con HAI FUDR / Dex con dosi crescenti di oxal e 5-FU. Risultati: la dose iniziale di HAI FUDR è stata fissata a 0.12 mg/kg x volume della pompa diviso per il flusso della pompa più Dex infuso nelle prime 2 settimane di un ciclo di 5 settimane. La chemioterapia sistemica veniva somministrata nei giorni 15 e 29 con incremento di dose di oxal da 85 a 100 mg/mq e incremento di dose di 5-FU in infusione continua di 48-h da 1000 a 2000 mg/mq. La dose di LV è stata fissata a 400 mg/m2. Le tossicità dose-limitanti sono state: diarrea, 8.5%, ed elevati livelli di bilirubina, 8.5%. Con un follow-up mediano di 43 mesi, la sopravvivenza a 4 anni e la sopravvivenza libera da progressione sono state rispettivamente 88% e 50%. Conclusioni: la terapia adiuvante dopo resezione epatica con HAI FUDR / Dex associata a terapia sistemica con oxal a 85 mg/m2 e 5-FU in infusione continua a 2000 mg/m2, con LV a 400 mg/m2 è fattibile e sembra efficace. Si suggerisce di condurre studi randomizzati di confronto tra questo regime e FOLFOX per via sistemica. A phase I study of gemcitabine given via intrahepatic pump for primary or metastatic hepatic malignancies. Tse AN, Wu N. Cancer Chemoter Pharmacol 2009; 64 (5): 935-44 Scopo: stabilire la massima dose tollerata e la durata dell’infusione intrarteriosa epatica (HAI) di gemcitabina in pazienti con metastasi epatiche non resecabili da carcinoma del colon-retto o in pazienti affetti da tumori a primitività epatica. Metodi: i pazienti hanno ricevuto gemcitabina secondo schedula settimanale attraverso una pompa impiantabile intrarteriosa epatica per 3 settimane ogni 28 giorni. Durante la fase di titolazione della dose, sono state somministrate dosi crescenti di 32 Up-date sulla terapia locoregionale nei tumori gastroenterici gemcitabina intrarteriosa (800, 1.000, 1.200 e 1.500 mg/mq) con tasso fisso di somministrazione di dose pari 10 mg/mq minuto. A questa prima fase è seguita la fase di aumento progressivo del tempo di infusione (IDE), in cui gemcitabina intrarteriosa 1000 mg/mq è stata somministrata per tempi progressivamente maggiori (200, 300 e 400 min). Per stimare il tasso di estrazione epatica del farmaco, la farmacocinetica di gemcitabina somministrata per via intrarteriosa è stata confrontata con la farmacocinetica di gemcitabina somministrata per via endovenosa alla stessa dose nello stesso paziente nella fase di IDE. Risultati: 28 dei 30 pazienti sono risultati valutabili. Gemcitabina somministrata per via intrarteriosa è risultata ben tollerata fino alla dose di 1.500 mg/mq a 10 mg/mq/min e fino a 1.000 mg/mq infuso per più di 400 min. Non sono stati definiti protocolli di tossicità dose-limitante. Un paziente con colangiocarcinoma ha ottenuto una risposta parziale. L’estrazione epatica di gemcitabina sembra molto variabile tra i pazienti e non correlata alla durata dell’infusione intrarteriosa. Conclusioni: l’infusione intrarteriosa epatica di gemcitabina somministrata a dosi superiori o a durata maggiore rispetto alla dose raccomandata sistemica di 1.000 mg/mq in 30 minuti risulta ben tollerata. Per gli studi futuri, si raccomanda l’infusione di 1.500 mg/mq con una velocità di infusione di 10 mg/mq/min. Concomitant hyperthermia and radiation therapy for treating locally advanced rectal cancer. De Haas-Kock DFM, Buijsen J, Pijls-Johannesma et al. Cochrane Database Syst Rev 2010 Issue 3. Art. No.: CD006269. Background: la chirurgia è stata il trattamento di scelta per i pazienti con carcinoma del retto. Nel caso di tumori localmente avanzati i risultati sono stati scarsi, con alti tassi di recidive locoregionali e con dati di sopravvivenza globale scoraggianti. L’aggiunta di una (chemio) radioterapia upfront ha migliorato i risultati soprattutto sul controllo locoregionale. L’aggiunta di ipertermia alla radioterapia preoperatoria potrebbe avere un’efficacia equivalente. Obiettivi: quantificare il potenziale effetto benefico della termo-radioterapia in confronto con la chemio-radioterapia, in termini di risposte patologiche complete, sopravvivenza globale e tossicità. Materiali e metodi: abbiamo individuato studi randomizzati e controllati di fase II e III pubblicati in diverse lingue, attraverso una ricerca elettronica su Cochrane Central Register of Controlled Trials (CENTRAL) (The Cochrane Library Issue 1, 2007), Cochrane Colorectal Cancer Groups Specialised Register, MEDLINE (dal 1966), EMBASE (dal 1974), CINAHL (dal 1982). Inoltre la ricerca è stata effettuata su altri databases per identificare studi chiusi di recente e studi ancora in corso (metaRegister of Controlled Trials, Cancer Research UK, Cancer.gov, The Eastern Cooperative Oncology Group Trials Database). Tutti gli studi identificati fino a maggio 2007 sono stati considerati per l’inclusione nel presente studio. Nell’analisi sono stati inclusi solamente studi clinici controllati e randomizzati di fase II e fase III. Tutti gli studi identificati sono stati valutati da due revisori indipendenti. Una stima pesata dell’effetto del trattamento è stata calcolata per 2, 3, 4 e 5 anni di sopravvivenza, per la recidiva locale del tumore, per la tossicità acuta e tardiva e per la risposta completa del tumore (CR). CR è stata definita clinicamente dalla scomparsa di tutti i segni di malattia locale pre-trattamento, oppure patologicamente da margini microscopicamente liberi. Sono stati utilizzati il risk ratio (RR) e l’hazard ratio (HR). Le analisi sono state eseguite con il Reference Manager (RevMan). Risultati: sono stati identificati sei studi randomizzati pubblicati tra il 1990 e il 2007. Sono stati trattati un totale di 520 pazienti, 258 nel braccio di sola radioterapia (RT) e 262 nel braccio di radioterapia-ipertermia (RHT). Quattro studi (424 pazienti) hanno riportato i tassi di sopravvivenza globale (OS). Dopo 2 anni, la sopravvivenza è risultata significativamente migliore nel gruppo RHT (HR 2.06; 95% CI 1.333.17; p = .001), ma questa differenza non si rileva dopo un periodo più lungo (3, 4 e 5 anni di OS). Tutti gli studi tranne uno hanno riportato i tassi di CR. Un tasso di CR più significativo è stato osservato nel gruppo RHT (RR 2.81, IC 95% 1.226.45; p = .01). Solo 2 studi hanno riportato dati sulla tossicità acuta. In questi 2 studi non sono state osservate differenze significative tra il gruppo di RT e quello di RHT. Non sono stati riportati dati di tossicità tardiva. Conclusioni: sono necessari ulteriori studi di confronto tra chemioradioterapia, termo-radioterapia e chemioterapia associata ad ipertermia in trials ben selezionati e condotti, controllati e randomizzati. 33 MOPP Medical Oncology Progress & Perspectives - Update 35 Novità nella terapia delle neoplasie polmonari (NSCLC) Francesco Grossi Oncologia Medica A - Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro - Genova Nel 2009 sono state fondamentalmente due le novità che hanno destato maggior interesse nel trattamento dei tumori polmonari non a piccole cellule (NSCLC): la possibilità di somministrare, in prima linea negli stadi avanzati, un inibitore di EGFR in pazienti selezionati per la mutazione di questo recettore e la possibilità di introdurre una terapia di mantenimento tra le possibili strategie terapeutiche dopo una chemioterapia di induzione. Sulla prima novità, l’anno scorso sono stati pubblicati due studi (Mok T. NEJM e Rosell R. NEJM) e ne sono stati presentati altri tre (Mitsudomi T. Lancet Oncology 2010, Kobayashi K, ASCO e Lee JS, WCLC). In tali studi per la prima volta è stato dimostrato, seppur in pazienti selezionati per la presenza di una mutazione di EGFR, che in prima linea è possibile rinunciare ad una chemioterapia a due farmaci sostituendola con un solo farmaco a bersaglio molecolare (gefitinib o erlotinib), ottenendo risultati migliori con minore tossicità rispetto alla chemioterapia. Questi studi, se da un lato confermano un elevato tasso di risposte, in prima linea nei pazienti mutati, già osservato in precedenti studi di fase II e un vantaggio significativo in PFS, dall’altro non dimostrano un vantaggio significativo in sopravvivenza, anche nei pazienti mutati (come è stato evidenziato dallo studio di Mok). Inoltre, una pressoché equivalenza in sopravvivenza tra l’impiego del farmaco in prima o in seconda linea (come dimostrato dallo studio di Rosell) pone il dubbio se non sia meglio utilizzare in ogni caso, in seconda linea, gli inibitori di EGFR anche nei mutati. Questo dubbio è rafforzato dal fatto che è molto più difficile utilizzare in seconda linea la chemioterapia a base di platino dopo un inibitore di EGFR, a causa delle peggiorate condizioni del paziente, che consentono solo la somministrazione di una monochemioterapia. Tale terapia è però subottimale rispetto ad una combinazione a due farmaci con platino che si somministra solitamente in prima linea. Inoltre, non sempre è possibile valutare lo status mutazionale sul tessuto, e comunque tale procedura rallenta l’inizio del trattamento. A favore dell’impiego degli inibitori di EGFR in prima linea nei pazienti mutati è stato dimostrato che meno del 50% dei pazienti ricevono una seconda linea di trattamento, per cui, specie nei pazienti anziani o con scadente PS, è ragionevole considerare da subito, in presenza di una mutazione di EGFR, il trattamento biologico al posto della tradizionale chemioterapia. Quest’ultima considerazione introduce anche un secondo argomento, molto dibattuto nel 2009: la possibilità di continuare la terapia oltre i 4-6 cicli standard. Quello che oggi viene chiamato mantenimento o consolidamento ha, come obiettivo, trattare pazienti che hanno ottenuto dalla chemioterapia standard almeno una stabilità di malattia cercando di prolungare il più possibile la sopravvivenza libera da progressione, e colmando il “vuoto terapeutico” in cui solitamente si segue il paziente in follow-up, in attesa di una inevitabile progressione di malattia, cui consegue l’inizio della seconda linea. Gli studi presentati all’ASCO sono stati tre. Uno dei più importanti, lo studio JMEN (Ciuleanu T, Lancet), è stato pubblicato lo scorso settembre. In questo studio, che ha confrontato il pemetrexed vs il placebo, dopo una chemioterapia di induzione, è emersa una differenza in sopravvivenza nell’istotipo non squamoso superiore ai 5 mesi, che, nelle neoplasie polmonari, rappresenta un risultato mai raggiunto in precedenza. Anche i risultati dello studio SATURN (Cappuzzo F, ASCO) sono stati particolarmente promettenti, dal momento che hanno dimostrato un vantaggio significativo in PFS e OS a favore del trattamento di mantenimento con erlotinib rispetto al placebo. Oltre allo studio JMEN e SATURN, sono stati presentati anche i 34 Novità nella terapia delle neoplasie polmonari (NSCLC) risultati dello studio ATLAS che ha confrontato, in pazienti che avevano ottenuto almeno una stabilità dopo una chemioterapia di induzione contenente bevacizumab, un mantenimento con bevacizumab vs la combinazione di bevacizumab ed erlotinib fino a progressione di malattia. Anche questo studio ha raggiunto l’end-point primario dimostrando un vantaggio significativo in PFS a favore del braccio contenente erlotinib. Questi risultati ci incoraggiano ad un utilizzo precoce dei nuovi farmaci senza attendere la progressione di malattia, tuttavia è lecito chiedersi se questi risultati sono in grado di cambiare realmente la pratica clinica. Indubbiamente il mantenimento risponde ad un “bisogno” di terapia che alcune volte si manifesta al termine del trattamento standard, a fronte di una stabilità di malattia o di una risposta al trattamento. L’idea di mantenere il beneficio ottenuto da una precedente terapia può quindi determinare una valida opzione per alcuni pazienti, ed è ragionevole pensare che un anticipo della seconda linea possa portar loro qualche beneficio. Tutti questi risultati suggeriscono di prendere in considerazione la terapia di mantenimento anche se occorrerà definire con più precisione quali possano essere i pazienti che maggiormente potranno beneficiare di questa nuova strategia terapeutica. A questo proposito, risultati recenti delle analisi degli studi JMEN e SATURN dimostrano come il vantaggio in sopravvivenza con il pemetrexed o l’erlotinib sia presente nei pazienti che hanno avuto una stabilità di malattia dopo chemioterapia d’induzione ma non in quelli che avevano risposto alla chemioterapia. I risultati evidenziati ci chiariscono meglio quali possano essere i candidati ad un trattamento protratto oltre la terapia standard e, visto il beneficio presente solo in chi di fatto non ha risposto alla chemioterapia d’induzione, probabilmente ci porteranno a modificare il termine da mantenimento/consolidamento in “early second line”. Il 2009 è stato quindi un anno particolarmente interessante per il trattamento del NSCLC in stadio avanzato in quanto gli studi pubblicati o presentati a vari meeting hanno avuto un impatto sulla pratica clinica come non frequentemente accade in questa neoplasia. Probabilmente nel 2010 vi saranno meno novità e ciò ci consentirà di riflettere maggiormente su queste nuove strategie, al fine di comprendere e valutare, nella pratica clinica, quali benefici tangibili possano avere i nostri pazienti da queste nuove strategie terapeutiche. 35 MOPP Medical Oncology Progress & Perspectives - Update 35 Gefitinib or carboplatin-paclitaxel in pulmonary adenocarcinoma. Mok TS, Wu YL, Thongprasert S et al. N Engl J Med. 2009 Sep 3; 361(10): 947-57 Background: precedenti studi, senza un braccio di controllo, hanno suggerito che la prima linea di trattamento con gefitinib potrebbe essere efficace in pazienti selezionati con tumore polmonare non a piccole cellule. Metodi: in questo studio di fase 3, in aperto, abbiamo randomizzato pazienti precedentemente non trattati nel sud-est asiatico con adenocarcinoma polmonare avanzato e che erano non fumatori o ex fumatori a ricevere Gefitinib (250 mg al giorno) (609 pazienti) o carboplatino (a una dose calcolata per un AUC di 5 o 6) più paclitaxel (200 mg/m2) (608 pazienti). L’end point primario era la sopravvivenza libera da progressione. Risultati: la sopravvivenza libera da progressione a 12 mesi era del 24,9% con gefitinib e del 6,7% con carboplatino-paclitaxel. Lo studio ha raggiunto il suo obiettivo primario di dimostrare la non inferiorità di gefitinib ed ha inoltre dimostrato la sua superiorità, rispetto a carboplatino-paclitaxel, per quanto riguarda la sopravvivenza libera da progressione nell’analisi dell’intention-to-treat (hazard ratio per progressione o morte, 0,74, 95% intervallo di confidenza [CI], 0,65-0,85, P <0,001). Nel sottogruppo di 261 pazienti che erano positivi per la mutazione del gene del recettore per il fattore di crescita epidermico (EGFR), la sopravvivenza libera da progressione è significativamente risultata più lunga tra quelli che hanno ricevuto gefitinib rispetto a quelli che hanno ricevuto carboplatinopaclitaxel (hazard ratio per progressione o morte, 0.48, 95% CI, 0,36-0,64, P <0,001), mentre nel sottogruppo di 176 pazienti che sono risultati negativi per la mutazione, la sopravvivenza libera da progressione era significativamente più lunga tra quelli che hanno ricevuto carboplatino-paclitaxel (Hazard ratio per progressione o morte con gefitinib, 2,85, 95% CI, 2.05 a 3,98, p <0,001). I più comuni eventi avversi sono stati: rash cutaneo o acne (nel 66,2% dei pazienti) e diarrea (46,6%) nel gruppo Gefitinib, nel gruppo con carboplatino-paclitaxel si è avuto neurotossicità (69,9%), neutropenia (67,1%), e alopecia (58,4%). Conclusioni: Gefitinib è superiore a carboplatinopaclitaxel come iniziale trattamento per adenocarcinoma polmonare nei non fumatori o ex fumatori nel sud-est asiatico. La presenza nel tumore di una mutazione del gene EGFR è un forte predittore di un risultato migliore con Gefitinib. Screening for epidermal growth factor receptor mutations in lung cancer. Rosell R, Moran T, Queralt C et al. N Engl J Med. 2009 Sep 3; 361(10): 958-67. Epub 2009 Aug 19. Background: mutazioni attivanti del gene del recettore per il fattore di crescita epidermico (EGFR) conferiscono una maggiore sensibilità agli inibitori delle tirosin-chinasi gefitinib ed erlotinib nei pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule in stadio avanzato. In questi pazienti abbiamo valutato la fattibilità di uno screening su larga scala per le mutazioni di EGFR e analizzato l’associazione tra le mutazioni e il risultato ottenuto dal trattamento con erlotinib. Metodi: dall’aprile 2005 al novembre 2008, 2105 pazienti con neoplasia polmonare in 129 istituti in Spagna sono stati sottoposti a screening per le mutazioni EGFR. L’analisi è stata effettuata in un laboratorio centrale. I pazienti con mutazioni di EGFR erano eleggibili per il trattamento con erlotinib. Risultati: le mutazioni di EGFR sono state trovate in 350 dei 2105 pazienti (16,6%). Le mutazioni erano più frequenti nelle donne (69,7%), in pazienti che non avevano mai fumato (66,6%), e in quelli con adenocarcinoma (80,9%) (p <0.001 per tutti i confronti). Le mutazioni erano delezioni nell’esone 19 (62,2%) e L858R (37,8%). La sopravvivenza mediana libera da progressione e la sopravvivenza globale per 217 pazienti che hanno ricevuto erlotinib sono state di 14 mesi e 27 mesi, rispettivamente. L’hazard ratio per la durata della sopravvivenza libera da progressione è stato del 2,94 per gli uomini (p <0,001), 1,92 per la presenza della mutazione L858R, rispetto alla delezione nell’esone 19 (P = 0,02) e 1,68 per la presenza della mutazione L858R nel DNA sierico associato, rispetto all’assenza della mutazione (p = 0.02). I più comuni eventi avversi sono stati: lievi eruzioni cutanee e diarrea; tossicità cutanea di grado 3 è stata 36 Novità nella terapia delle neoplasie polmonari (NSCLC) registrata in 16 pazienti (7,4%) e diarrea di grado 3 in 8 pazienti (3,7%). Conclusioni: lo screening su larga scala di pazienti con cancro al polmone per le mutazioni EGFR è fattibile e può avere un ruolo nella decisione sul trattamento. Maintenance pemetrexed plus best supportive care versus placebo plus best supportive care for non-small-cell lung cancer: a randomised, double-blind, phase 3 study. Ciuleanu T, Brodowicz T, Zielinski C et al. Lancet. 2009 Oct 24; 374(9699): 1432-40 Background: diversi studi hanno dimostrato l’efficacia, la tollerabilità e la facilità di somministrazione di pemetrexed un antifolato agente antitumorale nei pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule in stadio avanzato. Abbiamo valutato pemetrexed come terapia di mantenimento nei pazienti con questa malattia. Metodi: questo studio randomizzato, in doppio cieco è stato effettuato in 83 centri in 20 paesi. 663 pazienti in stadio IIIB o IV in assenza di progressione dopo quattro cicli di chemioterapia a base di platino sono stati randomizzati (2:1) a ricevere pemetrexed (500 mg/m2, giorno 1) e migliore terapia di supporto (n = 441) o placebo più migliore terapia di supporto (n = 222) ogni 21 giorni fino a progressione della malattia. La randomizzazione è avvenuta seguendo il metodo di minimizzazione di Simon e Pocock. I pazienti e gli investigatori non erano a conoscenza del trattamento. Tutti i pazienti hanno ricevuto vitamina B12, acido folico e desametasone. L’endpoint primario era la sopravvivenza libera da progressione e l’endpoint secondario la sopravvivenza globale, valutate sulla base della “intention to treat”. Questo studio è registrato in ClinicalTrials.gov, numero NCT00102804. Risultati: tutti i pazienti randomizzati sono stati analizzati. Il pemetrexed ha migliorato significativamente la sopravvivenza libera da progressione (4,3 mesi [95% CI 4,1-4,7] vs 2,6 mesi [1,7-2,8]; hazard ratio [HR] 0,50, 95% CI 0,42-0,61, p <0,0001) e la sopravvivenza globale (13,4 mesi [11,9-15,9] vs 10,6 mesi [8,7-12,0], HR 0,79, 0,65-0,95, p = 0,012) rispetto al placebo. Interruzioni del trattamento dovute ad effetti tossici legati al farmaco sono stati più elevati nel gruppo pemetrexed rispetto al gruppo placebo (21 [5%] vs tre [1%]). Tossicità farmaco correlate di grado superiore a tre sono state più alte con pemetrexed rispetto al placebo (70 [16%] vs 9 [4%], p <0,0001)], in particolare astenia (22 [5%] vs 1 [1%], p = 0,001) e neutropenia (13 [3%] vs 0, p = 0.006). Non si sono verificati decessi correlati a pemetrexed. Relativamente meno pazienti nel gruppo pemetrexed rispetto al gruppo placebo hanno ricevuto terapia sistemica dopo l’interruzione (227 [51%] vs 149 [67%], p = 0,0001). Interpretazione: la terapia di mantenimento con pemetrexed è ben tollerata ed offre una migliore sopravvivenza libera da progressione e sopravvivenza globale rispetto al placebo nei pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule in stadio avanzato. SATURN: A double-blind, randomized, phase III study of maintenance erlotinib versus placebo following nonprogression with first-line platinum-based chemotherapy in patients with advanced NSCLC. F. Cappuzzo, T. Ciuleanu, L. Stelmakh et al. Clin Oncol 27:15s, 2009 (suppl; abstr 8001) Background: è stato dimostrato che erlotinib (E), una piccola molecola EGFR TKI, prolunga la sopravvivenza rispetto a placebo (P) in seconda e terza linea del NSCLC avanzato. Lo studio SATURN, di fase III (BO18192) è stato disegnato con l’obiettivo di valutare E come terapia di mantenimento dopo chemioterapia standard di prima linea a base di platino (CT) nel NSCLC avanzato. I pazienti con nessuna evidenza di progressione di malattia dopo 4 cicli di CT sono stati randomizzati a ricevere o E (150 mg/die) o P fino alla progressione di malattia o a tossicità inaccettabile. Gli end-point primari erano la sopravvivenza libera da progressione (PFS) in tutti i 37 MOPP Medical Oncology Progress & Perspectives - Update 35 pazienti e la PFS in pazienti EGFR positivi alla valutazione immunoistochimica (IHC+). Risultati: nella fase di trattamento CT sono stati arruolati 1.949 pazienti, di cui 889 randomizzati a E (n=438) o P (n=451). L’età mediana era 60 anni per entrambi i gruppi. Le caratteristiche al basale per i gruppi E e P erano (%): maschi/femmine: 73/27 e 75/27; adenocarcinoma +BAC/ squamoso/altro: 47/38/15 e 44/43/13; stadio IIIB/IV: 26/74 e 24/76; caucasici/asiatici/altro: 84/14/2 e 83/15/2; PS ECOG 0/1: 31/69 e 32/68; attuale/ex/mai fumatore: 55/28/18 e 56/27/17. La PFS (valutazione effettuata dallo sperimentatore e confermata da revisione indipendente) è stata prolungata significativamente con E rispetto a P in tutti i pazienti (HR 0.71 [IC 95% 0,62-0,82]; p<0,0001) e nei pazienti EGFR IHC + (HR=0.69 [95% IC 0,58-0,82]; p<0,0001). Verrà riportata l’analisi per sottogruppi. Il tasso di risposta è stato del 12% con E rispetto al 5% con P. Il tasso di controllo della malattia (risposta completa + risposta parziale + malattia stabile >12 settimane) è stata del 40,8% con E rispetto al 27,4% con P (p<0,0001). I dati di OS non sono ancora maturi. E è risultato ben tollerato: la maggior parte degli eventi avversi correlati al trattamento (AEs) sono stati di grado 1-2. Gli AEs riportati in almeno il >10% di tutti i pazienti sono stati: rash (60% con E rispetto al 9% con P) e diarrea (20% con E rispetto al 5% con P); spesso di grado 1-2. Solo il 2,3% dei pazienti del gruppo E ha mostrato AE di grado severo correlati al trattamento. Nel 2,8% dei casi E è stato sospeso per un evento avverso correlato alla terapia. Conclusioni: lo studio SATURN ha raggiunto l’end-point primario con una significatività statistica. Erlotinib nel mantenimento dopo prima linea è ben tollerato e migliora significativamente il controllo della malattia e ritarda la progressione di malattia rispetto a placebo nei diversi sottogruppi. A randomized, double-blind, placebo-controlled, phase IIIb trial (ATLAS) comparing bevacizumab (B) therapy with or without erlotinib (E) after completion of chemotherapy with B for first-line treatment of locally advanced, recurrent, or metastatic non-small cell lung cancer (NSCLC). V. A. Miller, P. O’Connor, C. Soh et al. J Clin Oncol 27:18s, 2009 (suppl; abstr LBA8002) Background: B quando aggiunto alla chemioterapia, ed E da solo, portano a un miglioramento nella sopravvivenza nel trattamento dei pazienti con NSCLC (Sandler et al. NEJM 2006; 355: 2542-2550; Shepherd et al. NEJM 2005; 353: 123-132). I dati pre-clinici e clinici (Herbst J Clin Oncol 2007;25:4743-4750) suggeriscono che la combinazione di B ed E potrebbe migliorare l’efficacia del trattamento del NSCLC. Questo potenziale è stato dimostrato nello studio BETA (B in combinazione con E confrontato con E da solo per il trattamento del NSCLC avanzato dopo fallimento della chemioterapia standard di prima linea), e in uno studio di fase III nel quale la PFS è stata migliorata per i pazienti trattati con B+E (Hainsworth Thoracic Oncol 2008; 3(11)(Suppl 4): S302). Lo studio ATLAS è stato disegnato per valutare B+E (150 mg/die) vs B da solo, successivo a B+doppiette contenenti platino, in pazienti con NSCLC in stadio IIIb/IV. I pazienti reclutati dovevano essere eleggibili a B, includendo i pazienti con metastasi cerebrali trattate e i pazienti in trattamento antitrombotico con EBPM (Eparina Basso Peso Molecolare). Metodi: i criteri di inclusione comprendevano anche i pazienti con carcinoma squamoso periferico e/o extra toracico. I pazienti hanno ricevuto 4 cicli di B (15 mg/kg ogni 3 settimane) con chemioterapia. I pazienti che non hanno avuto progressione di malattia (DP) o tossicità significative sono stati randomizzati a ricevere B+E oppure Placebo (P). L’obiettivo primario dello studio ATLAS era confrontare la PFS nei pazienti che ricevono B+E vs B+Placebo. Gli obiettivi secondari includevano la valutazione della tollerabilità e la sopravvivenza globale (OS). L’efficacia e la tollerabilità sono stati monitorati da un data safety monitoring committee (DSMC). Risultati: da maggio 2005 a maggio 2008 sono stati reclutati 1.160 pazienti di cui 768 randomizzati. Il DSMC ha raccomandato l’interruzione dello studio alla seconda analisi ad interim di efficacia pianificata poiché lo studio ha raggiunto l’end-point primario. La PFS mediana dopo la randomizzazione era 4,8 mesi per B+E vs 3,7 per B+P (HR=0.722; IC 95% 0,592-0,881; p=0,0012). Il profilo di tollerabilità di B+E era consistente con i profili noti per B e per E. Conclusioni: la combinazione di E+B dopo chemioterapia con B migliora significativamente la PFS dei pazienti trattati in prima linea per NSCLC localmente avanzato, recidivato o metastatico. 38 MOPP Medical Oncology Progress & Perspectives - Update 35 Fondazione Via Vittorio Alfieri n.45-20015 Parabiago (MI) Tel. 0331 490052 - 4944495 Fax 0331 553720 mail : [email protected] - [email protected] – [email protected] sito web: www.giscad.org Presidente Roberto Labianca Vice Presidenti Sandro Barni Giancarlo Martignoni Segretario Luciano Frontini Consiglio di Fondazione Enrico Aitini Stefano Cascinu Gianfranco Pancera Alberto Sobrero Alberto Zaniboni Ufficio Operativo Luciano Frontini Responsabile Lorena Cozzi Silvia Rota Data managers Davide G. Savian Amministrazione NEWS dall’ UFFICIO OPERATIVO al 20 Marzo 2010 30 OTTOBRE 39 MOPP Medical Oncology Progress & Perspectives - Update 35 Spazio GISCAD GISCAD ITALIA TOSCA Three Or Six Colon Adjuvant 40 MOPP Medical Oncology Progress & Perspectives - Update 35 MAPS Metastatic Advanced Pancreas Sorafenib 41 MOPP Medical Oncology Progress & Perspectives - Update 35 COMETS COlorectal MEtastatic Two Sequences 42 MOPP Medical Oncology Progress & Perspectives - Update 35 SLAP Folfiri as Second-Line chemotherapy for Advanced Pancreatic cancer: phase II study. 43 MOPP Medical Oncology Progress & Perspectives - Update 35 44 MOPP Medical Oncology Progress & Perspectives - Update 35 45 MOPP Medical Oncology Progress & Perspectives - Update 35 46 MOPP Medical Oncology Progress & Perspectives - Update 35 47 Depositato presso AIFA in data 22/10/2009 Control angiogenesis Let life continue Precise VEGF inhibition proven to control tumour growth to extend survival in multiple tumour types. Finito di stampare: Aprile 2010