NAVI I Dal ferro lieve di ruggine cioccolata il
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NAVI I Dal ferro lieve di ruggine cioccolata il
NAVI I Dal ferro lieve di ruggine cioccolata il ponte delle navi olio da fatica e non da comodo viaggio vedo l’ancora di Ancona. E scendono dagli anni lontani quei moniti di oblio biancheggianti ebraici addii del verde declivio guardando l’acqua dietro una curva di monte l’aquila di chiari gradini abbraccianti il mare. II E’ caduta senza avviso di mute presenze questa solida acqua di pioggia. Salto o presumo di poterlo fare su questi sassi bianchi di altri luoghi gettati tra il mare ed il Lamone Lo vedo bene questo Adriatico mare e lo possiedo più dell’India lontano dalle visioni di una Italia sempre più inutile nel suo vagare altrove con lucide scarpe. Tu sei gentile con quel piccolo ornamento di vongoline vezzose come i tesori fanciulli ed i merli sui castelli sabbiosi dei giochi di alga all’alba… Aspettiamo senz’altro nuove famiglie più felici della propria casa III Cresco tra condanne in luoghi così belli pieni di sputo e pochezza d’anima. Sento la notte tacchi vuoti senza altra vita per grazia mia. Tutta questa fine presenza nell’odore dell’acqua di nebbia muove lacrime felici tra le vie di rigore rinascimentale. Venni quasi seviziato per averti amata più di Parigi Ferrara per averti visto più bella. IV Sono nascosto in un ventre amorevole poco sotto un tetto tra l’olio di terre ed i rossi di chi sà quali minerali. Oggetti che scivolano superbi nel silenzio delle note veneziane dell’oboe. C’è questa finestra puntata su Bologna sempre più volgare e lontana dove i pedoni ti ringraziano sulle strisce passati salvi tra poca luce di portico. C’è qui vicino un mare poco ascoltato che ha tremiti isole splendide e una laguna di città così fiera del suo piumato leone e pochi uomini che possono amare i propri luoghi. V La volgarità una pesante condanna come ombra fedele attorno a me. Ascolto sempre chi non è capace. Chiuso nel vestito di una disgrazia nostrana non hai visto eleganza nei visi dove qualche assegno può bastare ad incartare bene questi umani escrementi sordi dove chi ti attacca il suo radiatore dietro muore da eroe senza ideali dove aspettare equivale a mangiare di più del nostro sacro maiale. VI Uno schiaffo senza anelli come un tonfo d’acqua dentro una sporta caduta da un terrazzo lontano questa verità ha consegnato la nave al mio logorio. Lei ha saputo. Lei ha capito. Lei ha aspettato. Nave fedele al verde stagno di romanica cripta la volontà si accomoda importante nel tenue pensiero di due vite. VII Quelle lucenti corazze dei castelli del mare con grovigli che scendono ferrosi sotto l’alga del sale, aspettano sempre ed anche di più la vista dalla resinosa spiaggia passeggiando all’inverso delle orme di gomma con un bastone che scrive lontano un lancio dai pini il sorriso delle idee cittadine dove vivono più attori che meccanici dove tanto lavora il teatro delle alghe. VIII Eccoci nella palude dal nome antico veneto di Romagna dove nell’acqua precipita la vita degli alberi e vedi inchiodati nella melma piccoli scheletri verdastri pieni di sudata febbre. Non mangiare nulla di quello che vi trovi Lei sostenuta nel bene e nel male più della memoria del tempo l’aria non buona del silenzio chiassoso degli uccelli. La realtà non ricorda e nemmeno interessa se quelle case di legno sono state la madre di Venezia poi di Ferrara Ravenna. IX Quel lungomare odoroso dai cespugli sfilacciati senza pausa al tremolare andante dell’aria rimbalza assente sui cartelli ora spenti ora da discoteca tutti coronati da petali di pigne e pensare che piccolo atlante effimero richiamano improbabili nomi esotici. Del più facile mercato secco da viaggio inutile ora la Provenza ora il Pacifico dove ci si vergogna della reale esistenza e presente presenza cercando o indagando nel sottile destro volo delle oche che rivivono nelle tane delle volpi. Ci sono tramonti africani sulla nostra pianura. X La prua ha un naso di secoli bagnandosi i baffi al riposo di una compagna Crimea sotto le torri ariose luccicanti alogeni sospetti di luci e scatole grosse colorate come riserve di movimenti perpetui e rari delfini dipinti. XI Lei nave di catrame vischiosa trappola dei beneaugurati viaggi porta il metallo e cancrena della terra. In disordinati viaggi senz’appunti adriatici languono ancora i ricordi istriani, dalmati e miti più in basso tra Macedonia e Grecia Trieste. Roberto Pagnani – Ravenna 2005