L`America aspetta ancora di essere scoperta. I suoi
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L`America aspetta ancora di essere scoperta. I suoi
Fantasmi a Coney Island “L'America aspetta ancora di essere scoperta. I suoi vagabondi e i suoi poeti assomigliano ai primi navigatori che salpavano per i loro viaggi di esplorazione. Persino nelle sue città esistono ancora spazi che i cartografi hanno lasciato in bianco” (1) Ma destinato a divenire un luogo inesplorato è il nostro stesso presente agli occhi di chi ci succederà. A suscitare il desiderio dell'esplorazione di quel luogo misterioso che è il passato è la permanenza di sedimenti (frutto di racconti, letture, oggetti sopravvissuti) di un ieri sconosciuto ma che appare familiare, quasi rottami che, come dopo un naufragio, s'incagliano sparsi sulle rive dei nostri giorni. Quasi sempre nel passato si cerca un'eco al presente, o uno specchio che riverberi noi stessi, anzi, quel nostro doppio intorno al quale Jorge Louis Borges ha intessuto tutta la sua opera letteraria. I fogli di Andrea Chiesi, che a sua volta sull'interrogazione di uno specchio chiamato passato prossimo da anni elabora la sua pittura e la sua grafica, svelano gli indizi di una cartografia relativa a Coney Island, lembo meridionale di Brooklyn sull'Oceano Atlantico. Di un ieri chiassosamente balneare, di quella tarda “Belle Epoque” newyorkese che l'artista ha rintracciato nei filmati conservati al Brooklyn Museum, di un lido brulicante di bagnanti che si vede nella suite acquafortistica incisa da Maurice Sterne intorno al 1903, restano le immani carcasse del padre di tutti i Luna Park (una “giostra” di Coney Island, spiega Chiesi, è diventata sinonimo di tutti i parchi di divertimenti del mondo). Oggi, nella grigia malinconia atlantica, sembrano scheletri di dinosauri che una violenta mareggiata, squassando la spiaggia, ha riportato alla luce; o, anche, costole e fanoni di gigantesche balene spiaggiate. Chiesi ha lavorato da queste parti, lo scorso anno, alla ricerca di nuovi luoghi dove rinnovare la sua costante evocazione di memorie e sussurri da un presente da poco tramontato. Nelle travature d'acciaio delle montagne russe, della ruota panoramica, del “wonder wheel” e del “paracute jump”, macchine effimere di un moderno barocco, s'impigliano le associazioni d'immagini: il Luna Park deserto come scenario privilegiato delle inquietudini del nuovo gotico americano, da Stephen King a Lansdale; Bret Easton Ellis che a un Lunar Park intitola uno spaventoso viaggio nei recessi della sua anima; e poi Harry Angel, il detective privato protagonista di “Angel Heart” di Alan Parker, che inizia la sua discesa agli inferi proprio da una Coney Island felliniana, dove un misterioso personaggio gli offre un “copri-naso” da spiaggia, grottesca e inutile mascherata per chi, cercando una persona scomparsa, con orrore scoprirà che lo scomparso (e perduto) è proprio lui. I soggetti si prestano a una trasposizione grafica e a ulteriori riflessioni sul rapporto tra l'arte di Chiesi e la fotografia: in questo caso il viaggio à rebours va verso le immagini dei grandi autori che documentarono il New Deal e “la città che sale”, dove anche la notte cessa di essere portatrice d'inquietudini e si fa costruttrice, con le sue ombre proiettate, di volumi e geometrie. Ma è come se Chiesi, scegliendo come soggetto il Luna Park, ludico apparato imperniato, costruttivamente e tecnicamente, sui canoni di un rigoroso modernismo (dunque un “doppio” clownesco del razionalismo e del funzionalismo) ribaltasse il messaggio di fotografi quali Berenice Abbott, André Kertész, Karl Strupp e Alfred Stieglitz tramutando i simboli della futuribilità - le travature imbullonate, le anime d'acciaio degli edifici in crescita - negli scheletri di un corpo in avanzato disfacimento. Lo fa richiamandosi a uno dei più irrequieti percorsi della grafica incisa, quello che, da Piranesi a Brangwyn a Muirhead Bone, allinea funamboliche ambiguità e simmetrie tra un mondo in apparente costruzione ma, insieme, sull'orlo di un imminente crollo, laddove la fragilità tipica di un corpo in embrione sembra evocatrice di una perenne precarietà. Luna Park, ancora, come luogo senza tempo, simile, appunto, a un carcere piranesiano, dove visitatori-prigionieri moderni convivono con prigionieri-abitatori antichi in una rovina in continua costruzione; o come labirintica, babelica “città blasfema”, per citare Giorgio Manganelli (2), proprio perché i suoi edifici, eretti nell'orgogliosa geometria, Musa delle più futuristiche avanguardie, celebrano il culto della a-temporalità e dell'eterna fragilità. Coney Island, che Simic (da cui sono partite queste riflessioni) elegge ad allegoria di quell'“estetica onnicomprensiva” del Modernismo d'Oltreoceano che, unica, “poteva restituire il senso della realtà americana”, diventa dunque crocevia di luoghi e suggestioni diversi, senza ordine di apparizione né di tempo: e qui s'incontrano la Babilonia di Borges (e le storie allo specchio di Paul Auster) e la New York arcaica e pre-umana indagata da Lovecraft; i “Bagni misteriosi” di De Chirico (che dipinge Central Park e scrive in epigrafe “j'ai été à New York”) e la brulicante città ritratta negli anni Trenta da Reginald Marsh; qui King incrocia Fellini e Cornell s'imbatte in Piranesi, perché davvero “l'America è il luogo dove il Vecchio Continente ha fatto naufragio” (3) e i suoi relitti si mescolano e s'intrecciano in un territorio insondato e fertile. Allora, forse, c'è spazio per un'ultima apparizione nella grande parade di Coney Island. Quando Chiesi ricorda che proprio qui si svolge la scena finale de “I guerrieri della notte” di Walter Hill, a chi scrive viene in mente che, nel De Bello Gotico di Procopio di Cesarea, proprio nei pressi delle rovine di un altro luogo deputato al divertimento, il Circo di Gaio sul colle Vaticano, si consuma uno degli scontri fra le truppe gote e quelle del riconquistatore e difensore di Roma, il generale Belisario. Sono “warriors” di un mondo tardoantico, di un passato neanche così remoto, con barbari occupanti (ma da tempo romanizzati) combattuti da un esercito “romano” composto da ausiliari unni. Nella storia, infatti, i ruoli si ribaltano, le voci si mescolano, i linguaggi mutano e le epoche ritornano e rivendicano un'eco nel presente, mentre le immagini e le memorie si sovrappongono come i volti sfocati dalla velocità di un giro di giostra. Franco Fanelli per la mostra Coney Island, Artesucarte 2011 1. Charles Simic, Dime Store Alchemy. The Art of Joseph Cornell, 1991, tr. it. Il cacciatore di immagini. L'arte di Joseph Cornell, Milano, 2005, p.39 2. La città blasfema è uno dei saggi di Giorgio Manganelli contenuto nella raccolta La letteratura come menzogna (Milano, 1967) e offre una memorabile rivisitazione di Howard Phillips Lovecraft 3. Simic, cit., p.42