Carlo Alberto Biggini: il custode degli ultimi “segreti” di Mussolini

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Carlo Alberto Biggini: il custode degli ultimi “segreti” di Mussolini
Carlo Alberto Biggini: il custode degli
ultimi “segreti” di Mussolini. Dalla
Basilica del Santo di Padova alla
clinica milanese “San Camillo“ (26
luglio – 19 novembre 1945)
Pubblicato su 1 giugno 2011
Carlo Alberto Biggini, rinomato professore di
diritto costituzionale, nacque a Sarzana – un paese
in provincia di La Spezia – il 9 dicembre 1902, da
Maria Accorsi e da Ugo, un avvocato di estrazione
socialista. Dopo aver conseguito brillantemente, nel
novembre del 1928, la laurea in Legge presso
l’ateneo di Genova, l’anno seguente si laureò a
Torino anche in scienze politiche riportando la
prestigiosa votazione di 110, lode e dignità di
stampa. Il suo cursus studiorum si concluse
nell’ottobre del 1930 con il conseguimento di un
altro titolo accademico, quello in scienze
corporative, stavolta presso l’università di Pisa.
Inoltre, proprio nell’aprile di quell’anno, aveva
coronato anche il suo sogno d’amore impalmando a La Spezia
Maria Bianca Mariotti.
Durante i suoi anni giovanili seguì le orme paterne abbracciando
gli ideali socialisti finché,
nel maggio del 1928, si
verificò una repentina
conversione al fascismo
che lo indusse a chiedere
perfino la tessera del
P.N.F. Questa fase
importante della sua vita,
inoltre, coincise anche
con la sua definitiva
consacrazione sia a
livello accademico e sia
nell’ambito
dell’establishment
fascista, dove ricoprì
varie cariche di un certo
prestigio. Difatti a
suggellare la sua
affermazione giunse, il 6
febbraio del 1943, la
nomina a ministro dell’Educazione Nazionale in sostituzione di
Giuseppe Bottai, che gli fu conferita dal duce in persona[1]. Nel
corso della famigerata riunione del Gran Consiglio che si svolse
nella notte tra il 24 ed il 25 luglio 1943, votò contro l’ordine del
giorno di sfiducia a Mussolini presentato da Dino Grandi,
tentando finanche di ricucire lo “strappo” che si era prodotto,
redigendo un pro-memoria per il duce che avrebbe dovuto
consegnare al sovrano allo scopo di far rilevare che il voto
espresso dal Gran Consiglio era da considerarsi a tutti gli effetti
nullo perché viziato da alcune infrazioni regolamentari.
Proprio per questo motivo nell’agosto successivo fu persino
ricevuto dal re, ma non se ne fece nulla. La fiducia incondizionata
che Mussolini nutriva nei suoi confronti non si affievolì neanche
all’indomani della costituzione
della Repubblica Sociale
Italiana allorquando, varando il
governo, lo riconfermò alla
guida del dicastero
dell’Educazione Nazionale, che
Biggini decise di collocare nel
palazzo Papafava dei Carraresi
a Padova fin dall’ottobre
successivo, dove si trasferì
insieme alla propria famiglia.
In questo periodo si distinse
per alcuni provvedimenti di
una certa importanza
ripristinando, nel novembre del
1943, il metodo democratico nelle università ed esentando dal
giuramento gli insegnanti. Per questa “grave” infrazione, il 12
settembre dell’anno successivo, rimediò perfino una denuncia al
servizio disciplina del Partito Fascista Repubblicano ad opera del
segretario Alessandro Pavolini. Ciò nonostante, nel maggio di
quello stesso anno, non esitò ad interporre i suoi buoni uffici per
salvare 44 professori dell’Università di Genova, tra cui vi erano
anche alcuni suoi vecchi maestri. Come ha affermato in merito
Luciano Garibaldi nel corso del recente convegno di studi su Carlo
Alberto Biggini tenutosi a Sarzana:
Senza limiti i suoi sforzi – sempre riusciti, in unità d’intenti con
Gentile – per proteggere colleghi, scrittori, professori, salvarli
prima dal confino e poi dalla deportazione in Germania, dar loro
da lavorare e da mangiare, non stroncare le loro carriere. E
soprattutto per cercare di evitare il sanguinoso epilogo della
guerra civile, in una gara di nobili sforzi che videro, dall’altra
parte della barricata, il suo amico Corrado Bonfantini, capo delle
formazioni partigiane socialiste, e, da quest’altra, accanto a lui,
Giorgio Pini, Edmondo Cione [e] Carlo Silvestri […] [2].
Del resto la fiducia senza riserve che il duce riponeva nei suoi
confronti è suffragata dal fatto che, nel corso del Consiglio dei
Ministri del 24 novembre 1943, decise di affidargli persino il
compito di redigere il progetto della nuova Carta costituzionale
del nuovo Stato repubblicano, che Biggini mise a punto in soli
quindici giorni. Tuttavia, considerata la piega decisamente
negativa che stavano prendendo gli eventi bellici, a partire dal
luglio del 1944, il ministro
Biggini, per motivi di
sicurezza, ritenne più
opportuno trasferire la
propria famiglia nella “Villa
Gemma” nei pressi di
Maderno, dove, suo
malgrado, restò soltanto per
poco tempo, fino all’ottobre
successivo poiché, come
tutti i gerarchi, ob torto
collo fu costretto a portare i
suoi familiari nella località
di Zurs, da dove andò a
prelevarli nel marzo
dell’anno successivo. A quel
punto, considerato che a
partire dal febbraio del 1945
era stato sottoposto finanche ad una rigida sorveglianza da parte
della banda Carità[3], per sfuggire ai suoi aguzzini, il 23 aprile
successivo, alle 5 del mattino, abbandonò precipitosamente la
residenza di villa Gemma a Maderno sul Garda, dopodiché, sul far
della sera del 25 aprile, decise di rifugiarsi nella Basilica del Santo
a Padova, contando sul fatto che
questa struttura ecclesiastica
godeva del diritto di
extraterritorialità. Difatti, avendo
mantenuto in passato i
collegamenti tra Stato e Chiesa e,
conoscendo il ministro provinciale
dei francescani patavini, padre
Andrea Eccher[4], nonché il rettore
della Basilica, padre Lino Brentari,
riuscì ad ottenere agevolmente
l’autorizzazione dal vescovo
diocesano, mons. Carlo Agostini,
per rifugiarsi nel convento attiguo,
dove restò nascosto senza
adoperare alcun nome fittizio e
tanto meno indossare l’abito talare. Appena giunto sul luogo,
immediatamente, fu preso sotto la custodia di padre Eccher, il
quale subito si preoccupò di mettere il suo nuovo ospite a suo
agio.
Tuttavia, nella concitazione della fuga, poiché era braccato e
minacciato dai partigiani, Biggini aveva ritenuto opportuno non
portare con sé la copia del carteggio tra il primo ministro inglese
Winston Churchill e il duce del fascismo italiano, lasciandola sulla
scrivania del suo studio a Maderno in una cartella di marocchino
rosso. Evidentemente
Biggini aveva ricevuto
da Mussolini questi
importanti documenti
proprio in virtù della
fiducia smisurata che
riponeva nei suoi
confronti, e poi perché
era persuaso che
sarebbe stato
risparmiato dalla
vendetta partigiana, in
virtù dei suoi legami
che aveva allacciato in tempi non sospetti con alcuni antifascisti
come Corrado Bonfanti.
Difatti, i partigiani avevano ricevuto l’ordine di non aprire il fuoco
sulla sua “Aprilia” che quotidianamente percorreva la strada che
da Padova lo conduceva alla residenza di Mussolini sul Lago di
Garda, ben sapendo che spesso e volentieri il ministro si recava
dal duce con una lista di persone da salvare che erano finite nel
mirino dei nazi-fascisti. Senza contare, poi, i numerosi rapporti
che aveva intrecciato anche con altri esponenti della Resistenza, i
quali avevano con lui un debito di riconoscenza per essere riusciti
a sfuggire all’arresto grazie proprio ad un suo provvidenziale
intervento. Difatti, come sostiene giustamente lo storico Roberto
Festorazzi nella sua relazione che ha svolto in occasione del
recente convegno di studi sulla figura di Carlo Alberto Biggini
tenutosi a Sarzana:
Mussolini aveva scelto bene, affidandogli le carte che avrebbero
dovuto scrivere la storia di domani. Biggini rappresentava, ai suoi
occhi, una risorsa ideale da spendere quando tutto era ormai
perduto. L’ex ministro dell’Educazione Nazionale, con ogni
probabilità, sarebbe sopravvissuto al bagno di sangue del
passaggio storico che Mussolini stesso immaginava cruento,
dominato da furore collerico e da un’esplosione di isteria
collettiva contro i vinti. Biggini era un galantuomo, un
pacificatore, un intellettuale illuminato. […] Le sue benemerenze
presso gli antifascisti gli sarebbero valse a guadagnarsi la
salvezza. Se dunque il candidato prescelto per l’Operazione
Verità aveva grandi possibilità di portare a termine la sua
missione, qualche cosa tuttavia intervenne a sconvolgere i piani.
E quel qualche cosa era un fattore imponderabile, non
controllabile da nessuno[5].
Del resto, proprio per questi motivi, Mussolini non aveva esitato
ad affidargli persino la copia di tutti gli atti dei rapporti che aveva
con gli inglesi. Si spiegherebbe
così il motivo per cui il ministro
Biggini sarebbe venuto in
possesso anche dei famigerati
carteggi tra Mussolini e
Churchill[6]. Ad ogni modo, stando
ad un’intervista rilascita l’11
settembre 1964 dall’allora
ministro provinciale dei
francescani conventuali padre
Andrea Eccher al professor
Fantelli, si afferma esplicitamente
che in seguito, sempre con la sua
approvazione, Biggini si rifugiò
presso il Seminario Teologico
patavino di “S. Antonio Dottore”,
retto dai Frati Minori Conventuali della Provincia di S. Antonio,
dove sarebbe rimasto nascosto per alcuni mesi, sotto mentite
spoglie, insieme all’ex segretario del P.N.F., Carlo Scorza ed al
responsabile dell’Alto Commissariato fascista per il Veneto
Giuseppe Pizzirani.
Circa i ricoverati politici – dichiara p. Eccher –: nel convento non
fu accettato nessuno per evitare complicazioni diplomatiche per la
S. Sede. Furono invece ospitati alcuni partigiani (e dopo la
liberazione fascisti in numero ancora maggiore) nella tipografia
del Messaggero di S. Antonio e in altri istituti dei frati in città.
[Il padre Eccher] conobbe in quell’epoca molte persone
protagoniste degli avvenimenti sia partigiani che fascisti, anche
per opera del p. Fulgenzio Campello (un frate del convento,
cappellano delle carceri) che agiva con molta prudenza,
intelligenza, specialmente tra i carcerati che egli soccorreva con
viveri, sigarette e denaro [...] P. Eccher era anche in relazione
con l’Alto Commissariato fascista per il Veneto diretto da
Giuseppe Pizzirani e con Cesare Rossi (tenente aiutante di
Pizzirani) e Pozzo presso i quali intervenne a favore di carcerati o
di altri e li trovò sempre comprensivi e gentili. Permise [padre
Eccher] che nel loro Collegio Teologico di via S. Massimo fossero
ricoverati Pizzirani, Scorza e Biggini, ma rifiutò di accogliere il
Menna [prefetto di Padova, che poi fuggì in Argentina, n.d.a.]
perchè responsabile di azioni delittuose[7].
Tuttavia, padre Tito Magnani, sembra confutare recisamente
queste affermazioni al punto che in una chiosa trascritta di proprio
pugno in calce a questo testo, sottolinea che Biggini, Scorza e
Pizzirani «Secondo testimonianza dei frati del Santo, erano accolti
al Santo [ovvero nel convento attiguo alla Basilica, n.d.a.]. A S.
Massimo [cioè presso il Seminario Teologico “S. Antonio
Dottore”, n.d.a.] con le suore c’era la moglie di Scorza»[8]. Difatti,
anche padre Alberto dell’omonimo Collegio, sembra propendere
decisamente a favore della tesi avanzata da padre Magnani, in
quanto riferisce a chi scrive che:
Parlando […] con qualche frate anziano che è stato testimone
all’epoca, posso dirle che francamente ci risulta davvero strano
che il nostro Seminario (meglio: Collegio Teologico, come veniva
chiamato a quei tempi) sia stato un rifugio per perseguitati
politici… Uno dei frati più anziani mi ha detto che, per quanto lui
si ricorda, non si è data ospitalità ad alcuno in quel lasso di
tempo. Forse, ma è un forse molto forzato, durante il periodo di
sfollamento del collegio, quando Padova era presa di mira dai
bombardamenti e tutti i frati, i fratini seminaristi sono stati sfollati
in una parrocchia dell’hinterland padovano. Si è trattato di un
periodo molto breve, comunque[9].
Questa apparente incongruenza, tuttavia, è comprensibile se si
pensa che quando padre Eccher rilasciò questa intervista al prof.
Fantelli già erano trascorsi parecchi anni dal verificarsi di tali
eventi; ragion per cui non è affatto da escludere che gli sia potuto
sfuggire qualche particolare oppure, come dichiara fr. Luciano
Bertazzo:
avendo dichiarato nella stessa intervista che non si voleva
coinvolgere la S. Sede, proprietaria della Basilica, abbia voluto
formalmente escludere la presenza di persone compromesse. Con
difficoltà, ma ho potuto avere la testimonianza di un frate allora
presente (e tutt’ora lucidissimo e che fu il verbalista nella
riunione fatta nel convento che portò alla resa del fascismo nella
città di Padova), che mi ha confermato che Scorza e Biggini erano
nascosti nelle cantine sottostanti alla cucina del convento. Non
ricorda se c’era anche Pizzirani. Chi lo sapeva era stato vincolato
al segreto[10].
Ad ogni modo, sta di fatto che, a distanza di alcuni mesi, per la
precisione il 15 agosto, il ministro Biggini, dopo aver accusato un
malore accompagnato da forti dolori addominali, fu subito visitato
dal prof. Bastoni il quale gli diagnosticò un cancro. Ma a quel
punto, non pago della diagnosi formulata dal medico, chiese di
essere trasportato in una clinica di Milano allo scopo di ricevere
cure più adeguate. Questa richiesta, naturalmente, fu subito
accolta dal rettore della Basilica del Santo, padre Lino Brentari, il
quale non esitò a mettere a
sua disposizione
un’automobile per il
trasferimento presso la
clinica “San Camillo” di
Milano, scelta perché fin
dal 1933 era gestita dalla
Provincia LombardoVeneta dei Chierici
Regolari Ministri degli
Infermi – meglio noti come
Camilliani – con i quali i francescani patavini avevano allacciato
da tempo una solida amicizia. Di conseguenza padre Eccher,
insieme alla signora Cargnello e al prof. Faggiotto, col favore
delle tenebre, a bordo di questa automobile, accompagnarono
Biggini nel capoluogo lombardo dove fu accolto dai Frati del San
Camillo che, per precauzione, prima di ricoverarlo – su
suggerimento di padre Agostino Gemelli – provvidero a falsificare
i suoi dati anagrafici, facendolo passare per un tal professore
Mario De Carli, dal momento che era attivamente ricercato quale
membro autorevole della R.S.I.
Qui fu subito sottoposto ad alcuni accertamenti clinici e, dopo vari
giorni di degenza, gli fu diagnosticato un tumore al pancreas,
sebbene dal referto stilato successivamente dal medico e amico del
ministro, padre Agostino Gemelli – che visitò Biggini di nascosto
nell’estate del 1945 –, solo di recente venuto alla luce, fu escluso
categoricamente che il gerarca fascista fosse affetto da questa
neoplasia. Scrive, infatti, l’allora rettore dell’Università Cattolica
del Sacro Cuore, in data 6 settembre 1945:
Caro Paolo,
rientrando a Milano trovo la tua lettera. […]
Quella persona [Carlo Alberto Biggini, n.d.a.], esaminata
accuratamente, non ha per nulla il carcinoma, né alcuna
neoformazione come si era diagnosticato in precedenza. Si tratta
di fenomeni nervosi e non più[11].
Tuttavia, in questa clinica la
degenza del gerarca fascista fu
immediatamente circonfusa da
un alone di mistero, tant’è che fu
tenuto scrupolosamente lontano
da occhi indiscreti, non
consentendo a nessuno, neanche
alla moglie, di fargli visita.
Soltanto il suo fidato segretario,
Dino Campini, riuscì ad
avvicinarlo. Pertanto, proprio a
quest’ultimo, l’ex ministro
dell’Educazione Nazionale
confidò la grande
preoccupazione che nutriva per la documentazione contenuta nella
cartella di marocchino rosso, quella definita della “linea d’ombra”,
che aveva lasciato nella sua villa a Maderno prima di trasferirsi
nella Basilica di Sant’Antonio di Padova la sera del 25 aprile
1945. Fino all’ultimo Biggini sperò che la moglie e la cognata
fossero riuscite a portarla con loro nel momento in cui, in preda al
panico, decisero di abbandonare rapidamente villa Gemma per
rifugiarsi presso il vescovo di Brescia, mons. Giacinto Tredici.
Fino a quel momento, infatti, nessuno era al corrente dell’enorme
importanza che avevano quei documenti affidati a Biggini dal
duce in persona con la promessa solenne di rivelarne il contenuto
soltanto nel caso in cui fosse finito nelle mani dei suoi aguzzini e
non fosse stato in grado di potersi difendere adeguatamente.
Difatti, a quanto pare Biggini non ne aveva accennato neanche ai
suoi familiari, mentre sicuramente ne parlò ai suoi collaboratori
più stretti, come si evince ad esempio dalle dichiarazioni del suo
segretario particolare, Dino Campini, riportate nel libro scritto da
quest’ultimo agli inizi degli anni settanta dal titolo “Piazzale
Loreto”, nel quale si fa esplicito riferimento al famoso carteggio
ed al fatto che una copia dello stesso era in possesso proprio di
Biggini[12].
Ad ogni modo, sta di fatto che la sua morte, sopraggiunta
improvvisamente a distanza di pochi mesi, il 19 novembre del
1945, apparentemente a causa di un misterioso
cancro, resta ancora avvolta nel più fitto
mistero, considerato che da più parti è stata
avanzata un’ipotesi suggestiva, tutt’altro che
peregrina, secondo la quale avrebbero giocato
un ruolo determinante in tal senso i
fantomatici carteggi ricevuti da Mussolini che
questi aveva avuto con il primo ministro
inglese Winston Churchill, meticolosamente
raccolti in una cartella di marocchino rosso e
depositati con cura in una delle due valigie
sequestrate al duce dalla 52ª Brigata Garibaldi
proprio perché, evidentemente, costituiva un
vero e proprio “tesoro politico”[13]. Ecco cosa
scriveva, ad esempio, tra il 1945 e il 1946 il
genero di Arnaldo Mussolini, Vanni Teodorani nel suo diario che,
all’indomani della costituzione della R.S.I. ricoprì la carica di
capo della Segreteria Militare del Capo dello Stato:
Circolano incerte notizie sulla morte di Biggini. Pare che sia
difficile stabilire la verità giacché il povero Carlo Alberto, ultimo
ministro dell’Educazione Nazionale della Repubblica, è stato
costretto a morire in strettissimo incognito per evitare di essere
sottoposto ad angherie magari durante l’agonia. […]
Sembra che sia morto di cancro. Così anche lui che la violenza
aveva risparmiato oggi raggiunto il suo Capo che l’aveva
particolarmente caro e che si intratteneva lungamente con lui di
tutto e su tutto per lunghe ore come un preferito discepolo.
Forse il Mussolini degli ultimi tempi si fidava e confidava con lui
come con nessun altro.
Comunque, poiché quando morì Biggini era in incognito, da
Padova fu condotto nel capoluogo lombardo il prof. Anti per
effettuare il riconoscimento ufficiale della salma. Inoltre bisogna
rilevare che, proprio prima di essere trasferito a Milano, il ministro
Biggini, a quanto pare, si era premurato di affidare ai Padri
francescani del Santo di Padova tutto il materiale che aveva
trovato nelle casse da lui depositate presso il collegio Gonzaga di
Milano[14]. Erano i documenti della Repubblica di Salò che egli
voleva fossero conservati nella
biblioteca del Santo. Tuttavia,
come sottolinea anche Luciano
Garibaldi, i bagagli di Biggini
inviati al Gonzaga sempre per
intercessione di padre Gemelli,
poco dopo furono ampiamente
saccheggiati da un esponente
partigiano che si era installato in
questura con il grado di
vicequestore. Difatti, dopo la sua
morte i padri del Santo di Padova
trovarono le casse già manomesse
e i documenti ivi contenuti erano
spariti, né si sa ancora oggi che fine abbiano fatto, lasciando dietro
di sé un inquietante alone di mistero[15].
Ecco cosa scriveva Biggini, presagendo il pericolo che incombeva
su di lui e sull’importante documentazione cartacea in suo
possesso, nell’ultima lettera alla moglie il 10 giugno 1945:
Spero che l’amico P., cui sarò grato tutta la vita, possa farti avere
questa mia. Cerca di stare tranquilla: non far mancare nulla a
Carlo. […] Potrai farmi avere un tuo scritto? Avete tutto con voi?
E quelle mie carte?
Quando avrò notizie di voi potrò forse stare più tranquillo.
Vogliatemi bene: anche un po’ solo di quanto ve ne voglio io. ti
stringo forte forte al mio petto insieme al nostro adorato Carlo e
ti bacio a lungo insieme ai tuoi, con il più vivo affetto, tuo Carlo.
L’elemento imponderabile che impedì a Biggini di adempiere al
compito storico assegnatogli – sostiene al riguardo Roberto
Festorazzi – fu un’oscura forza del destino. Il caso volle che, nella
concitazione che contrassegnò i giorni dell’epilogo dell’aprile
1945, il carteggio Churchill-Mussolini, ricevuto in copia
fotografica, restasse a Villa Gemma, la residenza di Biggini a
Toscolano Maderno. La precipitosa fuga dal Garda dei famigliari
di Biggini determinò da sé il fatto che, per una fatale noncuranza,
quelle carte rimanessero incustodite nello studio del ministro
dell’Educazione Nazionale.
Non fu più possibile recuperarle in seguito. Con ogni probabilità,
quel ghiotto dossier – conservato in una cartella di cuoio
marocchino rosso –, rimasto nella disponibilità del proprietario
della Villa, l’antiquario Triboldi, finì preda degli uomini dei
servizi inglesi. Biggini, nel frattempo ammalatosi, non si
capacitava di quel grave infortunio. Il segretario del ministro,
Dino Campini, fu testimone dell’inquietudine di Biggini, che
ripetutamente, in ogni occasione, tornava sull’argomento
chiedendo notizie sulla sorte delle carte ormai sparite. Campini
dovette probabilmente nascondere la sua pena, trovandosi
nell’impossibilità di fornire la risposta che Biggini attendeva[16].
Viceversa, nel recente libro scritto da Baima Bollone, viene
avanzata un’altra ipotesi secondo la quale
[Biggini si rifugiò] nella basilica di Sant’Antonio a Padova
portando i diari con sé e fu nascosto dai monaci compiacenti.
Presto si ammalò seriamente e fu costretto a lasciare tutto il
materiale al convento per essere trasportato sotto falso nome in
una clinica privata di Milano.
Tuttavia, il biografo di Biggini, Luciano Garibaldi, si mostra
alquanto scettico e tende a smentire questa ipotesi formulata da
Baima Bollone, sostenendo che
Biggini purtroppo non poté portare
con sé l’incartamento nella Basilica
di Sant’Antonio di Padova, dove
trovò rifugio la sera del 25 aprile
1945. Lo custodiva nella sua
abitazione privata, Villa Gemma, sul
Garda […]. L’ipotesi più verosimile
è che la preziosa «cartella di
marocchino rosso» di cui parla
Campini sia finita nelle mani della
prima persona che mise piede nella
villa. E questa persona fu il
pedagogo Michele Tumminelli,
vicino di casa e amico del ministro, che, nell’immediato
dopoguerra, divenne senatore democristiano, strettamente legato
a De Gasperi. Non è azzardato ipotizzare – conclude, dunque,
Garibaldi – che, per quella via, cioè De Gasperi, anche la copia
in possesso di Biggini sia tornata nelle mani di Churchill[17].
In effetti tutti gli indizi portano a concludere che, probabilmente,
una copia del famigerato carteggio fu consegnata anche a Carlo
Alberto Biggini, ma scomparve misteriosamente subito dopo
insieme al personaggio in questione. In seguito furono avanzate
due ipotesi suggestive secondo le quali questi preziosi documenti
sarebbero finiti in Vaticano, oppure affidati al conte Vittorio Cini,
che era un grande benefattore della basilica di Sant’Antonio di
Padova[18]. Da allora in poi, comunque, vennero sguinzagliati
numerosi agenti segreti ai quali fu affidato l’oneroso incarico di
rinvenire questo carteggio segreto tra Churchill e Mussolini.
Tra questi spiccano due figure interessanti, alludiamo all’agente
segreto della Regia Marina italiana, Aristide Tabasso che, a partire
dal 1945, in qualità di capo della Polizia partigiana di Verona,
aveva iniziato a collaborare con il controspionaggio americano
insieme all’agente speciale del Counter Intelligence Corps Sam
Forman, con il quale provvide a setacciare in lungo e in largo il
lago di Garda e l’intero Veneto. Alla fine, nel marzo del 1946,
riuscì a rinvenire un’altra copia di questo epistolario che
immediatamente fu portato presso la sede del C.I.C. di Verona in
via Bezzecca 3, dove l’agente Forman procedette a fotografarlo e
ad inviarlo negli Stati Uniti.
Inoltre, bisogna anche rilevare che, perfino il primo ministro
britannico Winston Churchill, nei primi anni del dopoguerra,
compì vari viaggi sul lago di Como – diciamo così di “piacere”,
tanto per usare un eufemismo – col pretesto di dipingere qualche
paesaggio lacustre, mentre in realtà il suo obiettivo era ben altro:
quello cioè di recuperare il
compromettente carteggio
segreto con Mussolini. Difatti,
in una di queste numerose
visite, il 25 luglio del 1949,
soggiornò sul lago di Garda, al
Grand Hotel di Gardone
Riviera, dopodiché, con
l’ausilio di alcuni agenti dei
servizi segreti di sua Maestà
britannica, perlustrò
meticolosamente anche la
residenza del ministro Carlo
Alberto Biggini a Maderno.
Proprio in questa circostanza
sembra che abbia incontrato
anche la vedova del ministro, la signora Maria Bianca Mariotti
che, tuttavia, per lungo tempo preferì mantenere il più stretto
riserbo su tale vicenda e non rivelare le motivazioni di questa
improvvisa visita, lasciando aperto un inquietante interrogativo a
cui la comunità scientifica non è ancora riuscita a dare una
risposta esauriente e definitiva.
© Giovanni Preziosi, 2011
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[1] Per un maggior approfondimento sulla figura di Carlo Alberto Biggini si rimanda al
saggio di L. Garibaldi, Mussolini e il professore. Vita e diari di Carlo Alberto Biggini,
Mursia, Milano 1983.
[2] Cfr. la relazione su “Carlo Alberto Biggini”, tenuta da Luciano Garibaldi nel corso
del recente convegno di studi organizzato dall’Istituto “Carlo Alberto Biggini”, dal titolo
Carlo Alberto Biggini nel 60° anniversario. L’uomo, il professore, il politico, che si è
svolto a Sarzana dal 19 al 20 novembre 2005.
[3] Il maggiore Mario Carità nacque a Milano il 3 maggio 1904. Allo scoppio della
seconda guerra mondiale partecipò attivamente, anche se soltanto per breve lasso di
tempo, alla campagna di Grecia venendo arruolato, come volontario, nella 92ª legione
“Camicie Nere”, con il grado di centurione (cfr. M. Griner, La “pupilla del duce”. La
Legione autonoma mobile Ettore Muti, Bollati Boringhieri, Torino, 2004, p. 129). Poi, il
17 settembre 1943, a Firenze, fu messo a capo dell’Ufficio politico investigativo di
Polizia denominato in seguito “Reparto servizi speciali” (R.S.S.), alle dirette dipendenze
della 92ª legione della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale, che in seguito passerà
tristemente alla storia col nome di “banda Carità”. Nel gennaio del 1944, infatti, questa
formazione fu incorporata nella neonata Guardia Nazionale Repubblicana, di cui Carità
divenne uno dei massimi dirigenti nel capoluogo fiorentino. Era una di quelle unità
speciali autonome di Polizia più malvagie dello stato fantoccio della R.S.I., al punto che
giunse a reclutare al suo interno finanche delinquenti comuni già condannati per furti,
rapine, scassi e altri delitti, intraprendendo una spietata campagna di repressione contro
ebrei ed oppositori del regime fascista. Naturalmente anche questo reparto si avvalse del
contributo di alcuni collaborazionisti italiani fra i quali spiccano, in qualità di ufficiali di
collegamento, il capitano Remo Del Sole e il tenente Giovanni Castaldelli, un ex
sacerdote affiancato da due monaci benedettini: Padre Ildefonso, al secolo Alfredo
Epaminonda Troya e don Gregorio Baccolini, cappellano della “29ª Waffen-GrenadierDivision der SS Italienische Nr.1” e fanatico propagandista del Partito fascista
repubblicano. A Padova, invece, il quartier generale fu allestito soltanto ai primi di
novembre del 1944 all’interno del magnifico Palazzo Giusti. Il trasferimento nel
capoluogo patavino, in realtà, si deve alle pressanti richieste del Capo della provincia
Federico Menna (3 agosto 1944 – 27 aprile 1945), il quale intendeva avvalersi dei
servigi del Reparto servizi speciali per sdradicare il nucleo politico della Resistenza
veneta (cfr. in merito Archivio di Stato Padova, Fondo Questura, b. 235, fasc. A,
sottofasc. Allegro A., Benetollo D., Prisco D., Allegro V., interrogatorio per istruttoria
CAS di Alfredo Allegro, 28 giugno 1945). Al termine del conflitto il maggiore Carità,
insieme alle sue due figlie, riuscì a trovare un provvidenziale rifugio presso l’abitazione
di alcuni contadini di Siusi, una frazione del comune di Castelrotto in provincia di
Bolzano. Tuttavia, proprio mentre pensava di essere al sicuro, nella notte del 19 maggio
1945, lui e la sua convivente – Emilia Chiani – furono sorpresi da una pattuglia della
Polizia militare alleata, e rimasero uccisi nello scontro a fuoco che ne scaturì. Per un
ulteriore approfondimento sulle vicende relative al maggiore Mario Carità ed alla
‘banda’ dai lui comandata, si rimanda alle seguenti opere: A. Mugnai, La “banda
Carità”. Ora che l’innocenza reclama almeno un’eco, Becocci, Firenze, 1995; P. De
Lazzari, Le SS italiane, introduzione di Arrigo Boldrini, 2ª ed., Teti editore, Milano
2002; Istituto Storico per la Resistenza e l’età contemporanea di Lucca, Processo Carità
ed altri, fald. 2, fasc. Imputati da Accomanni a De Santis, memoriale difensivo di
Castaldelli Giovanni del 28 giugno 1950; M. Dondi, La lunga liberazione. Giustizia e
violenza nel dopoguerra italiano, Editori Riuniti, Roma, 1999; R. Caporale, La Banda
Carita: storia del Reparto servizi speciali, 1943-45, prefazione di Dianella Gagliani, S.
Marco litotipo, Lucca 2005.
[4] P. Andrea Eccher ricoprì la carica di ministro provinciale dal 1940 al 1952.
[5] Cfr. la relazione “Biggini e il mistero del carteggio Churchill-Mussolini”, svolta da
Roberto Festorazzi nel corso del recente convegno di studi organizzato dall’Istituto
“Carlo Alberto Biggini”, dal titolo Carlo Alberto Biggini nel 60° anniversario. L’uomo,
il professore, il politico, che si è tenuto a Sarzana dal 19 al 20 novembre 2005.
[6] Cfr. in merito L. Garibaldi, Mussolini e il professore, cit.. Garibaldi in questo volume
descrive appunto quelle che, a suo parere, sarebbero state le vicende del presunto
carteggio Mussolini-Churchill, di cui Biggini fu per un breve periodo depositario. Ad
ogni modo per approfondire questa controversa vicenda del carteggio tra il duce del
fascismo italiano ed il primo ministro britannico, si rimanda alle seguenti opere: M.
Viganò, Il carteggio Mussolini-Churchill: una precisazione e una testimonianza, in
“Nuova Storia Contemporanea”, Anno VIII, n. 5, Settembre-ottobre 2004; N. D’Aroma,
Vite parallele: Churchill e Mussolini, Roma, 1962; A. Petacco, Dear Benito, caro
Winston, Mondadori, 1985; G. Cavalleri, Dal carteggio Churchill-Mussolini all’oro del
P.C.I., Piemme, Casale Monferrato, 1995; R. Festorazzi, I veleni di Dongo, Il minotauro,
Roma 2004; Id., Mussolini-Churchill: le carte segrete: la straordinaria vicenda
dell’uomo che ha salvato l’epistolario piu scottante del ventesimo secolo, Datanews,
Roma 1998; Id., Tutti i segreti del carteggio fantasma. Con una testimonianza di Luigi
Carissimi-Priori sul carteggio Churchill-Mussolini, in “Nuova Storia Contemporanea”,
n. 1, gennaio-febbraio 2000, pp. 115-124; P. Carradori, Vita con il Duce, Milano, 2001.
[7] Archivio della Curia Provinciale OFMConv Provincia Patavina – Sez. Vice
postulazione, Testimonianza-intervista rilasciata nel 1964 dal Ministro Provinciale
dell’Ordine dei Francescani Minori Conventuali della Provincia Patavina, P. Andrea
Eccher, al Prof. Giorgio Erminio Fantelli in data 11 settembre 1964, trascritta dal figlio
e inviata il 29 settembre 2000 a p. Tito Magnani vicepostulatore della causa di
beatificazione di p. Placido Cortese, pp. 1531-1535. Il prof. Fantelli fa riferimento a
della documentazione ricevuta in consultazione: si tratta fondamentalmente della
raccolta di ritagli di giornali, conservati a tutt’oggi nell’Archivio del Centro Studi
Antoniani della Basilica del Santo.
[8] Nota in calce all’intervista rilasciata da p. Andrea Eccher al Prof. G. Fantelli di p.
Tito Magnani, vicepostulatore della causa di beatificazione di p. Placido Cortese,
conservata nell’Archivio della Curia Provinciale OFMConv Provincia Patavina – Sez.
Vice Postulazione, pp. 1531-1535.
[9] Testimonianza rilasciata all’autore da padre Alberto F. dell’Istituto Teologico “S.
Antonio Dottore”, in data 9 novembre 2004.
[10] Testimonianza rilasciata all’autore dal direttore del “Centro Studi Antoniani”, fr.
Luciano Bertazzo, in data 23 novembre 2004.
[11]Lettera del rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore Padre Agostino
Gemelli, 6 settembre 1945. Evidentemente il rettore dell’Università Cattolica di Milano
aveva contratto da tempo un debito di riconoscenza con il ministro Carlo Alberto Biggini
considerato che, il 4 dicembre 1944, quest’ultimo non aveva esitato ad interporre i suoi
buoni uffici presso le autorità tedesche allo scopo di impedire l’arresto del religioso.
[12] Per un maggior approfondimento su questa vicenda si rimanda ai seguenti volumi:
D. Campini, Piazzale Loreto, Edizioni del Conciliatore, Milano 1972; Id., Strano gioco
di Mussolini, PG, Milano 1952; Id., Mussolini, Churchill: i carteggi, Italpress, Milano
1952.
[13] Per una comprensione più esaustiva di questo argomento si rimanda ai seguenti
saggi: G. Cavalleri, Ombre sul lago. Dal carteggio Churchill-Mussolini all’oro del
P.C.I., cit.; L. Garibaldi, La pista inglese. Chi uccise Mussolini e la Petacci?, Ares,
Milano 2002; F. Andriola, Mussolini-Churchill. Carteggio segreto, Piemme, Casale
Monferrato, 1996; Id., Appuntamento sul lago, Sugarco, 1990; R. Mussolini, Ultimo
atto. Le verità nascoste sulla fine, Rizzoli, Milano 2005; P. Baima Bollone, Le ultime
ore di Mussolini, Mondadori, Milano 2005; A. Ercolani, Gli ultimi giorni di Mussolini
nei documenti inglesi e francesi, prefazione di Francesco Leoni, Editrice Apes, Roma,
1989.
[14] Tuttavia, dopo aver effettuato accurate ricerche nell’archivio della Provincia d’Italia
dei Fratelli delle Scuole Cristiane, fratel Gabriele Pomatto, ha riferito a chi scrive che,
purtroppo, «non [è stato rinvenuto] alcuno scritto riguardante i documenti in oggetto [e]
documentazione di tale passaggio» (Corrispondenza con l’autore dell’archivista della
Provincia d’Italia dei Fratelli delle Scuole Cristiane, fratel Gabriele Pomatto, in data 4
ottobre 2005).
[15] Archivio della Curia Provinciale OFMConv Provincia Patavina – Sez. Vice
postulazione, Testimonianza-intervista rilasciata nel 1964 dal Ministro Provinciale
dell’Ordine dei Francescani Minori Conventuali della Provincia Patavina, P. Andrea
Eccher al Prof. Giorgio Erminio Fantelli (1911-1975, a suo tempo partigiano nella
brigata “Guido Negri”, nonché membro del direttivo della Federazione volontari della
Libertà). Nel 1997 lo storico Giorgio Cavalleri ha svelato il nome del prete che, stando
alle sue ricerche, avrebbe nascosto il carteggio Mussolini-Churchill, si tratterebbe
dell’allora parroco di Gera Lario, un paesino alle porte di Como, don Carlo Gusmeroli
(cfr. G. Cavalleri, Il custode del carteggio, Casale Monferrato, 1997). Secondo quanto
riferì, infatti, nell’immediato dopoguerra la staffetta partigiana ‘Gianna’ (Giuseppina
Tuissi), il suo compagno, il capitano ‘Neri’ (Luigi Canali), capo di stato maggiore della
52ª Brigata Garibaldi, subito dopo aver confiscato la borsa con i preziosi documenti a
Mussolini, con la complicità del parroco don Carlo Gusmeroli, provvide ad occultarla
sotto l’altare della chiesa di Gera Lario. Viceversa, stando alla testimonianza fornita dal
partigiano ‘Bill’ (Urbano Lazzaro), la famigerata borsa di Mussolini contenente, tra le
altre cose, anche il carteggio con il primo ministro britannico, fu affidata dal partigiano
‘Pedro’ (Pier Bellini delle Stelle), comandante della 52ª brigata partigiana, alla guardia
di finanza Antonio Scappin – nome in codice ‘Carlo’ – con l’ordine perentorio di
nascondere tutti quei documenti in luogo sicuro. Pertanto, il 3 o 4 maggio 1945, furono
portati presso l’abitazione del parroco di Gera Lario, don Carlo Gusmeroli, dove Pedro,
Bill e Scappin andarono ad esaminarli una decina di giorni dopo. La testimonianza
rilasciata dal sacerdote risulta di un certo interesse, in quanto dichiarò che questi tre
personaggi, appena si resero conto del contenuto di questi documenti, subito provvidero
ad avvolgerli in un unico pacco portandolo via con loro. A quanto pare sembra che
Pedro abbia affidato queste misteriose borse a Scappin con l’ordine di consegnarle al
quartier generale del Comando generale del Corpo volontari della Libertà di Milano (cfr.
L. Regolo, Il Re Signore: tutto il racconto della vita di Umberto di Savoia, terza e ultima
parte, Simonelli Editore, Milano 1998). Tuttavia, mentre Scappin si stava accingendo ad
eseguire l’incarico che gli era stato affidato, fu tempestivamente bloccato dal partigiano
comunista Pietro Gatti (alias Michele Moretti) che, con un’arma spianata, gli ordinò
l’immediata consegna di tutta la documentazione. Ad ogni modo è bene precisare che,
almeno allo stato attuale delle ricerche, la vexata quaestio relativa a questo fantomatico
carteggio tra il lider maximo del fascismo ed il primo ministro inglese Winston
Churchill, si riducono soltanto a vaghi ‘si dice’, considerato che non c’è ancora un
pronunciamento ufficiale da parte della comunità scientifica, in quanto non è stata
prodotta ancora alcuna prova concreta a sostegno di questa tesi. Tuttavia, le allusioni di
Mussolini nella sua ultima intervista che rilasciò a Cabella, farebbero propendere per
questa ipotesi soprattutto allorché, indicando una grande borsa di cuoio, sostenne con
una certa convinzione: «Ho qui delle tali prove di aver cercato con tutte le mie forze di
impedire la guerra che mi permettono di essere perfettamente tranquillo e sereno sul
giudizio dei posteri e sulle conclusioni della Storia. [...] Non so se Churchill è, come me,
tranquillo e sereno» (G.G. Cabella, L’ultima intervista a Benito Mussolini, in “Popolo di
Alessandria”, 22 aprile 1945). Inoltre, per un maggior approfondimento in merito al
contributo fornito dal clero patavino durante la resistenza, si rimanda ai seguenti saggi:
G.E. Fantelli, La resistenza dei Cattolici nel Padovano, Federazione italiana volontari
della liberta, Padova 1965; P. Gios, Resistenza, parrocchia e società nella diocesi di
Padova (26 luglio 1943 – 2 maggio 1945), Venezia, 1981, pp. 232-285; Id., Un vescovo
tra nazifascisti e partigiani. Mons. Carlo Agostini vescovo di Padova (25 luglio 1943-2
maggio 1945), Padova, 1986; Id., Il clero padovano durante la guerra e la lotta di
liberazione, in “I cattolici e la resistenza nelle Venezie”, a cura di G. De Rosa, Bologna,
1997, pp. 17-123; S. Tramontin, La lotta partigiana nel Veneto e il contributo dei
cattolici, Giunta regionale del Veneto, Venezia 1995, pp. 19-25 e V. Marangon, Il
movimento cattolico padovano. Parte I (1875-1945), Centro Studi Ettore Luccini,
Padova 1997, pp. 99-114; G. Lenci e G. Segato (a cura di), Padova nel 1943. Dalla crisi
del regime fascista alla Resistenza, Il poligrafo, Padova 1996.
[16] Cfr. la citata relazione “Biggini e il mistero del carteggio Churchill-Mussolini”,
tenuta da Roberto Festorazzi nel corso del recente convegno di studi organizzato
dall’Istituto “Carlo Alberto Biggini”, dal titolo Carlo Alberto Biggini nel 60°
anniversario. L’uomo, il professore, il politico, che si è svolto a Sarzana dal 19 al 20
novembre 2005.
[17] Cfr. la relazione su “Carlo Alberto Biggini”, svolta da Luciano Garibaldi nel corso
del recente convegno di studi organizzato dall’Istituto “Carlo Alberto Biggini”, dal titolo
Carlo Alberto Biggini nel 60° anniversario. L’uomo, il professore, il politico, che si è
tenuto a Sarzana dal 19 al 20 novembre 2005.
[18] P. Baima Bollone, Le ultime ore di Mussolini, Mondadori, cit.