Consulta il testo - Il Diritto Amministrativo

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NOTA A TAR LAZIO, SEZIONE TERZA, 26 febbraio 2013, n. 2106
A cura di Simone Luca
Il diritto di accesso e le specifiche ragioni di tutela del segreto industriale e commerciale
Con la sentenza in esame, il T.A.R. Lazio si è occupato dell’ipotesi di esclusione del diritto di
accesso di cui al comma 5, lett. a), dell’art. 13 del d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163 (Codice dei contratti
pubblici).
Tale norma prevede l’esclusione dell’accesso al contenuto dell’offerta che si sostanzi in un segreto
professionale o industriale. Al comma 6, l’art. 13 consente comunque l’accesso allorché risulti
strumentale allo svolgimento della propria difesa in giudizio.
Il caso affrontato nella sentenza in epigrafe riguarda il ricorso di una società che, dopo essere stata
esclusa da una gara pubblica, aveva richiesto di accedere alla documentazione amministrativa e
tecnica allegata alle offerte delle aggiudicatarie. Queste, interpellate dall’Amministrazione, si erano
opposte all’accesso a tali documenti, assumendo che contenevano informazioni riservate di natura
tecnica e commerciale.
La ricorrente lamentava, dunque, il diniego parziale all’accesso e la non specificazione delle ragioni
del segreto tecnico e commerciale opposto.
Per meglio comprendere la questione affrontata dalla suddetta pronuncia occorre, innanzitutto,
analizzare l’ampia tematica del diritto di accesso, disciplinato in maniera generale dagli artt. 22 ss.
della L. n. 241/1990, recante la disciplina delle “Norme in materia di procedimento amministrativo
e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”.
Il legislatore ha introdotto una disciplina generale sul procedimento amministrativo, modificando
profondamente il rapporto tra il cittadino e Amministrazione.
Prima della novella legislativa, infatti, il procedimento amministrativo costituiva espressione
dell’autoritatività della pubblica amministrazione, la quale determinava in modo autonomo,
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unilaterale e discrezionale il contenuto del provvedimento amministrativo, lasciando il soggetto
privato quale un mero spettatore.
Con la legge n. 241/1990 sono stati introdotti strumenti di partecipazione a favore del privato: tra
questi, meritano menzione la comunicazione dell’avvio del procedimento, la possibilità dei soggetti
interessati di presentare memorie e scritti, etc., che costituiscono diretta espressione del principio di
trasparenza e di pubblicità, in attuazione dei criteri di buon andamento ed imparzialità della
pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost., e in ossequio al rispetto di altri interessi
costituzionalmente protetti, primo tra tutti, il diritto di difesa nei confronti della pubblica
amministrazione, sancito dagli artt. 24 e 113 Cost.
In tale quadro si colloca anche il diritto di accesso, che è volto alla realizzazione dei principi di
trasparenza e pubblicità; ciò lo si deduce dall’inesistenza, nel pregresso sistema del procedimento
amministrativo, di una generale accessibilità agli atti amministrativi, vigendo, per contro, un
generalizzato principio di segretezza ex art. 3 del D.P.R. n. 3 /1947, salve limitate ipotesi di deroga
previste per singole discipline di settore.
La ratio dell’istituto del diritto d’accesso risiede, dunque, nella democratizzazione dei poteri e nel
controllo delle modalità del loro esercizio da parte dei soggetti interessati; ciò emerge chiaramente
dal disposto dell’art. 22, comma 2, L. n. 241/1990 – così come modificato dalla L. n. 69/2009 – il
quale prevede che: “l’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di
pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la
partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza”
Subito dopo l’emanazione della legge n. 241/1990, tuttavia, dottrina e giurisprudenza diedero il via
ad un annoso dibattito concernente la natura giuridica stessa del diritto in esame.
Un primo orientamento, avallato da una parte del Consiglio di Stato (Ad. plen. 24 giugno 1999 n.
16 e Sez. V, 2 dicembre 1998 n. 1725), aveva riconosciuto al diritto de quo natura di interesse
legittimo, sulla base, essenzialmente, di tre ordini di considerazioni. Innanzitutto, nella Costituzione
il termine diritto è frequentemente utilizzato in senso generico, ovvero come comprensivo di
situazioni soggettive non solo di diritto soggettivo, ma anche di interesse legittimo.
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Ancora, la pubblica amministrazione, nell’esprimersi sulla richiesta di accesso, esercita un potere
pubblico, consistente nel contemperamento di interessi contrapposti come l’accesso e la
riservatezza, quindi ciò che viene in rilevo, a fronte del pubblico potere, è l’eventuale compressione
di una situazione giuridica soggettiva. Infine, sul versante della tutela, il legislatore ha previsto
l’estensione di rimedi mutuati dal procedimento avente ad oggetto la tutela degli interessi legittimi:
primo fra tutti, l’impugnazione dell’atto entro un termine stabilito a pena di decadenza.
Un secondo orientamento giurisprudenziale considerava, invece, il diritto di accesso un vero e
proprio diritto soggettivo, argomentando a partire dalla sua veste formale. Si è rilevato, infatti, che
la pubblica amministrazione, quando si trova a verificare la pretesa del privato a prender visione ed
estrarre copia di atti amministrativi, in realtà, non eserciterebbe alcun potere discrezionale o
autoritativo.
Il giudizio in materia di accesso, infatti, “pur seguendo il rito impugnatorio, è comunque strutturato
come giudizio di accertamento, nel quale il giudice è chiamato in via diretta a verificare la
fondatezza della pretesa, a prescindere dal contenuto del diniego; pertanto, l’eventuale carenza di
motivazione del provvedimento impugnato non può comportare l’annullamento dell’atto per difetto
di motivazione ma impone al giudicante di verificare direttamente se sussistano i presupposti di
legge per ordinare l’esibizione degli atti richiesti” (Cons. Stato, Sez. V, 14 settembre 2010, n.
6696).
A sostegno di tali argomentazioni, si aggiunge la circostanza che l’azione per il riconoscimento del
diritto di accesso non ha solo mera natura impugnatoria e di accertamento, ma anche di condanna
essendo possibile che il giudizio si concluda con l’ordine di un facere per l’Amministrazione.
Al fine di rafforzare la tesi della natura di diritto soggettivo, è stata rilevata, inoltre, la non
necessarietà che il documento amministrativo sia relativo ad uno specifico procedimento; ed infine,
ma non per questo marginale, è necessario sottolineare come, dalla stessa devoluzione di tali
controversie alla giurisdizione esclusiva, sia possibile desumere la natura sostanziale della
situazione giuridica soggettiva vantata.
Sulla base delle medesime argomentazioni, sono state respinte anche le diverse tesi di quanti hanno
definito il diritto in esame inquadrabile nella categoria degli interessi partecipativi.
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Attraverso il chiaro disposto dell’art. 22, comma 2, della L. 241/1990, che stabilisce che l’accesso
persegue “rilevanti finalità di pubblico interesse” e che costituisce “principio generale dell’attività
amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la
trasparenza”; e, inoltre, in base al successivo art. 29, comma 2-bis, ai sensi del quale “attengono ai
livelli essenziali delle prestazioni di cui all’art. 117, comma 2, lett. m), della Costituzione, le
disposizioni della presente legge concernenti gli obblighi per la pubblica amministrazione […] di
assicurare l’accesso alla documentazione amministrativa”, il Legislatore ha, chiaramente, inteso
attribuire al diritto di accesso un fine obiettivo di giustizia e democrazia amministrativa e, quindi,
specifiche finalità di pubblico interesse.
Sulla scorta di tali argomentazioni, si riconosce pacificamente la natura giuridica dell’accesso quale
potere finalizzato a perseguire un interesse superindividuale, ossia il pubblico interesse. Da ciò, ne
consegue che un potere finalizzato ad un interesse superindividuale non è né un diritto soggettivo,
né un interesse legittimo, bensì una potestà, un munus: ovvero, quella situazione soggettiva che ha
caratteri diversi da quelli del diritto soggettivo o dell’interesse legittimo propri, perché possiede
essa stessa l’interesse al suo esercizio, ritenuto doveroso e non disponibile.
Tuttavia, è necessario distinguere tra diritto di accesso come istituto generale, che risponde nel suo
complesso alle summenzionate finalità, e diritto di accesso come situazione giuridica personale, che
ai sensi della normativa suindicata è riconosciuto per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti.
Se anche quest’ultimo aspetto del diritto di accesso rispondesse effettivamente al fine citato,
dovrebbe essere contraddistinto dal carattere della doverosità, e costituirebbe al contempo un diritto
ed un dovere; ma di ciò non si rinviene alcuna traccia nell’ordinamento.
Per tali ragioni, occorre concludere che, all’attuale stato evolutivo dell’ordinamento, il diritto di
accesso ha natura di vero e proprio diritto soggettivo e ciò sia perché è inserito in una legge di
settore, che ne disciplina minutamente l’attribuzione e l’esercizio nell’esclusivo interesse del
richiedente, sia perché può trovare un limite solo in specifiche e tassative esigenze di riservatezza
stabilite dalla legge e non anche in mere valutazioni di opportunità di chi detiene il documento.
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Ai sensi dell’art. 22 della L. n. 241/1990 hanno la legittimazione attiva all’accesso tutti i soggetti
privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che hanno un interesse diretto,
concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al
documento di cui si richiede l’accesso.
La sentenza in commento, a tal proposito, ha affermato che un soggetto che ha partecipato ad una
gara d’appalto possiede un interesse qualificato a conoscere gli atti di gara, in relazione specifica ai
motivi della sua esclusione ed alle valutazioni operate dalla stazione appaltante per gli altri
concorrenti sullo stesso profilo (cfr. Cons. Stato, Sez- VI, n. 1402/2012).
Non può essere accolta, pertanto, l’obiezione delle controinteressate, che eccepivano
l’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse e di legittimazione, risultando la ricorrente
esclusa dalla gara d’appalto e soccombente in fase cautelare.
Secondo giurisprudenza pacifica, inoltre, il giudice, in questi casi, non deve valutare la fondatezza
dell’azione sottostante all’istanza, ma esclusivamente la sussistenza di un interesse qualificato a
conoscere determinati documenti (T.A.R. Catania, Sez. II, n. 2097/2012).
Il nodo fondamentale della questione ruota intorno al rapporto intercorrente tra l’accesso agli atti di
gara e la tutela dei segreti commerciali delle imprese.
Su tale argomento, tanto la giurisprudenza nazionale e comunitaria, quanto la dottrina hanno fatto
chiarezza, affermando che il diritto di accesso non possiede un valore assoluto ed incomprimibile,
essendo sempre necessaria una ponderazione rispetto ad altri diritti o interessi opposti, come quello
della riservatezza o la tutela dei segreti commerciali.
La Corte di giustizia europea, con la sentenza del 14 febbraio 2008 C-450/06, ha precisato che
l’autorità giudiziaria dei ricorsi in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici deve garantire la
riservatezza dei segreti commerciali delle imprese. In caso contrario, un accesso illimitato e
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assoluto potrebbe ledere gli interessi dei partecipanti alla gara e compromettere la concorrenza leale
in tutti gli Stati membri.
L’art. 13, comma 1, D. Lgs. n. 163/2006, sancisce, ancora, il principio secondo cui, in materia di
accesso ai documenti utilizzati in procedimento di affidamento di appalti pubblici, le norme ivi
contenuto costituiscono disciplina speciale in rapporto alle previsione contenuto nella legge sul
procedimento amministrativo.
Al comma 5 del medesimo articolo, sono previste le suddette limitazioni al diritto di accesso al fine
di tutelare la riservatezza dei cosiddetti segreti industriali.
Tuttavia, all’interno del nostro ordinamento, esiste un’altra norma che prevede la tutela della
riservatezza (art. 24, comma 6, lett. d), L. 241/1990), disponendo la limitazione al diritto di accesso
a tutela di interessi di riservatezza riconducibili alle attività tecniche e commerciali delle imprese.
E’ necessario, dunque, confrontare le due norme che se da un lato presentano contenuto analogo,
dall’altro lato, sono connotate da rilevanti differenze.
Un primo aspetto riguarda la portata della deroga alla tutela della riservatezza.
Il Codice dei contratti pubblici, al comma 6 dell’art. 13, sancisce l’ammissibilità dell’accesso agli
atti sulla base di un presupposto molto peculiare, vale a dire la necessità della difesa in giudizio;
mentre, il comma 7 dell’art. 24 della L. n. 241/1990, consente l’accesso in base ad un presupposto
più ampio e generico come quello dell’esigenza di curare i propri interessi giuridici.
Pertanto, la norma del Codice degli appalti, disposizione speciale rispetto a quelle della legge sul
procedimento amministrativo, è una previsione più restrittiva di quella contenuta nell’art. 24, in
quanto ammette l’accesso soltanto qualora la cura degli interessi giuridici consista nel sostenere le
proprie ragioni nell’ambito di un contenzioso giudiziario, escludendo qualsiasi altra possibile
situazione giuridica, benché meritevole di tutela.
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In tal modo, il legislatore del Codice degli appalti ha ottenuto sia l’obiettivo di garantire
l’osservanza dell’art. 24 Cost., senza sacrificare eccessivamente le ragioni di riservatezza degli
operatori economici, sia quello di garantire al massimo i meccanismi fondamentali del mercato,
tutelando l’interesse delle imprese e società commerciali di salvaguardia del know-how industriale;
con questo, intendendo il complesso di informazioni tecnologiche, produttive, commerciali e
organizzative, costituenti i punti di forza e di debolezza delle imprese nel confronto concorrenziale.
E’ necessario specificare che l’impresa che abbia partecipato ad una procedura concorsuale per
l’aggiudicazione di un contratto pubblico può accedere nella forma più ampia agli atti del
procedimento di gara, ivi compresa l’offerta presentata dall’impresa risultata aggiudicataria, senza
che possano essere opposti motivi di riservatezza, sia perché una volta conclusasi la procedura
concorsuale i documenti prodotti dalle ditte partecipanti assumono rilevanza esterna, sia in quanto
la documentazione prodotta ai fini della partecipazione ad una gara di appalto indetta dalla pubblica
amministrazione esce dalla sfera esclusiva delle imprese per formare oggetto di valutazione
comparativa ,essendo versata in un procedimento caratterizzato dai principi di concorsualità e
trasparenza (Cons. Stato, Sez. VI, n. 6393/2009).
Con riferimento agli atti contenenti segreti industriali, l’accesso è garantito a condizione che venga
richiesto in vista della difesa in giudizio dei propri interessi, e sempre che la conoscenza degli stessi
sia rilevante ai fini della controversia che abbia ad oggetto la procedura di gara in cui l’istanza di
accesso è formulata (T.A.R. Brescia, Sez. I, n. 692/2011; T.A.R. Roma, Sez. III ter, n. 4081/2011;
T.A.R. Bari, Sez. I, n. 371/2011).
Per opporre la conoscenza sui presunti segreti tecnici o commerciali, tuttavia, la parte interessata
deve offrire una comprovata e documentata dichiarazione che faccia comprendere per quali
specifiche ragioni determinati atti sono coperti dal segreto industriale o commerciale; tali ragioni
dovranno poi essere valutate dall’Amministrazione ed eventualmente portate a conoscenza di chi
richieda l’accesso.
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La sentenza in questione ha avuto modo di specificare, infatti, che l’Amministrazione ha “l’onere di
rappresentare quali siano le specifiche ragioni di tutela del segreto industriale e commerciale
custodito negli atti di gara, in riferimento a precisi dati tecnici. Sicché, in assenza di tale
dimostrazione, l’accesso deve essere consentito.”
Pertanto, il bilanciamento tra accesso e riservatezza non è rimesso alla discrezionalità
dell’Amministrazione, con la conseguenza che il soggetto pubblico dovrà ammettere l’accesso
anche nella forma dell’estrazione della copia, ricorrendo ove necessario a particolari sistemi, quali
la schermatura dei nominativi degli interessati o la cancellazione delle eventuali parti del progetto
idonee a rilevare segreti industriali (Cfr. C.G.A. Sicilia, 5 dicembre 2007, n. 1087).
Infine, l’art. 13, comma 5, D. Lgs. n. 163/2006, nel prevedere forme di esclusione circa le
informazioni fornite nell’ambito delle offerte, fa riferimento a veri e propri segreti e non a generiche
informazioni riservate dell’impresa, fermo restando il diritto di accesso in capo al concorrente in
vista della difesa in giudizio dei propri interessi e in relazione alla procedura di affidamento del
contratto nell’ambito della quale viene formulata la richiesta di accesso.
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